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C’era bisogno di un atto di chiarezza, di un provvedimento giurisprudenziale che invece di connotarsi per una ennesima innovazione, recasse il pregio, quanto mai utile per gli operatori del diritto, di cimentarsi in una ricognizione compilativa, senza con ciò voler togliere riguardo all’attività invero assai meritoria del Collegio, delle ipotesi derogatorie consentite di diretta impugnativa delle clausole di un bando di gara.
Numerosissime si rinvengono le pronunce tese a sviscerare dette ipotesi, cresciute quantitativamente col tempo assieme all’incremento del numero di reiezioni dei ricorsi relativi all’impugnazione delle singole fasi della procedura concorsuale.
Il favor giurisprudenziale al ricorso al soccorso istruttorio, l’innovativa introduzione legislativa dell’art. 46 comma 1-bis del vecchio D.Lgs. 163/06, il crescente anelito sostanzialistico di matrice europea, hanno inevitabilmente ridotto le chances di ottenere una vittoria sul piano della mera violazione di legge in un contenzioso cha avesse ad oggetto la legittimità di un atto procedimentale dell’iter di gara.
La novella legislativa di cui al comma 2 bis dell’art. 120 del D.Lgs. 104/2010 e s.m.i.[1] con cui si è introdotto il rito speciale per l’impugnativa delle ammissione ed esclusioni, non è altro che uno specchio della tensione deflattiva del contenzioso amministrativo in materia di appalti, cui il sistema mostra di voler dirigersi.
Conseguenza di tale ridotto spettro di possibili crinali entro cui insinuarsi per ottenere l’annullamento di un provvedimento della procedura per vizi propri, è stato l’incremento della proposizione di impugnative che avessero li scopo di caducare l’intera procedura di gara, determinando l’effetto per la stazione appaltante, ove il ricorso fosse accolto, di dover bandire ex novo la procedura.
Tali tipologie di ricorso, qualora il ricorrente fosse anche il gestore uscente dell’appalto, hanno mostrato di mirare – nemmeno troppo velatamente – ad un intento meramente dilatorio inteso a far prolungare l’affidamento in essere attraverso dei provvedimenti di proroga tecnica, nelle more della conclusione del contenzioso e, se favorevole al ricorrente e gestore uscente, fino alla conclusione della nuova procedura.
Di qui l’esigenza di circoscrivere ad ipotesi tassativamente indicate i motivi di impugnativa dei bandi gara, in ossequio al principio prima pretorio ed ora positivizzato nel succitato comma 2-bis dell’art. 120 del Codice del Processo Amministrativo per cui: “E’ altresì inammissibile l’impugnazione della … degli altri atti endoprocedimentali privi di immediata lesività”.
1. La legittimazione all’azione e l’interesse a ricorrere
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel rappresentare che l’attualità della lesione del ricorrente è la situazione soggettiva che, unitamente, alla legittimazione attiva, consente di rintracciare quella posizione giuridica differenziata determinante l’interesse del ricorrente alla coltivazione di una impugnativa avverso un provvedimento amministrativo, che, in assenza di interesse diretto del promotore della medesima, si sostanzierebbe in una mera attività di controllo dell’operato della P.A. priva di ogni concreta utilità.
La legittimazione al ricorso e interesse al ricorso definiscono posizioni giuridiche soggettive nettamente distinte, attesa che la prima postula la titolarità di una posizione sostanziale differenziata, che abilita un determinato soggetto all’esercizio dell’azione e, quindi, il riconoscimento dell’esistenza di una situazione giuridica attiva, protetta dall’ordinamento, riferita ad un bene della vita oggetto della funzione svolta dall’Amministrazione o da un soggetto ad essa equiparato; la seconda, invece, l’utilità ricavabile dall’accoglimento della domanda di annullamento a prescindere dal suo carattere finale o strumentale.
Nel processo amministrativo, infatti, la legittimazione al ricorso e interesse al ricorso definiscono posizioni giuridiche soggettive nettamente distinte, attesa che la prima postula la titolarità di una posizione sostanziale differenziata, che abilita un determinato soggetto all’esercizio dell’azione e, quindi, il riconoscimento dell’esistenza di una situazione giuridica attiva, protetta dall’ordinamento, riferita ad un bene della vita oggetto della funzione svolta dall’Amministrazione o da un soggetto ad essa equiparato; la seconda, invece, l’utilità ricavabile dall’accoglimento della domanda di annullamento a prescindere dal suo carattere finale o strumentale.
In sostanza, mentre la legittimazione ad agire attiene al diritto di azione, che spetta a chiunque faccia valere in giudizio un diritto assumendo di esserne titolare e la sua carenza può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio e può essere rilevata d’ufficio dal giudice, altra cosa è la titolarità della posizione soggettiva vantata in giudizio, la cui relativa questione attiene al merito della causa.
