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Premesse: La vicenda

A seguito dell’esclusione di un operatore economico da una procedura di gara bandita nel vigore del d.lgs. n. 163/2016, la stazione appaltante provvedeva altresì ad escutere la cauzione provvisoria da questi prestata non solo per l’unico lotto nel quale detto operatore economico era risultato primo in graduatoria e quindi aggiudicatario, ma anche – in un secondo tempo – per tutti i lotti per i quali lo stesso aveva presentato un’offerta, malgrado il fatto che tale operatore economico non fosse risultato in relazione a questi ultimi né aggiudicatario e neanche secondo graduato.

Il tutto in applicazione dell’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, applicabile ratione temporis alla gara.

Avverso il provvedimento che disponeva l’escussione della cauzione provvisoria per i lotti nei quali non era risultata aggiudicataria, la concorrente proponeva ricorso al TAR e, a seguito del suo rigetto, presentava appello al Consiglio di Stato sollevando altresì questione di legittimità costituzionale dell’art. 93, comma 6, nel disposto combinato con l’art. 216 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, per contrasto con gli artt. 3 e 117 comma primo della Costituzione.

Il contesto normativo

In base all’art. 93, comma 6 del d.lgs. n. 163 del 2006, la cd. “garanzia provvisoria” prestata dagli operatori economici che partecipino ad una gara “[…] copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all’affidatario o all’adozione di informazione antimafia interdittiva emessa ai sensi degli articoli 84 e 91 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159; la garanzia è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto”. Tale garanzia viene obbligatoriamente posta a corredo dell’offerta e – come precisa il primo comma della medesima disposizione – è “pari al 2 per cento del prezzo base indicato nel bando o nell’invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione”.

La norma è dunque chiara nel circoscrivere la possibilità, per la stazione appaltante, di escutere detta garanzia nei soli confronti dell’aggiudicatario (recte, “affidatario”), nei casi specifici ivi contemplati.

Ai sensi dell’art. 216, recante “Disposizioni transitorie e di coordinamento”, del medesimo d.lgs. n. 50 del 2016, peraltro, le disposizioni contemplate nel vigente “Codice dei contratti pubblici” si applicano “alle procedure e ai contratti per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, alle procedure e ai contratti in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte”.

Nel vigente “Codice dei contratti pubblici” non esiste una disposizione espressa che, in particolare, estenda l’applicazione della disciplina di cui al comma sesto dell’art. 93 cit. anche alle procedure di gara i cui bandi o avvisi siano stati sì pubblicati in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016, ma relativamente alle quali l’amministrazione si sia determinata ad escutere la cauzione prestata da uno dei partecipanti alla gara non aggiudicatario in un momento successivo all’entrata in vigore dello stesso.

Nel caso di specie, come già anticipato, la procedura di gara era soggetta alla disciplina di cui al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163.

Ai sensi del previgente codice dei contratti pubblici, l’art. 48 d.lgs. n. 163 del 2006, che si riferisce all’ipotesi di un controllo a campione che abbia sortito esito negativo circa il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico organizzativa (ossia dei c.d. “requisiti speciali”) dichiarati dal concorrente all’atto dell’offerta, le stazioni appaltanti procedono all’esclusione del concorrente dalla gara, all’escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all’Autorità, a prescindere dalla posizione occupata in graduatoria dal concorrente.

Ai sensi dell’articolo 48 (comma primo), infatti, “Le stazioni appaltanti prima di procedere all’apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al 10 per cento delle offerte presentate, arrotondato all’unità superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Le stazioni appaltanti, in sede di controllo, verificano il possesso del requisito di qualificazione per eseguire lavori attraverso il casellario informatico di cui all’articolo 7, comma 10, ovvero attraverso il sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per i contratti affidati a contraente generale; per i fornitori e per i prestatori di servizi la verifica del possesso del requisito di cui all’articolo 42, comma 1, lettera a), del presente codice è effettuata tramite la Banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all’articolo 6-bis del presente Codice. Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell’offerta, le stazioni appaltanti procedono all’esclusione del concorrente dalla gara, all’escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all’Autorità per i provvedimenti di cui all’articolo 6 comma 11. L’Autorità dispone altresì la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento”.

