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Premesse: sulla nozione di subappalto

Dal punto di vista normativo, l’unica definizione rintracciabile di subappalto è la scarna indicazione fornita dall’art. 105, co. 2 del d.lgs. 50/2016 (nel prosieguo “Codice dei Contratti”), a mente della quale viene precisato che “(i)l subappalto è il contratto con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto”.

Nel settore degli appalti pubblici, viene quindi in rilievo il titolo derivativo del contratto di subappalto, essendo lo stesso precipuamente connotato dalla medesima causa dell’affidamento principale.

Di recente, la giurisprudenza amministrativa ha ribadito il granitico orientamento per il quale, attesa la funzione economico sociale del contratto di subappalto, lo stesso debba essere ricondotto, dal punto di vista sistematico, nell’alveo civil-codicisto del contratto di appalto, come disciplinato dall’art. 1655, secondo cui “L’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro.”

Il Consiglio di Stato[1] ha, infatti, chiarito che (c)on il subappalto di cui all’art. 105 comma 2, del D. Lgs. 18.4.2016 n. 50 (sulla scia della fattispecie di cui all’art. 1676 e segg. c.c.), l’appaltatore trasferisce a terzi l’esecuzione direttamente a favore della stazione appaltante di una parte delle prestazioni negoziali, configurando così un vero e proprio contratto – derivato di carattere trilaterale; al contrario, il contratto di subfornitura è una forma non paritetica di cooperazione imprenditoriale nella quale il ruolo del subfornitore (es. componentistica di beni complessi) si palesa solo sul piano interno del rapporto commerciale e di mercato tre le due imprese. In altri termini, mentre il subappaltatore assume di eseguire in tutto o in parte una prestazione dell’appaltatore (art. 1655 e ss. c.c.) a diretto beneficio del committente, il subfornitore si impegna a porre nella disponibilità dell’appaltatore un certo bene da inserire nella produzione dell’appaltatore, per cui il relativo rapporto rileva esclusivamente sotto il profilo privatistico dei rapporti bilaterali di carattere commerciale fra le aziende”.

Per subappalto non può intendersi ogni esecuzione non in proprio di servizi o opere appaltate, essendo necessario che sia demandata ad un soggetto terzo, economicamente e giuridicamente distinto dall’appaltatore, l’esecuzione totale o parziale dell’opera o del servizio appaltato, con organizzazione di mezzi e rischio a carico del subappaltatore (art. 1655 c.c.).

Si rintracciano, poi, svariate pronunce pretorie emesse dai TAR di medesimo tenore, secondo le quali[2], “pur nel riconoscimento della peculiarità del subappalto nell’ambito dei contratti pubblici, per subappalto non può intendersi ogni esecuzione non in proprio di servizi o opere appaltate, essendo necessario che sia demandata ad un soggetto terzo, economicamente e giuridicamente distinto dall’appaltatore, l’esecuzione totale o parziale dell’opera o del servizio appaltato, con organizzazione di mezzi e rischio a carico del subappaltatore (art. 1655 c.c.). Nel caso in cui, infatti, un soggetto agisca quale mero esecutore materiale (o come mero collaboratore nell’esecuzione) di un’opera o di un servizio, in favore dell’appaltatore, in assenza di profili autonomia, il subappalto non può configurarsi (Tar Lazio Roma 6.2.2014 n.1449, peraltro resa proprio a favore dell’odierna ricorrente)”.

L’ANAC ha, inoltre, precisato sul punto che “il subappalto rappresenta una modalità di esecuzione delle prestazioni da parte di un soggetto già in possesso, al momento della presentazione dell’offerta in gara, dei requisiti di partecipazione, il quale in sede di esecuzione le affida, in parte, ad un soggetto terzo che le espleterà”[3].

Con il contratto di subappalto, dunque, l’appaltatore conferisce a sua volta ad un terzo (cd. subappaltatore) l’incarico di eseguire in tutto od in parte i lavori o i servizi che egli si è impegnato ad eseguire sulla base del contratto di appalto principale. Il contratto di subappalto è quindi un contratto derivato dal contratto di appalto caratterizzato dal fatto di avere analogo contenuto e lo stesso tipo di causa del contratto principale.

Il subappaltatore, a sua volta, sottolinea sempre l’ANAC, “assume nei confronti dell’appaltatore l’obbligazione di eseguire a proprio rischio parte dei lavori, organizzando anch’egli manodopera, mezzi d’opera e fornendo i materiali necessari. L’essenza del subappalto è, quindi, la terzietà del subappaltatore rispetto all’appaltatore. Il subappaltatore, infatti, esegue la parte dell’opera servendosi della propria organizzazione d’impresa, in posizione d’indipendenza e   autonomia   rispetto   all’appaltatore di cui non condivide l’organizzazione[4].