2. L’interesse ad agire nella giurisprudenza amministrativa con riferimento agli appalti pubblici
Con riferimento agli appalti pubblici è necessario, quindi, indagare quale sia la situazione di fatto che determini la sussistenza dei presupposti per l’ammissibilità di una impugnativa di un provvedimento che di per sé non si connota di diretta lesività quale è un bando di gara.
La giurisprudenza amministrativa, nella composizione Plenaria del Consiglio di Stato, sin dal 2003 ha chiarito che è “acquisizione consolidata che i bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento, ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell’interessato” (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 29 gennaio 2003, n. 1).
Chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non è dunque legittimato a chiederne l’annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione – per lui res inter alios acta – venga nuovamente bandita”.
Sempre il Supremo Consesso amministrativo ha successivamente avuto modo di ribadire che “Riguardo alla legittimazione all’impugnazione in primo grado, va ricordato che l’Adunanza Plenaria, nella sentenza n. 9/2014, richiamando la sentenza n. 4/2011, ha affermato che, in materia di controversie aventi ad oggetto gare di appalto, il tema della legittimazione al ricorso (o titolo) è declinato nel senso che tale legittimazione “deve essere correlata ad una situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione” e che “chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non è dunque legittimato a chiederne l’annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione – per lui res inter alios acta – venga nuovamente bandita“.
In altri termini, la giurisprudenza amministrativa è consolidata nel ritenere che l’impresa che non partecipi alla gara non può contestare la relativa procedura e l’aggiudicazione in favore di imprese terze, perché la sua posizione giuridica sostanziale non è sufficientemente differenziata ma riconducibile a un mero interesse di fatto (Consiglio di Stato, sezione III, 10 giugno 2016, n. 2507; Consiglio di Stato, sezione III, 2 febbraio 2015, n. 491; Consiglio di Stato, sezione VI, 10 dicembre 2014, n. 6048; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 25 febbraio 2014, n. 9; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 7 aprile 2011, n. 4).
Orbene, a queste regole, che discendono dalla piana applicazione alle procedure di gara dei principi generali in materia di legittimazione e interesse a ricorrere, fanno eccezione le ipotesi in cui si contesti che la gara sia mancata o, specularmente, che sia stata indetta o, ancora, si impugnino clausole del bando immediatamente escludenti, o, infine, clausole che impongano oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati o che rendano impossibile la stessa formulazione dell’offerta (Consiglio di Stato, sezione III, 10 giugno 2016, n. 2507; Consiglio di Stato, sezione V, 30 dicembre 2015, n. 5862; Consiglio di Stato, sezione V, 12 novembre 2015, n. 5181; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 25 febbraio 2014, n. 9; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 7 aprile 2011, n. 4).
La concorrente non può e non deve essere costretta a presentare un’offerta inesorabilmente destinata all’esclusione solo per soddisfare formalisticamente l’onere di impugnare quest’ultima o l’approvazione della graduatoria, con inutile dispendio di tempo, soldi ed ulteriori energie processuali
Il Consiglio di Stato, sez. III 5/12/2016 con la sentenza n. 5113 ha poi specificato che oltre che per la mancanza dei requisiti soggettivi, l’ipotesi dell’ammissibilità di una impugnativa diretta del bando di gara, si realizza attraverso la configurazione di caratteristiche oggettive, attinenti alla formulazione dell’offerta, sia sul piano tecnico che economico, che determinano un effetto egualmente impeditivo, sicché la concorrente non può e non deve essere costretta a presentare un’offerta inesorabilmente destinata all’esclusione solo per soddisfare formalisticamente l’onere di impugnare quest’ultima o l’approvazione della graduatoria, con inutile dispendio di tempo, soldi ed ulteriori energie processuali; ma invece può e deve reagire immediatamente contro l’illegittima formulazione del bando che contenga clausole che, impedendole di presentare l’offerta o per l’assenza di un requisito soggettivo, esistente ex ante, o per la presenza di caratteristiche oggettive, tecniche od economiche, dell’offerta richieste dal bando, le impediscano la partecipazione alla gara e si connotino come immediatamente escludenti (cfr. Cons. Stato, III, n. 491/2015).
Pertanto, alla regola iuris dell’onere di impugnativa dell’atto generale asseritamente lesivo insieme al suo atto applicativo, fanno eccezione talune ipotesi tra le quali l’eventualità in cui il ricorrente contesti in radice la procedura di gara, atteso che, in tale caso, “la mancata partecipazione alla gara, ostativa all’ammissibilità del ricorso, è del tutto equiparabile alla situazione di chi ne sia stato legittimamente escluso (si veda di recente Ad Plen. n. 9 del 2014; successivamente Cons. Stato, Sez. V, n. 2256 del 2015).” (in questi termini Cons. di Stato, sez. IV, 20 aprile 2016, n. 1560).
