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La Delibera ANAC n. 759/2019 del 4 settembre 2019 fa’ il punto sul tema dell’ammissibilità delle varianti in corso d’opera e sulle modalità di approvazione e di affidamento delle stesse.
1. La Delibera ANAC n. 759/2019
L’Autorità Nazionale Anti Corruzione (“ANAC”), pronunciandosi sulla legittimità dell’affidamento di alcune varianti in corso d’opera nell’ambito della realizzazione del “Molo C” dell’Aeroporto di Fiumicino, coglie lo spunto per emanare una Delibera che costituisce la summa delle riflessioni giurisprudenziali e della propria prassi sul tema dell’affidamento delle varianti nell’ambito di un appalto integrato.
L’occasione di confrontarsi con il tema arriva il 4 settembre 2019, quando l’ANAC deposita la Delibera n. 759 avente ad oggetto “Procedura aperta per l’affidamento dell’appalto integrato di progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori di costruzione del nuovo molo centrale dell’aerostazione internazionale (Molo C) dell’aeroporto di Fiumicino – Importo a base di gara € 169.550.822,00”.
Le perizie di variante che si sono succedute nel tempo, esaminate nella Delibera, sono state ben quattro e – secondo l’Authority – nessuna di esse è stata istruita correttamente, pervenendo così all’obbligo per l’ANAC di richiedere formalmente alla stazione appaltante di voler assumere “le opportune iniziative” per contenere gli effetti degli affidamenti illegittimamente attribuiti e di inviare gli atti alla Corte dei Conti per il Lazio, per il seguito di competenza.
La corposa procedura di verifica affrontata dall’Autorità Anticorruzione è stata avviata nel 2015, a seguito di un’istanza di parere di precontenzioso formulata dalla Gozzo Impianti S.r.l., mandante di un R.T.I. aggiudicatario per l’esecuzione dell’appalto integrato per la realizzazione del Molo C dell’Aeroporto capitolino.
L’istante, pur se ammessa al concordato preventivo con continuità aziendale, lamentava di essere stata estromessa dall’esecuzione dei lavori ad essa originariamente affidati in quanto in possesso della categoria specialistica necessaria; la mandataria del R.T.I., Cimolai S.p.A., era poi subentrata ad essa mandante nell’esecuzione dei lavori con l’assenso della committente Aeroporti di Roma S.p.A. e – da qui – si chiedeva all’ANAC l’emissione di un parere di precontenzioso e l’attivazione dei poteri di vigilanza.
L’Autorità, ritenuta improcedibile l’istanza per l’emissione del parere di precontenzioso, avviava invece l’attività di vigilanza – così come qualificata ai sensi dell’art. 213, comma 5 D.Lgs. n. 50/2016, nel frattempo intervenuto a regolare la materia – e, di conseguenza, procedeva all’acquisizione dei documenti ed agli accessi ispettivi, anche presso la direzione Lavori, avviando la procedura istruttoria.
La Delibera, in merito a tale fase, riferisce che “In adempimento al mandato ispettivo venivano analizzati gli atti e i documenti acquisiti e venivano messe in evidenza una serie piuttosto ampia di criticità nelle varie fasi dell’appalto, dalla programmazione all’affidamento nonché nella fase di esecuzione dell’opera; emergevano criticità anche in relazione agli altri affidamenti operati da Aeroporti di Roma S.p.A. nell’ambito di lavori, servizi e forniture, funzionali all’operatività del medesimo molo centrale“.
Al termine della disamina, l’ANAC ha acquisito la necessaria contezza degli atti ed eventi, tanto da poter comunicare gli esiti agli interessati, chiedendo loro di formulare eventuali – documentabili – controdeduzioni.
Il quadro che l’Authority si trova a verificare appare da subito assai complesso ed emergono gravi indizi di illegittimità, dell’iter approvativo e di affidamento delle varianti, che la stessa ANAC riassume così: “venivano comunicate ai soggetti interessati le risultanze istruttorie (approvate dal Consiglio dell’Autorità nell’adunanza del 28.3.2018), che possono essere così riassunte: assenza dei termini di estinzione della concessione e scarsa chiarezza circa le fonti di finanziamento e il sistema di tariffazione quale eventuale modalità di reperimento parziale della copertura finanziaria; progettazione esecutiva svolta (in parte) dall’aggiudicatario invece che da ADR SpA, in difformità dalle obbligazioni della convenzione originaria; valutazioni dei costi della sicurezza in difformità alle norme vigenti e discrasie rilevanti tra i quadri economici; carenze del bando di gara in ordine alle indicazioni delle categorie scorporabili; assenza dei requisiti di qualificazione in capo al soggetto che ha sottoscritto il contratto, peraltro “diverso” da quello risultato aggiudicatario; illegittimità delle varianti in corso d’opera, talora per assenza di giustificazioni, talora per inammissibilità delle stesse alla luce dell’art. 25 della l.109/94 o art.132 del d.lgs. n.163/2006; varianti migliorative prive dei caratteri propri richiesti dal DM 145/2000 e ss.mm. e ii. per la catalogazione delle stesse in tale fattispecie; anticipazione dei lavori in violazione dei principi di trasparenza e in violazione della parità di condizioni dei concorrenti alla gara originaria; premio di accelerazione introdotto ed erogato in corso d’opera in assenza delle condizioni di ammissibilità; eccessiva durata dei lavori, caratterizzata da numerose varianti in corso d’opera, con riflessi sui corrispettivi degli accordi e in violazione dei principi di trasparenza; violazione degli obblighi di trasmissione delle varianti in corso d’opera ai sensi dell’art. 37 della legge 114/2014 e dei Comunicati del Presidente dell’Anac; accordi bonari non aderenti alle buone pratiche indicate dall’ex Avcp; modifiche soggettive dell’ATI aggiudicatrice non conformi al dPR 554/1999 (e dPR 207/2010); subappalti in violazione dei limiti e dei divieti del dPR 554/1999; carente attività dell’organo deputato alla vigilanza dei lavori; carente attività della commissione di collaudo in corso d’opera; criticità degli appalti minori connessi a quello principale, ma di importo complessivo rilevante, tra cui le irregolarità delle comunicazioni all’Anac.”.