1. Sul concetto di terzieta’

Ricostruito l’istituto, nei termini generali, appare utile, quindi, indagare circa la corretta identificazione della nozione di “soggetto terzo” conferitario di contratto di subappalto, in quanto ente economicamente e giuridicamente distinto dall’appaltatore e, in particolare, se un soggetto facente parte della compagine associativa di una società possa esse qualificato come tale ovvero debba considerarsi alla stregua di un interna corporis.

Su tale specifica fattispecie, l’ANAC ha avuto modo di interrogarsi più volte.

L’Autorità, con proprio Parere AG-31/09 del 5 novembre 2009, muovendo da quanto previsto dal previgente art. 118, comma 8 del d.lgs. 163/06 (disciplina oggi integralmente trasposta nell’art.105, co. 18[5] del Codice dei Contratti), ha chiarito che la citata normativa sembra dimostrare l’applicabilità della disciplina in materia di subappalto alle imprese controllate o collegate, ritenute dal legislatore quali distinte realtà giuridiche, ancorché unite sotto il profilo economico e funzionale.

Ai dell’art. 2359 del cod. civ. rubricato “Società controllate e società collegate”, “(s)ono considerate società controllate:

1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;

2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;

3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

Ai fini dell’applicazione dei nn. 1 e 2 del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta; non si computano i voti spettanti per conto di terzi.

Sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa.”

L’Autorità, alla luce della citata disciplina, sottolinea che costituisce subappalto qualunque tipo di contratto che intercorre tra l’appaltatore ed un terzo, in virtù del quale talune delle prestazioni dedotte in contratto non sono eseguite in proprio dall’appaltatore, bensì ricorrendo a soggetti giuridici distinti. Tra questi ultimi rientrano anche le imprese in situazioni di controllo o collegamento ex art. 2359 c.c. con l’appaltatore principale.

Anche la Cassazione, peraltro, ha chiarito che il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società di un medesimo gruppo non comporta il venir meno della autonomia delle singole società dotate di personalità giuridica distinta (Cass. Civ., Sez. II, 24 marzo 1998, n. 3091).

L’Autorità, nel succitato parere AG-31/09 del 5 novembre 2009, ha quindi indicato che “l’autonomia delle imprese operanti in gruppo, […] consente di ritenere pienamente  operante, nelle descritte situazioni e, dunque, anche nell’ipotesi del gruppo  di imprese, la disciplina del subappalto di cui all’art. 118 del Codice (ndr. oggi art. 105 del Codice dei Contratti), trattandosi di subaffidamento ad operatori dotati di propria giuridica individualità”.

L’autonomia delle imprese operanti in gruppo, […] consente di ritenere pienamente  operante, nelle descritte situazioni e, dunque, anche nell’ipotesi del gruppo di imprese, la disciplina del subappalto di cui all’art. 118 del Codice (ndr. oggi art. 105 del Codice dei Contratti), trattandosi  di subaffidamento ad operatori dotati di propria giuridica individualità.

Tale impostazione, risulta essere stata confermata più di recente dalla stessa ANAC, avendo la stessa ribadito che “si richiama il precedente parere AG-31/09 che ha chiarito che l’autonomia delle imprese operanti in gruppo implica, da un lato, l’obbligo della stazione appaltante di procedere alla valutazione caso per caso delle posizioni dei concorrenti in situazioni di controllo o di collegamento al fine di accertare l’eventuale imputabilità ad un unico centro decisionale delle offerte (art. 38, comma 1, lett. m-quater, e comma 2, d.lgs. 163/2006), dall’altro lato consente di ritenere pienamente operante, anche nell’ipotesi di gruppo di imprese, la disciplina del subappalto”[6].

Pertanto, anche nell’ipotesi del gruppo di imprese, trova applicazione la disciplina del subappalto all’art. 105 del Codice dei Contratti, trattandosi di subaffidamento ad operatori dotati di propria giuridica individualità, atteso che il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società di un medesimo gruppo non comporta il venir meno della autonomia delle singole società dotate di personalità giuridica distinta.

