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1. La questione pratica e la sua risoluzione da parte del Consiglio di Stato con la sentenza n. 5514/2024

La sentenza qui in commento, riguarda la questione dei limiti alla risarcibilità dei danni morali e materiali patiti dal privato a seguito di un comportamento contrario ai principi di correttezza e buona fede, posto in essere da parte della Pubblica Amministrazione nel corso di una procedura diretta al conferimento di un incarico lavorativo.

Il principio individuato da parte dei giudici del Consiglio di Stato con la sentenza qui in commento è il seguente:”: Nel corso delle procedure di contrattazione pubblica il privato ha diritto ad essere risarcito per i danni patiti a seguito di un comportamento posto in essere da parte dell’amministrazione che contrasti con i principi di buona fede e correttezza applicabili.” Tale obbligo si realizza anche nel caso in cui la procedura sia stata caratterizzata dalla presenza di un accordo tra privato e pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 11 della legge 9 agosto 1991. Il risarcimento è tuttavia possibile nel solo caso in cui l’amministrazione abbia colpevolmente ingenerato nel privato un legittimo affidamento e dovrà essere limitato al solo interesse di carattere negativo. L’obbligo di risarcimento riguarderà infatti le spese conseguenti alla condotta della pubblica amministrazione nonchè i danni derivanti dalla perdita di altre occasioni contrattuali.” Lo afferma il Consiglio di Stato, sez. Sesta, con la sentenza n.5514 del 20 giugno 2024.

Il caso concreto

Il caso di specie che ha dato origine all’emissione della sentenza qui in commento trae origine dalla conclusione di un accordo tra l’amministrazione nella fattispecie il Comune di Quaranti ed una società privata. Si trattava di un vero e proprio accordo che presentava specifici aspetti di carattere economico e prevedeva reciproci obblighi e diritti. A seguito della sottoscrizione del patto, infatti il contraente privato che assumeva la veste di una persona giuridica ed in particolare di una società otteneva il riconoscimento da parte dell’amministrazione locale di uno specifico diritto consistente nella possibilità di edificare, dopo avere effettuato le attività di bonifica, un impianto necessario allo svolgimento delle attività di recupero di rifiuti tossici presenti nell’area, attività da svolgersi a titolo imprenditoriale. La sottoscrizione dell’accordo e l’assunzione degli impegni ad esso conseguenti induceva la società a sostenere una serie di spese. In particolare, il contraente privato in vista della futura esecuzione dell’accordo in precedenza concluso con la pubblica amministrazione provvedeva a retribuire i professionisti, il cui operato si era reso necessario per l’attivazione dell’attività prevista dal patto con la parte pubblica, spese alle quali si accompagnavano i costi conseguenti alla presentazione delle istanze amministrative all’uopo necessarie ed all’acquisto dei materiali necessari all’edificazione dell’impianto. Tali costi venivano sostenuti sulla base di un’aspettativa, comunque, legittima circa il futuro esercizio di un’attività imprenditoriale secondo quanto previsto dall’accordo con la pubblica amministrazione.

Tuttavia, l’assetto normativo del territorio, ove avrebbe dovuto essere collocato l’impianto necessario all’esecuzione dell’attività di recupero, subiva una radicale modifica a seguito di un successivo provvedimento emesso da parte dell’Unione di Comuni competente per territorio. A tale organo, infatti il comune di Quaranti, che aveva sottoscritto l’accordo con il privato aveva devoluto le funzioni di pianificazione urbanistica territoriale. Sulla base del provvedimento di delega l’Unione dei Comuni adottava pertanto una variante urbanistica di tipo normativo che riguardava anche l’ambito territoriale ove avrebbe dovuto svolgersi l’attività di smaltimento dei rifiuti e che prevedeva il divieto di potere compiere attività quali quelle di tipo edilizio. Il provvedimento emanato da parte dell’Unione dei Comuni conteneva, tra le altre disposizioni e prescrizioni, anche il divieto di effettuare attività di edificazione come quella che si rendeva necessaria per lo svolgimento dell’attività regolamentata dall’accordo. Tale divieto pertanto rendeva di fatto impossibile l’esercizio del diritto ottenuto dal privato con la sottoscrizione dell’accordo conseguendone come ovvio l’inutilità delle spese sostenute al fine di potere intraprendere l’attività imprenditoriale.