Secondo l’Autorità Anticorruzione, quindi, non solo le varianti approvate non rientravano nello schema tipico delle “varianti in corso d’opera” – eccedendo per natura e costi i limiti imposti dal Codice vigente ratione temporis -, ma erano state approvate senza la necessaria informativa all’Autorità stessa.
In particolare, i fatti e circostanze addotti a motivazione delle varianti in corso d’opera approvate non erano inerenti a “fatti sopravvenuti”, ma solo a valutazioni compiute dalla stazione appaltante diverse da quelle originariamente poste a base dell’affidamento, oltretutto espresse a rilevante distanza di tempo rispetto agli adempimenti previsti dal cronoprogramma dei lavori; per tale motivo, l’ANAC ha ipotizzato che l’approvazione delle varianti fosse intervenuta viepiù impropriamente e che risultasse strumentale a giustificare la mancata applicazione delle penali contrattuali.
La lettura della Delibera in esame consente di apprezzare la disamina effettuata dall’Authority delle diverse e più frequenti tipologie di variante, che, curiosamente, si sono tutte avvicendate nell’ambito della fattispecie dedotta alla sua attenzione.
Quindi, la Delibera costituisce proprio per questo motivo la sintesi paradigmatica del pensiero dell’ANAC sull’argomento: una elaborazione che, partendo dal caso concreto, mostra tutta la complessità delle vicende che vi hanno dato origine e che frequentemente costituiscono le “situazioni standard” comuni a molti operatori del settore ed a molte grandi opere, la cui lunga durata nel tempo comporta la necessità – quasi fisiologica – di adeguare il progetto originario.
La vicenda sostanziale è narrata nella articolata narrazione della fase istruttoria – analisi che si protrae per quasi trenta pagine -, in cui sono evidenziati e quasi contrapposti i motivi addotti dalla stazione appaltante e le puntuali controdeduzioni dell’ANAC, che a tratti appaiono quasi ingenuamente riportare le considerazioni in punto di diritto a contrasto con i fatti/eventi effettivamente accaduti.
2. Le varianti in corso d’opera censurate dall’Autorità
L’ANAC, in particolare, rileva che nella conduzione dei lavori di che trattasi, si sono susseguite – tra gli altri – tre varianti in corso d’opera ed una variante migliorativa proposta dall’appaltatore, nonché una variante “in detrazione”, sulla cui qualificazione l’Autorità dissente, ritenendo più coerente riunirle tutte sotto l’unica denominazione di “varianti in corso d’opera”.
L’ANAC, dunque, ritiene illegittima sia la “prima variante”, approvata ai sensi dell’art. 132 co. 3, secondo e terzo periodo del d.lgs. n. 163/2006, per l’esecuzione di lavorazioni aggiuntive riferite alla realizzazione e riqualificazione di nuova pavimentazione portante per aeromobili, che avrebbe dovuto porsi alla base di una nuova procedura ad evidenza pubblica, sia la “variante migliorativa, proposta dall’appaltatore ai sensi dell’art. 11 del d.m. n. 145/2000, quanto ai modi e ai tempi di adozione, con riconoscimento a quest’ultimo dell’importo di € 1.827.885,33, sia anche la “seconda perizia di variante”, oggetto del IV atto aggiuntivo, per l’assenza dei requisiti della imprevedibilità e delle circostanze sopravvenute invocate, sia, infine, la “terza perizia di variante”, oggetto del V, VI e VII atto aggiuntivo, che si configura come un vero e proprio nuovo progetto e, quindi, avrebbe dovuto porsi alla base di una nuova procedura ad evidenza pubblica.
Tali modifiche al progetto originario, a parere dell’Authority, non solo non trovano giusto fondamento giuridico nel sistema normativo vigente ratione materiae, ma soprattutto appaiono viziate nell’iter approvativo in quanto non tempestivamente comunicate all’ANAC stessa e non rispettose dei principi di trasparenza e concorrenzialità che animano l’intero sistema dei contratti pubblici.
Secondo l’ANAC, le varianti in corso d’opera avrebbero, in realtà dato origine a segmenti d’opera e/o condizioni contrattuali del tutto diverse da quelle originarie e, quindi, avrebbero dovuto dare corso a nuove procedure di affidamento – diversamente da quanto effettivamente accaduto, cioè che le opere sono state affidate in via diretta -.
Nulla quaestio, quindi, sulla necessità e libertà della stazione appaltante di apportare al progetto le modifiche che si rendono necessarie – magari, come nel caso di specie, per modifiche delle esigenze di utilizzo dell’opera (si cita il maggiore traffico aeroportuale previsto per il terminal di riferimento), ovvero per effetto di prescrizioni dettate da novelle normative succedutesi medio tempore -, che appare quasi fisiologica nell’ambito dei lavori pubblici di rilevante durata, purché tali modifiche siano formalizzate correttamente.
