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( vote)Premessa
Istituto presente già nella prima codificazione pubblicistica ordita dal Legislatore promanata in forza del d.lgs. 163 del 2006 e riproposta nel codice previgente di cui al d.lgs. 50 del 2016, la variazione del contratto in corso d’opera nel limite del 20 percento dell’importo contrattuale, più comunemente nota come il c.d. quinto d’obbligo, sta vivendo nuova auge a seguito dei rimaneggiamenti previsti sul punto dall’attuale nuovo Codice (d.lgs. 36 del 2023).
Tali variazioni contrattuali – che possono essere impartite sia in aumento che in diminuzione, entro il limite del quinto dell’importo contratto – sono quelle che possono essere imposte all’appaltatore dalla stazione appaltante agli stessi patti e condizioni originariamente assentite, senza lo stesso possa rifiutarsi di eseguirle.
Sebbene l’attuale Codice dei Contratti si sia limitato ad inserire un inciso iniziale in via additiva alla previgente formulazione, sancendo come sia strettamente necessario che l’ente banditore si premuri di inserire “(n)ei documenti di gara iniziali” l’intendimento di riservarsi la facoltà di affidare in corso d’opera ulteriori opere entro il limite stabilito dalla legge, ebbene, tale inciso ha invero costituito il motore propulsivo per di un animato dibattito circa la corretta qualificazione giuridica dell’istituto e delle sue modalità applicative.
La stessa Autorità ANAC nel raccogliere le diverse interpretazioni provenienti dagli stakeholder in vista della pubblicazione del Bando tipo n.1, ha constatato “osservazioni discordanti” emergenti in merito all’interpretazione da conferire all’opzione del quinto d’obbligo, a partire dall’analisi delle quali l’Autorità è stata costretta a prendere le mosse, abbracciando poi una posizione – se comparata alla pregressa giurisprudenza sul punto, nonché a posizione precedenti della stessa Autorità – quanto meno opinabile.
Scopo del presente contributo è quello di provare a rassegnare una breve disamina delle questioni giuridiche sottese, al fine di offrire, per quanto possibile, chiarezza in merito al quadro ermeneutico entro cui le stazioni appaltanti si trovano ad operare allorquando, in fase di stesura degli atti di gara, si debba porre il tema dell’inserimento o meno della previsione del quinto d’obbligo.
- L’evoluzione della normativa di riferimento
L’articolo 120, co. 9, del d.lgs. n. 36/2023 (di seguito, “Codice”), al primo periodo, dispone che “(n)ei documenti di gara iniziali può essere stabilito che, qualora in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto, la stazione appaltante possa imporre all’appaltatore l’esecuzione alle condizioni originariamente previste”.
Invero, il previgente articolo 106, co. 12, del d.lgs. 50/2016, disciplinava la medesima fattispecie in maniera non difforme, eccezion fatta per la necessità – come fatto cenno in premessa – di dover esplicitare negli atti di gara la facoltà di potervi ricorrere.
Tale premura – spiega la Relazione di accompagnamento al nuovo Codice – avrebbe lo scopo di “rendere la previsione compatibile con le fattispecie di modifica consentite dalla direttiva”.
Infatti, il comma 12 dell’articolo 106 del Codice previgente, prevedeva esclusivamente che “(l)a stazione appaltante, qualora in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto, può imporre all’appaltatore l’esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario. In tal caso l’appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto.”
l’indicazione del quinto d’obbligo sin nei documenti di gara iniziali si è resa necessaria al fine di rendere la previsione compatibile con le fattispecie di modifica consentite dalla direttiva”.