2. Alcune fattispecie che non rientrano nella nozione di subappalto

Il co. 3 dell’art. 105 del Codice dei Contratti, stabilisce espressamente che: “Le seguenti categorie di forniture o servizi, per le loro specificità, non si configurano come attività affidate in subappalto:

a) l’affidamento di attività specifiche a lavoratori autonomi, per le quali occorre effettuare comunicazione alla stazione appaltante;

[…]

c-bis) le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell’appalto. I relativi contratti sono depositati alla stazione appaltante prima o contestualmente alla sottoscrizione del contratto di appalto”.

Pertanto, il legislatore ha inteso estromettere expressis verbis dal genus di subappalto talune categoria di contratti, rispetto ai quali non trova, pertanto, applicazione la relativa normativa in tema di limitazioni quantitative, qualificazione e autorizzazione.

2.1 L’affidamento di attività specifiche a lavoratori autonomi

Con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 105, co. 3 lett. a), in via preliminare occorre ricordare che, il lavoro autonomo è disciplinato dall’art. 2222 e s ss. del Codice Civile, secondi cui “Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV”.

Invero, sia il contratto di lavoro autonomo sia quello d’appalto sono caratterizzati dal fatto che il debitore si obbliga a realizzare un’opera verso un corrispettivo, senza un vincolo di subordinazione nei confronti del committente ed assumendosi il rischio del risultato finale. La differenza risiede nel fatto che nel caso di lavoro autonomo il debitore realizza l’opera con l’impiego di lavoro prevalentemente proprio, mentre nel caso di appalto il debitore, ovvero l’imprenditore, organizza il lavoro altrui attraverso una propria organizzazione imprenditoriale.

Secondo quanto prescrive la norma del Codice dei Contratti, qualora, al lavoratore autonomo siano affidate “attività specifiche”, l’affidamento non si configura come subappalto ai sensi del co. 3 dell’art. 105 del Codice dei Contratti. 

Secondo un consolidato orientamento dell’ANAC, che richiama una decisione del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato 4 giugno 2006, n. 2943), per attività specifica, ovvero attività particolari estrapolate da una più ampia categoria di attività, debbono intendersi le prestazioni d’opera intellettuali, quali consulenze professionali (ANAC, Parere 27 settembre 2012, AG 16/2012). 

Per attività specifica, ovvero attività particolari estrapolate da una più ampia categoria di attività, debbono intendersi le prestazioni d’opera intellettuali, quali consulenze professionali

Ciò premesso, continua l’Autorità, evidenziando come sia noto che “il lavoratore autonomo si differenzia dall’imprenditore: mentre l’imprenditore, anche se piccolo, organizza il lavoro altrui oppure il capitale (cd etero organizzazione) per lo svolgimento di un’attività preordinata alla produzione o allo scambio di beni o servizi, il lavoratore autonomo si limita ad auto organizzare il proprio lavoro ed usa  i mezzi che sono strettamente necessari all’esplicazione delle proprie energie lavorative. Da ciò consegue che l’art. 118, comma 12 del Codice, nel riferirsi espressamente al lavoratore autonomo ha chiaramente escluso dal suo ambito di applicazione l’affidamento delle attività ad un imprenditore. Nel caso di specie, invece, dalla documentazione allegata alla richiesta di parere risulta che uno dei cd padroncini è la Logistica Due srl. Sotto tale profilo, considerato che tale soggetto è un imprenditore, in nessun caso potrebbe trovare applicazione nei suoi confronti la norma richiamata dall’istante. In particolare, per comprendere il tenore dell’art. 118, comma 12 del Codice è utile partire dalla considerazione esposta nella decisione del Consiglio di Stato n. 2943 del 4 giugno 2006, che definisce la norma come ricognitiva di un principio già esistente e che tendeva ad escludere dal divieto di subappalto l’affidamento di prestazioni di carattere intellettuale”.

Più di recente, sempre l’Autorità ha ribadito, con Parere n. 246 dell’8 marzo 2017 e Parere n. 256 del 7 marzo 2018, che l’affidamento di attività specifiche a lavoratori autonomi o a progetto, in assenza di specifici elementi idonei a dimostrare gli elementi tipici del subappalto (l’organizzazione dei mezzi, l’assunzione del rischio, lo scopo del compimento di un’opera o di un servizio), si configura quale contratto d’opera intellettuale, anche in forma di collaborazione coordinata e continuativa[7].

Le superiori considerazioni, consentono pertanto di identificare nella categoria dei contratti d’opera intellettuale, anche in forma di collaborazione coordinata e continuativa, una platea di rapporti giuridici, fermi gli obblighi comunicativi, sottratta alla diretta applicazione del regime giuridico stabilito dall’art. 105 del Codice dei Contratti.