A sua volta l’art. 75 – che concerne invece il caso del contratto che non venga sottoscritto per fatto dell’aggiudicatario – al comma primo prevede che “L’offerta è corredata da una garanzia, pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell’invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell’offerente […]”, di seguito precisando, al comma 6, che “La garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, ed è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo”.

Ebbene secondo un orientamento giurisdizionale consolidato in ordine alla normativa di cui al previgente Codice (cfr. TAR del Lazio, Sez. II, 13 ottobre 2020, n. 10413) vi è, in linea generale, un automatismo tra esclusione per carenza dei requisiti di partecipazione ed escussione della cauzione provvisoria prestata a garanzia della serietà dell’offerta, quale conseguenza diretta della violazione del patto di integrità e delle regole di gara cui è soggetto il partecipante (v. Cons. St,. V, 16.5.2018, n. 2896; Cons. Stato, Sez. V, 2.2.2018, n. 691). L’escussione della cauzione, secondo tale interpretazione, costituisce, infatti, conseguenza diretta ed automatica del provvedimento di esclusione dalla procedura di gara per carenza dei requisiti di partecipazione ed è una misura autonoma e ulteriore rispetto all’esclusione dalla gara, che si riferisce, mediante l’anticipata liquidazione dei danni subiti dall’Amministrazione, ad un distinto per quanto connesso rapporto giuridico fra quest’ultima e l’imprenditore.

Detto altrimenti, la gravata escussione non è altro che una conseguenza vincolata e diretta del provvedimento di esclusione, e ciò anche in quei casi in cui l’effetto espulsivo della procedura sia l’esito di un giudizio di discrezionalità tecnica dell’amministrazione, la quale sussume la fattispecie concreta nella fattispecie astratta disegnata dal legislatore in guisa di concetto giuridico indeterminato. Conseguenza diretta ed automatica che prescinde dall’elemento soggettivo, atteggiandosi a misura patrimoniale e ad evenienza che i concorrenti accettano partecipando alla selezione e al relativo patto di integrità.

L’incidente di costituzionalità

Il Consiglio di Stato con l’Ordinanza Collegiale n. 3299 del 26 aprile 2021, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 93, comma 6 del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50, che disciplina la cauzione provvisoria prestata dagli operatori economici che partecipino ad una gara, nel combinato disposto con l’art. 216 del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50, per contrasto con gli artt. 3 e 117, comma primo (quest’ultimo in relazione all’art. 49, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) della Costituzione.

Ad avviso del Collegio remittente, in estrema sintesi, le citate norme precludono l’applicabilità della più favorevole disciplina sanzionatoria sopravvenuta – introdotta dal nuovo Codice dei contratti, rispetto alla disciplina del previgente Codice di cui al d.lgs. n. 163 del 2016 – che, come si è detto, prevede l’escussione della cauzione provvisoria solo a valle dell’aggiudicazione (definitiva) e, dunque, solo nei confronti dell’aggiudicatario di una procedura ad evidenza pubblica, in quanto già in vigore al momento dell’adozione del provvedimento di escussione della garanzia provvisoria.

