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( votes)Il controverso tema dell’accesso agli atti nelle gare pubbliche: interpretazione permissivistica vs. interpretazione restrittiva … con uno sguardo alla Direttiva (UE) 2016/943 dell’8 giugno 2016.
Premessa
Il tema dell’accesso agli atti di una procedura di gara è assai dibattuto in giurisprudenza e nella prassi: a fronte della tesi che consente il più ampio accesso – anche giustificandolo con esigenze difensive (e tenendo conto dei termini sincopati dell’art. 120, comma 2 bis c.p.a.) -, vi è anche il contrapposto orientamento, che privilegia le ragioni di tutela della riservatezza dei concorrenti (in particolare, di quello specifico know how aziendale che viene esplicitato, in particolare, nella predisposizione dell’offerta tecnica – pensiamo, emblematicamente, alle giustificazioni fornite dai concorrenti in merito ai “prodotti equivalenti” in un appalto di forniture).
L’art. 53 d.lgs. n. 50/2016 (il “Codice dei Contratti pubblici”), non risolve il contrasto e, rinviando agli artt. 22 e ss. L. n. 241/1990 (al 1° comma), si limita a “diluire”, nell’ambito delle diverse scansioni della procedura di gara – e della fase di esecuzione -, gli atti accessibili (vds. il 2° comma e seguenti), consentendo la effettiva secretazione solo di alcuni atti, qualificabili come “strumentali” o “interna corporis”.
Il dibattito, poi, si fa ancor più serrato sull’interpretazione del 6° comma, laddove esso consente “l’accesso al concorrente ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto”, anche per le “informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali” (di cui alla lett. a) del 5° comma).
Su quest’ultimo punto, infatti, la discrezionalità della stazione appaltante sembra fortemente limitata, sia sul piano soggettivo (nel senso che l’accesso può essere consentito ai soli “concorrenti”), sia su quello oggettivo (l’accesso, infatti, è ammesso “solo per motivi difensivi” e “solo nell’ambito della procedura di aggiudicazione”). Tuttavia, nella pratica, spesso l’accesso ai “segreti/informazioni tecnici e commerciali” costituisce uno strumento per accedere surrettiziamente al know how aziendali dei concorrenti – non tanto in vista dell’azione giudiziaria nell’ambito della procedura di aggiudicazione, ma sopratutto in vista di nuove gare -.
Proprio da questa considerazione si vuole partire, ipotizzando che la norma citata si trova (rectius, “si troverà”, vista la novità della novella) a doversi confrontare con la Direttiva (UE) 2016/943 dell’8 giugno 2016 sulla “Protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti” (cd. “Direttiva Trade Secrets”), la cui applicazione è obbligatoria dall’8 giugno 2018 e che è stata attuata con il d.lgs. n. 63/2018; tale norma, infatti, definisce in maniera assai ampia le “informazioni commerciali riservate” e ne rende obbligatoria la tutela, in particolare rispetto all’uso abusivo che potrebbero farne gli altri operatori del settore – senza indicare alcuna eccezione nell’ambito delle procedure di gara -, per giunta rafforzando le misure di segretezza anche nell’ambito delle azioni giudiziarie in cui tali “segreti commerciali” vengono tutelati.
La conclusione, quindi, sarà tratta dalla giurisprudenza – ma anche dalla prassi – chiamate al difficile compito di mantenere in equilibrio opposte esigenze: trasparenza e riservatezza – ciascuna delle quali sostenuta da un contesto normativo tanto impositivo, quanto ampio e di difficile applicazione in concreto.
Sia consentito, quindi, di avviare l’esposizione partendo dalla norma più recente – che ripropone ed enfatizza il contrasto interpretativo – e cercando, da qui, di fornire qualche strumento di analisi e guida, agli operatori del settore.
1. La Direttiva “Trade Secrets”
A questo punto, in vista dei futuri dibattiti giurisprudenziali, è opportuno verificare cosa intende la Direttiva Trade Secrets come “segreti commerciali”; nel fare ciò, è bene sottolineare che il d.lgs. n. 63/2018 – che l’ha recepita nell’ordinamento nazionale – ha parificato il “segreto commerciale” al “segreto industriale”, tutelato dal d.lgs. n. 30/2005.