Più nello specifico, l’ANAC esorta a qualificare correttamente le “varianti“, distinguendole dalle “nuove opere” o “opere accessorie” – che necessitano di un iter approvativo a sé stante e, soprattutto di autonome procedure di affidamento – senza che possano essere attribuite sic et simpliciter all’esecutore già presente in cantiere -.
E’ quasi automatico, a questo punto, porre l’accento sull’impianto del vigente Codice dei Contratti pubblici (ancorché non applicabile alla fattispecie del Molo C dell’aeroporto di Fiumicino) che – preceduto e sostenuto dalle Leggi di Stabilità/Finanziarie che si sono succedute negli ultimi cinque anni – ha posto il tema della centralità della programmazione alla base di tutti i contratti pubblici.
Senza voler pedissequamente riportare i puntuali rilievi dell’Autorità, rispetto alle varianti sottoposte alla sua attenzione nell’ambito della Delibera in commento, ci si limiterà a sottolineare alcuni passaggi salienti – emblematici ai fini delle situazioni pratiche che le stazioni appaltanti frequentemente si trovano a valutare -.
Nello specifico, quanto alla “prima variante”, si contesta, tra l’altro, che “con la stessa si è proceduto, per un verso, ad ampliare l’oggetto dell’appalto e, per l’altro, a “sanare” opere eseguite in difformità al progetto originario (nella specie, il collettore).”
La stazione appaltante riferisce, in merito, che “si sarebbero verificati inattesi “incrementi del traffico registrati negli ultimi anni” che avrebbero reso necessarie lavorazioni aggiuntive riferite alla realizzazione e riqualificazione di nuova pavimentazione portante per aeromobili anche esterna all’area di cantiere, che, peraltro, non sarebbe stato possibile governare ove fosse stato affidato a un’impresa autonoma. Inoltre, quanto
al collettore, si afferma che lo stesso sarebbe stato realizzato con l’assenso del Committente.”.
Ma l’ANAC non condivide tale rappresentazione e, in particolare afferma che: “anzitutto difettano i requisiti per l’adozione della perizia di variante in parola. Infatti, anche avuto riguardo alla tempistica di redazione ed approvazione del progetto esecutivo oggetto del I atto aggiuntivo (intervenuto a circa 8 mesi di distanza rispetto alla perizia in questione), non si rilevano “circostanze sopravvenute e imprevedibili al momento della stipula del contratto”, che, in ogni modo, non possono essere integrate dai dedotti “incrementi del traffico registrati negli ultimi anni”. Infatti, nonostante la relazione del direttore di lavori relativa alla prima perizia di variante faccia un generico riferimento ad “incremento del traffico registrato sull’Aeroporto di Fiumicino nel corso degli ultimi anni”, la relazione descrittiva generale del progetto, sia definitivo che esecutivo, presenta uno scenario di traffico che trova conferma nella tabella prodotta da Adr S.p.A. sub doc. 154. Inoltre, la carenza dei requisiti richiesti dalla normativa trova conferma anche nella relazione descrittiva generale del progetto sia definitivo che esecutivo. Da questa, infatti, emerge che era stata condotta una campagna dei rilievi che aveva interessato, già in fase di progetto preliminare, le aree in prossimità dell’edificio X-Ray e poi, in fase di progetto definitivo, altre zone dei piazzali a sud del nuovo Satellite Ovest e dell’attuale Molo Ovest. Proprio le aree in questione sono state poi interessate dalla nuova pavimentazione di cui alla perizia in argomento.”.
Ed è proprio alla luce di tale sostanziale carenza di motivazione tecnica che l’Autorità ritiene ingiustificata la variante, tanto da ritenere che essa “non sia strettamente connessa all’oggetto del contratto, bensì integri un vero e proprio nuovo progetto. Come tale lo stesso avrebbe dovuto porsi alla base di una nuova procedura ad evidenza pubblica e non già risolversi – come è stato – con l’adozione di una perizia di variante.”.
Inoltre, quanto all’effetto di “sanatoria”, l’authority precisa che: “deve trovare conferma anche l’ulteriore contestazione in merito all’impego della perizia in questione per “sanare” opere realizzate in difformità rispetto al progetto originario. Nello specifico, infatti, il collettore che, secondo le previsioni dell’originario progetto, doveva essere realizzato con struttura gettata in opera, è stato eseguito ricorrendo a un sistema prefabbricato. Tanto è avvenuto in assenza di uno specifico ordine di servizio del Direttore dei lavori, sebbene, successivamente, venga fatto oggetto della perizia di variante, in violazione dell’art. 134, co. 1 del d.P.R. n. 554/99.”.
Infine – ricorda l’Autorità – anche il ricorso al subappalto per giustificare la presenza di un altro esecutore dei lavori – lungi da costituire una (seppur maldestra) concessione al principio di apertura alla concorrenza – appare come un ulteriore elemento di illegittimità, giacché: “al riguardo, priva di pregio appare la doglianza di A.d.R. S.p.A., secondo la quale l’individuazione di un nuovo operatore economico per la realizzazione dei lavori oggetto di perizia avrebbe comportato l’ingestibilità del cantiere in ragione della compresenza di più imprese nelle stesse aree. Infatti, i lavori in questione sono stati eseguiti da un subappaltatore estraneo all’ATI aggiudicataria. È di tutta evidenza che il ricorso all’istituto del subappalto per l’esecuzione, da parte di un operatore economico distinto dall’aggiudicatario, di lavorazioni non previste nel contratto originario si possa, invero, tradurre in un affidamento diretto, in patente spregio alla normativa dettata in tema di appalti.”.