Non dissimile era la disciplina prevista sul tema dall’articolo 311, co. 4 del D.P.R. 207/2010, attuativo del d.lgs. 163/2006, secondo cui era stabilito che “… la stazione appaltante può chiedere all’esecutore una variazione in aumento o in diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza di un quinto del prezzo complessivo previsto dal contratto che l’esecutore è tenuto ad eseguire, previa sottoscrizione di un atto di sottomissione, agli stessi patti, prezzi e condizioni del contratto originario senza diritto ad alcuna indennità ad eccezione del corrispettivo relativo alle nuove prestazioni. Nel caso in cui la variazione superi tale limite, la stazione appaltante procede alla stipula di un atto aggiuntivo al contratto principale dopo aver acquisito il consenso dell’esecutore”.
Ancor precedentemente, l’articolo 10 del Capitolato Generale di cui al Decreto 19 aprile 2000, n. 145 recante “Regolamento recante il capitolato generale d’appalto dei lavori pubblici, ai sensi dell’articolo 3, comma 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni”, stabiliva che “la stazione appaltante durante l’esecuzione dell’appalto può ordinare una variazione dei lavori fino alla concorrenza di un quinto dell’importo dell’appalto, e l’appaltatore è tenuto ad eseguire i variati lavori agli stessi patti, prezzi e condizioni del contratto originario, salva l’eventuale applicazione dell’articolo 134, comma 6, e 136 (ndr.: leggasi nuovi prezzi) del regolamento (ndr.:D.P.R. 445/99), e non ha diritto ad alcuna indennità ad eccezione del corrispettivo relativo ai nuovi lavori.”.
Al di là delle semplificazioni lessicali che negli anni hanno interessato la stesura della disciplina in parola e che hanno determinato una semplificazione del tutto svilente del relativo tessuto normativo, la sostanza sembra essere rimasta invariata: la stazione appaltante ha il diritto di imporre all’esecutore maggiori (o minori) opere all’appaltatore, qualora le stesse non eccedano il quinto dell’importo contrattuale. L’appaltatore, in tal caso, non può che sottostare a tale decisione unilaterale, dovendo l’appaltatore trovare adeguata remunerazione a fronte dell’esecuzione di tali opere nei medesimi prezzi, ove applicabili, stabiliti nel contratto originario da applicarsi alle lavorazioni imposte.
Pertanto, in un contesto normativo e interpretativo grossomodo stabile negli anni, l’inserimento dell’inciso circa la necessità della suddetta previsione nell’ambito degli atti di gara iniziali, onde rendere compatibile tale modifica alla direttiva appalti, ha alterato quell’equilibrio ermeneutico cristallizzatosi nel tempo, costringendo gli operatori del diritto ad interrogarsi in ordine alla corretta sussunzione della fattispecie de qua in una delle ipotesi di modifica contrattuale prevista dall’articolo 72 della Direttiva appalti.
- Le diverse opzioni ermeneutiche: la posizione assunta da ANAC
A ben vedere, sia la Relazione del Consiglio di Stato di accompagnamento al nuovo Codice che ANAC hanno avuto modo di sottolineare come la facoltà di dichiarare negli atti di gara la riserva di poter affidare o diminuire prestazioni entro il quinto dell’importo contrattuale fosse riconducibile alla necessità di aderire ad una delle ipotesi di modifica contrattuale previste dalla normativa comunitaria, sebbene non fosse stata indicata la specifica fattispecie tra quelle previste dall’articolo 72 della Direttiva nell’ambito delle quali inquadrare quella del quinto d’obbligo.
La Relazione AIR a corredo alla bozza di Bando tipo n. 1 posta in consultazione agli stakeholder prima della pubblicazione ufficiale, aveva rammentato che “(a)lcuni concordano con l’interpretazione adottata nel disciplinare che riconduce il quinto d’obbligo alle modifiche ex articolo 120 comma 1 lettera a) e la considera quale opzione a sé stante di modifica del contratto, con conseguente conteggio del relativo importo ai fini della soglia. Altri aderiscono all’interpretazione sostenuta dall’Autorità nel comunicato del 23/3/2021. Secondo tale interpretazione il quinto d’obbligo non va ricondotto all’art. 120 co. 1 lett. a), ma all’ipotesi di cui alla lett. c), ossia alle varianti in corso d’opera. Non si tratta, invero, di scelta discrezionale della stazione appaltante, ma di varianti necessarie che possono essere imposte se limitate al quinto (con conseguente firma del solo atto di sottomissione, senza necessità di modifica contrattuale) o devono essere accettate se di valore superiore (con atto aggiuntivo al contratto)”.