In tali casi, quindi, conclude la giurisprudenza amministrativa, la domanda di partecipazione alla procedura non rileva ai fini dell’impugnazione, o perché è la stessa gara a mancare, o perché la sua contestazione in radice ovvero l’impossibilità di parteciparvi fanno emergere ex se una situazione giuridica differenziata (in capo, rispettivamente, all’impresa titolare di un rapporto giuridico incompatibile con l’indizione della nuova procedura e all’impresa di settore cui è impedita la partecipazione) e una sua lesione attuale e concreta (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 7 aprile 2011, n. 4).
3. La summa della casistica operata dal Consiglio di Stato Sez. II con la sentenza n. 1809/2017
Dal momento che la casistica relativa alle ipotesi ammissibili di diretta impugnativa delle clausole del bando hanno mostrato di proliferare, sulla scorta dell’interpretazione per cui anche la configurazione di caratteristiche oggettive, attinenti alla formulazione dell’offerta, sia sul piano tecnico che economico, possono determinare ugualmente un effetto egualmente impeditivo all’accesso al mercato, il Consiglio di Stato ha sentito l’esigenza di operare una summa delle ipotesi ipoteticamente oggi ammissibili secondo il diretto vivente.
La III Sezione del Consiglio di Stato in ottica meritoriamente compilativa – come di seguito si riporta – raccoglie l’odierno approdo ermeneutico della giurisprudenza sul punto.
Ricorda il Consiglio di Stato che “l’onere di impugnare immediatamente le previsioni della legge di gara non
Clausole asseritamente ritenute lesive devono essere impugnate insieme con l’atto di approvazione della graduatoria definitiva, che definisce la procedura concorsuale ed identifica in concreto il soggetto leso dal provvedimento, rendendo attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva (Cons. Stato, sez. V, 27 ottobre 2014, n. 5282) e postulano la preventiva partecipazione alla gara.
Concerne solo quelle in senso classico “escludenti”, che prevedono requisiti soggetti di partecipazione (Ad. plen., 29 gennaio 2003, n. 1), ma anche le clausole afferenti alla formulazione dell’offerta, sia sul piano tecnico che economico, laddove esse rendano (realmente) impossibile la presentazione di una offerta (v., ex plurimis, Cons. St., sez. IV, 11 ottobre 2016, n. 4180)”.
Ciò rammentato, passa in rassegna i casi ammissibili di diretta impugnativa dei bandi di gara oggi presenti in giurisprudenza.
La più recente giurisprudenza segue ormai fermamente tale linea interpretativa (Cons. St., sez. III, 2 febbraio 2015, n. 491) e, nel tentativo di enucleare le ipotesi in cui tale evenienza può verificarsi, ha a più riprese puntualizzato che, tra le altre, tali sono:
a) le regole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale (v., in particolare, Cons. St., sez. IV, 7novembre 2012, n. 5671);
b) le previsioni che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (così, del resto, la già citata pronuncia n. 1 del 29 gennaio 2003 dell’Adunanza plenaria);
c) le disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta (cfr. Cons. St., sez. V, 24 febbraio 2003, n. 980);
d) le condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (cfr. Cons. St., sez. V, 21 novembre 2011 n. 6135);
e) l’imposizione di obblighi contra ius (come, ad esempio, la cauzione definitiva pari all’intero importo dell’appalto: Cons. St., sez. II, 19 febbraio 2003, n. 2222);
f) le gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta (quelli relativi, exempli gratia, al numero, alle qualifiche, alle mansioni, ai livelli retributivi e all’anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall’aggiudicatario) ovvero la presenza di formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di “0” punti);
g) gli atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso” (cfr. Cons. St., sez. III, 3 ottobre 2011 n. 5421).
Pertanto, in coerenza coi principi processuali ut supra ricordati (infra par. 2), le rimanenti tipologie di clausole asseritamente ritenute lesive devono essere impugnate insieme con l’atto di approvazione della graduatoria definitiva, che definisce la procedura concorsuale ed identifica in concreto il soggetto leso dal provvedimento, rendendo attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva (Cons. Stato, sez. V, 27 ottobre 2014, n. 5282) e postulano la preventiva partecipazione alla gara.