ANAC, poi, esamina anche la c.d. “variante migliorativa in diminuzione” che – nonostante la denominazione – a suo parere costituirebbe più propriamente una variante in corso d’opera, al pari delle altre – rilevate e censurate con il provvedimento in commento -.
Infatti, sia l’importo, sia l’oggetto della variante stessa – e comunque l’iter approvativo – non appaiono in linea con l’impianto normativo.
Narra l’Autorità che “in data 7.12.2009, l’appaltatore ha proposto una variante migliorativa, ai sensi dell’art. 11 del d.m. n. 145/2000 (autorizzata da AdR S.p.A. in data 22.1.2009), che ha comportato un’economia di € 3.655.770,67 ripartita in parti uguali, tra la stazione appaltante e appaltatore, ai sensi del comma 5 del citato art. 11, con riconoscimento a quest’ultimo dell’importo di € 1.827.885,33. Detta variante ha riguardato: la variazione ed ottimizzazione del sistema fondale del costruendo edificio Molo C tra gli allineamenti 1-14 da realizzarsi con platea nervata in sostituzione della palificata prevista dal progetto esecutivo; la semplificazione del sistema fondale del costruendo edificio Molo C compreso tra gli allineamenti 14-21, privo di volumi interrati, mediante l’ottimizzazione del numero dei pali di fondazione, della tipologia e della distribuzione della fondazione prevista nel progetto esecutivo con plinti su pali.”.
Al riguardo, è stata contestata l’effettiva portata migliorativa della variante, “quantomeno per quanto attiene alla semplificazione del sistema fondale, nonché la circostanza che la modifica in questione non sia stata recepita già nel progetto esecutivo o nella prima perizia di variante. Inoltre, sotto diverso profilo, è stato contestato che a fronte della riduzione dell’importo contrattuale non abbia fatto seguito una conseguente riduzione né degli oneri di sicurezza, né dei costi primi e, nemmeno, della durata dell’esecuzione del contratto.”.
In sede di controdeduzioni, la stazione appaltante ha eccepito che: “la necessità della variante è derivata dalla campagna di indagini geognostiche suppletive e dalle relative prove di laboratorio eseguite dall’ATI a seguito dell’entrata in possesso delle aree di cantiere; … l’indiscutibile carattere migliorativo in quanto la variante avrebbe determinato un miglioramento del progetto sotto il profilo geotecnico, consentendo al terreno di fondazione di offrire le reazioni necessarie; … la proposta migliorativa non poteva essere anticipata al progetto esecutivo ovvero alla prima perizia di variante, in quanto l’intuizione di apportare le modifiche in esame può avvenire anche nel corso dell’appalto e non necessariamente prima, ovvero in fase di predisposizione del progetto esecutivo (ad avviso dell’appaltatore, se così non fosse si anderebbe ad escludere la possibilità di procedere con varianti migliorative in tutti i casi di appalti integrati).”.
Tuttavia, tali giustificazioni non si ritengono adeguate, nel caso di specie, giacché – trattandosi di un appalto integrato – la responsabilità del progetto esecutivo ricade interamente sull’appaltatore.
Inoltre, quanto alla “impossibilità di prevedere ex ante la necessità di modifiche/migliorie”, ANAC osserva che anche su questo punto vi sono aree di contraddittorietà nelle difese/giustificazioni della stazione appaltante. Infatti: “già con l’approvazione del progetto esecutivo in data 15.2.2008 l’Enac aveva formulato raccomandazione in ordine alle fondazioni per le quali andava approfondito il comportamento dei pali, attraverso affinamento delle prove geotecniche e con prove dirette in fase costruttiva. Inoltre, dalla relazione geotecnica della variante migliorativa emerge che, già nel mese di maggio 2008, l’ATI affidava l’esecuzione di un programma di indagini integrative in sito (realizzato poi nei mesi di giugno/luglio 2008) conclusosi con la fase di studio dei dati raccolti nel mese di ottobre 2008; successivamente, venivano esaminate e confrontate diverse soluzioni progettuali e da qui la scelta tecnica di modificare la soluzione prevista nel progetto esecutivo”.
Pertanto – conclude l’Authority -: “le variazioni che hanno poi comportato una diminuzione dell’importo contrattuale in sede di variante migliorativa (ma anche una semplificazione dell’intervento in termini di esecuzione, di costi per l’impresa e di tempi di realizzazione dei lavori) dovevano essere identificate se non già nell’ambito del progetto esecutivo, nell’ambito della precedente perizia di variante ex art. 25 della legge n. 109/94 e s.m., determinando un’economia per la stazione appaltante che, diversamente da quanto avvenuto, non sarebbe stata assorbita dall’appaltatore, nemmeno in parte (nell’importo di € 1.827.885,33).”.
Ma si va oltre, esaminando anche le motivazioni addotte dalla stazione appaltante in ordine alla necessità di adeguamento alle sopravvenute Norme Tecniche per le Costruzioni – pubblicate dopo la redazione del progetto esecutivo -.