All’emanazione del divieto faceva come ovvio seguito una iniziativa processuale da parte della società contraente. Essa, infatti, ricorreva al Tribunale Amministrativo Regionale, competente per territorio. Innanzi ai giudici amministrativi di primo grado venivano rappresentati motivi diversi di ricorso afferenti a due ordini di ragioni che differivano in relazione al loro oggetto ed al loro fondamento.

Si trattava infatti di motivi attinenti all’ illegittimità del provedimento emesso dalla Unione dei Comuni, redatto ad avviso del difensore della ricorrente, in maniera difforme dalle prescrizioni normative, ai quali si accompagavano ragioni attinenti al danno cagionato alla società sicuramente presente nel caso di specie, e che avrebbero dovuto indurre il giudice ad emettere un provvedimento di condanna al suo risarcimento.

La condanna precisava la tesi difensiva, avrebbe dovuto estendersi anche ai danni di tipo morale.

Il procedimento dopo avere compiuto il proprio corso veniva deciso da parte dei giudici amministrativi di primo grado con il provvedimento qui in commento.

I giudici del Tribunale amministrativo ritenevano infondati i motivi dedotti dal difensore del ricorrente e rigettavano pertanto tutte le sue richieste. I provvedimenti che limitavano il diritto all’edificazione venivano ritenuti legittimi e conformi alla legislazione vigente, conseguendone pertanto anche l’infondatezza della richiesta risarcitoria presentata dalla società ricorrente priva del titolo necessario per potere essere accolta.

La società, pertanto, visto il rigetto delle sue richieste deciso da parte dei giudici di primo grado dava ulteriore impulso al procedimento appellando la sentenza emessa a seguito del giudizio di primo grado, innanzi al Consiglio di Stato. Rappresentava il difensore della società ai giudici amministrativi di secondo grado l’evidente difetto argomentativo del provvedimento emesso da parte dei loro colleghi di primo grado che avevano escluso la configurabilità della responsabilità dell’amministrazione senza considerare quanto previsto dalla normativa vigente ed in particolare quanto disposto dal comma 2 dell’art. 11 della legge 9 agosto 1990 n. 241.

Proseguiva infatti, la tesi difensiva come un accordo del tipo di quello concluso nel caso di specie trovava indiscutibile collocazione nell’ambito della categoria di quelli previsti dalla legge di cui sopra tanto da conseguirne l’applicazione delle disposizioni previste per la loro regolamentazione che prevedevano per tutti i sottoscrittori l’obbligo di agire secondo buona fede e correttezza la cui violazione configurava l’onere di risarcire i danni.

A nulla valeva, prosegue la tesi difensiva ribattere come nel caso concreto l’impossibilità per la società di potere svolgere l’attività prevista nel contratto traeva la propria origine da un fatto del tutto estraneo all’amministrazione contraente. La fonte di responsabilità dell’ente locale che aveva sottoscritto l’accordo traeva origine dall’omessa informazione all’altro contaente della possibilità di una modifica dell’assetto normativo del territorio che avrebbe potuto determinare la perdita come effettivamente verificatosi nel caso di specie, del diritto ottenuto con la conclusione dell’accordo. Si trattava, conclude la tesi difensiva di una condotta contrastante con i principi di buona fede e correttezza quindi di carattere illecito e come tale fonte di un obbligo risarcitorio per il soggetto che ne era stato l’autore.

Il procedimento dopo avere compiuto il proprio corso veniva deciso da parte dei giudici del Consiglio di Stato con il provvedimento qui in commento.

2. Il principio di diritto individuato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 5514/ 2024 e le sue fonti normative

La questione rappresentata e decisa da parte dei giudici del Consiglio di Stato presenta una notevole importanza e trova nella motivazione della sentenza di cui sopra l’enunciazione di uno specifico principio di diritto che forse, data l’autorevolezza dell’organo dal quale esso è promanato, servirà anche per la regolamentazione dei futuri casi simili e vicende analoghe .Esso è sintetizzabile nei seguenti termini: “qualora in capo ad un soggetto privato, a seguito della conclusione di un accordo con la pubblica amministrazione si ingeneri un legittimo affidamento sull’attribuzione di un futuro incarico in concreto mai delegato, l’amministrazione che abbia agito in violazione dei principi di buona fede e correzza previsti in materia contrattuale, sarà tenuta al risarcimento del danno nei limiti del solo interesse negativo.”

