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( votes)Corte di Cass. SS.UU. Civili sent. n. 1378 del 25/01/06; Corte di Cass. SS.UU. sent. n. 6820 del 15/03/17
1. Il principio di separazione dell’attività amministrativa
L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza […], nonché dai principi dell’ordinamento comunitario» (art. 1, comma 1 della legge 241/90).
La discrezionalità amministrativa, connessa all’attività amministrativa della Pubblica Amministrazione, consiste nel margine di scelta che la norma rimette all’amministrazione affinché essa possa individuare, tra quelle possibili, la soluzione migliore per curare nel caso concreto l’interesse pubblico.
Il potere ampiamente discrezionale esistente al momento dell’inizio del procedimento, può ridursi dopo l’esaurimento dell’attività istruttoria, in quanto la scelta, originariamente discrezionale, diventa vincolate perché una sola è la decisione possibile tra tutte quelle originariamente consentite dalla legge. Il provvedimento è opinabile e appare irragionevole perché, sempre secondo la valutazione del giudice, non è stata posta la giusta attenzione agli interessi coinvolti, e dunque la scelta appare irragionevolmente posta.
L’eventuale antigiuridicità delle condotte è causata dalla violazione dei criteri dell’imparzialità e del principio di buona amministrazione. Una clausola palesemente lesiva degli interessi pubblici, in quanto non sorretta da alcuna concreta utilità, in dispregio dei parametri di legittimità dell’azione amministrativa, sanciti dall’art. 1 della legge n. 241 del 1990, si può esprimere, infatti, nell’ approvare un nuovo modello contrattuale, ad esempio come indicato nella sentenza della Corte dei conti – Sezione Giurisdizionale per la Regione Campania, n. 321/2017, contenente la scelta di apporre, ad esempio, una clausola contrattuale irrazionale e illogica.
Non trova applicazione, come nel caso di cui alla sentenza della Corte dei Conti n. 321/2017, l’eventuale asserita responsabilità esclusiva dei funzionari preposti, affermata dagli amministratori nella situazione esaminata, considerato il contenuto della citata delibera in virtù del principio di separazione tra attività politica e attività di gestione. Infatti, l’organo politico avrebbe potuto e dovuto disattendere la proposta, stante la manifesta irrazionalità e inopportunità, nel caso di specie, del regolamento contrattuale foriero di danno erariale. Ciò dimostra che non può, quindi, trovare applicazione l’”esimente politica” ex art. 1, comma 1-ter, della legge 20 del 1994.
Il principio di separazione delle responsabilità fra Giunta e Dirigenti, e cioè tra poteri di indirizzo e controllo riservati agli organi elettivi e gestione amministrativa attribuita ai Dirigenti, è affermata dal fatto che la responsabilità dell’organo politico di vertice è configurabile solo in presenza di specifiche situazioni correlate alle attribuzioni proprie di tale organo.
Il principio di separazione delle responsabilità fra Giunta e Dirigenti, ad esempio, e cioè tra poteri di indirizzo e controllo riservati agli organi elettivi e gestione amministrativa attribuita ai Dirigenti, è affermata dal fatto che la responsabilità dell’organo politico di vertice è configurabile solo in presenza di specifiche situazioni correlate alle attribuzioni proprie di tale organo.
La responsabilità dell’organo politico è presente, infatti, quando si sia dinnanzi a violazioni derivanti da carenze di ordine strutturale riconducibili all’esercizio dei poteri di indirizzo o di programmazione, quando l’organo politico sia stato specificamente sollecitato ad intervenire, quando sia stato a conoscenza della situazione antigiuridica derivante dalle inadempienze dell’apparato competente, e abbia omesso, in ogni caso, di attivarsi, con i suoi autonomi poteri, per porvi rimedio. Infatti è esclusa la responsabilità del segretario comunale, nel caso di specie, nella causazione del danno per cui è causa, in quanto la funzione di “garante della legalità” dell’azione amministrativa che denota tale figura, e che si estrinseca prevalentemente in pareri di legittimità, non vincola in alcun modo gli organi politici nelle scelte discrezionali agli stessi riservate dall’ordinamento.
La responsabilità dell’organo politico è presente, infatti, quando si sia dinnanzi a violazioni derivanti da carenze di ordine strutturale riconducibili all’esercizio dei poteri di indirizzo o di programmazione, quando l’organo politico sia stato specificamente sollecitato ad intervenire, quando sia stato a conoscenza della situazione antigiuridica derivante dalle inadempienze dell’apparato competente, e abbia omesso, in ogni caso, di attivarsi, con i suoi autonomi poteri, per porvi rimedio.