Sul punto, l’ANAC ricorda: “la motivazione che si rinviene a supporto della modifica introdotta riguarda sia la migliore utilizzazione delle caratteristiche tecniche dei terreni a valle delle indagini integrative effettuate, sia la diminuzione delle sollecitazioni di progetto in seguito all’applicazione delle nuove norme tecniche sulle costruzioni (di cui al dm 14.1.2008, pubblicate dopo la redazione del progetto esecutivo, rispetto a quanto previsto nell’Ordinanza 3274 N.T.C. 2005). Ciò posto, l’ottimizzazione della fondazione può in generale ritenersi “proposta migliorativa” ma deve essere comunque dimostrata attraverso specifiche tecniche di valutazione che non sono state prodotte in atti (seppur richiamate nella relazione tecnica generale). Lo stesso carattere migliorativo non può essere affermato con riferimento alla parziale sostituzione della fondazione profonda prevista in progetto con platea nervata, in quanto questa comporta una modifica delle prestazioni qualitative e quantitative stabilite nel progetto esecutivo e non ammissibili in sede di variante migliorativa ex art. 11 del d.m. n. 145/2000.
Sotto diverso profilo, poi, appare censurabile la circostanza che, a fronte di una pretesa miglioria che ha comportato, accanto ad una riduzione dell’importo contrattuale (di fatto assorbita dalla Stazione appaltante e dall’appaltatore), anche una semplificazione nella realizzazione dell’opera (con conseguente riduzione dei costi e dei tempi di esecuzione dell’appalto), non sia conseguita una riduzione né degli oneri di sicurezza, né dei costi primi, né tantomeno della durata della durata dei lavori.”
In conclusione, quindi, anche in questo caso non si rinviene alcuna solida giustificazione tecnica, collegabile alla novella normativa, né alcun risultato concretamente utile alla stazione appaltante. Quindi “non appare fondato l’assunto secondo il quale non sarebbe legittimo procedere alla riduzione degli oneri di sicurezza perché così facendo si sarebbe posto a rischio la sicurezza dei lavoratori. Infatti, gli oneri di sicurezza sono necessariamente correlati alla complessità delle lavorazioni oggetto di appalto. Da tanto discende che, ove nel corso dell’appalto sia disposta, con una variante, una semplificazione della realizzazione dell’opera, vi dovrà conseguentemente essere una riduzione degli oneri di sicurezza che tenga in debito conto la minor complessità esecutiva dei lavori oggetto di variante. Né, d’altro canto, risulta dimostrato – né peraltro appare verosimile – che la semplificazione apportata abbia comportato l’impiego di un maggior numero di maestranze.”.
3. La recente giurisprudenza in termini di ammissibilità delle varianti in corso d’opera e la distinzione giurisprudenziale tra “miglioria” e “variante”
Indubbiamente, la prassi e la giurisprudenza più recente sviluppatesi posteriormente alla Delibera in esame non hanno potuto che tenere conto della decisione dell’Autorità, assumendo di conseguenza una visione assai rigida dei termini di ammissibilità delle varianti in corso d’opera.
In particolare, ciò è avvenuto con riferimento alla diversa fattispecie dell’ammissibilità ab initio delle varianti, interpretando restrittivamente l’art. 95 comma 14 D.Lgs. n. 50/2016 che – come noto – disciplina il tema delle varianti nell’ambito del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Recentemente, il T.A.R. Molise, con la sentenza n. 340 del 14 ottobre 2019, ha affermato, sul punto, che “Per opera aggiuntiva si deve intendere un intervento che modifichi in senso quantitativo e/o qualitativo l’identità strutturale e/o funzionale dell’opera oggetto dell’appalto, con il risultato di falsare il confronto concorrenziale, laddove invece, gli accorgimenti progettuali volti alla valorizzazione ed alla implementazione dell’opera in senso estetico e/o prestazionale, che non ne modifichino sostanzialmente identità e dimensioni, devono essere sussunti nel genus delle migliorie e/o della varianti, e come tali sono compatibili con il divieto di cui all’art. 95, comma 14 bis, d.lgs. n. 50 del 2016, purché contenuti nei limiti stabiliti dalla lex specialis”.
Dunque, cercando di distinguere le “varianti” (inammissibili e comunque non valutabili) dalle “migliorie” (apprezzabili nei limiti in cui ciò sia previsto dalla lex specialis di gara), il T.A.R. traccia una linea di demarcazione generale in questi termini: “le soluzioni progettuali proposte non possono essere qualificate opere aggiuntive rispetto a quella descritta dal progetto esecutivo, ma costituiscono una miglioria coerente con gli obiettivi perseguiti dall’amministrazione comunale; … per opera aggiuntiva si deve intendere un intervento che modifichi in senso quantitativo e/o qualitativo l’identità strutturale e/o funzionale dell’opera oggetto dell’appalto, con il risultato di falsare il confronto concorrenziale, laddove invece, gli accorgimenti progettuali volti alla valorizzazione ed alla implementazione dell’opera in senso estetico e/o prestazionale, che non ne modifichino sostanzialmente identità e dimensioni, devono essere sussunti nel genus delle migliorie e/o della varianti, e come tali sono compatibili con il divieto di cui all’art. 95, comma 14 bis, d.lgs. n. 50/2016, purché contenuti nei limiti stabiliti dalla lex specialis”.