La posizione assunta da ANAC è stata poi quella di propendere per la sussumibilità del quinto d’obbligo “quale tipizzazione delle clausole di cui all’art. 120 comma 1 lett. a) poiché la relazione allegata al codice evidenzia che l’indicazione del quinto d’obbligo sin nei documenti di gara iniziali si è resa necessaria al fine di rendere la previsione compatibile con le fattispecie di modifica consentite dalla direttiva”.
BOX: il quinto d’obbligo deve qualificarsi “quale tipizzazione delle clausole di cui all’art. 120 comma 1 lett. a) poiché la relazione allegata al codice evidenzia che l’indicazione del quinto d’obbligo sin nei documenti di gara iniziali si è resa necessaria al fine di rendere la previsione compatibile con le fattispecie di modifica consentite dalla direttiva”.
Di certo tale posizione appare distonica rispetto quella che la stessa ANAC aveva sostenuto nel 16 giugno 2021, quando con la Delibera ANAC n. 461 aveva invece ricondotto le variazioni contrattuali del quinto d’obbligo nell’alveo di quelle di cui alla lettera c) co. 1 dell’allora vigente 106 del d.lgs. 50/2016 (oggi previste pedissequamente all’articolo 120, co. 1, lett. c)), propriamente deputate a disciplinare le varianti in corso d’opera per fatti imprevisti ed imprevedibili.
Appare evidente come il revirement dell’Autorità sia stato compulsato dal dover individuare gioco-forza la fattispecie comunitaria entro cui sussumere il quinto d’obbligo, quando, a giudicare l’origine dell’istituto rassegnato nel paragrafo precedente, tale “imperativo categorico” appare del tutto privo di agganci sistematici di natura comunitaria.
Il quinto d’obbligo è, invero, una ipotesi del tutto domestica, nata post tangentopoli per aiutare le stazioni appaltanti in fase strettamente esecutiva a gestire una controparte contrattuale spesso assai più capace e avvezza a “ragionare” (in termini economici soprattutto) di modifiche delle opere in corso di esecuzione di molti RUP, garantendo a quest’ultimo un baluardo ragionevole, cioè il 20% dell’importo del contratto, dietro il quale lo stesso RUP avrebbe potuto trincerarsi per arginare le pretese economiche in corso d’opera di appaltatori particolarmente disinvolti.
Per converso, l’articolo 72 della Direttiva appalti, partendo dall’assunto eurocomunitario di amministrazioni sempre capaci e competenti, ha individuato alcune ipotesi di modifica contrattuale in corso d’opera che si sono poi risolte (e successivamente introitate nel nostro ordinamento) nelle altre ipotesi oggi previste dall’articolo 120 del nuovo Codice.
