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( vote)1. Premesse
Tra gli strumenti legislativi di recente introduzione volti a garantire che il settore dei contratti pubblici, fondato sui principi della libera concorrenza, sia scevro da possibili contaminazioni da parte della criminalità organizzata, assumono rilievo le cd. “white list” ovvero gli elenchi di imprese selezionate e controllate presso cui una pubblica amministrazione o un qualsiasi imprenditore può accedere per individuare una controparte contrattuale (appaltatore, fornitore, prestatore di servizi o subappaltatore) su cui sono state già eseguite le verifiche di carattere amministrativo preordinate al rilascio delle misure interdittive ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (di seguito “Codice Antimafia”).
Fine ultimo del legislatore nell’introdurre nel nostro ordinamento lo strumento delle white list è stato, dunque, quello di preservare la committente dalla contestazione di aver inserito nel ciclo produttivo per l’esecuzione della commessa pubblica una “bad company”, contestazione che in qualche caso ha prodotto anche gravi danni all’impresa aggiudicatrice dell’appalto con l’emissione di interdittive antimafia e la contestuale revoca della commessa.
Per fare ciò, sin con l’articolo 16, comma 5 del decreto legge 28 aprile 2009, n. 39, relativo agli interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009, il legislatore stabilì che «con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei ministri dell’interno, della giustizia, delle infrastrutture e trasporti, dello sviluppo economico e della economia e finanze, da adottarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono definite le modalità attuative del presente comma ed è prevista la costituzione, presso i prefetto territorialmente competente, di elenchi di fornitori e prestatori di servizi, non soggetti a rischio di inquinamento mafioso, cui possono rivolgersi gli esecutori dei lavori oggetto del presente decreto» (comma così modificato dall’allegato alla legge di conversione Legge 24 giugno 2009, n. 77 con decorrenza dal 28 giugno 2009).
Con il decreto legge 25 settembre 1999 n. 135, convertito in legge 20 novembre 2009 n. 133 il legislatore estende tale forma di controllo particolarmente rafforzata anche ai lavori per Expo 2015.
Successivamente con l’articolo 4 del decreto legge 13 maggio 2011 n. 70, convertito in legge 12 luglio 2011 n. 106 il legislatore ha previsto che «Per ridurre i tempi di costruzione delle opere pubbliche, soprattutto se di interesse strategico, per semplificare le procedure di affidamento dei relativi contratti pubblici, per garantire un più efficace sistema di controllo e infine per ridurre il contenzioso, sono apportate alla disciplina vigente, in particolare, le modificazioni che seguono: […] …g) istituzione nelle Prefetture di un elenco di fornitori e prestatori di servizi non soggetti a rischio di inquinamento mafioso […]».
Le white list quale strumento per preservare la committente dalla contestazione di aver inserito nel ciclo produttivo per l’esecuzione della commessa pubblica una “bad company”
2. La documentazione antimafia nel Codice Antimafia
Si ritiene utile richiamare alcuni concetti generali della materia di cui qui ci si occupa al fine di agevolare l’inquadramento delle norme e degli istituti che si andrà ad esaminare nel prosieguo.
L’articolo 83, commi 1 e 2 del Codice Antimafia stabilisce per una serie di soggetti pubblici (le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o le imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico, nonché i concessionari di opere pubbliche e i c.d. contraenti generali) l’obbligo di acquisire la documentazione antimafia prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici ovvero prima di concedere contributi, mutui, finanziamenti o rilasciare licenze, attestati, iscrizioni ed autorizzazioni.
Il Codice Antimafia distingue la documentazione antimafia in due tipologie:
(a) la comunicazione antimafia, che attesta l’esistenza o meno delle cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all’articolo 67 del Codice e quindi l’adozione di provvedimenti definitivi di applicazione di una misura di prevenzione;
(b) l’informazione antimafia, che si caratterizza per un elemento ulteriore, attestando anche l’eventuale tentativo di infiltrazione mafiosa tendente a condizionare le scelte dell’impresa interessata al rapporto contrattuale (o al mutuo, concessione, ecc,) con il soggetto pubblico (articolo 84 del Codice Antimafia).
In particolare, la comunicazione antimafia è richiesta per la stipula dei contratti di importo superiore a 150.000 euro ed inferiore alla soglia comunitaria (pari a 5.000.000 euro).