Il nucleo della definizione, poi, viene mutuato dalla sentenza del T.A.R. Veneto Sez. I, n. 938 del 26 agosto 2019 ove – enfatizzando l’orientamento restrittivo sull’ammissibilità delle varianti in corso d’opera – si ricorda che: “la ratio di fondo che ha ispirato la novella legislativa è piuttosto evidente: si è inteso evitare che, a fronte di procedure indette sulla base del progetto esecutivo (come di regola avviene ai sensi dell’art. 59 del ‘Codice’), l’aggiudicazione possa essere disposta – come per il passato è spesso avvenuto – premiando elementi di carattere avulso rispetto al proprium della procedura. Pertanto, le uniche opere aggiuntive non valutabili ai fini dell’attribuzione del punteggio sono quelle che rappresentano un elemento estraneo all’ordinario sviluppo dell’opera per come essa è definita dall’Amministrazione nella lex specialis di gara”.
A tale definizione, fa’ eco la recente decisione del Consiglio di Stato, Sez. V, 2 agosto 2019, n. 5505 secondo la quale: “possono essere considerate soluzioni migliorative tutte quelle precisazioni, integrazioni e migliorie che sono finalizzate a rendere il progetto prescelto meglio corrispondente alle esigenze della Stazione Appaltante, senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste nella lex specialis”.
Ed anche la restrittiva definizione elaborata dal Consiglio di Stato, sopra ricordata, vanta una lunga serie di decisioni conformi.
Si vogliono qui ricordare due decisioni, in particolare, che si caratterizzano per la portata definitoria particolarmente emblematica.
Innanzitutto, sempre la Sezione V, con la decisione 16 aprile 2014, n. 1923, afferma (in vigenza del precedente Codice dei Contratti pubblici) ” in sede di gara per l’aggiudicazione di un contratto pubblico, le soluzioni migliorative si differenziano dalle varianti perché le prime possono liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite dall’Amministrazione; le seconde, invece, si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante, mediante preventiva previsione contenuta nel bando di gara e l’individuazione dei relativi requisiti minimi che segnano i limiti entro i quali l’opera proposta dal concorrente costituisce un aliud rispetto a quella prefigurata dalla pubblica amministrazione: ne deriva che possono quindi essere considerate proposte migliorative tutte quelle precisazioni, integrazioni e migliorie che sono finalizzate a rendere il progetto prescelto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste.”
Inoltre, la Sezione VI, con la decisione del 19 giugno 2017, n. 2969 ricorda che: “Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, in materia di gare pubbliche da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, le soluzioni migliorative si differenziano dalle varianti: le prime possono liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione dal punto di vista tecnico, salva la immodificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite dall’Amministrazione; le seconde, invece, si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante, mediante preventiva autorizzazione contenuta nel bando di gara e l’individuazione dei relativi requisiti minimi che segnano i limiti entro i quali l’opera proposta dal concorrente costituisce un aliud rispetto a quella prefigurata dalla stazione appaltante (cfr., Cons. St., sez. V, 20 febbraio 2014, n. 814; Id., sez. V, 24 ottobre 2013, n. 5160). … E’ stato anche puntualizzato che le varianti progettuali migliorative riguardanti le modalità esecutive dell’opera sono ammesse, purché non si traducano in una diversa ideazione dell’oggetto del contratto (Cons. St., sez. V, 17 settembre 2012, n. 4916). … In definitiva la differenza tra varianti e soluzioni migliorative apportate dall’impresa al progetto posto a base di gara riposa sull’“intensità” e sul “grado” delle modifiche introdotte. … Le varianti in corso d’opera incidono sulla struttura, funzione e tipologia del progetto a base di gara e richiedono una preventiva autorizzazione della stazione appaltante, contenuta nel bando stesso. … Le soluzioni migliorative (o “varianti progettuali migliorative”), hanno ad oggetto gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara, e possono essere sempre e comunque introdotte in sede di offerta. Il motivo è che esse riguardano aspetti tecnici in grado di consentire, fatto salvo il principio della par condicio, alle imprese partecipanti d’individuare – va, sottolineato, tutto vantaggio della stazione appaltante – nell’ambito delle proprie specifiche capacità e competenze, le possibili soluzioni tecniche migliori sulla base del progetto di gara.”.
Per concludere l’esposizione degli orientamenti giurisprudenziali sul tema delle varianti ai progetti posti a base di gara – e quindi sul principio restrittivo nella qualificazione delle varianti ammissibili – vale, infine, ricordare la recentissima decisione del Consiglio di Stato, Sez. V, 8 ottobre 2019, n. 6793 che afferma: “Se una soluzione migliorativa al progetto posto in gara … comporta l’eventuale necessità del rilascio del permesso di costruire e una nuova validazione del progetto, questo non significa che si sia in presenza di variante essenziale …”. Il Collegio, dopo aver compendiato la giurisprudenza sulla distinzione tra “varianti” e “miglioramenti” nell’ambito dei progetti posti a base di gara, stabilisce che, nel caso esaminato, non emerge che l’”opera aggiuntiva” proposta dal concorrente incida sulla struttura, sulla funzione e sulla tipologia del progetto a base di gara stravolgendone o alterandone i caratteri essenziali o modificandone l’uso previsto: in conclusione, dunque, si tratta di una miglioria – non di una variante -; e ciò anche se la realizzazione di tale miglioria richieda l’avvio di un nuovo iter autorizzatorio.
4. Le varianti in corso d’opera prese in considerazione dall’Autorità: l’Atto di segnalazione n. 4/2019
Riprendendo l’esame della Delibera n. 759/2019, anche alla luce della (seppur estremamente rapida e sintetica) panoramica giurisprudenziale in tema di “qualificazione delle varianti”, viene in evidenza l’approccio dell’Autorità proprio con le “varianti in corso d’opera” – argomento sul quale l’ANAC aveva già dissertato con l’Atto di segnalazione n. 4 del 13 febbraio 2019 concernente gli “obblighi di comunicazione, pubblicità e controllo delle modificazioni del contratto ai sensi dell’art. 106 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50” -.
