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1. Premessa. Responsabilità precontrattuale: illecito aquiliano o responsabilità contrattuale?

La risposta al quesito appena posto ha, in verità, costituito oggetto di una significativa evoluzione della giurisprudenza di questa Corte, in precedenza attestata sull’affermazione della natura aquiliana della responsabilità precontrattuale, ed ora, invece, significativamente, e pressoché uniformemente, orientata – in materie diverse e sia pure senza una consapevole visione di insieme – nella direzione del riconoscimento di una responsabilità di tipo contrattuale, anche in assenza di un formale vincolo negoziale tra le parti.

2. La culpa in contraendo

E’ ormai consolidata la configurabilità di una responsabilità precontrattuale anche della pubblica amministrazione, perché anche su di essa grava l’obbligo sancito dall’art. 1337 Cod. civ. di comportarsi secondo buona fede durante lo svolgimento delle trattative. Pertanto, se durante la fase formativa del contratto la pubblica amministrazione viola quel dovere di lealtà e di correttezza, ponendo in essere comportamenti che non salvaguardano l’affidamento della controparte (anche colposamente, perché non occorre un particolare comportamento di malafede, né la prova dell’intenzione di arrecare pregiudizio all’altro contraente) in modo da sorprendere la sua fiducia sulla conclusione del contratto, essa risponde per responsabilità precontrattuale. La responsabilità precontrattuale prescinde dall’eventuale illegittimità del provvedimento amministrativo di autotutela che formalizza la volontà dell’Amministrazione di annullare o revocare gli atti di gara. La responsabilità precontrattuale non discende infatti dalla violazione delle norme di diritto pubblico che disciplinano l’agire autoritativo della pubblica amministrazione e dalla cui violazione discende l’illegittimità dell’atto. Essa, al contrario, deriva dalla violazione delle regole comuni (in particolare del principio generale di buona fede in senso oggettivo dell’art. 1337 Cod. civ..) che trattano del “comportamento” precontrattuale, ponendole in capo alla pubblica amministrazione doveri di correttezza e di buona fede analoghi a quelli che gravano su un comune soggetto nel corso delle trattative precontrattuali[1].

Così nel 2013, con la sentenza n. 633, la IV Sezione del Consiglio di Stato inquadrava la responsabilità della pubblica amministrazione nell’alveo della fattispecie della culpa in contrahendo, come disciplinata dall’art. 1337 del Codice civile.

Il referente normativo della responsabilità precontrattuale è l’art. 1337 c.c., che, dettando un generale criterio di comportamento delle parti contraenti, stabilisce “Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede”.

“Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede

In particolare, il concetto di buona fede in senso oggettivo, che rileva agli effetti dell’art. 1337 c.c., esprime una regola di condotta secondo lealtà e correttezza, che deve essere intesa in una duplice accezione: negativa, come dovere di astenersi da qualsiasi condotta lesiva dell’interesse altrui; e positiva, come dovere di collaborare al fine di promuovere o soddisfare le reciproche aspettative.

L’affermazione di tale principio di buona fede in senso oggettivo ha introdotto nel nostro ordinamento un criterio di valutazione della condotta delle parti, nell’ottica di una visione solidaristica del rapporto giuridico, ricomprendendo questa il concetto di lealtà (ovvero, il contraente si deve comportare correttamente) e di “salvaguardia” (ovvero, nei limiti di un “apprezzabile sacrificio” il contraente si deve attivare per salvaguardare gli interessi della controparte).[2]

Pertanto, in linea generale, la P.A la cui condotta, indipendentemente dall’esito del procedimento amministrativo, sia contraria ai principi di correttezza e buona fede di cui all’art. 1337 c.c., risponde per responsabilità pre-contrattuale.

Tale regola di condotta, secondo la quale è posto l’obbligo per le parti di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, impone anche all’amministrazione di comportarsi lealmente durante la fase delle trattative precedenti la stipula di un contratto e di attivarsi per salvaguardare l’utilità dell’altra parte nei limiti di un apprezzabile sacrificio evitando di coinvolgerla in trattative inutili[3].