L’informazione antimafia è richiesta, invece, prima di stipulare, approvare, autorizzare i contratti e subcontratti (ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell’articolo 67 del Codice Antimafia) il cui valore sia:
- pari o superiore alla soglia comunitaria in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche forniture (pari a 5.000.000 euro), indipendentemente dai casi di esclusione ivi indicati;
- superiore a 150.000 euro per le concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali;
- superiore a 150.000 euro per l’autorizzazione di subcontratti, cessioni, cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche.
Al fine di facilitare e razionalizzare il sistema di rilascio della documentazione antimafia l’articolo 96 del Codice Antimafia ha previsto l’istituzione presso il Ministero dell’Interno banca dati nazionale unica antimafia (di seguito “Banca Dati Nazionale Antimafia”) istituita dall’articolo 82 del Codice Antimafia: tale banca dati telematica – di cui si dirà meglio di seguito – rappresenta uno strumento di semplificazione delle procedure di rilascio della suddetta documentazione attraverso un sistema integrato di dati che renda possibile il costante monitoraggio delle imprese.
3. L’iscrizione nelle white list
Con riferimento all’obbligatorietà dell’acquisizione della documentazione antimafia ai sensi del Codice Antimafia, la consultazione delle white list è divenuta obbligatoria in relazione ad alcune attività imprenditoriali definite “sensibili”, indipendentemente dalle soglie di valore stabilite dal Codice Antimafia.
Per talune attività imprenditoriali definite come «maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa» la legge 6 novembre 2012 n. 190 (di seguito la “Legge Anticorruzione”) all’articolo 1, commi 52 e seguenti ha, infatti, previsto l’istituzione delle cd. “white list” presso ogni prefettura.
Tali white list consistono in appositi elenchi tenuti dalle Prefetture in cui vengono iscritti fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori ritenuti non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa.
In particolare la Legge Anticorruzione con l’articolo 1, comma 53 ha selezionato taluni settori ritenuti maggiormente esposti a rischi di infiltrazione mafiosa con riferimento ai quali gli operatori economici sono tenuti ad iscriversi nelle white list:
a) trasporto di materiali a discarica per conto di terzi;
b) trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di terzi;
c) estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti;
d) confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume;
e) noli a freddo di macchinari;
f) fornitura di ferro lavorato;
g) noli a caldo;
h) autotrasporti per conto di terzi;
i) guardiania dei cantieri.
Dalla lettura della predetta elencazione si evince che il legislatore ha voluto identificare i settori in cui l’infiltrazione mafiosa è di prassi più radicata; considerata la continua evoluzione del fenomeno mafioso, il legislatore ha tuttavia previsto al comma 54 del medesimo articolo 1 della Legge Anticorruzione la possibilità di aggiornare il catalogo delle attività elencate in ragione degli eventuali nuovi ambiti conquistati dalla criminalità organizzata.
Nella sua formulazione originaria l’articolo 1, comma 52 della Legge Anticorruzione, in relazione alle attività imprenditoriali di cui al predetto comma 53, disponeva che «la comunicazione e l’informazione antimafia liberatoria è obbligatoriamente acquisita dai soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, attraverso la consultazione, anche in via telematica, di apposito elenco di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa operanti nei medesimi settori. Il suddetto elenco è istituito presso ogni prefettura. L’iscrizione nell’elenco è disposta dalla prefettura della provincia in cui il soggetto richiedente ha la propria sede. Si applica l’articolo 92, commi 2 e 3, del citato decreto legislativo n. 159 del 2011. La prefettura effettua verifiche periodiche circa la perdurante insussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa e, in caso di esito negativo, dispone la cancellazione dell’impresa dall’elenco».
Ai sensi del comma 56 dell’articolo 1 della Legge Anticorruzione è previsto che «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei ministri per la pubblica amministrazione e la semplificazione, dell’interno, della giustizia, delle infrastrutture e dei trasporti e dello sviluppo economico, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite le modalità per l’istituzione e l’aggiornamento, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, dell’elenco di cui al comma 52, nonché per l’attività di verifica».
L’attuazione del predetto comma 56 con la definizione delle modalità per l’istituzione e l’aggiornamento di tali elenchi e per l’attività di verifica è stata affidata al DPCM 18 aprile 2013 (in vigore dal 14 agosto 2013) che stabilisce che l’iscrizione nell’elenco dell’impresa interessata venga disposta dal prefetto della provincia in cui l’impresa richiedente ha sede, dopo aver verificato l’assenza di una delle cause di decadenza, sospensione o divieto previste dall’articolo 67 del Codice Antimafia, nonché del rischio di infiltrazione mafiosa ai sensi dell’articolo 84, comma 3 del Codice Antimafia mediante la consultazione della Banca Dati Nazionale Antimafia di cui al Codice Antimafia.