Nella segnalazione al Governo ed al Parlamento l’Autorità chiedeva di apportare semplificazioni in materia di modalità di comunicazione delle varianti all’Autorità e di riformulare la norma in chiave di maggiore trasparenza, attribuendo all’Autorità un più ampio potere sanzionatorio.Precisamente, si afferma che “la presente segnalazione muove dunque dall’intento di semplificazione e di razionalizzazione del suddetto quadro normativo, allo scopo di ridurre gli oneri informativi a carico delle stazioni appaltanti assicurando, al contempo, l’acquisizione dei dati e delle informazioni necessarie a svolgere una efficace attività di vigilanza sul corretto utilizzo delle varianti e degli strumenti di modifica del contratto in corso di esecuzione, in conformità al principio di economicità efficacia e trasparenza.”.
Secondo ANAC, infatti, l’art. 106 D.Lgs. n. 50/2016 si presta a fraintese interpretazioni, sin dal punto nodale in cui tenta di definisce le varianti, disciplinando con diversi iter approvativi le varie tipologie.
Infatti, “… il comma 14 disciplina … la comunicazione delle c.d. “varianti in corso d’opera” (quelle di cui al comma 1, lett. c), prevedendo anche in questo caso modalità distinte di comunicazione secondo l’importo della variante e il valore del contratto (sotto o sopra soglia). In particolare, per le varianti relative ad appalti e concessioni di importo inferiore alla soglia comunitaria e quelle di importo inferiore o pari al 10% dell’importo dell’originario affidamento relative agli appalti pari o superiori alla soglia comunitaria (prima periodo) è prevista la comunicazione da parte del RUP all’Osservatorio tramite le sezioni regionali. Mentre per i contratti pubblici di importo pari o superiore alla soglia comunitaria (secondo periodo) è previsto che le varianti eccedenti il 10% dell’importo originario del contratto, incluse le varianti in corso d’opera riferite alle infrastrutture prioritarie, siano trasmesse dal RUP all’ANAC, unitamente a una serie di documenti.”
Sottolinea, in proposito l’Autorità che “Quest’ultima disposizione riproduce il contenuto dell’abrogato art. 37 del d.l. 90/2014, introdotto dal legislatore in funzione deterrente e allo scopo di attivare un sollecito intervento di vigilanza dell’Autorità, al fine di arginare il fenomeno della lievitazione del costo delle opere pubbliche. La norma trovava infatti inizialmente applicazione solo per i lavori e non anche per i servizi e le forniture come ora previsto dal nuovo Codice.”.
Quanto all’obbligo di comunicazione e pubblicità, l’ANAC ricorda: “Il comma 14 stabilisce che nel caso in cui l’ANAC accerti l’illegittimità della variante in corso d’opera, essa esercita i poteri di cui all’art. 213, mentre, in caso di inadempimento agli obblighi di comunicazione e di trasmissione delle varianti, si applicano le sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’art. 213, comma 13. Infine, il comma 5 prevede un particolare regime di pubblicità per le modifiche di cui al comma 1, lett. b) (lavori e servizi e forniture supplementari) e lett. c) (modifiche resesi necessarie per eventi imprevisti e imprevedibili), imponendo l’obbligo della pubblicazione di un avviso in Gazzetta Ufficiale europea o nazionale, secondo il valore del contratto sopra o sotto soglia comunitaria.”.
A questo punto, l’Authority avverte del pericolo di possibili distorsioni della norma – ipotesi che puntualmente fa’ risaltare nella Delibera n. 759/2019 in esame -: “dall’insieme delle disposizioni sopra descritte emerge un quadro normativo estremamente disomogeneo e in parte ambiguo che potrebbe incidere sull’efficacia della norma. L’art. 106 infatti, nel disciplinare gli obblighi di comunicazione all’ANAC delle modifiche contrattuali, contempla diverse finalità: trasparenza, pubblicità e controllo, ma i diversificati adempimenti previsti in ragione delle diverse tipologie di modifica del contratto appaiono non del tutto adeguati e proporzionati allo scopo e possono dunque rappresentare un onere eccessivo e ingiustificato per le stazioni appaltanti. Si nota, inoltre, un disallineamento tra le puntuali disposizioni dell’art. 106 in merito alle modalità di comunicazione all’ANAC delle variazioni contrattuali e al regime sanzionatorio in caso di inadempimento, con quanto previsto, in generale, dall’art. 213 (commi 8, 9 e 13) sul funzionamento della banca dati sui contratti pubblici e sul ruolo dell’Autorità nell’attività di raccolta dei dati e delle informazioni rilevanti, mentre, per altri aspetti, il richiamo dell’art. 106 al medesimo art. 213 per l’ipotesi di variante in corso d’opera illegittima fa sorgere dubbi interpretativi in ordine all’effettivo regime sanzionatorio da applicare“.
Ritroviamo anche le censure in materia di trasparenza, che hanno permeato la Delibera n. 759/2019.
ANAC, infatti, sottolinea “si evidenzia che il comma 8 dell’art. 106 prevede un regime di trasparenza per le modifiche relative ai lavori, servizi e forniture supplementari e per le modifiche consentite entro determinati limiti quantitativi fissati dal comma 2, comprese quelle derivanti da errori progettuali, mediante la comunicazione e successiva pubblicazione sulla sezione del sito Amministrazione Trasparente dell’ANAC. Lo stesso regime di trasparenza, invece, non è previsto per le varianti in corso d’opera propriamente dette.