2.2 I contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura

Il d.lgs. 56/2017, ha innovato l’art. 105 del Codice dei Contratti, introducendo il co. 3, lettera c-bis), secondo cui non configurano subappalto “le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell’appalto”.

In altre parole, l’affidatario di un contratto pubblico può far eseguire a terzi parte delle prestazioni oggetto dell’appalto, senza che ciò costituisca subappalto, a condizione che prima di procedere alla sottoscrizione del contratto d’appalto di cui è risultato aggiudicatario, l’affidatario depositi i contratti sottoscritti in data precedente all’indizione della gara, in forza dei quali abbia affidato a terzi l’esecuzione  di  prestazioni utili per l’adempimento delle prestazioni oggetto di appalto.

Non configurano subappalto “le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell’appalto”.

La novella, essendo di recente genesi, non ha ancora consentito il consolidarsi di una prassi, né la giurisprudenza ha avuto modo di interrogarsi a fondo sulla natura giuridica di tali contratti. Tuttavia, si rinvengono alcuni recentissimi precedenti, che, occorre evidenziare, ammettono con estrema cautela il ricorso a tali tipologie di cooperazione imprenditoriale.

E’ stato infatti sottolineato come “(l)a disciplina contenuta nell’art. 105, comma 3, lett. c-bis del D.Lgs n. 50/2016 deve essere adeguatamente interpretata alla luce del centrale e fondante principio, valevole in materia di appalti pubblici, in ragione del quale le attività oggetto di appalto devono, in linea di principio, essere eseguite dal soggetto che risulta aggiudicatario delle stesse, con le eccezioni, e le correlate cautele, espressamente previste per legge. Tali prestazioni (ndr. quelle affidate ex nell’art. 105, comma 3, lett. c-bis), in particolare, devono essere limitate ad attività sussidiarie e secondarie rispetto a quelle propriamente rientranti nell’oggetto dell’appalto; diversamente opinando sarebbe talmente vistosa la deviazione rispetto al principio di personalità nell’esecuzione dell’appalto, in assenza di alcuna forma di tutela degli interessi pubblici immanenti nell’aggiudicazione ed esecuzione di un appalto[8]”.

Taluna giurisprudenza ha ricondotto nell’alveo dei contratti continuativi di cooperazione un contratto d’opera ex art. 2222 e ss. del codice civile.

In particolare, i giudici amministrativi[9], hanno ritenuto legittima la dichiarazione del concorrente di non voler ricorrere al subappalto, pur avendo evidenziato in offerta tecnica che avrebbe fatto ricorso a rapporti giuridici già esistenti per l’esecuzione di specifiche prestazioni. In particolare è stato ritenuto legittimo dal G.A. l’aver dichiarato di voler demandare a terzi le attività di raccolta del plasma e distribuzione, non intendendo con ciò riferirsi all’utilizzo a tal fine di subappalti (come coerentemente dichiarato nel DGUE), ma alla conclusione di subcontratti di diversa natura, da sempre esistenti nel nostro ordinamento, quali il contratto d’opera ex art. 2222 e ss c.c. (ad esempio per demandare a piccoli autotrasportatori, proprietari del veicolo che conducono in proprio, la raccolta del plasma presso i centri e la distribuzione dei farmaci ottenuti dalla lavorazione del plasma), ovvero i contratti continuativi di cooperazione, oggi rientranti nelle forme di esternalizzazione ammissibili ai sensi dell’art. 105 comma 3 lettera c bis del Codice Appalti.

In un altro caso[10], in cui l’oggetto dell’affidamento era la fornitura di ambulanze da soccorso, comprensiva di manutenzione ed assistenza per determinato numero anni, i giudici amministrativi hanno ritenuto che   l’affidamento a terzi dell’esecuzione di parte delle prestazioni contrattuali, relative all’assistenza meccanica    sugli allestimenti e sulle attrezzature delle ambulanze, possa legittimamente essere ricondotta alla fattispecie  di cui al comma 3-bis dell’art. 105 del Codice dei Contratti e pertanto non costituire subappalto. Per tale ragione – osserva la medesima giurisprudenza – il concorrente non era tenuto a indicare tali contratti in sede di gara.

La fattispecie anzi rassegnata, consente, seppur con le necessarie cautele in ordine alla corretta individuazione dell’oggetto delle prestazioni rese quali attività “sussidiarie e secondarie” rispetto all’oggetto del contratto di appalto, di stipulare accordi commerciali con soggetti terzi, sottraendo il suddetto negozio giuridico dall’applicazione della stringente normativa in materia di subappalto.