Infatti, gli articoli 2 e 3 d.lgs. n. 63/2018 – rispettivamente – recitano: ”All’articolo 2, comma 4, del codice della proprietà industriale, le parole “le informazioni aziendali riservate” sono sostituite dalle seguenti: “i segreti commerciali”” e “La rubrica della Sezione VII del Capo II del codice della proprietà industriale è sostituita dalla seguente: “Segreti commerciali” … All’articolo 98 del codice della proprietà industriale, il comma 1 e’ sostituito dal seguente: “Costituiscono oggetto di tutela i segreti commerciali. Per segreti commerciali si intendono le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni: a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore; b) abbiano valore economico in quanto segrete; c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.”.
Come si può agevolmente notare, quindi, non solo vengono inseriti – nell’ambito del “segreto industriale” – anche i “segreti commerciali” (per usare l’ampio linguaggio della norma “le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore”), applicando agli stessi i meccanismi di tutela previsti dal d.lgs. n. 30/2005, ma – sopratutto – questi ultimi vengono definiti “segreti” proprio nei limiti in cui il titolare li intenda come tali, ovvero da sottrarre alla conoscibilità da parte dei concorrenti.
A questo punto, sembrerebbe che la stazione appaltante si trovi nell’impasse di dover consentire l’accesso alle “informazioni commerciali” – anche se secretate dal concorrente che ne è titolare -, ma al contempo debba dotarsi di strumenti (ma quali?) atti a far sì che tali “segreti commerciali” siano utilizzati esclusivamente nell’ambito di un giudizio afferente l’aggiudicazione dell’appalto per cui vengono forniti e richiesti e, sopratutto, che siano ostensi in modo tale da non pregiudicare le ragioni di segretezza del titolare (ad esempio, non forniscano “dati commerciali” – non solo “di prodotto” ma, si ritiene, anche di know how aziendale – tali da consentirne la replica/utilizzo da parte degli altri operatori del settore.
La strada più corretta e cautelativa che la stazione appaltante potrebbe intraprendere, in tal senso, sarebbe quella di negare l’accesso diretto alle “informazioni commerciali” secretate dal legittimo detentore (così facendo, quindi, depotenzierebbe l’art. 53, comma 6 D.Lgs. n. 50/2016), ma rendere comunque una informativa al richiedente, in cui essa Amministrazione (ponendo in trasparenza le motivazioni tecniche) esplicita le ragioni – anche tecnico-industriali, o pratiche – per le quali si è determinata ad effettuare l’aggiudicazione in quella determinata gara (così salvaguardando, nella sostanza, la ratio fatta propria dal Codice dei Contratti pubblici).
L’art. 4 d.lgs. n. 63/2018, infatti – invertendo, inequivocabilmente, il diritto di ostensione sancito dall’art. 53, 6° comma del Codice dei Contratti pubblici – dispone che: “All’articolo 99 del codice della proprietà industriale sono apportate le seguenti modificazioni: “ a) il comma 1 è sostituito dal seguente: “Ferma la disciplina della concorrenza sleale, il legittimo detentore dei segreti commerciali di cui all’articolo 98, ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di acquisire, rivelare a terzi od utilizzare, in modo abusivo, tali segreti, salvo il caso in cui essi siano stati conseguiti in modo indipendente dal terzo.”; … “b) dopo il comma 1 sono aggiunti i seguenti: “1-bis. L’acquisizione, l’utilizzazione o la rivelazione dei segreti commerciali di cui all’articolo 98 si considerano illecite anche quando il soggetto, al momento dell’acquisizione, dell’utilizzazione o della rivelazione, era a conoscenza o, secondo le circostanze, avrebbe dovuto essere a conoscenza del fatto che i segreti commerciali erano stati ottenuti direttamente o indirettamente da un terzo che li utilizzava o rivelava illecitamente ai sensi del comma 1.””.