Al riguardo, se è certamente condivisibile l’esigenza di rendere pubblici e conoscibili a chiunque vi abbia interesse le variazioni del contratto rispetto alle iniziali previsioni progettuali, tale interesse dovrebbe riconoscersi per tutte le tipologie di modifica, non solo, quindi, quelle di cui al comma 1, lett. b), e al comma 2, ma anche quelle di cui al comma 1, lett. c), e al comma 14, ovvero per le varianti in corso d’opera propriamente dette, tanto più che quest’ultime sono in grado di incidere maggiormente sul costo iniziale del contratto; ragione per cui è anche previsto un particolare regime di vigilanza da parte dell’ANAC, oltre che un regime di pubblicità legale, ai sensi del comma 5 del medesimo articolo che, come sopra riportato, ne impone l’obbligo della pubblicazione di un avviso in Gazzetta Ufficiale europea o nazionale, secondo il valore del contratto sopra o sotto soglia comunitaria. Si propone, pertanto, di estendere il regime di trasparenza anche alle modifiche contrattuali di cui al comma 1, lettera c), ovvero alle varianti in corso d’opera propriamente dette.
A tale scopo, si suggerisce di sostituire le puntuali indicazioni sulle modalità di comunicazione dei dati informativi e dei documenti relativi alle modifiche contrattuali contenute all’interno dell’art. 106 (comma 8 e comma 14) con l’espresso rinvio al citato art. 213, comma 9, ovvero con la precisazione che “l’Autorità, con propria deliberazione, individua, ai sensi dell’art. 213, comma 9, le informazioni rilevanti e le relative modalità di trasmissione delle informazioni previste dal comma 8 e dal comma 14 del medesimo art.106”.”.
Infine, sul regime sanzionatorio, l’Autorità propone di riequilibrare l’art. 106, estendendo a tutte le varianti i poteri di accertamento e vigilanza propri dell’Autorità. A conclusione dell’Atto di segnalazione, infatti, ANAC osserva che: “come sopra esposto, l’art. 106 comma 8 del Codice prevede, per il caso di mancata o tardiva comunicazione delle modificazioni del contratto di cui al comma 1, lettera b) (lavori, servizi e forniture supplementari) e al comma 2 (modificazioni contrattuali de minimis ed errori progettuali) l’irrogazione, da parte dell’Autorità, di una sanzione amministrativa di importo compreso tra 50 e 200 euro per giorno di ritardo, mentre, in caso di inadempimento agli obblighi di comunicazione e di trasmissione delle varianti, il comma 14 richiama la disciplina generale delle sanzioni amministrative per omesse comunicazioni all’Autorità di cui all’art. 213, comma 13, del Codice. A parere dell’Autorità il diversificato regime sanzionatorio previsto per le modificazioni del contratto diverse dalle varianti in corso d’opera non appare supportato da adeguate motivazioni. Si noti, inoltre, che il comma 8 non determina il massimo edittale della sanzione applicabile e non indica espressamente il soggetto responsabile delle comunicazioni, diversamente da quanto previsto dall’art. 213, comma 13, applicabile alle varianti in corso d’opera.”.
Pertanto, chiede al governo ed al Parlamento di disporre con apposito provvedimento normativo: “la previsione una specifica sanzione per il ritardo delle comunicazioni relative ai lavori servizi e forniture supplementari e alle modificazioni de minimis, inoltre, non appare in linea con le indicazioni espresse dalla legge delega (cfr. nota 1) la quale, nell’esprimere la necessità di un apposito regime sanzionatorio per il ritardo delle comunicazioni delle variazioni in corso d’opera, ha fatto esplicito riferimento agli appalti di importo pari o superiore alla soglia comunitaria, mentre l’ipotesi sanzionatoria contemplata dal comma 8 dell’art. 106 non fa nessuna distinzione di valore. Si propone pertanto, di eliminare dall’art. 106, comma 8, la sanzione da ritardo e di sostituire la relativa disposizione con il rinvio alle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’art. 213, comma 13, come previsto per il caso di omessa comunicazione delle varianti in corso d’opera. “.
La sensazione è che la Delibera n. 759/2019 possa essere considerata il “caso” che possa dare avvio alle richieste dell’Autorità: esaminando puntualmente un esempio così concreto – e, verrebbe da dire, emblematico e diffuso -, infatti, ANAC ha potuto dimostrare concretamente come la prassi diverga sensibilmente dal quadro normativo stratificatosi nel tempo.
Ne consegue, dunque, la necessità di apportare chiarezza sulla materia – delineando concretamente ed analiticamente la definizione delle “varianti in corso d’opera” e distinguendole dalle “varianti de minimis” e dalle “migliorie” – attraverso un atto normativo, che magari prenda spunto dall’elaborazione giurisprudenziale, ma senza lasciare l’onere di definizione soltanto alla giurisprudenza, che potrebbe risultare troppo analitica e, in alcuni casi, anche contraddittoria.
A tale richiesta, poi, l’Autorità chiede di affiancare la previsione di un incremento del potere sanzionatorio e soprattutto di vigilanza – in modo da poter supportare con una prassi univoca il periodo di riflessione ed elaborazione del legislatore -, così facendo risaltare il valore della prassi dell’Authority, fortemente ridimensionato dal Decreto Sblocca Cantieri.