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Non è insolito che successivamente alla stipula del contratto di appalto ed in fase esecutiva dell’opera pubblica possano insorgere tra l’impresa esecutrice dell’opera pubblica e la stazione appaltante delle controversie che possono dare luogo all’iscrizione delle c.d. “riserve” sugli atti contabili.
Il legislatore, sin dalla Legge “Merloni” (anno 1994) si è preoccupato di offrire alle parti del contratto uno strumento di risoluzione stragiudiziale delle controversie al fine di prevenire il trasferimento della stessa in fase giudiziale con inevitabili conseguenze sia sul piano del contenimento della spesa pubblica che sull’esito della realizzazione dell’interesse pubblico sotteso ad ogni appalto in cui sia parte la P.A o comunque un soggetto tenuto al rispetto della normativa sugli appalti pubblici.
1. Accordo bonario
L’art. 205 del nuovo codice degli appalti di cui al d.lgs. 50/2016 (entrato in vigore a decorrere 19.04.2016) offre uno strumento di risoluzione stragiudiziale delle controversie che si verificano successivamente alla stipula del contratto di appalto.
La norma sopra citata richiama ma con sostanziali differenze il vecchio istituto normativo dell’art. 240 del vecchio codice di cui al D.lgs. 163/2006.
Se la finalità è comune, tuttavia, entrando nel merito della nuova norma stabilita nell’art. 205 si colgono rilevanti differenze.
Evidenziamo i distinguo in relazione ai presupposti:
In precedenza il RUP procedeva ad avviare la procedura di accordo laddove le riserve iscritte dall’impresa esecutrice dei lavori comportassero un aumento dell’importo contrattuale superiore al 10%;
vi è da dire che la valutazione del RUP non era di mero calcolo matematico dovendo investire la sostanza delle riserve e pertanto poteva verificarsi che lo stesso Rup poteva negare la procedura di accordo bonario pur in presenza del soddisfacimento del requisito numerico e quindi anche in presenza di riserve che sul piano numerico potessero variare l’importo contrattuale in misura superiore al 10%.
Nel nuovo art. 205 del D.lgs. 50/2016 è previsto che l’avvio della procedura di accordo possa avvenire laddove il valore delle riserve, rispetto all’importo contrattuale, rientri nella fascia tra il 5% ed il 15%: quindi è sufficiente che per effetto delle riserve formulate il contratto possa subire una variazione appena superiore al 5% che, almeno sulla carta, il RUP possa dare luogo alla prescritta procedura di accordo.
Tuttavia anche nel contesto della novella legislativa è da sottolineare che la valutazione del RUP trascende il mero calcolo matematico; il suo è un giudizio di merito finalizzato ad accertare la bontà/fondatezza delle riserve a prescindere della loro incidenza ai fini dell’importo del contratto.
Inoltre (ed è questo un aspetto del tutto innovativo) il RUP può chiedere alla Camera arbitrale presso ANAC una lista di 5 esperti ed in tale caso l’impresa di comune accordo con il RUP scelgono l’Esperto che dovrà avviare la procedura ed eventualmente formulare una proposta di accordo.
Ulteriore differenza (non da poco) è riconducibile al fatto che, rispetto alla vecchia normativa dell’art. 240, la procedura può essere reiterata più volte laddove prima poteva reiterarsi solo per una volta.
Circa la tempistica è previsto che il RUP entro gg. 90 dalla comunicazione ricevuta dal D.L. sulle riserve, formuli all’impresa la proposta di accordo bonario; a sua volta l’Impresa e la Stazione appaltante hanno gg. 45 per la accettazione/rifiuto della proposta.
In definitiva, in linea teorica, la procedura dovrà concludersi nell’arco di gg. 135. decorrenti dalla comunicazione del D.L. al RUP che, appunto, gli comunica che l’impresa ha formulato delle riserve.
Trattasi di termini ordinatori e non perentori e quindi la loro inosservanza non preclude l’avvio della procedura sebbene gli stessi non siano rispettati.