Nell’ambito dei procedimenti giudiziari, poi, il successivo art. 5 D.Lgs. n. 63/2018 è ancor più incisivo nella tutela dei “segreti commerciali/industriali”, giacchè dispone: “Dopo l’articolo 121-bis del codice della proprieta’ industriale, è inserito il seguente: “Art. 121-ter (Tutela della riservatezza dei segreti commerciali nel corso dei procedimenti giudiziari). – Nei procedimenti giudiziari relativi all’acquisizione, all’utilizzazione o alla rivelazione illecite dei segreti commerciali di cui all’articolo 98, il giudice può vietare ai soggetti da lui nominati o delegati, alle parti e ai loro rappresentanti e consulenti, ai difensori, al personale amministrativo, ai testimoni, e agli altri soggetti che a qualunque titolo hanno accesso ai provvedimenti, agli atti e ai documenti presenti nel fascicolo d’ufficio, l’utilizzo o la rivelazione dei segreti commerciali oggetto del procedimento che ritenga riservati. Il provvedimento di divieto di cui al primo periodo è pronunciato su istanza di parte e mantiene efficacia anche successivamente alla conclusione del procedimento nel corso del quale è stato emesso. …Il provvedimento di cui al comma 1 perde la sua efficacia: a) se con sentenza, passata in giudicato, è accertato che i segreti commerciali oggetto di causa erano privi dei requisiti di cui all’articolo 98; b) se i segreti commerciali diventano generalmente noti o facilmente accessibili agli esperti e agli operatori del settore. … Nei procedimenti giudiziari di cui al comma 1 il giudice, su istanza di parte, può adottare i provvedimenti che, nel rispetto dei principi regolatori del giusto processo, appaiano più idonei a tutelare la riservatezza dei segreti commerciali oggetto di causa …”.
Leggendo la norma, si potrebbe paradossalmente ipotizzare che il titolare del “segreto commerciale” debba proteggersi in sede giurisdizionale – chiedendo anche l’oscuramento degli atti al pubblico -, ove risultasse perdente nell’ambito della procedura di accesso avviata da un concorrente presso la stazione appaltante; il che, ovviamente, frustrerebbe sia il principio di “buon andamento” cui è tenuta l’Amministrazione, quello di “massima partecipazione”alle gare pubbliche, di provenienza comunitaria.
Del resto, la norma nazionale attuativa della Direttiva Trade Secrets non si discosta dai principi e disposizioni contenuti nella Direttiva stessa – alla quale, pertanto, risponde fedelmente -.
Quanto all’ampiezza della definizione del concetto di “segreti commerciali”, l’art. 2 della Direttiva (UE) n. 943/2016 chiarisce: “Ai fini della presente direttiva si intende per: 1) “segreto commerciale”, informazioni che soddisfano tutti i seguenti requisiti: a) sono segrete nel senso che non sono, nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi, generalmente note o facilmente accessibili a persone che normalmente si occupano del tipo di informazioni in questione; b) hanno valore commerciale in quanto segrete; c) sono state sottoposte a misure ragionevoli, secondo le circostanze, da parte della persona al cui legittimo controllo sono soggette, a mantenerle segrete;”. Inoltre, per “merci costituenti violazione”, l’accezione è altrettanto ampia e comprende “le merci di cui la progettazione, le caratteristiche, la funzione, la produzione o la commercializzazione beneficiano in maniera significativa di segreti commerciali acquisiti, utilizzati o divulgati illecitamente.”
Per ciò che concerne, poi, l’aspetto soggettivo, per “detentore del segreto commerciale” si intende “qualsiasi persona fisica o giuridica che controlla legittimamente un segreto commerciale”; e per “autore della violazione”, “qualsiasi persona fisica o giuridica che ha illecitamente acquisito, utilizzato o divulgato un segreto commerciale; “.