4. Conclusioni: l’opzione ermeneutica restrittiva della Corte Costituzionale in attesa del pronunciamento della Corte di Giustizia
Per quanto le rammentate decisioni hanno altresì evidenziato come le ragioni per le quali i superiori approdi siano in linea con la giurisprudenza comunitaria[2], il contesto ermeneutico anzi ripercorso è stato in parte scosso da una recente sentenza della Corte Costituzionale[3] intervenuta incidentalmente in un giudizio instaurato dinanzi al Tar Liguria, medesimo Tribunale Amministrativo che, una volta preso atto della sentenza della Corte Costituzionale e non persuasa dell’orientamento ivi espresso, ha successivamente rimesso la questione dinanzi alla Corte di Giustizia.
Ciò che risulterebbe spiazzante – secondo il TAR ligure – è che la Consulta proponga un’interpretazione del requisito processuale dell’interesse ad agire tale per cui sarebbe inammissibile il ricorso proposto dalla impresa che non ha partecipato alla gara quando non sarebbe assolutamente certo ma soltanto altamente probabile che, per effetto della strutturazione della gara (ad esempio dimensione dei lotti) ovvero per effetto della normativa di gara l’impresa stessa non potrebbe conseguire l’aggiudicazione (cfr. TAR Liguria sez. II 29/3/2017 Ord. n. 263).
Si legge nell’ordinanza[4] di rimessione che il Collegio ligure “rileva che l’autorevolissimo precedente della Corte costituzionale italiana è già stato ripreso da alcune sentenze del Consiglio di Stato (C.S. IV 6 febbraio 2017 n. 481, C.S. III, 3 febbraio 2017 n. 474) onde il consolidarsi di un’interpretazione che può preludere alla formazione del diritto vivente nel senso, restrittivo della possibilità di accedere alla tutela giurisdizionale, stabilito dalla pronuncia della Corte costituzionale italiana. Evidenti appaiono le conseguenze sull’effettività della tutela del diritto alla concorrenza di tale ultimo orientamento”.
Continua preoccupata l’ordinanza del Collegio genovese: “La possibilità di accedere alla tutela giurisdizionale sarebbe condizionata alla partecipazione alla gara, partecipazione che comporta di per sé rilevanti oneri, e ciò anche nel caso in cui l’impresa intendesse contestarne la legittimità per essere la gara stessa eccessivamente restrittiva della concorrenza, partecipazione che si renderebbe del tutto inutile dal momento che le chances di aggiudicazione sarebbero, fin dall’inizio, inesistenti o estremamente limitate”.
Motivo per cui il TAR Liguria ha chiesto in via pregiudiziale che “Se gli artt. 1, parr. 1, 2 e 3, e l’art. 2, par. 1, lett. b), della direttiva n. 89/665 CEE, avente ad oggetto il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, ostino ad una normativa nazionale che riconosca la possibilità di impugnare gli atti di una procedura di gara ai soli operatori economici che abbiano presentato domanda di partecipazione alla gara stessa, anche qualora la domanda giudiziale sia volta a sindacare in radice la procedura, derivando dalla disciplina della gara un’altissima probabilità di non conseguire l’aggiudicazione”.
In attesa, quindi, che la Corte di Giustizia riveli quale sia il confine al di là del quale l’effettività della tutela giurisdizionale debba recedere dinanzi ai principi che informano l’ammissibilità (legittimazione ed interesse) di una azione giudiziaria, appare ragionevole qualificare, in ogni caso, l’elenco enucleato dalla III Sezione del CdS alla stregua di un numerus clausus di ipotesi che permettono la deroga al principio generale per cui le diverse tipologie di clausole asseritamente ritenute lesive devono essere impugnate insieme con l’atto di approvazione della graduatoria definitiva ed identifica in concreto il soggetto leso dal provvedimento e la qualità della lesione, onde scongiurare l’inflazione di ricorsi amministrativi avanzati dai gestori uscenti, con intenti meramente dilatori, che hanno il solo scopo di assicurare al ricorrente una proroga del contratto in essere, in spregio ai basilari principi comunitari in tema di illegittimità di affidamenti diretti.
[1] “Il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali va impugnato nel termine di trenta giorni, decorrente dalla sua pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante … L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale”
[2] (in particolare, Corte giust. UE, Sez. VIII, 21 dicembre 2016, C-355/15, Bietergemeinschaft Technische Gebäudebetreuung GesmbH und Caverion Österreich GmbH, 5 aprile 2016, C-689/13, Puligienica; Sez. X, 4 luglio 2013, C-100/12 Fastweb; Sez. III, 20 settembre 2010, C-314/09 Stadt Graz; 28 gennaio 2010, n. 406/08 Uniplex; Sez. VI, 12 febbraio 2004, C-230/02, Grossman; 19 giugno 2003, C-249/01 Hackermuller),
[3] Corte Cost. 245/2016
[4] TAR Liguria sez. II 29/3/2017 Ord. n. 263