Il principio giuridico enunciato nella motivazione della sentenza qui in commento trova il proprio fondamento nella normativa che regolamenta gli accordi tra privati ed amministrazioni. Il legislatore, infatti, in esecuzione di un disegno, volto ad attribuire maggiore efficacia all’azione dell’amministrazione pubblica ha previsto, attraverso la legge 9 agosto 1990 n. 241 un nuovo strumento operativo. Infatti, antecedentemente all’entrata in vigore della predetta legge l’amministrazione pubblica regolava i propri rapporti con i soggetti ad essa esterni, tramite atti il cui contenuto veniva determinato in via unilaterale da parte del soggetto pubblico e che assumevano efficacia obbligatoria sulla base della sola volontà del loro emittente, tale assetto normativo tuttavia ha subito una modifica di non poco conto attraverso la legge 9 agosto 1990 n. 241.

Oggi, infatti, le modalità dell’azione dell’amministrazione hanno assunto un carattere diverso fondato su di una configurazione in un certo senso più democratica e che tiene in maggiore considerazione la posizione del soggetto privato che entra in contatto con la parte pubblica.

Il rapporto amministrazione pubblica potrà trovare infatti la propria regolamentazione in uno degli accordi previsti dall’art.11 della legge 241/1990. In questo caso la sua disciplina troverà la propria base in un vero e proprio accordo tra le parti, pertanto, secondo una modalità ben diversa rispetto a quella precedente basata invece su di una statuizione di tipo unilaterale.

Il rapporto che si configura in tale caso assumerà essenzialmente un carattere paritetico in quanto sara connotato da una posizione di tendenziale parità tra le parti. La normativa, tuttavia, nei casi in cui sia necessario garantire l’interesse collettivo perseguito da parte della pubblica amministrazione prevede una serie di disposizioni che pongono questa ultima in posizione di preminenza nei confronti della parte privata. In sintesi, pertanto gli accordi privati publiche amministrazioni troveranno la loro regolamentazione, pertanto, attraverso l’applicazione di disposizioni di tipo pubblicistico e privatistico.

L’applicazione di tale seconda categoria di norme è consentita oggi da una espressa previsione contenuta nel comma 2 dell’art. 11 della legge 9 agosto 1990 n. 241 che testualmente dispone:” Gli accordi di cui al presente articolo accordi sostitutivi od integrativi debbono essere stipulati a pena di nullità salvo che la legge disponga altrimenti. Ad essi si applicano ove non diversamente previsto i principi del Codice Civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili. Gli accordi di cui al presente articolo debbono essere motivati ai sensi dell’art. 3”. Tralasciando gli obblighi di motivazione e di forma scritta previsti dalla norma, che inquesta sede non interessano, poniamo la nostra attenzione invece sul richiamo al Codice Civile. Si tratta di un rinvio piuttosto ampio in quanto formulato in termini generali. Ad essere applicabili, infatti, non saranno le singole disposizioni bensì tutti i principi generali contenuti nel Codice Civile che regolamentano contratti ed obbligazioni. Tra di essi risultano, proprio perchè previsti in materia di obbligazioni e contratti, anche quelli di correttezza nell’adempimento di un’obbligazione e di buona fede nell’esecuzione del contratto. Tali disposizioni che assolvono nel disegno legislativo alla funzione di assicurare la reciproca lealtà tra le parti a seguito del richiamo normativo di cui sopra risultano a pieno titolo applicabili anche agli accordi tra p.a. e privati conclusi ai sensi dell’art 11 della legge n. 241/1990.

Pertanto, per tirare le fila del nostro discorso circa il principio di diritto enunciato dal Consiglio di Stato nella sentenza in commento è possibile sintetizzare come segue: “agli accordi tra pubblica amministrazione e privato si applicano i principi della correttezza e della buona fede. Nel caso, pertanto, di loro inosservanza l’amministrazione sarà tenuta al risarcimento dei danni conseguenti alla loro violazione”.