Con riguardo alla “acquisizione, utilizzo e divulgazione leciti dei segreti commerciali”, il successivo art. 3 dispone: “l’acquisizione di un segreto commerciale è considerata lecita qualora il segreto commerciale sia ottenuto con una delle seguenti modalità: a) scoperta o creazione indipendente; b) osservazione, studio, smontaggio o prova di un prodotto o di un oggetto messo a disposizione del pubblico o lecitamente in possesso del soggetto che acquisisce le informazioni, il quale è libero da qualsiasi obbligo giuridicamente valido di imporre restrizioni all’acquisizione del segreto commerciale; c) esercizio del diritto all’informazione e alla consultazione da parte di lavoratori o rappresentanti dei lavoratori, in conformità del diritto e delle prassi dell’Unione e nazionali; d) qualsiasi altra pratica che, secondo le circostanze, è conforme a leali pratiche commerciali. … L’acquisizione, l’utilizzo o la divulgazione di un segreto commerciale sono da considerarsi leciti nella misura in cui siano richiesti o autorizzati dal diritto dell’Unione o dal diritto nazionale.”
E ancora, l’art. 4, in materia di “acquisizione, utilizzo e divulgazione illeciti dei segreti commerciali”, prevede: “Gli Stati membri garantiscono che i detentori del segreto commerciale siano legittimati a chiedere l’applicazione delle misure, delle procedure e degli strumenti di tutela di cui alla presente direttiva al fine di prevenire l’acquisizione, l’utilizzo o la divulgazione illeciti del loro segreto commerciale ovvero ottenere un risarcimento per tale acquisizione, utilizzo o divulgazione. … L’acquisizione di un segreto commerciale senza il consenso del detentore è da considerarsi illecita qualora compiuta in uno dei seguenti modi: a) con l’accesso non autorizzato, l’appropriazione o la copia non autorizzate di documenti, oggetti, materiali, sostanze o file elettronici sottoposti al lecito controllo del detentore del segreto commerciale, che contengono il segreto commerciale o dai quali il segreto commerciale può essere desunto; b) con qualsiasi altra condotta che, secondo le circostanze, è considerata contraria a leali pratiche commerciali. … L’utilizzo o la divulgazione di un segreto commerciale sono da considerarsi illeciti se posti in essere senza il consenso del detentore del segreto commerciale da una persona che soddisfa una delle seguenti condizioni: a) ha acquisito il segreto commerciale illecitamente; b) viola un accordo di riservatezza o qualsiasi altro obbligo di non divulgare il segreto commerciale; c) viola un obbligo contrattuale o di altra natura che impone limiti all’utilizzo del segreto commerciale. … L’acquisizione, l’utilizzo o la divulgazione di un segreto commerciale si considerano altresì illeciti qualora un soggetto, al momento dell’acquisizione, dell’utilizzo o della divulgazione, fosse a conoscenza o, secondo le circostanze, avrebbe dovuto essere a conoscenza del fatto che il segreto commerciale era stato ottenuto direttamente o indirettamente da un terzo che illecitamente lo utilizzava o lo divulgava ai sensi del paragrafo 3…”.
Infine, quanto ai principi ispiratori della Direttiva, i “considerando” dal 24 al 28 ripropongono una tutela puntuale delle ragioni di segretezza – anche nell’ambito di un procedimento giurisdizionale (quindi, in aperto contrasto con l’art. 53, comma 6 d.lgs. n. 50/2016), lasciando all’impresa titolare delle stesse la scelta di quali siano le informazioni da secretare – e, per converso, ben poca libertà alla stazione appaltante di renderle pubbliche a terzi -.
Per di più, i “considerando” 29 e 30 si preoccupano proprio della possibilità che il timore della divulgazione dei “segreti commerciali” possa distogliere le imprese dal mercato (soprattutto quello dei contratti pubblici, ove – appunto – esiste una norma che obbliga all’ostensione) e, pertanto, auspicano la predisposizione di correttivi di natura “risarcitoria”; come si è già visto, tale istanza viene “tradotta” dal legislatore nazionale anche con un rafforzamento delle misure inibitorie.