2. Analisi di recenti sentenze sul tema delle scelte discrezionali. Il principio di separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo, spettanti agli organi di governo, e funzioni di gestione amministrativa, proprie dei dirigenti
Si è in presenza, come afferma la sentenza del Corte dei conti n. 321/2017, di una “decisione del tutto immotivata, superficiale e irragionevole, e pertanto illegittima alla luce dei canoni di legittimità dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 1 della L. 241/1990, qualora una decisione denoti un atteggiamento di assoluta noncuranza e comunque di ingiustificata trascuratezza nell’oculata e corretta gestione della cosa pubblica, che integra l’elemento soggettivo della colpa grave. secondo la quale la scelta di apporre una clausola contrattuale irrazionale e illogica afferisce al c.d. “merito amministrativo”, ex art. 1, comma 1, 1. n. 20/94, ritenendo che ricorra nella specie la violazione dell’art. 1 della legge n. 241/90, sulla quale vi sarebbe pieno sindacato da parte del giudice contabile”.
Si è in presenza, come afferma la sentenza del Corte dei conti n. 321/2017, di una “decisione del tutto immotivata, superficiale e irragionevole, e pertanto illegittima alla luce dei canoni di legittimità dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 1 della L. 241/1990, qualora una decisione denoti un atteggiamento di assoluta noncuranza e comunque di ingiustificata trascuratezza nell’oculata e corretta gestione della cosa pubblica”.
Nel caso di specie, l’inserimento di una clausola penale nello schema di contratto con il privato, disposta con le modifiche all’art. 11 apportate con la delibera giuntale n. 36/2010, è lesiva degli interessi del Comune e “causa efficiente del danno che ne è derivato”, esponendo l’amministrazione comunale al rischio concreto, come si è in effetti realizzato, di dover corrispondere la somma di danaro pattuita a titolo di penale in caso di inadempimento.
E’ fondamentale il rispetto dei principi di efficienza ed economicità dell’amministrazione che regolano l’esercizio dell’attività amministrativa (principi trasfusi nell’art. 2 del d.lgs. del 1993 n. 29, 2 del d.lgs. del 2001 n. 165 e 2 della l. 286 del 1999) secondo, quindi, criteri di logicità, razionalità, correttezza, proporzionalità tra costi affrontati ed obbiettivi perseguiti e valorizzazione del potere amministrativo, definendo i confini del sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità. L’addebito posto in essere non riguarda, generalmente, le scelte discrezionali dell’ente ai sensi dell’art. 1, comma 1, della l. n. 20 del 1994, bensì la mancanza di convenienza (ad esempio, la scelta che è fonte di spreco e sperpero di risorse finanziarie pubbliche).
E’ fondamentale il rispetto dei principi di efficienza ed economicità dell’amministrazione che regolano l’esercizio dell’attività amministrativa (principi trasfusi nell’art. 2 del d.lgs. del 1993 n. 29, 2 del d.lgs. del 2001 n. 165 e 2 della l. 286 del 1999) secondo, quindi, criteri di logicità, razionalità, correttezza, proporzionalità tra costi affrontati ed obbiettivi perseguiti e valorizzazione del potere amministrativo, definendo così i confini del sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità.
Un’altra sentenza, Corte dei Conti 38/2017, sede giurisdizionale della Toscana, ha ravvisato la responsabilità degli amministratori e dei funzionari nell’ambito del relativo giudizio, in quanto: “Il comportamento appare particolarmente censurabile … ii soggetti convenuti – amministratore e funzionari – erano stati edotti della soluzione interpretativa adottata – sulla specifica questione – dal magistrato…. “.
Il principio di separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo, spettanti agli organi di governo, e funzioni di gestione amministrativa, proprie dei dirigenti, introdotto dal d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), è stato poi «accentuato» dal legislatore, «proprio per porre i dirigenti (generali) “in condizione di svolgere le loro funzioni nel rispetto dei principî d’imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione”» (sentenza n. 104 del 2007).
Tale rafforzamento si è realizzato, dapprima, con il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59) e, poi, con il d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).
Il principio di separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo, spettanti agli organi di governo, e funzioni di gestione amministrativa, proprie dei dirigenti, introdotto dal d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), è stato poi «accentuato» dal legislatore, «proprio per porre i dirigenti (generali) “in condizione di svolgere le loro funzioni nel rispetto dei principî d’imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione”» (sentenza n. 104 del 2007).
Con riferimento alla dirigenza amministrativa, la giurisprudenza costituzionale ha affermato più volte che una «netta e chiara separazione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie» (sentenza n. 161 del 2008) costituisce una condizione «necessaria per garantire il rispetto dei principi di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa» (sentenza n. 304 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 390 del 2008, n. 104 e n. 103 del 2007). Al principio di imparzialità sancito dall’art. 97 Cost. si accompagna, come «natural[e] corollari[o]», la separazione «tra politica e amministrazione, tra l’azione del “governo” – che, nelle democrazie parlamentari, è normalmente legata agli interessi di una parte politica, espressione delle forze di maggioranza – e l’azione dell’ “amministrazione” – che, nell’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata invece ad agire senza distinzione di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obbiettivate dall’ordinamento» (sentenza n. 453 del 1990).
La separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo e funzioni di gestione amministrativa, quindi, costituisce un principio di carattere generale, che trova il suo fondamento nell’art. 97 Cost.