L’obbligo per le parti di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, impone anche all’amministrazione di comportarsi lealmente durante la fase delle trattative precedenti la stipula di un contratto e di attivarsi per salvaguardare l’utilità dell’altra parte nei limiti di un apprezzabile sacrificio evitando di coinvolgerla in trattative inutili

Si rivela molto interessante la considerazione spesa dal Giudice campano nella sentenza in commento relativa alla nuova fasizzazione del processo amministrativo, come novellata dal recente intervento legislativo di cui al D.Lgs. 50/2016, dalla quale si deduce – a detto dal TAR campano – una diversa tutela della posizione del ricorrente in relazione alla fase del procedimento di gara cui si ricollega una progressiva ampiezza del sindacato giurisdizionale.

E’ infatti affermato che “non a caso, costituisce nuovo approdo anche da parte del legislatore, la differenziazione tra partecipazione al procedimento di gara riferibile alla fase di qualificazione, attualmente considerata autonoma anche dal punto di vista della tutela processuale d’impugnazione, e presenza del concorrente alla fase, successiva, di apprezzamento delle offerte, costituente una stadiazione progressiva l’ingresso nella quale origina una posizione procedimentale di aspettativa più prossima al bene della vita, costituito dall’utilità finale che dal punto di vista del lato interno dell’interesse legittimo è data dal divenire aggiudicatario definitivo.”

Tanto più ci sia avvicina alla fase dell’aggiudicazione, tanto più l’obbligo del rispetto dei principi di buona fede e correttezza di cui all’art. 1337 cc. diventa profondo ed incisivo.

3. La natura giuridica della responsabilità precontrattuale

Prima di procedere alla disamina della curiosa statuizione campana oggi in commento, appare necessario affrontare il dibattuto problema concernente la ravvisabilità di una responsabilità contrattuale anche in assenza di un atto negoziale dal quale scaturiscano specifici obblighi di prestazione a carico delle parti, qualora tra le stesse venga comunque ad instaurarsi una relazione qualificabile come “contatto sociale qualificato”.

In ordine alla natura giuridica della responsabilità precontrattuale, invero permangono due orientamenti ad oggi contrastanti.

L’orientamento dottrinario, prevalente in giurisprudenza, sostiene che la responsabilità precontrattuale, la cui fonte è identificata in un fatto illecito che ha preceduto, o comunque accompagnato, la formazione del negozio, è ascrivibile alla categoria della responsabilità extracontrattuale. Conseguentemente, il dovere di comportarsi secondo buona fede e con diligenza nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto non discende da un rapporto obbligatorio tra soggetti determinati, ma costituisce un obbligo generico che si impone erga omnes in virtù del precetto generale del neminem laedere, al fine di tutelare l’interesse alla libertà negoziale. Questo orientamento è stato accolto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione secondo cui «la responsabilità precontrattuale, configurabile per la violazione del precetto posto dall’art. 1337 c.c. costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale che si collega alla violazione della regola di condotta stabilita a tutela del corretto svolgimento dell’iter di formazione del contratto» (Cass., sez. un., 16 luglio 2001, n. 9645, in “Foro it”, 2002, I, 806).[4]

L’orientamento della giurisprudenza di legittimità è stato, come dianzi detto, per lungo tempo ancorato alla tradizionale concezione della responsabilità precontrattuale come responsabilità di tipo aquiliano, riconducibile al disposto dell’art. 2043 c.c., con la conseguenza che la prova dell’esistenza e dell’ammontare del danno, nonché del dolo o della colpa del danneggiante, è a carico del danneggiato e che il termine di prescrizione del diritto azionato è quinquennale, ai sensi dell’art. 2947 c.c. (cfr., ex plurimis, Cass. 9157/1995; 15172/2003; 15040/2004; 16735/2011).[5]