2. Il confronto fra il permissivismo dell’A.N.A.C. (Delibera n. 608 del 27 giugno 2018 – 9 luglio 2018) e l’interpretazione restrittiva (vds. la sentenza del TAR Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 18 luglio 2018 n. 197)
Per meglio identificare il panorama giuridico attuale, nel quale si innesteranno le problematiche scaturite dall’applicazione della Direttiva Trade Secrets, si è scelto di porre a confronto due opposte – e recenti – interpretazioni.
Entrambe hanno il pregio di affrontare un altro tema spinoso: quello dell’applicazione dello strumento dell’”accesso generalizzato” alla disciplina dei contratti pubblici.
Come noto, l’”accesso generalizzato”- introdotto dall’art. 5 d.lgs. n. 33/2013 (come poi modificato, per effetto del cd. “F.O.I.A.”, il D.Lgs. n. 97/2016) -, ha ampliato le ipotesi di accesso già disciplinate dagli articoli 22 e ss. L. n. 241/1990.
Sulla corretta applicazione di tale istituto (e, soprattutto, sui limiti al diritto di accesso) si era già pronunciata, tra gli altri, anche l’A.N.A.C., con la Determinazione n. 1309 del 28 dicembre 2016 (pubblicata sulla G.U. n. 7 del 10 gennaio 2017), recante le “indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico”; l’Autorità, in quel caso, enfatizzava la ratio della norma, traendo la conseguenza di limitare le ipotesi di diniego di accesso (valorizzando solo le concrete, e comprovabili, esigenze di secretazione) e preludendo all’applicazione “estensiva” dell’art. 53 – incluso il 6° comma, sinora “baluardo” dei sostenitori del diritto di riservatezza e secretazione dei “segreti commerciali” -.
Con la Delibera n. 608 del 27 giugno – 9 luglio 2018, l’A.N.A.C. ribadisce “l’illegittimità da parte di una stazione appaltante del diniego di accesso agli atti di gara di un concorrente”.
Nel caso di specie, la stazione appaltante (Abbanoa S.p.A.) aveva negato l’accesso agli atti di gara – in particolare, alle offerte tecniche ed economiche dei concorrenti – ad una impresa che si era classificata al secondo posto nella graduatoria di gara.
Abbanoa S.p.A., in particolare, con propria memoria dell’8 maggio 2018, comunicava all’Autorità di aver negato l’accesso poichè: “la società risultata aggiudicataria della gara ha opposto il diniego all’accesso integrale ai “documenti progettuali inerenti l’offerta tecnica e la documentazione contenente dati sensibili riconducibili all’attività del nostro Ente”, motivando con ragioni di “tutela di elaborati di natura intellettuale patrimonio esclusivo e strategico della società”. A fronte di ciò, l’amministrazione ha effettuato un’attenta verifica di entrambe le posizioni – quella della società istante e quella della controinteressata – comunicando finalmente al richiedente che l’accesso sarebbe stato consentito per tutta la restante documentazione, con esclusione dei documenti per i quali era stata presentata opposizione”.
Tale giustificazione, tuttavia, non è condivisa dall’A.N.A.C., la quale ritiene illegittimo il diniego opposto dalla stazione appaltante, sulla base dell’interpretazione estensiva dell’art. 53 del Codice dei Contratti pubblici – superando anche la circostanza (pur richiesta dall’art. 53, 6° comma d.lgs. n. 50/2016) che l’istante non avesse esplicitato le ragioni di difesa in sede giurisdizionale a sostegno dell’istanza di accesso anche alle parti secretate delle offerte dei concorrenti -.
Secondo l’Autorità, infatti ”l’art. 53 del d.lgs. 50/2016 – dopo aver previsto che il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e segg. della legge 241/1990 – sancisce che “il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione sono esclusi in relazione: a) alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali”. Tuttavia, anche in relazione a tale ipotesi, la norma consente l’accesso al concorrente ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto;”.
