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( votes)Il terreno crettato. Un labirinto di crepe che si aggrovigliano. Un’intricata tessitura di linee che si intersecano. Un’opera di Alberto Burri? No, è terra. Terra spaccata, arsa dal sole, assetata dalla siccità. È il letto di un fiume. E non di un fiume qualunque. È il Pò. Il livello del più grande corso d’acqua del nostro paese è ai minimi storici. Nelle ultime settimane l’emergenza ha assunto i connotati del disastro. L’agricoltura soffre. Soffrono gli allevamenti. Si prospetta un periodo di razionamenti.
Come siamo giunti a questo punto? Il cielo ha deciso di tenersi tutta per sé la pioggia che dovrebbe alimentare il ciclo dell’acqua. Non piove più. La stagione delle piogge è stata cancellata. In alcuni territori, in particolare nel Nordovest, Piemonte, Lombardia, Lazio e Campania, non si registrano precipitazioni abbondanti e costanti dal luglio dell’anno scorso. È da un triennio che le piogge sono scarse su tutto il territorio nazionale.
I cambiamenti climatici? Si, certo. Ma non solo. Se siamo in queste condizioni lo dobbiamo anche ad altro. “Ci sono anche una serie di cause strutturali” ha riconosciuto Mario Draghi nel corso di una conferenza stampa a fine giugno. A contribuire a rendere drammatica la situazione c’è “la cattiva manutenzione dei bacini, la cattiva manutenzione della rete che spetterebbe ai concessionari” ha aggiunto il premier.
In un momento in cui l’acqua sta diventando un bene scarso, e per questo ancora più prezioso, non è possibile permettersi alcuno spreco. Dovremmo essere tutti parsimoniosi nell’utilizzo delle risorse idriche. Un impegno che dovrebbe coinvolgere l’uso domestico, quello agricolo e a quello industriale.
Ma qualsiasi buon proposito deve essere supportato da una rete idrica efficiente. Draghi ammette che la scarsa manutenzione delle infrastrutture è tra le cause della scarsità che stiamo affrontando. L’acqua che non arriva a sgorgare dai rubinetti è pari al 40% di quella immessa nella rete. Lungo le migliaia di chilometri degli acquedotti italiani la dispersione di acqua è a livelli insostenibili. Le falle accumulate in decenni di scarsa manutenzione richiedono oggi ingenti investimenti perché la situazione possa essere normalizzata. In molti paesi europei le perdite vanno dal 5 all’8%. In Israele, dove la rete è controllata da sensori elettronici, si scende fino al 3%.
Nel PNNR il Governo ha stanziato 4miliardi di euro per indire appalti pubblici necessari ad arginare il fenomeno delle carenze strutturali. Un investimento al di sotto delle stime fatte da Utilitalia. Secondo la federazione che riunisce le Aziende operanti nei servizi pubblici dell’Acqua, dell’Ambiente, dell’Energia Elettrica e del Gas, sarebbero necessari 5miliardi l’anno. Non un intervento una tantum ma costante e permanente.
Circa il 70% della superficie terrestre è ricoperta dall’acqua. Il 60% del corpo umano è costituito da acqua. La Terra, il genere umano, la loro esistenza sono strettamente connesse a questo elemento. Dovremmo fare di più per questo bene che “è il principio di tutte le cose” come affermava già nel sesto secolo avanti Cristo il filosofo greco Talete. Ma, come fa notare il presidente della Fondazione Univerde Alfonso Pecoraro Scagno, in occasione della presentazione del Rapporto Onu-WWAP sulle Acque Sotterranee, “solo il 2% dei fondi del PNRR sono destinati all’acqua”. Per mettere in atto un piano di intervento coordinato e concreto, in questi primi giorni di luglio, il Governo lavora al Decreto Siccità. Ma c’è il rischio che passi l’estate prima di poter diventare operativo.
Ne abbiamo fatta passare di acqua sotto i ponti prima di renderci conto che di acqua sotto quei ponti non ne scorre più. Eppure, i segnali che il clima sta operando verso una costante desertificazione sono evidenti da anni. Nel 1994 in occasione della Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione, si definì desertificazione “il degrado del territorio nelle zone aride, semi aride e sub umide secche attribuibile a varie cause fra le quali variazioni climatiche e le attività umane”. Pensavamo che il monito fosse rivolto ai paesi più aridi del pianeta? Questo cambiamento climatico antropico, innescato con la rivoluzione industriale, è più vicino di quanto possiamo renderci conto. Lo leggiamo ogni giorno. “Ma per quanto siate ben informati, di sicuro non siete abbastanza preoccupati” scriveva David Wallace-Wells in un reportage pubblicato da Internazionale nel settembre 2017.
E’ questo che ci manca: la preoccupazione. Non sentiamo ancora sulla nostra pelle gli effetti di ciò che sta accadendo. La tragedia della Marmolada del 3 luglio, il distacco di un’enorme massa di ghiacciaio che ha travolto due cordate di alpinisti, è lo schiaffo in pieno volto che ci fa rinsavire dal torpore. Le alte temperature di questi mesi hanno eroso la stabilità millenaria delle Dolomiti. Il cambiamento climatico è qui. Dentro casa nostra. È irreversibile. Possiamo rallentarlo con una gestione intelligente delle risorse che abbiamo. Comuni e regioni vergano ordinanze per ridurre i consumi idrici. E qualcuno si lamenta della riduzione della produzione di energia, del fatto che non potremo lavare l’automobile o riempire la piscina. Guardiamo al nostro piccolo e non portiamo lo sguardo a un livello più alto. A quel livello, se non facciamo qualcosa oggi, non avremo più interruttori da attivare, automobili da lavare e piscine da riempire perché nel frattempo il posto in cui abitiamo sarà diventato poco adatto alla vita.
Davanti a tutto questo diventa nitida la politica da adottare. Appaltare lavori pubblici di manutenzione e ristrutturazione delle reti idriche. Trovare alternative alle attuali fonti perché come dichiara Pecoraro Scagno “il Sud è ricco d’acqua ma serve un uso efficiente e sostenibile”. Intanto, d’ora in poi, per sempre, non possiamo permetterci di sprecare nemmeno una goccia d’acqua.