La fonte della responsabilità, secondo tale tesi, non è il generico dovere del neminen laedere di cui all’art. 2043 c.c., ma la violazione del vincolo che si instaura tra le parti, a seguito del “contratto sociale qualificato” derivante dalle trattative instaurate

Sempre più presente in giurisprudenza, coerente con la più risalente dottrina[6], è invece il filone ermeneutico che propende per la natura contrattuale della responsabilità di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c.. La fonte della responsabilità, secondo tale tesi, non è il generico dovere del neminen laedere di cui all’art. 2043 c.c., ma la violazione del vincolo che si instaura tra le parti, a seguito del “contratto sociale qualificato” derivante dalle trattative instaurate. In sostanza tale parte della dottrina ritenendo che l’avvio delle trattative segna la nascita di un particolare rapporto giuridico obbligatorio che vincola le parti ad un contegno conforme alle regole della correttezza e della buona fede oggettiva, alla cui violazione consegue l’eventuale responsabilità, ha ascritto la  culpa in contrahendo nella categoria della responsabilità contrattuale.[7]

Ciò che, a mezzo del presente contributo, si intende sottolineare è come il Giudice campano, pur muovendo da assunti ormai del tutto condivisi in ordine alla qualificazione come colposa la condotta di una stazione appaltante che frustri il legittimo affidamento di un aggiudicatario provvisorio, inquadri tuttavia come illecito aquiliano ex art. 2043 c.c. la responsabilità per tale condotta, in spregio al filone ermeneutico oggi prevalente che ormai interpretata il procedimento amministrativo di formazione della volontà della p.a. per la stipula di un contratto come un “contratto sociale” che determina, in caso di sua violazione, responsabilità di carattere contrattuale.

4. Il filone ermeneutico oggi prevalente: violazione di contratto sociale qualificato

Con la sentenza della Corte di cassazione, sez. I civile, del 12 luglio 2016, n.14188, sul punto si è posto un arresto verso l’affermazione della violazione dei doveri di buona fede e correttezza nella fase della formazione della volontà della P.A. tesa alla stipula di un contratto ad evidenza pubblica, quale una responsabilità di carattere contrattuale, pur in assenza di un contratto già sottoscritto tra le parti.

Già la giurisprudenza amministrativa più accorta aveva preconizzato che “la relazione che viene ad instaurarsi tra il privato e l’amministrazione nel procedimento amministrativo è ricostruibile in termini di “contatto sociale qualificato”, sicché i comportamenti positivi o negativi della p.a., parametrati sulle regole che governano il procedimento in questione, possono tradursi nella lesione patrimoniale dell’interesse del privato al bene della vita realizzabile mediante l’intermediazione del procedimento stesso. Ne deriva che il diritto al risarcimento dell’eventuale danno subito dal cittadino presenta, nella fattispecie in parola, una fisionomia sui generis, non riconducibile al mero modello aquiliano ex art. 2043 c.c., essendo connotata dal rilievo di alcuni tratti della responsabilità precontrattuale e della responsabilità per inadempimento delle obbligazioni, con conseguente applicabilità delle norme in materia di responsabilità contrattuale, concernenti la prescrizione del diritto, l’onere della prova e l’area del danno risarcibile” (cfr., ex plurimis, C. St.4461/2005; 1467/2010; 6421/2014).

I comportamenti positivi o negativi della p.a., parametrati sulle regole che governano il procedimento in questione, possono tradursi nella lesione patrimoniale dell’interesse del privato al bene della vita realizzabile mediante l’intermediazione del procedimento stesso.