Inoltre, con particolare riguardo alle parti secretate delle offerte “la giurisprudenza formatasi sul previgente art. 13 del d. lgs. 163/2006 (le cui acquisizioni sono utilizzabili anche nell’attuale quadro normativo) ha ritenuto che la tutela del segreto tecnico o commerciale non può essere, per la prima volta, evidenziata in sede di opposizione all’istanza di accesso, dovendo essere tale indicazione oggetto di esplicita dichiarazione resa in sede di offerta e che compete all’amministrazione aggiudicataria, in sede di valutazione dell’istanza di accesso pervenuta, valutare, sulla base della dichiarazione in precedenza resa dall’offerente, se l’inerenza del documento al segreto tecnico o commerciale si fondi su una “motivata e comprovata dichiarazione” (TAR Bari Sez. III, 26 giugno 2017, n. 741). In altri termini, l’impresa partecipante all’appalto, al fine di escludere l’esercizio del diritto di accesso anche “difensivo”, ha il preciso onere di esplicitare, in concreto e non mediante il ricorso a clausole di mero stile o a formulazioni generiche, le ragioni per le quali l’eventuale conoscenza delle informazioni tecniche contenute nei documenti richiesti possa arrecare nocumento alla stessa;”.
L’A.N.A.C., dunque, citando il proprio precedente dato dalla Delibera n. 395/2017 ed enfatizzando le possibili motivazioni di tutela in sede giurisdizionale dell’impresa istante (che non ne aveva fatto menzione nell’istanza di accesso), ricorda che essa Autorithy “ha reputato legittimo il diniego alla richiesta di ostensione della documentazione tecnica nel caso in cui l’operatore economico aggiudicatario ha ritualmente negato l’accesso agli atti e l’istante non dimostri l’effettiva utilità di tale documentazione rispetto all’indizione di uno specifico giudizio … Peraltro, quando il soggetto richiedente è collocato al secondo posto in graduatoria, per giurisprudenza consolidata egli riveste una posizione particolarmente qualificata nell’ambito della procedura di gara, nel senso che il diritto di accesso dal medesimo esercitato si configura come strumentale ad un’eventuale azione giudiziaria, così da dover essere in ogni caso assentito (TAR Lombardia – Milano, Sez. III, 15 gennaio 2013, n. 116). L’interesse al ricorso deve ritenersi infatti in ogni caso sussistente: a) perché il concorrente è leso in via diretta ed attuale dall’aggiudicazione in favore dell’altro concorrente; b) perché un interesse, anche solo potenziale, sicuramente sussiste, sia quale interesse “finale” al conseguimento dell’appalto, sia – in via alternativa (e normalmente subordinata) – quale interesse “strumentale” alla caducazione dell’intera gara e alla sua riedizione (Cons. Stato, sez. VI, 18 gennaio 2018, n. 293)”.
Nel caso di specie, “sebbene l’istante non abbia esplicitamente dichiarato la volontà di agire in giudizio a tutela dei propri interessi, non si possa prescindere dalla considerazione della sua posizione qualificata di secondo graduato, a fronte della quale il diniego dell’accesso all’offerta tecnica dell’aggiudicatario non appare giustificato, data anche la natura e l’oggetto del contratto, posto che l’opposizione manifestata dal concorrente controinteressato non ha fatto riferimento né tanto meno ha dimostrato la sussistenza di alcun segreto tecnico e/o commerciale, limitandosi a richiamare non meglio specificati “dati sensibili” riferiti a elaborati di natura intellettuale”.
In tale procedere, dunque, si nota una posizione paradigmatica – a favore dell’accesso (anche in ipotesi border line) nell’ambito delle gare pubbliche e che sconta l’influenza della novella recata dal F.O.I.A. – che dovrà necessariamente trovare un’armonizzazione con i principi e disposizioni della Direttiva Trade Secrets – in particolare, laddove quest’ultima (e, con essa, la legge nazionale di attuazione) inverte le posizioni delle parti, attribuendo ampio potere al titolare dei “segreti commerciali” di negare l’ostensione, senza eccezioni per i contratti pubblici e per ragioni di difesa in sede giurisdizionale -.