Per grandi linee sono state evidenziate le fasi della procedura che, ripetiamo, viene avviata a condizione che il RUP riconosca fondate, sia pure parzialmente, e quindi meritevoli di accoglimento le riserve formulate dall’impresa; tuttavia anche nel Nuovo Codice degli Appalti non sono state fugate alcune criticità già presenti nel vecchio codice in vigore sino al 19/04/2016.
Vediamo di evidenziare alcuni elementi di criticità.
Si è detto che il D.L. deve, nel più breve tempo possibile, comunicare al RUP le riserve fornendo allo stesso le sue controdeduzioni che non hanno, tuttavia, natura vincolante, in quanto il RUP può dissociarsi dalle stesse.
Ma cosa si intende per: nel più breve tempo possibile?
Atteso che l’impresa che ha formulato le riserve non ha notizia se e quando il D.L. ha adempiuto ai suoi obblighi comunicativi; sarebbe opportuno che l’impresa si facesse parte diligente presso il RUP chiedendo allo stesso di valutare le riserve con specifica richiesta di avviare la procedura: ovviamente l’iniziativa dell’impresa avrebbe un effetto positivo e sollecitatorio rimuovendo, se del caso, l’inerzia o del D.L. ovvero del RUP.
Ma la grande criticità è riconducibile alla circostanza che il comma 6 dell’art. 205 ha stabilito che: il RUP ovvero l’Esperto, se nominato, formulano la proposta, accertata e verificata la disponibilità di idonee risorse economiche:
La locuzione, sicuramente giusta, tuttavia potrebbe frustrare la finalità dello stesso istituto dell’accordo bonario; infatti è notorio che nel contesto economico le risorse finanziarie in materia di appalti pubblici sono sempre più scarse.
Sarebbe stato opportuno che il legislatore avesse previsto che una parte dei ribassi in sede di gara fossero stati vincolati a copertura di eventuali accordi bonari in modo di evitare che la controversia debba necessariamente trovare soluzione solo nei Tribunali.
E’ auspicabile che strada facendo si intervenga in questa direzione se vogliamo effettivamente offrire alla P.A. la via per risolvere in via bonaria senza ricorrere alla via giudiziaria le eventuali liti con l’impresa esecutrice con vantaggi da ambo le parti in gioco.
2. Riserve e Giudizio in sede civile
Nel caso in cui non venga attivata la procedura di accordo bonario ovvero nell’ipotesi in cui avviata non si addivenisse all’accordo bonario, esistono due regole che sono state imposte dal Nuovo codice degli appalti.
La prima riguarda l’oggetto della domanda che si può portare in giudizio; la seconda riguarda invece il momento nel quale proporre l’atto di citazione e precisamente:
In base al comma 2 dell’art. 205 è stabilito che le domande che fanno valere pretese già oggetto di riserve, non possono essere proposte per importi maggiori rispetto a quelli quantificati nelle riserve stesse.
Il principio impone, quindi, che innanzi al Tribunale l’impresa non può chiedere più di quanto abbia chiesto a livello di quantificazione.
Posto, quindi, che l’impresa abbia iscritto riserve per €.100.000,00; riserve che non hanno formato oggetto di procedura bonaria; lo stesso importo e cioè €.100.000,00 dovrà essere richiesto nella fase giudiziaria innanzi al Tribunale competente: in sostanza vi è deve essere piena corrispondenza tra le “riserve” iscritte ed il “petitum” dell’atto di citazione non potendosi, pertanto, chiedere somme differenti.
La seconda regola è stata imposta a seguito del decreto correttivo (D.lgs. 56/2017 entrato in vigore il 20 maggio); è stato aggiunto all’art.205, infatti, il comma 6.bis che ha previsto che in caso di rifiuto della proposta di accordo bonario ovvero di inutile decorso del termine per l’accettazione (45 gg. dal ricevimento della proposta); l’impresa è tenuta a promuovere il giudizio entro i successivi 60 giorni a pena di decadenza.
Ciò comporta che nel caso in cui l’impresa e la stazione appaltante non accettino la proposta di accordo così come formulata dal RUP ovvero dall’Esperto ove nominato, la domanda innanzi al Tribunale (atto di citazione) deve essere promossa entro gg. 60 dalla scadenza dei 45 gg. per la accettazione della stessa.
Trattasi di una norma molto restrittiva in quanto impone un termine decadenziale assai ristretto.