Il principio individuato da parte dei giudici del Consiglio di Stato si estende anche alla determinazione dell’entità del danno risarcibile. Dovranno essere infatti rimborsate tutte le spese sostenute a seguito del legittimo affidamento ingeneratosi a seguito della condotta della pubblica amministrazione alle quali dovrà aggiungersi anche il risarcimento del danno conseguente alla perdita di altre occasioni contrattuali.

3. L’applicazione del principio individuato nella sentenza 5514/2024 al caso di specie

Chiariti quali siano i principi posti dalla normativa in materia di accordi tra privato ed amministrazione, ai sensi dell’art. 11 della legge 9 agosto 1990 n. 241, passiamo ora alla loro applicazione al caso concreto. Il Consiglio di Stato nella motivazione del provvedimento qui in commento, compie una serie di osservazioni circa le modalità che contraddistinguono la condotta della parte di uno degli accordi di cui sopra. I giudici del Consiglio di Stato ritengono nel caso di specie l’amministrazione responsabile della violazione dei principi di correttezza e buona fede, come abbiamo visto, applicabili anche alle condotte conseguenti alla conclusione di uno accordo redatto ai sensi dell’art.11 della legge n.241/1990.

Ma vediamo come si giunge a tale conclusione nella motivazione del provvedimento qui in commento.

Nel caso concreto l’ente locale aveva concesso a titolo oneroso, un diritto ad un soggetto privato sulla base della pattuizione contenute in uno specifico accordo. Tale diritto era stato nei fatti reso impossibile dalla successiva modifica dell’assetto territoriale ove esso avrebbe dovuto essere esercitato. Nel caso di specie osservano i giudici del Consiglio di Stato si configurano tutti i presupposti affinche’ possa ritenersi configurabile la responsabilità dell’amministrazione.

La condotta di quest’ultima contrastava infatti con i dettami della normativa vigente ed era stata tale da ingenerare un legittimo affidamento in capo all’altro contraente.

Circa il primo di tali aspetti deve essere osservato come anche se è pur vero che il provvedimento che ha determinato il divieto di edificare era stato emesso da parte di un organo diverso e non era pertanto in alcun modo imputabile all’amministrazione convenuta nell’odierno giudizio la responsabilità dell’ente locale che aveva sottoscritto l’accordo non poteva comunque essere essclusa.

Non deve essere dimenticato infatti che l’Unione dei Comuni che aveva emesso il provvedimento che inibiva il diritto di potere edificare aveva esercitato il potere di regolamentazione dell’assetto del territorio sulla base di una delega in precedenza ottenuta da parte dell’ente che aveva sottoscritto l’accordo. Non solo ma la condotta dell’amministrazione si mostrava lesiva dei principi di buona fede e correttezza anche sotto l’ulteriore aspetto della mancata informazione al privato della possibilità di una modifica dell’assetto e del conseguente del diritto ad edificare.

Esaminata, pertanto nel suo complesso, il comportamento dell’amministrazione pare, pertanto, sicuramente lesiva dei principi di correttezza e buona fede così da potere essere considerata fonte di un obbligo di tipo risarcitorio, secondo quanto previsto dal comma 2 dell’art. 11 della legge 9 agosto 1990 n. 241.

La motivazione del provvedimento qui in commento prosegue l’esame della fattispecie anche in relazione al secondo dei presupposti necessari per la configurabilità della responsabilità della pubblica. Essa, infatti, potrà ritenersi presente nella sola ipotesi in cui la situazione concreta sia caratterizzata dalla presenza di un legittimo affidamento del privato, ovvero da una fondata aspettativa circa il futuro comportamento dell’amministrazione.

Nell caso di specie tale affidamento poteva essere sicuramente ritenuto presente. La situazione di fatto come abbiamo visto caratterizzata dalla conclusione di un accordo tra privato ed amministrazione ovvero di un atto di carattere comunque formale all’interno del quale era stato cristallizzato un impegno per la parte pubblica. La formazione di una aspettativa in capo al privato che aveva al pari dell’amministrazione sottoscritto l’accordo, era pertanto del tutto legittima e giustificata.

I presupposti per la responsabilità dell’amministrazione si configurano a pieno titolo nel caso concreto, passiamo ora all’esame delle loro conseguenze.