Su un piano opposto – quindi, a favore della tutela della riservatezza dei segreti commerciali dei concorrenti – si colloca, invece, la sentenza del TAR Emilia Romagna, Sezione di Parma, n. 197 del 18 luglio 2018.
Anche nel caso esaminato dal TAR (così come per quello deciso dall’A.N.A.C.), l’impresa richiedente non ha evidenziato alcun “rapporto di vicinanza con il bene richiesto”, così qualificando la propria richiesta come “accesso civico generalizzato” di cui all’art. 5, comma 2 d.lgs. n. 33/2013, da parte di un operatore del settore, “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”. Per la precisione, l’impresa richiedente, pur essendo inizialmente una “concorrente”, era stata successivamente esclusa dalla gara.
A questo punto, il TAR affronta direttamente il tema della possibile applicazione dell’istituto dell’accesso civico alla documentazione relativa alle gare pubbliche (nel caso di specie, l’appalto per il servizio di riparazione di automezzi di una ASL).
Osserva il TAR – in relazione alla ratio dell’istituto – che “… si tratta dunque di una forma di accesso civico che non ha forme di limitazioni soggettive e che ha un oggetto molto esteso (potenzialmente illimitato), con un rovesciamento completo del tradizionale rapporto tra cittadino e amministrazione, in quanto tutta la documentazione detenuta dalla p.a. è adesso accessibile, qualora non ricorrano le seguenti, tassative circostanze: … pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati: a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; b) la libertà e la segretezza della corrispondenza; c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali; … casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti …”.
Nel caso specifico, poi “la documentazione richiesta dal ricorrente concerne: – per una parte, i documenti di una gara di appalto già espletata e dalla quale lo stesso ricorrente è stato escluso; – per la restante parte, una serie di dati inerenti ad aspetti relativi all’esecuzione del rapporto contrattuale scaturito da tale gara (rapporto anch’esso allo stato esaurito).”.
Di conseguenza, “i dati, gli atti e le informazioni richiesti possono pertanto essere totalmente ricompresi nel concetto più generale di “atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici”, di cui all’art. 53, comma 1 D.Lgs. n. 50/2016. L’articolo reca una particolare disciplina per l’accesso agli atti afferenti alle procedure ad evidenza pubblica finalizzate alla stipulazione di appalti o concessioni di servizi. Nell’ambito di tale specifica e particolare disciplina, la prima regola stabilita è che, salvo quanto espressamente previsto nello stesso codice dei contratti pubblici, “il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241”. In sostanza, dunque, l’art. 53, comma 1 d.lgs. n. 50 del 2016 riconduce espressamente la disciplina applicabile per tutti i documenti (di gara e di esecuzione del contratto) richiesti … fatte salve le eccezioni contenute nello stesso testo normativo di riferimento, alla disciplina ordinaria in materia di accesso..
“A sua volta” – ricorda il TAR – “il comma 3 dell’art. 5 bis del D.Lgs. n. 33 del 2013 statuisce che “il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1 della legge n. 241 del 1990”. Si tratta dei cosiddetti casi di “esclusione assoluta”, nei quali cioè l’amministrazione che detiene i documenti richiesti non conserva alcuna possibilità di comparazione discrezionale degli interessi coinvolti.”.
A questo punto, il contrasto normativo emerge nei seguenti termini: “Occorre dunque stabilire se la speciale disciplina contenuta nell’art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016 (ivi ricompreso l’espresso richiamo all’applicabilità delle regole in materia di diritto di accesso ordinario) debba considerarsi come un caso di esclusione della disciplina dell’accesso civico ai sensi del comma 3 dell’art. 5-bis su richiamato. Il TAR ha dato risposta affermativa al quesito – negando di conseguenza la possibilità utilizzo dell’accesso civico generalizzato da parte del concorrente escluso – sulla base di un duplice rilievo, testuale e interpretativo.”.