Come indicato nel DPCM 18 aprile 2013, al fine di verificare i tentativi di infiltrazione mafiosa e le cause di decadenza, sospensione e divieto di partecipare agli appalti pubblici, la Banca Dati Nazionale Antimafia è collegata telematicamente, in base alle modalità previste dal DPCM stesso, con il Centro elaborazione dati (CED), nonché con altre banche dati detenute da soggetti pubblici contenenti dati necessari per il rilascio della documentazione antimafia (la direzione investigativa antimafia DIA, l’osservatorio dei contrati pubblici, le Camere di commercio e il Ministero della Giustizia). Inoltre, il sistema informatico garantisce l’individuazione del soggetto che effettua ciascuna interrogazione e conserva la traccia di ciascun accesso. Enti pubblici e stazioni uniche appaltanti acquisiscono dall’impresa le dichiarazioni sostitutive di certificazione e le dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà; sulla base dei dati immessi dall’operatore che effettua la consultazione, il sistema informativo della Banca Dati Nazionale Antimafia, se l’impresa è censita, verifica i dati esistenti negli archivi della stessa banca dati e nelle altre banche dati collegate. Se non risultano a carico degli interessati le cause di divieto, sospensione e decadenza di cui all’articolo 67 del Codice Antimafia, la Banca Dati Nazionale Antimafia rilascia immediatamente, per via telematica, al soggetto richiedente la comunicazione antimafia liberatoria.
La piena operatività delle white list è stata, quindi, subordinata all’attivazione della Banca Dati Nazionale Antimafia, ma, in attesa della sua entrata in vigore, è stato stabilito che le prefetture avrebbero potuto utilizzare i collegamenti telematici e informatici già attivati con il sistema informativo delle Camere di Commercio e con il CED del Ministero dell’Interno.
Ai sensi del DPCM 18 aprile 2013 la piena operatività delle white list è stata subordinata all’attivazione della Banca Dati Nazionale Antimafia
Si evidenzia che il DPCM 18 aprile 2013 all’articolo 2, comma 2 espressamente prevede che: «l’iscrizione negli elenchi è volontaria […]», ha efficacia per 12 mesi ed è subordinata al rispetto di due condizioni:
a) l’assenza di una delle cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all’articolo 67 del Codice Antimafia;
b) l’assenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa, di cui all’articolo 84 comma 3 del Codice Antimafia.
La domanda di iscrizione deve essere presentata dal titolare dell’impresa individuale o dal legale rappresentante della società alla competente Prefettura, anche per via telematica alla casella PEC pubblicata sul sito istituzionale tanto del Ministero dell’Interno quanto della singola Prefettura nella sezione “Amministrazione trasparente”. Una volta presentata l’istanza, la Prefettura competente procede all’istruttoria consultando la Banca Dati Nazionale Unica: se l’impresa risulta censita si avrà il rilascio immediato dell’informativa antimafia liberatoria; se viceversa non risultasse ivi censita, si effettueranno le necessarie verifiche. In ogni caso il procedimento dovrà concludersi nel termine di 90 giorni dalla data di ricevimento dell’istanza di iscrizione.
Viene inoltre disposto che la white list viene aggiornata periodicamente e i soggetti ivi iscritti sono soggetti a verifiche periodiche a campione della permanenza delle condizioni per l’iscrizione. In ogni caso, entro 30 giorni dalla scadenza della validità dell’iscrizione (che è di 12 mesi), l’impresa iscritta può comunicare alla Prefettura competente il proprio interesse a permanere nell’elenco, anche per settori di attività ulteriori o diversi da quello originario.
Anche con l’entrata in vigore del DPCM 18 aprile 2013 le white list non avevano, tuttavia, ottenuto un grande successo proprio in ragione della previsione della volontarietà, non premiata da incentivi, per l’iscrizione degli operatori economici nelle liste prefettizie.