3. Conclusioni

La rassegna anzi ripercorsa pone, quindi, in evidenza una serie di fattispecie che, pur soggiacendo agli oneri comunicativi nei confronti della stazione appaltante per le finalità più strettamente connesse ai controlli di carattere generale, sono sottratte alla disciplina più stringente in materia di subappalto.

Se per quanto concerne la fattispecie dei lavoratori autonomi, il quadro giurisprudenziale e di prassi sembra essersi negli anni consolidato, anche in virtù della circostanza che la deroga per tali fattispecie affondi le proprie radici in statuizioni pretorie precedenti alla vigenza del precedente codice dei contratti pubblici, diverso è il caso dei contratti di cooperazione di cui alla lett. c-bis del comma 3 dell’art. 105 dell’odierno Codice.

Per tali fattispecie, la giurisprudenza si è mostrata assai restia ad una adeguata apertura al ricorso a tali tipologie di cooperazioni commerciali, sulla base della necessità di salvaguardare il principio generale del divieto di cessione del contratto, sancendo che le prestazioni che possono essere erogate in forza di tali accordi devono rivestire natura di attività accessorie e secondarie.

A parere di chi scrive, tale approdo, meriterebbe, invece, riconsiderazione.

Lo scopo del legislatore, allorquando ha inteso annoverare tra le deroghe al subappalto tale fattispecie, è stato quello, forse sottaciuto, di trovare una soluzione, seppur indiretta, al disfavore mostrato dalla UE e della Corte di Giustizia nei confronti della Repubblica italiana in merito al limite oggi vigente del 30% del valore del contratto principale subappaltabile, limite ritenuto contrario alla direttiva appalti.

Tale limite, a bene vedere, appare oggi desueto e poco aderente alle prassi di mercato, anche in un contesto di mercato peculiare quale è quello italiano, tutt’oggi connotato di potenziali infiltrazioni, connivenze e distorsioni mercatorie, attesa la mole di controlli (vedasi i controlli antimafia) e tutele (vedasi canalizzazione dei pagamenti e solidarietà) cui sono soggetti anche i subappaltatori in sede autorizzatoria e durante l’esecuzione delle commesse pubbliche.

Nell’attesa, dunque, che il legislatore ponga mano alla disciplina specifica vigente, con particolare riferimento al limite massimo subappaltabile, sarebbe auspicabile, de iure condito, poter sfruttare al meglio le possibili strategie negoziali esistenti e percorribili, al fine di slegare il mercato della subcontrattazione da lacci e briglie non più aderenti al contesto storico oggi presente.


[1] Consiglio di Stato sez. III 30/11/2018 n. 6822.

[2] TAR Marche sez. I 19/2/2016 n. 107.

[3] ANAC, Deliberazione n. 28 Adunanza del 19 giugno 2013.

[4] ANAC, Parere 20 dicembre 2012 AG 25/2012.

[5] Art. 105, co. 18 del Codice dei Contratti L’affidatario che si avvale del subappalto o del cottimo deve allegare alla copia autentica del contratto la dichiarazione circa la sussistenza o meno di eventuali forme di controllo o di collegamento a norma dell’articolo 2359 del codice civile con il titolare del subappalto o del cottimo. Analoga dichiarazione deve essere effettuata da ciascuno dei soggetti partecipanti nel caso di raggruppamento temporaneo, società o consorzio. La stazione appaltante provvede al rilascio dell’autorizzazione di cui al comma 4 entro trenta giorni dalla relativa richiesta; tale termine può essere prorogato una sola volta, ove ricorrano giustificati motivi. Trascorso tale termine senza che si sia provveduto, l’autorizzazione si intende concessa. Per i subappalti o cottimi di importo inferiore al 2 per cento dell’importo delle prestazioni affidate o di importo inferiore a 100.000 euro, i termini per il rilascio dell’autorizzazione da parte della stazione appaltante sono ridotti della metà.

[6] Parere dell’Adunanza Generale n. 1 del 4/2/2015

[7] Tale orientamento, già fatto proprio dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. di Stato, sez. VI, 4 giugno 2007, n. 2943).

[8] TAR Sicilia Palermo sez. III 6/12/2018 n. 2583

[9] TAR Emilia Romagna 20 giugno 2018, n. 514

[10] TAR Lombardia Milano sez. IV 28/5/2018 n. 1366

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Giuseppe Totino
Esperto in contratti pubblici
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