Secondo il TAR – diversamente dal ragionamento dell’A.N.A.C. -, occorre valutare gli opposti interessi che condizionano la soluzione del caso specifico e, pertanto, il Tribunale di merito analizza sia il quadro normativo, che la ratio delle norme stesse, per giungere alla conclusione che l’istituto dell’accesso civico (e generalizzato) non è applicabile ai contratti pubblici – ed anzi, l’accesso alle parti secretate delle offerte è ammesso soltanto in presenza delle tassative ipotesi previste dalla legge – se ed in quanto rese esplicite nell’istanza di accesso -.
Infatti, valutando la lettera della norma, emerge che: “Da un punto di vista letterale, il comma 3 dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013 è cristallino nello stabilire che il diritto di accesso civico generalizzato “è escluso” nei casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti. Sotto questo specifico profilo, è altresì pacifico che l’accesso agli atti delle procedure ad evidenza pubblica sia soggetto al rispetto di particolari condizioni e limiti. Invero, l’art. 53 del d.lgs. n. 50 del 2016, richiamando in toto la normativa contenuta nel codice dei contratti pubblici previgente, detta espressamente una disciplina sull’accesso in parte derogatoria rispetto alle ordinarie regole. In tale disciplina speciale deve essere ricompresa anche la premessa, secondo cui il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241. Vi è dunque una precisa norma di legge che rimanda espressamente – derogandola parzialmente – alla disciplina dell’accesso ordinario. E se è vero che alla data dell’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici l’accesso pubblico generalizzato per gli atti non soggetti a pubblicazione obbligatoria non era stato ancora introdotto, è altrettanto vero che è lo stesso legislatore del 2016 a considerare e regolamentare l’ipotesi di discipline sottratte per voluntas legis, anche se precedente all’introduzione del nuovo istituto, alla possibilità di accesso generalizzato.”.
Sotto il profilo della ratio juris – e seguendo l’esigenza di armonizzare le opposte ragioni delle parti, nell’ambito del quadro normativo complessivo – “sotto un profilo più squisitamente interpretativo e giustificativo della ratio di esclusione degli atti delle procedure di affidamento ed esecuzione di contratti pubblici alle più ampie modalità di accesso previste dal d.lgs. n. 33 del 2013, occorre considerare che tali atti sono formati e depositati all’interno di una disciplina del tutto speciale e a sé stante. Si tratta di un complesso normativo chiuso, in quanto espressione di precise direttive europee volte alla massima tutela del principio di concorrenza e trasparenza negli affidamenti pubblici, che dunque attrae a sé anche la regolamentazione dell’accesso agli atti connessi alle specifiche procedure espletate. In altri termini, risulta del tutto giustificata una scelta del legislatore volta a sottrarre anche solo implicitamente (ma, si è visto, si uniscono a tale interpretazione anche forti argomenti di natura testuale) una possibilità indiscriminata di accesso alla documentazione di gara e post-gara da parte di soggetti non qualificati.
Invero, si tratta pur sempre di documentazione che, da un lato, subisce un forte e penetrante controllo pubblicistico da parte di soggetti istituzionalmente preposti alla specifica vigilanza di settore (ANAC), e, dall’altro, coinvolge interessi privati di natura economica e imprenditoriale di per sé sensibili (e quindi astrattamente riconducibili alla causa di esclusione di cui al comma 2, lett. c), dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013), specie quando tali interessi, dopo l’aggiudicazione, vanno a porsi su di un piano pari ordinato – assumendo la connotazione di veri e propri diritti soggettivi – rispetto a quelli della stazione committente.”.
Dunque, sia sotto il profilo letterale, sia valorizzando le esigenze di armonizzazione del quadro normativo, si può dedurre che tutto il corpus normativo sull’accesso agli atti, di cui all’art. 53 del Codice dei Contratti pubblici costituisca una eccezione rispetto alla generale disciplina dell’accesso civico.
Forse, percorrendo questa strada interpretativa – basata su analisi letterale e della ratio – e bilanciando gli opposti interessi sulla base delle concrete esigenze esplicitate dalle parti, si potrà trovare anche l’equilibrio giurisprudenziale e di prassi che consentirà di affrontare le nuove problematiche che si affacceranno nel panorama giuridico, portate dalla Direttiva Trade Secrets.