In particolare, in relazione a tale aspetto, la circolare applicativa del Ministero dell’Interno del 14 agosto 2013 n. 11001/119/12 da un lato ha ribadito che l’iscrizione negli elenchi prefettizi era equipollente al rilascio dell’informazione antimafia liberatoria per lo svolgimento delle attività per cui essa è conseguita, dall’altro ha precisato che «atteso il tenore della disposizione citata, non v’è dubbio che il citato effetto-equipollenza non riguardi l’informazione antimafia richiesta per l’instaurazione di rapporti con i soggetti di cui all’art. 83, commi I e II, del D. Lgs. n. 159/2011 aventi a oggetto attività diverse da quelle per cui è stata ottenuta l’iscrizione o comunque non comprese nell’elenco recato dalla legge n. 190/2012 ovvero dai successivi provvedimenti di aggiornamento […] l’istanza di iscrizione nelle white list non può essere intesa come una richiesta del privato tendente a ottenere il rilascio dell’informazione antimafia in quanto la possibilità di richiedere tale provvedimento continua a essere riservata esclusivamente ai soggetti di cui all’art. 83, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 159/2011, ai sensi del successivo art. 91 del medesimo decreto legislativo». Quindi, nonostante l’impresa si fosse volontariamente e preventivamente sottoposta alle verifiche antimafia, non poteva sfruttarne gli esiti se non nei limiti dei soli settori a rischio. Previsione evidentemente irrazionale avuto riguardo al carattere oggettivo e alla valenza generale degli accertamenti.
Come evidenziato dall’ANAC nell’Atto di Segnalazione n. 1 del 21 gennaio 2015 “Relativo alla disciplina delle verifiche antimafia mediante White List” l’articolo 52 del Codice Antimafia – nella formulazione originaria – «conferiva all’iscrizione negli elenchi della prefettura della provincia in cui l’impresa ha sede l’effetto di soddisfare i requisiti per l’informazione antimafia per l’esercizio della relativa attività. La disposizione non conteneva alcun obbligo in ordine all’utilizzo del citato elenco per le verifiche antimafia necessarie per l’affidamento delle attività elencate al citato comma 53[…]».
Il comma 52 dell’articolo 1 della Legge Anticorruzione è stato successivamente modificato in forza dell’articolo 29, comma 1 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge, con modifiche, dalla Legge 11 agosto 2014, n. 114 (con decorrenza dal 19 agosto 2014) recante “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari” (di seguito “Decreto Riforma PA”); il testo ad oggi vigente del comma 52 citato così recita «52. Per le attività imprenditoriali di cui al comma 53 la comunicazione e l’informazione antimafia liberatoria da acquisire indipendentemente dalle soglie stabilite dal codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, è obbligatoriamente acquisita dai soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, attraverso la consultazione, anche in via telematica, di apposito elenco di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa operanti nei medesimi settori. Il suddetto elenco è istituito presso ogni prefettura. L’iscrizione nell’elenco è disposta dalla prefettura della provincia in cui il soggetto richiedente ha la propria sede. Si applica l’articolo 92, commi 2 e 3, del citato decreto legislativo n. 159 del 2011. La prefettura effettua verifiche periodiche circa la perdurante insussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa e, in caso di esito negativo, dispone la cancellazione dell’impresa dall’elenco».
Il medesimo articolo 29 del Decreto Riforma PA ha inoltre:
- introdotto all’articolo 1 della Legge Anticorruzione il comma 52-bissecondo cui «L’iscrizione nell’elenco di cui al comma 52 tiene luogo della comunicazione e dell’informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per le quali essa è stata disposta».Tale previsione risolve alcune criticità operative rilevate nella prima fase di applicazione della normativa e rafforza le white list come strumento di prevenzione del pericolo di inquinamento mafioso nelle attività economiche, rendendo di fatto indispensabile l’iscrizione in tali elenchi per le imprese che operano nei c.d. “settori sensibili”, in relazione ai quali la conclusione di rapporti con la pubblica amministrazione presuppone l’acquisizione della documentazione antimafia;
- disposto che «2. In prima applicazione, e comunque per un periodo non superiore a dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, del citato decreto legislativo n. 159 del 2011, per le attività indicate all’articolo 1, comma 53, della predetta legge n. 190 del 2012, procedono all’affidamento di contratti o all’autorizzazione di subcontratti previo accertamento della avvenuta presentazione della domanda di iscrizione nell’elenco di cui al comma 1. In caso di sopravvenuto diniego dell’iscrizione, si applicano ai contratti e subcontratti cui è stata data esecuzione le disposizioni di cui all’articolo 94, commi 2 e 3, del citato decreto legislativo n.159 del 2011. In prima applicazione, la stazione appaltante che abbia aggiudicato e stipulato il contratto o autorizzato il subappalto esclusivamente sulla base della domanda di iscrizione è obbligata a informare la competente prefettura-ufficio territoriale del Governo di essere in attesa del provvedimento definitivo».