Al principio di imparzialità sancito dall’art. 97 Cost. si accompagna, come «natural[e] corollari[o]», la separazione «tra politica e amministrazione, tra l’azione del “governo” – che, nelle democrazie parlamentari, è normalmente legata agli interessi di una parte politica, espressione delle forze di maggioranza – e l’azione dell’ “amministrazione” – che, nell’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata invece ad agire senza distinzione di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obbiettivate dall’ordinamento» (sentenza n. 453 del 1990).
L’individuazione dell’esatta linea di demarcazione tra gli atti da ricondurre alle funzioni dell’organo politico e quelli di competenza della dirigenza amministrativa, però, spetta al legislatore. A sua volta, tale potere incontra un limite nello stesso art. 97 Cost.: nell’identificare gli atti di indirizzo politico amministrativo e quelli a carattere gestionale, il legislatore non può compiere scelte che, contrastando in modo irragionevole con il principio di separazione tra politica e amministrazione, ledano l’imparzialità della pubblica amministrazione.
Qualora il legislatore regionale abbia attribuito, ad esempio, alla Giunta, il potere di decidere il medesimo potere deve tener conto, per espressa previsione legislativa, dell’attività istruttoria svolta dai dirigenti. La scelta realizzata dal legislatore determina una divisione di competenze tra la Giunta e i dirigenti regionali che non appare irragionevole, anche in considerazione della talvolta particolare complessità delle materie.
Accanto a verifiche di natura tecnica circa la compatibilità ambientale, ad esempio di un progetto, che rientrano nell’attività di gestione in senso stretto e che vengono realizzate nell’ambito della fase istruttoria, possono affiancarsi e intrecciarsi complesse valutazioni che – nel bilanciare fra loro una pluralità di interessi pubblici quali la tutela dell’ambiente, il governo del territorio e lo sviluppo economico – assumono indubbiamente un particolare rilievo politico.
3. Il ruolo della Corte dei Conti. Il principio dell’irragionevolezza
La Corte dei Conti può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini dell’ente pubblico, che, ai sensi dell’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, devono essere ispirati a criteri di economicità e di efficacia – secondo il canone indicato nell’art. 97 Cost. – che assumono rilevanza sul piano della legittimità, non della mera opportunità, dell’azione amministrativa.
La Corte dei Conti può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini dell’ente pubblico, che, ai sensi dell’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, devono essere ispirati a criteri di economicità e di efficacia – secondo il canone indicato nell’art. 97 Cost. – che assumono rilevanza sul piano della legittimità, non della mera opportunità, dell’azione amministrativa.
La verifica della legittimità dell’attività amministrativa deve estendersi alle singole articolazioni dell’agire amministrativo e, quindi, apprezzare se gli strumenti utilizzati dagli amministratori pubblici siano adeguati oppure esorbitanti ed estranei ai fini di interesse pubblico da perseguire con risorse pubbliche, e non potendo, comunque, prescindere dalla valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti e i costi sostenuti (sentt. nn. 4283 e 12102 del 2013, 831 e 20728 del 2012, 10069 e 12902/2011).
Ne consegue che il criterio di razionalità nella valutazione delle scelte cui si riferisce la giurisprudenza contabile non è strumento limitato all’esame del merito, che conserva la sua rilevanza solo se inserito in un metodo di valutazione che lo individua come summa di sintomi dell’eccesso di potere, ma investe nella sua interezza il percorso logico seguito dall’amministrazione, onde evitare la deviazione dell’attività amministrativa dai propri fini istituzionali, che devono essere perseguiti nel quadro complessivo degli equilibri della finanza pubblica cui il giudizio amministrativo-contabile è specificamente orientato.
Il criterio di razionalità nella valutazione delle scelte cui si riferisce la giurisprudenza contabile non è strumento limitato all’esame del merito, che conserva la sua rilevanza solo se inserito in un metodo di valutazione che lo individua come summa di sintomi dell’eccesso di potere, ma investe nella sua interezza il percorso logico seguito dall’amministrazione, onde evitare la deviazione dell’attività amministrativa dai propri fini istituzionali.
L’irragionevolezza equivale al vizio della funzione; di contro, l’esigenza di razionalità insita nello svolgimento della funzione amministrativa corrisponde a correttezza e adeguatezza della funzione; di modo che la ragionevolezza consente di verificare la completezza dell’istruttoria, la non arbitrarietà e la proporzionalità nella ponderazione e scelta degli interessi, nonché la logicità e l’adeguatezza della decisione finale allo scopo da raggiungere.
In questo contesto, gli obblighi di servizio diventano obblighi di risultato e il mancato raggiungimento degli obiettivi, laddove comporti un danno per la pubblica amministrazione e sia imputabile al dolo o alla colpa grave degli operatori, può essere oggetto di valutazione in sede giurisdizionale di responsabilità.
L’irragionevolezza equivale al vizio della funzione; di contro, l’esigenza di razionalità insita nello svolgimento della funzione amministrativa corrisponde a correttezza e adeguatezza della funzione; di modo che la ragionevolezza consente di verificare la completezza dell’istruttoria, la non arbitrarietà e la proporzionalità nella ponderazione e scelta degli interessi, nonché la logicità e l’adeguatezza della decisione finale allo scopo da raggiungere.