Ed invero, la Corte di Cassazione ha, in proposito, da tempo affermato che, a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 241 del 1990, e della conseguente nuova concezione dei rapporti tra cittadino ed amministrazione, la responsabilità di quest’ultima per la lesione degli interessi procedimentali del privato si radica – a differenza di quanto deve ritenersi per il periodo precedente – nella violazione dei canoni contrattuali di correttezza e di buona fede (Cass. 157/2003). Sicchè, nella vigenza della legge succitata, deve distinguersi tra la lesione dell’interesse oppositivo o pretensivo, o anche della mera integrità patrimoniale del cittadino (quando l’interesse sia soddisfatto, seppure in modo illegittimo), dovuta all’esercizio illegittimo o al mancato esercizio (silenzio inadempimento o rifiuto) dell’attività amministrativa, talchè risulti danneggiato, per effetto dell’attività illegittima della p.a., l’interesse al bene della vita al quale la suddetta posizione soggettiva del privato si correla, che dà luogo a responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. (cfr. la fondamentale Cass. S.U. 500/1999; conf., da ultimo, Cass. 23170/2014; 11794/2015; S.U. 17586/2015), dal danno derivante dalla violazione delle regole procedimentali dell’attività amministrativa medesima. La lesione di tali regole, giacchè riconducibile all’inadempimento del rapporto che si instaura in relazione all’obbligo imposto dalla normativa che regola il comportamento della p.a., assume, invero, un carattere del tutto autonomo rispetto al pregiudizio costituito dalla perdita sostanziale del bene della vita al quale il privato aspira, ed è, pertanto, inquadrabile – stante il contatto qualificato che viene ad instaurarsi tra il privato e l’amministrazione nel procedimento – nella fattispecie della responsabilità di tipo contrattuale ex art. 1218 cod. civ. (Cass. 24382/2010).

Ne deriva che, a detta del Supremo Consesso Civile, è possibile esprimere il seguente principio di diritto “l’eventuale responsabilità dell’amministrazione, […], deve essere, di conseguenza, configurata come responsabilità precontrattuale, ai sensi degli artt. 1337 e 1338 cod. civ., inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ai sensi dell’art. 1173 cod. civ. e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell’art. 1174 cod. civ., bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., con conseguente applicabilità del termine decennale di prescrizione ex art. 2946 cod. civ.”

5. La sentenza del TAR Campania sez. I 14/9/2016 n. 4300

Davvero sorprendente, alla luce dell’evoluzione ermeneutica anzi rappresentata, l’arresto campano.

Invero, il presupposto da cui muove il Giudice appare inizialmente coerente laddove afferma che “Il vulnus alla posizione del ricorrente e aggiudicatario provvisorio è piuttosto riconducibile alla colpevole condotta assunta dalla stazione appaltante nel corso della gestione del procedimento di gara, alla fine risoltosi in un inutile coinvolgimento della società ricorrente in una vicenda ed in un rapporto pervenuto ad un punto di sostanziale ed irreversibile arresto, senza alcuna possibilità di soluzione, con evidente lesione del legittimo affidamento di chi invece era titolare di una legittima aspettativa rispetto alla stipulazione di un contratto pubblico…” che pertanto…“. La condotta colpevole dell’ente resistente va individuata nelle incontestate criticità e ritardi registrati durante la fase di pubblicazione della lex specialis e nel consequenziale slittamento dei termini di partecipazione, nonchè nella confessata lenta celebrazione delle attività di esame delle offerte, dichiaratamente ricondotta a problemi di tipo organizzativo interno”.

Muovendo da tale assunto il TAR Campania afferma sorprendentemente che “Si è dunque in presenza di un’ipotesi di responsabilità da contatto qualificato, attualmente ricadente nella figura generale di cui all’art. 2043 c.c., specificamente come paradigma di cattiva gestione dei tempi e dell’organizzazione del procedimento.”

6. Conclusione

Ebbene, nonostante il procedimento di gara teso alla formazione della volontà della P.A. per la selezione di un contraente di un contratto ad evidenza pubblica sia stato correttamente qualificato come un “contratto qualificato”, il TAR Campania afferma che la responsabilità derivante dalla lesione del bene della vita ad esso connesso sia in ogni caso qualificabile come responsabilità extra-contrattuale ricadente nella figura generale di cui all’art. 2043 c.c..

Qualcosa non quadra.    