Secondo il Collegio remittente il regime di escussione della garanzia provvisoria previsto a suo tempo dall’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 integra una forma di sanzione di carattere punitivo a carico dell’operatore economico che abbia fornito dichiarazioni rimaste poi senza riscontro, sanzione peraltro abbandonata dalla normativa sopravvenuta. La misura sanzionatoria amministrativa prevista dall’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 abbia natura punitiva e soggiaccia pertanto alle garanzie che la Costituzione ed il diritto internazionale assicurano alla materia, ivi compresa la garanzia della retroattività della lex mitior

Del tutto condivisibile è l’inquadramento operato dal Consiglio di Stato in ordine alla natura ed alla funzione di sanzione amministrativa (seppure non in senso proprio) dell’istituto dell’escussione della cauzione provvisoria, allorquando quest’ultima non assuma la specifica finalità indennitaria, propria della sola ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario, o risarcitoria. E ciò perché si tratta di un’interpretazione in linea con i precedenti giurisprudenziali evidenziati nell’Ordinanza in parola, nonché con altri arresti giurisprudenziali[1] fattispecie analoghe al caso oggetto dell’Ordinanza in commento.

In particolare, l’Adunanza plenaria 4 ottobre 2005, n. 8 che ha affermato che la cauzione provvisoria, oltre ad indennizzare la stazione appaltante dall’eventuale mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario (funzione indennitaria), può svolgere altresì una funzione sanzionatoria verso altri possibili inadempimenti contrattuali dei concorrenti.

La successiva decisione 10 dicembre 2014, n. 34 dell’Adunanza plenaria faceva salvo tale presupposto.  In termini più generali ex multis, Cons. Stato, V, 27 giugno 2017, n. 3701; V, 19 aprile 2017, n. 1818; IV, 19 novembre 2015, n. 5280; IV, 9 giugno 2015, n. 2829; V, 10 settembre 2012, n. 4778, secondo cui l’incameramento della cauzione va considerata una misura a carattere latamente sanzionatorio, che costituisce conseguenza ex lege dell’esclusione per riscontrato difetto dei requisiti da dichiarare ai sensi dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006. Tale conclusione è stata poi ribadita da Cons. Stato, V, 10 aprile 2018, n. 2181, “in considerazione della natura sanzionatoria e afflittiva della determinazione relativa all’incameramento della cauzione”.

In tali casi, allora, sembra corretto quanto affermato dal Collegio remittente, dal momento che l’incameramento della cauzione provvisoria a seguito dell’esclusione per riscontrato difetto dei requisiti da dichiarare ai sensi dell’art. 38 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, troverebbe spiegazione in chiave soltanto punitiva e avrebbe una finalità di mera deterrenza.

L’escussione della garanzia provvisoria non può essere considerata una misura meramente ripristinatoria dello status quo ante, né ha natura risarcitoria (o anche solo indennitaria), né mira semplicemente alla prevenzione di nuove irregolarità da parte dell’operatore economico, trattandosi di una sanzione dall’elevata carica afflittiva che, in assenza di una specifica finalità indennitaria (propria della sola ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario) o risarcitoria, si spiega soltanto in chiave di punizione dell’autore dell’illecito in questione, in funzione di una finalità di deterrenza che è certamente comune anche alle pene in senso stretto

Per tali ragioni, appare condivisibile la considerazione che una siffatta sanzione afflittiva soggiacerebbe alle garanzie che la Costituzione ed il diritto internazionale assicurano alla materia ed, in particolare, alla garanzia della retroattività della lex mitior – in forza della sentenza della Corte Costituzionale n. 193/2016, che ha affermato la applicabilità del principio di retroattività della lex mitior anche alle sanzioni amministrative – essendo pacifico che tale sanzione è stata totalmente abbandonata dalla normativa sopravvenuta.