Nelle strette maglie dell’articolo 72 della Direttiva, l’ANAC non ha saputo far altro che prendere la via più semplicistica di accostare il quinto d’obbligo all’ipotesi prevista dall’articolo 120 c.1 lett. a) del Codice, solo poiché le due ipotesi sono accomunate dall’elemento del tutto circostanziale per cui la facoltà in via opzionale di consentire una modifica contrattuale deve essere dichiarata e disciplinata ex ante negli atti di gara, senza considerare altri elementi differenziali (e ben più pregnanti) che avevano condotto la stessa Autorità a qualificare l’istituto in parola come una ipotesi di variante in corso d’opera, come correttamente asserito nel 2021 con la citata Delibera ANAC n. 461, coerentemente con la giurisprudenza prevalente che ha più volte stigmatizzato come il quinto d’obbligo “presuppone sempre che l’esigenza di aumento o di diminuzione delle prestazioni contrattuali emerga “in corso di esecuzione”, non essendo consentita una previsione di modifica ex art. 106, comma 12, a monte della stipulazione del contratto, quando cioè vi sia un vizio genetico e noto della legge di gara che renda certa l’inadeguatezza delle prestazioni contrattuali cui parametrare le offerte, come nel caso di specie.”[1]
- Una prospettiva diversa
Impregiudicata la difficoltà di dover – per atto di imperio proveniente dal Consiglio di Stato (recata nella propria relazione di accompagnamento) in veste consultiva allorquando è stato chiamato a stendere la prima bozza di nuovo Codice – inquadrare necessariamente il quinto d’obbligo in una delle fattispecie di modifica contrattuale previste dalla Direttiva comunitaria, emergono alcune criticità di carattere sistematico che inducono a ritenere del tutto superficiale l’approdo ermeneutico dell’Autorità anticorruzione di ricondurre la modifica contrattuale in parola alla stregua dell’articolo 120, co.1 lett. a), essendo preferibile il diverso e precedente avviso dalla stessa Autorità del 2021 con la citata Delibera 461.
Il primo elemento da tenere in considerazione è di carattere strettamente letterale: il comma 9 dell’articolo 120, fa espressamente riferimento al fatto che l’esigenza di procedere alla modifica nel limite del quinto dell’importo del contratto emerga “in corso di esecuzione”.
il comma 9 dell’articolo 120, fa espressamente riferimento al fatto che l’esigenza di procedere alla modifica nel limite del quinto dell’importo del contratto emerga “in corso di esecuzione”.
Appare evidente la distonia rispetto alla fattispecie di cui al citato articolo 120, co.1 lett. a), che disciplina una ipotesi che contempla invece una modifica contrattuale i cui contorni debbono essere predeterminati ex ante “in clausole chiare, precise e inequivocabili dei documenti di gara iniziali”: il quinto d’obbligo non presuppone affatto che le esigenze di modifica del contratto possano essere predeterminabili nelle suddette clausole poiché discendenti da eventi imprevisti ovvero imprevedibili emergenti in fase di esecuzione.
Un secondo elemento che suffraga l’interpretazione del quinto d’obbligo come una species delle varianti in corso d’opera (non già una ipotesi di opzione contrattuale prevista ex ante) si riviene in quanto è stabilito dall’All. II.14, articolo 5, co. 6, ultimo periodo, secondo cui: “(a)i fini della determinazione del quinto, l’importo dell’appalto è formato dalla somma risultante dal contratto originario, aumentato dell’importo degli atti di sottomissione e degli atti aggiuntivi per varianti già intervenute, nonché dell’ammontare degli importi, diversi da quelli a titolo risarcitorio, eventualmente riconosciuti all’esecutore ai sensi degli articoli 212 e 213 del codice”.
Tale norma, nel disciplinare la corretta quantificazione del quinto, individua atti e provvedimenti che nella fase genetica della gara non possono essere venuti ad esistenza, con ciò rendendo impossibile, in fase di gara, operare una quantificazione corretta di quel 20% previsto dalla norma.
Coerentemente con ciò, infatti, appare utile rammentare che secondo quanto previsto dall’articolo 5 dell’Allegato I.7, prevede, alla lettera e), n. 6 – norma che disciplina la struttura che deve informare i quadri economici degli interventi – prevede la necessità di uno specifico accantonamento solo in relazione alle modifiche contrattuali di cui agli articoli 60 e 120, co. 1, lett. a), del Codice, mentre alcun onere di accantonamento è previsto in relazione al comma 9 del medesimo articolo 120, proprio poiché non risulta possibile, sia dal punto di vista economico, né dal punto di vista esecutivo, individuare l’importo massimo da appostare nel quadro economico per le modifiche oggetto della presente disamina.