Come abbiamo ci si trova in presenza che può essere qualificata quale inadempimento, a tale fenomeno l’ordinamento fa conseguire una precisa conseguenza da un punto di vista giuridico. La parte inadempiente, infatti, ai sensi della legislazione vigente, sarà tenuta in ogni caso a risarcire tutti i danni cagionati e conseguenti alla sua condotta. L’obbligo come ovvio deriva da un’esigenza di generale equità che non consente di potere ritenere irrilevante da un punto di vista giuridico un danno conseguente ad una condotta illecita altrui.

Nel caso di specie la società che aveva concluso l’accordo con l’amministrazione aveva da un lato sostenuto una serie di costi quali le spese che si erano rese necessarie per retribuire i professionisti e per la presentazione delle istanze agli organi amministrativi. Tutte tali spese per le ragioni che poc’anzi abbiamo evidenziato dovranno essere rimborsate da parte della pubblica amministrazione. Tuttavia, proseguono i giudici amministrativi l’ammontare del risarcimento non è limitato solo a tali spese in quanto dovrà estendersi altresì ai danni conseguenti alla perdita di altre occasioni contrattuali. In altri termini, secondo quanto indicato dal Consiglio di Stato il risarcimento dovrà essere esteso anche a tutte le perdite derivanti dalla perdita di occassioni che avrebbero potuto essere fonte di profitto.

4. Considerazioni finali circa la sentenza n. 5514 del Consiglio di Stato

Il recente provvedimento del Consiglio di Stato presenta sicuramente alcuni aspetti d’ interesse che mi pare opportuno evidenziare. Siamo in presenza di una sentenza che verte nella dibattuta e discussa materia della responsabilità della pubblica amministrazione, nel corso delle procedure di contrattazione pubblica analizzandola, sotto l’aspetto particolare dell’ipotesi in cui sia stato concluso un precdente accordo di carattere scritto e di un provvedime che pone un principio favorevole al privato, sia pure entro certi limiti.

Nel caso, infatti, in cui nel corso di una procedura di contrattazione pubblica sia stato redatto un accordo che regolamente reciproci obblighi e diritti delle parti che lo abbiano sottoscritto dovranno essere in ogni caso osservati, nel corso della sua esecuzione, i principi di correttezza e buona fede. La violazione di tali principi determina un obbligo di tipo risarcitorio a carico dell’ammministrazione inottemperante. Sulla base di tale primo assunto è possibile ricavare la conclusione che con la sentenza qui in commento la posizione del privato che nel corso di una procedura di contrattazione pubblica sia entrato in contatto con l’amministrazione abbia trovato un certo miglioramento in quanto quest ‘ultimo potrà ottenere un risarcimento nel caso di violazione della sua buona fede. Tuttavia, il favore verso il privato è in un certo senso mitigato da una limitazione al principio della generale risarcibilità. Essa, infatti, non potrà avere corso nel caso in cui la condotta dell’amministrazione non sia stata tale da ingenerare un affidamento che possa comunque essere considerato come legittimo. I giudici del Consiglio di Stato hanno posto un limite derivante dai principi generali dell’ordinamento giuridico, non risponderebbe sicuramente ad una esigenza di equità considerare sempre risarcibile il danno che non trovi la propria ragione di essere in una condotta di carattere comunque grave e macroscopico posta in essere da parte della pubblica amministrazione. Tale esigenza di consentire il risarcimento del danno nei soli casi in cui esso paia effettivamente giustificato si manifesta anche per quel che riguarda l’aspetto dell’ammontare del danno risarcibile. I giudici del Consiglio di Stato infatti delimitano nel provvedimento qui in commento l’entità del danno risarcibile che non potrà in ogni caso superare certi limiti ed estendersi oltre certi eventi. In particolare, saranno risarcibili i soli costi coseguenti alle spese sostenute in occasione della procedura di contrattazione pubblica ad essi dovranno essere aggiunti quelli relativi alla perdita di occasioni. In sintesi, è possibile compiere una osservazione finale, anche se la sentenza qui in commento rafforza senza ombra di dubbio la posizione del privato durante le procedure di contrattazione pubblica ci si trova in presenza di un aumento dei suoi diritti che trova tuttavia ben precisi limiti.

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Questo articolo è stato scritto da...

Andrea Magagnoli
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