3. Transazione
Anche nel Nuovo Codice degli appalti è contemplata la “transazione”.
L’art. 208 ricalca il vecchio art. 239 del vecchio codice di cui al D.lgs. n.163/2006; tuttavia se la procedura risulta essere analoga, cambia la portata della norma.
Prima di entrare nel merito della norma, sopra riferita, occorre preliminarmente evidenziare che la transazione è istituto giuridico già contemplato nel nostro codice civile.
L’art.1965 del c.c. prevede, infatti, che le parti al fine di evitare l’insorgere di una controversia ovvero al fine di dirimere una controversia già insorta possono transigere la stessa facendo reciproche concessioni e/o rinunce.
Accade frequente nel campo delle questioni civilistiche che le parti, con l’assistenza di legali, addivengono ad una transazione.
Nel campo delle locazioni, per esempio, potrebbe verificarsi che il conduttore, se vuole evitare di subire la risoluzione del contratto e quindi lo sfratto, possa proporre al locatore la riduzione del canone che ove accettata porta e configura una transazione.
Ritornando al Codice degli appalti l’art. 208 ha una formulazione “poco chiara”.
La norma infatti al 1 comma stabilisce che le controversia possono essere risolte mediante transazione nel rispetto del codice civile, solo ed esclusivamente nelle ipotesi in cui non risulti possibile altri rimedi alternativi all’azione giurisdizionale (comma modificato dall’art.122 del d.lgs. 56/2017).
Cosa significa la locuzione di cui sopra? Azzardiamo due interpretazioni.
Una prima ipotesi di applicazione sarebbe riferibile alla circostanza in cui le riserve delle imprese di per sé sono inferiori alle soglie minime prevista per l’avvio della procedura di accordo bonario; quindi al di sotto del 5% dell’importo contrattuale.
In siffatta ipotesi l’impresa, tuttavia, ne dovrebbe fare esplicita richiesta nel senso di chiedere al Committente e per esso al RUP di applicare l’istituto della transazione, preso atto della mancanza dei presupposti per l’avvio della procedura di accordo bonario.
Altra ipotesi di applicazione e quindi di ricorso all’art. 208 sulla “transazione” potrebbe riferirsi al giudizio valutativo e di merito da parte del RUP sulle riserve.
Il Rup, chiamato ad esprimersi sulle “riserve” potrebbe, qualora reputasse non ammissibile la procedura di accordo bonario in quanto non fondate (le riserve) almeno nella misura minima del 5% ma comunque fondate per una misura appena sotto la soglia minima, proporre la transazione.
In entrambe le ipotesi avanzate sopra ci si troverebbe, infatti, nella specifica situazione voluta dall’art. 208 che, appunto, stabilisce che la transazione è applicabile quando non sia possibile altro rimedio alternativo all’azione giurisdizionale e quindi, in ultima analisi, fuori della procedura di accordo bonario.
L’art. 208 ha, quindi, stabilito una sorta di primato gerarchico della procedura dell’accordo bonario, di cui all’art.205, sulla transazione di cui all’art. 208.
Anche con riferimento alla “transazione” sarebbe opportuno un chiarimento sia a livello legislativo ovvero giurisprudenziale circa la reale portata della norma, in assenza del quale difficilmente l’art.208 vedrà la luce
4. Commento conclusivo
Sia l’art. 205 che l’art. 208 del Nuovo Codice degli appalti hanno, almeno sulla carta, una valenza importante nel contesto dell’esecuzione dei contratti di lavori in quanto offrono strumenti di natura stragiudiziale di risoluzione delle possibili controversie che possono insorgere nella fase esecutiva dell’opera pubblica.
Chi scrive ha maturato l’esperienza sul campo che è sempre meglio prediligere una transazione piuttosto che seguire a tutti i costi la via giudiziale che ovviamente comporta notevoli costi e dispendio di energie e di tempi.
Se il ns. Legislatore, tuttavia, vuole dare concretezza al nobile obiettivo di deflazionare il contenzioso, riducendo il carico dei Tribunali, deve creare le condizioni perché ciò avvenga dotando la P.A., in tutte le sue varie articolazioni, di idonee risorse sia professionali che economiche.