A tale riguardo, il Consiglio di Stato, nell’Ordinanza in esame, ha, in particolare, affermato “che il regime di escussione della garanzia provvisoria previsto a suo tempo dall’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 possa integrare, alla luce del richiamato consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa, una forma di sanzione di carattere punitivo a carico dell’operatore economico che abbia fornito dichiarazioni rimaste poi senza riscontro, sanzione peraltro abbandonata dalla normativa sopravvenuta. Non sembra revocabile in dubbio che la misura sanzionatoria amministrativa prevista dall’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 abbia natura punitiva e soggiaccia pertanto alle garanzie che la Costituzione ed il diritto internazionale assicurano alla materia, ivi compresa la garanzia della retroattività della lex mitior. L’escussione della garanzia in parola, infatti, non può essere considerata una misura meramente ripristinatoria dello status quo ante, né ha natura risarcitoria (o anche solo indennitaria), né mira semplicemente alla prevenzione di nuove irregolarità da parte dell’operatore economico. Si tratta, piuttosto, di una sanzione dall’elevata carica afflittiva [in taluni casi anche di diversi milioni di euro, come nel caso al vaglio del Consiglio di Stato, n.d.r.], che in assenza di una specifica finalità indennitaria (propria della sola ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario) o risarcitoria, “si spiega soltanto in chiave di punizione dell’autore dell’illecito in questione, in funzione di una finalità di deterrenza, o prevenzione generale negativa, che è certamente comune anche alle pene in senso stretto” (Corte cost., n. 63 del 2019)”.

La ricordata conclusione, del resto, consegue ad un puntuale inquadramento dell’ambito di operatività del principio della retroattività della lex mitior, che si fonda su un’analitica disamina della giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Cost. 21 marzo 2019, n. 63; n. 394/2006; n. 236/2011 e 393/2006), nonché dei principi CEDU (art. 7 nella lettura offertane dalla giurisprudenza di Strasburgo) e di altre norme del diritto internazionale dei diritti umani vincolanti per l’Italia che enunciano il medesimo principio (tra cui gli artt. 15, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e 49, paragrafo 1, CDFUE, quest’ultimo rilevante nel nostro ordinamento anche ai sensi dell’art. 11 Cost.).

Di conseguenza, secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale, la regola dell’applicazione retroattiva della lex mitior in materia penale – sancita, a livello di legislazione ordinaria, dall’art. 2, secondo, terzo e quarto comma, del Codice penale e che ha fondamento costituzionale nel principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. – “impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio criminis o la modifica mitigatrice” (sentenza Corte Cost. n. 394 del 2006). Ciò in quanto, in via generale, “[n]on sarebbe ragionevole punire (o continuare a punire più gravemente) una persona per un fatto che, secondo la legge posteriore, chiunque altro può impunemente commettere (o per il quale è prevista una pena più lieve)” (sentenza Corte Cost. n. 236 del 2011).

Per altro verso, dalla ricostruzione operata dal Consiglio di Stato discende che è possibile derogare al principio della retroattività della lex mitior, ma che la deroga dovrebbe pur sempre superare un vaglio positivo di ragionevolezza, in relazione alla necessità di tutelare contro-interessi di analogo rango e rilievo costituzionale; interessi che, come la stessa Ordinanza lascia intendere, non parrebbero sussistere nella legislazione in esame.

Alla luce delle predette considerazioni, si ritiene che la Corte Costituzionale, qualora confermi la assenza di contro-interessi di pari rango costituzionale tali da giustificare, secondo il vaglio di ragionevolezza dalla stessa Corte operato in materia, una deroga al principio della lex mitior, potrebbe ritenere fondata la questione di illegittimità costituzionale sollevata dall’Ordinanza in commento in ordine alle disposizioni normative che precludono l’applicabilità della più favorevole disciplina sanzionatoria sopravvenuta – la quale prevede l’escussione della cauzione provvisoria solo a valle dell’aggiudicazione (definitiva) e, dunque, solo nei confronti dell’aggiudicatario di una procedura ad evidenza pubblica – in quanto già in vigore al momento dell’adozione, da parte della Stazione Appaltante, del provvedimento di escussione della garanzia provvisoria.


[1] Cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. II, 13 ottobre 2020, n. 10413 e 16 ottobre 2020, n. 10562 rese nei confronti della GI One S.p.A. in fattispecie analoghe a quelle oggetto dell’Ordinanza n. 3299/2020.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Adriana Presti
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
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