- Conclusioni
Dalle superiori considerazioni appare assai arduo abbracciare l’interpretazione assunta da ANAC nel Bando tipo n. 1.
Ciò che sembra piuttosto emergere, invece, è un superficiale accostamento della casistica disciplinata dal comma 9 dell’articolo 120 a quella di cui al citato 120, co. 1, lett. a), fondata esclusivamente sull’assunto che per entrambe le ipotesi si debba procedere a dichiarare la riserva di affidamento negli atti di gara iniziali.
La norma in questione, infatti, prevede esclusivamente che l’ente banditore debba avvertire gli operatori di essersi riservata la possibilità di imporre variazioni il contratto nel limite quantitativo previsto dalla norma; nulla più.
Le conseguenze di una interpretazione che inquadri il quinto d’obbligo in maniera più coerente con la natura di tali modifiche imposte in corso d’opera dalle stazioni appaltanti si rinvengono, da un lato, nella non necessità, per le stesse stazioni appaltanti, di dover accantonare alcun importo nel quadro economico dell’intervento per offrire copertura economica ad extra costi del tutto eventuali, ben potendo fronteggiare eventuali incrementi a titolo di corrispettivo nel limite del 20% con le risorse presenti all’interno del Quadro economico rimodulato post gara (i.e. economie di gara, ecc.), dall’altro, nella esclusiva premura di dichiarare il gara la riserva di poter modificare il contratto nei limiti citati.
Attesa la vincolatività del Bando tipo n.1 sancita dal comma 3 dell’articolo 83 del Codice che prevede che “(s)uccessivamente all’adozione da parte dell’ANAC di bandi tipo, i bandi di gara sono redatti in conformità degli stessi. Le stazioni appaltanti, nella delibera a contrarre, motivano espressamente in ordine alle deroghe al bando-tipo”, sarà necessario – almeno per gli appalti di servizi puri, dovendo attendere le posizioni di ANAC con riferimento ai lavori – individuare apposite motivazioni cui radicare il disallineamento rispetto al dettato dell’Autorità.
Sarà interessante comprendere se anche la giurisprudenza eventualmente chiamata a ragionare circa la natura giuridica di tale istituto si risolverà in un revirement ermeneutico rispetto al prevalente orientamento assunto dalla stessa, avallando la posizione di ANAC ovvero offrendo alle stazioni appaltanti quelle motivazioni logico giuridiche utili per derogare alle indicazioni stabilite con il Bando tipo n.1.
[1] Cons Stato, sez. V, 25 febbraio 2020, n. 1394, conforme, TAR Piemonte, Torino, sez. I, 20 luglio 2022, n. 681: In tale senso l’applicazione del c.d. quinto d’obbligo si lega alla sussistenza di circostanze imprevedibili ed impreviste per l’amministrazione ai sensi dell’art. 106, comma 1, lett. c) in linea con quanto chiarito sul punto dall’ANAC con comunicato del Presidente del 23 marzo 2021 secondo cui la disposizione di cui all’art. 106, comma 12, D.lgs. 50/2016 “deve essere intesa come volta a specificare che, al ricorrere di una delle ipotesi previste dai commi 1, lettera c) e 2 dell’articolo 106, qualora la modifica del contratto resti contenuta entro il quinto dell’importo originario, la stazione appaltante potrà imporre all’appaltatore l’esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario senza che lo stesso possa far valere il diritto alla risoluzione del contratto. Nel caso in cui, invece, si ecceda il quinto d’obbligo e, sempre purché ricorrano le altre condizioni di cui all’articolo 106, commi 1 e 2, del Codice, l’appaltatore potrà esigere una rinegoziazione delle condizioni contrattuali e, in caso di esito negativo, il diritto alla risoluzione del contratto”.