In base al nuovo quadro normativo concernente l’utilizzo del citato elenco tenuto dalle Prefetture è stato, pertanto, esplicitamente sancito per i soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2 del Codice Antimafia l’obbligo di consultare gli elenchi di cui al comma 52 dell’articolo 1 della Legge Anticorruzione, obbligo tuttavia sospeso per un anno dall’entrata in vigore del Decreto Riforma PA, ovvero fino al 25 giugno 2015.
Per quanto concerne, invece, l’obbligo degli operatori economici, che svolgono attività maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa, di iscriversi nei citati elenchi, si rileva come lo stesso sia implicitamente ricavabile dal comma 2 dell’articolo 29 del Decreto Riforma PA il quale introducendo un regime transitorio alla disciplina delle verifiche tramite elenco, lascia presupporre l’obbligo anche per gli operatori di iscriversi nelle white list, nella misura in cui la citata iscrizione risulta essere, di fatto, una condizione per ricevere l’affidamento dei relativi contratti (sul punto, ANAC – Atto di Segnalazione n. 1 del 21 gennaio 2015).
Come osservato anche in ambito giurisprudenziale, rispetto alla Banca Dati Nazionale Antimafia la cui iscrizione “ex officio” dell’impresa determina, ai fini del rilascio dell’informazione antimafia interdittiva o liberatoria, l’esistenza di cause di decadenza, di sospensione o di misure di prevenzione per la sussistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società, l’iscrizione a domanda nell’elenco, predisposto dalla prefettura, dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa in cui si concreta la “white list”, realizza una semplificazione per le attività imprenditoriali definite come “maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa”. Per siffatte attività imprenditoriali, individuate dal comma 53, dell’art. 1 della Legge Anticorruzione, l’iscrizione a domanda nell’elenco in cui si sostanzia la “white list”, tiene luogo della comunicazione e dell’informazione antimafia liberatoria per i soggetti operanti nei medesimi settori nella provincia in cui il richiedente ha la propria sede. Nel quadro delle disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione introdotte con la Legge Anticorruzione, l’iscrizione nell’elenco opera come uno strumento di snellimento dell’attività burocratica, in favore del privato richiedente. Il committente e il prestatore risultano esonerati dagli accertamenti per il rilascio della comunicazione e dell’informazione antimafia liberatoria sia per le attività “maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa” sia per i contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per le quali essa è stata disposta in quanto tale fase di verifica è successiva alla consultazione della Banca Dati Nazionale Antimafia, necessaria per la comunicazione antimafia e per l’informazione antimafia (cfr. TAR Umbria, Sezione I, sentenza 11 settembre 2015, n. 372).
L’iscrizione nelle white list opera come uno strumento di snellimento dell’attività burocratica
Rispetto all’originaria formulazione del Codice Antimafia, con l’articolo 6 del decreto legge 9 febbraio 2012 n. 5 così come modificato dall’allegato alla legge di conversione Legge 4 aprile 2012 n. 35, successivamente sostituito dall’articolo 6 del D. Lgs. 15 novembre 2012, n. 218 il legislatore ha introdotto all’articolo 99 del medesimo Codice Antimafia un comma 2-bis.
Il testo previgente disponeva che «2-bis. Fino all’adozione dei regolamenti di cui al comma 1, le amministrazioni acquisiscono d’ufficio la certificazione antimafia e la certificazione camerale con la dicitura antimafia».
Il testo attualmente in vigore – anche a seguito della modifica introdotta dal decreto legislativo 13 ottobre 2014 n. 153 con riferimento alla definizione della Banca Dati Nazionale Antimafia – detta una disciplina transitoria la quale prevede che fino all’attivazione della Banca Dati Nazionale Antimafia, e comunque non oltre 12 mesi dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del primo dei regolamenti destinati a regolare la stessa Banca Dati Nazionale Antimafia, i soggetti di cui all’art. 83, commi 1 e 2 del Codice Antimafia acquisiscono d’ufficio tramite le prefetture la documentazione antimafia (secondo i termini di cui agli articoli 88 e 92 del Codice Antimafia); le prefetture utilizzano, a tal fine, il collegamento informatico con il CED del Ministero dell’Interno e con le Camere di Commercio.
Con riferimento al procedimento di formazione del predetto regolamento, il 26 marzo 2014, il Consiglio di Stato ha espresso il parere di competenza su uno schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, predisposto dal Ministero dell’interno, recante “Disposizioni concernenti le modalità di funzionamento, accesso, consultazione e collegamento con il CED, di cui all’art. 8 della legge 1° aprile 1981, n.121, della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, istituita ai sensi dell’art. 96 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”.
Con Provvedimento del 30 gennaio 2014, il Garante della privacy, sullo stesso schema di regolamento, ha espresso parere favorevole al Ministero dell’interno.
Solo nella Gazzetta Ufficiale n. 4 del 7 gennaio 2015 è stato pubblicato il DPCM 30 ottobre 2014, n. 193 “Regolamento recante disposizioni concernenti le modalità di funzionamento, accesso, consultazione e collegamento con il CED, di cui all’articolo 8 della Legge 1° aprile 1981, n. 121, della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, istituita ai sensi dell’articolo 96 del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159”(entrato in vigore il 22 gennaio 2015) con cui possono accedere alla Banca Dati Nazionale Antimafia i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, degli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, individuati dai capi degli uffici competenti alla stipula, all’approvazione, all’autorizzazione di contratti e subcontratti, ovvero alla concessione o al rilascio delle erogazioni e dei provvedimenti di cui all’articolo 67 del Codice Antimafia.
L’articolo 11-bis del decreto legge 19 giugno 2015, n. 78,convertito in legge, con modifiche, dalla Legge 6 agosto 2015, n. 125 (con decorrenza dal 15 agosto 2015) recante “Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali” (di seguito il “Decreto Enti Locali”) prevede che «Le disposizioni di cui all’articolo 29, comma 2, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, continuano ad applicarsi fino all’attivazione della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, nel termine stabilito dall’articolo 99, comma 2-bis, del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni».
In forza della richiamata disposizione del Decreto Enti Locali la fase transitoria regolata dal Decreto Riforma PA – scaduto il 25 giugno 2015 – viene riaperta fino all’attivazione della Banca Dati Nazionale Antimafia: fino all’attivazione della Banca Dati Nazionale Antimafia per l’affidamento dei contratti o per l’autorizzazione ai subcontratti a società che operano nei settori di cui all’articolo 1, comma 53 della Legge Anticorruzione l’iscrizione nelle white list per le imprese ha continuato ad essere facoltativa ed era sufficiente che gli enti competenti accertino l’avvenuta presentazione da parte della società interessata dell’istanza d’iscrizione alle white list presso le prefetture territorialmente competenti.
A tale riguardo si segnala che anche la richiesta di iscrizione nella white list istituita presso la prefettura competente ha assunto valenza nazionale in quanto anche la sola richiesta di iscrizione, come l’iscrizione medesima, ha esonerato la stazione appaltante dalle verifiche antimafia (anche per attività diverse da quelle per le quali è stata presentata).
In data 7 gennaio 2016, ad un anno dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del DPCM 30 ottobre 2014, n. 193, la Banca Dati Nazionale Antimafia – come si legge nel comunicato stampa pubblicato sul sito web istituzionale del Ministero dell’Interno – è divenuta operativa: la Banca Dati Nazionale Antimafia avrà il compito, nel rispetto delle garanzie a tutela del trattamento dei dati sensibili, di semplificare e accelerare il rilascio delle comunicazioni e informazioni antimafia. Come spiegato dal Ministro dell’Interno «L’innovativa piattaforma informatica realizzata dal Dipartimento per le politiche del personale del ministero dell’Interno, consentirà infatti alle stazioni appaltanti di ottenere, in assenza di evidenze ostative, l’immediato rilascio della documentazione liberatoria relativa all’operatore economico inserito nell’archivio informatico della banca dati».
Il 7 gennaio 2016, ad un anno dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del DPCM 30 ottobre 2014, n. 193, la Banca Dati Nazionale Antimafia è divenuta operativa
Ad oggi, dunque, essendo divenuto operativo il sistema della Banca Dati Nazionale Antimafia, l’iscrizione nelle white list ha assunto un carattere obbligatorio anche per le imprese. In particolare, perde di efficacia il comma 2 dell’articolo 29 del Decreto Riforma PA, come prorogato dall’articolo 11-bis del Decreto Enti Locali: ai fini dell’affidamento di contratti o di autorizzazione di subcontratti ai soggetti di cui all’articolo 83 del Codice Antimafia non sarà più sufficiente l’aver verificato l’avvenuta presentazione della domanda di iscrizione alle white list in quanto sarà necessaria la consultazione della Banca Dati Nazionale Antimafia.