Le ricadute di una tale affermazione, lungi dall’essere solo non perfettamente perspicue in punto di diritto, determinano ricadute sia sul piano della disciplina applicabile in tema di prescrizione per l’azionabilità del diritto di credito sottostante, sia in ordine alla quantificazione del risarcimento del danno.

Il TAR Campania infatti quantifica il danno risarcibile nei limiti dell’interesse negativo, in termini di lucro cessante, proprio il danno da mancato conseguimento dell’aggiudicazione definitiva per fatto colpevole della stazione appaltante; danno che il Collegio stima nella misura del 3% della base d’asta, oltre alla maggiore somma tra interessi e rivalutazione monetaria dal 1° gennaio 2015, data di verificazione del danno, al soddisfo. Nulla spetta invece in termini di danno emergente, essendo state quelle di partecipazione alla gara sostenute dalla società ricorrente spese necessarie per l’acquisizione della posizione di aggiudicatario provvisorio, né quelle per danno curriculare, rimesse invece alla condizione di mancata stipulazione del contratto[8].

E’ evidente che se la responsabilità fosse stata inquadrata nell’alveo della responsabilità contrattuale cui dovrebbe conseguire anche la rivalutazione dell’ampiezza del danno risarcibile atteso che “il diritto al risarcimento dell’eventuale danno subito dal cittadino presenta, nella fattispecie in parola, una fisionomia sui generis, non riconducibile al mero modello aquiliano ex art. 2043 c.c., essendo connotata dal rilievo di alcuni tratti della responsabilità precontrattuale e della responsabilità per inadempimento delle obbligazioni, con conseguente applicabilità delle norme in materia di responsabilità contrattuale, concernenti la prescrizione del diritto, l’onere della prova e l’area del danno risarcibile” (cfr., ex plurimis, C. St.4461/2005; 1467/2010; 6421/2014).”

Di sicuro interesse sarà verificare se il Consiglio di Stato, eventualmente investito dell’appello, intenderà riformare l’abbaglio in cui è incorso il relatore allorquando pur qualificando la responsabilità come da contratto sociale ha tuttavia ricondotto la fattispecie nell’illecito aquiliano.


[1] Consiglio di Stato, sez. VI – sentenza 1° febbraio 2013 n. 633- Pres. Severini, Est. Giovagnoli – Edilcostruzioni s.r.l. (Avv. Quinto) c. Terme di Santa Cesarea s.p.a. (Avv. Sticchi Damiani) – (annulla in parte T.A.R. Puglia – Lecce, Sez. III, n. 2039/2011).

[2] La responsabilità precontrattuale del privato e della pubblica amministrazione di Antonio Carbone e Emanuela Carmen Bonacci, su www.ambientediritto.it

[3] Responsabilità precontrattuale della p.a.: presupposti e quantificazione del danno risarcibile della dott.ssa Tiziana Molinaro, in Gazzetta Amministrativa vol. n. 3 2014

[4] La responsabilità precontrattuale del privato e della pubblica amministrazione di Antonio Carbone e Emanuela Carmen Bonacci, su www.ambientediritto.it

[5] Corte di Cassazione, sez. i civile , sentenza 12 luglio 2016, n.14188

[6] La dottrina italiana si è posta consapevolmente sulla stessa scia, fin dai primi anni ’90 del secolo scorso, prefigurando una forma di responsabilità che si colloca “ai confini tra contratto e torto”, in quanto radicata in un “contatto sociale” tra le parti che, in quanto dà adito ad un reciproco affidamento dei contraenti, è “qualificato” dall’obbligo di “buona fede” e dai correlati “obblighi di informazione e di protezione”, del resto positivamente sanciti dagli artt. 1175, 1375, 1337 e 1338 c.c.. Viene, per tale via, ad esistenza la figura di un rapporto obbligatorio connotato, non da obblighi di prestazione, come accade nelle obbligazioni che trovano la loro causa in un contratto, bensì da obblighi di protezione, egualmente riconducibili, sebbene manchi un atto negoziale, ad una responsabilità diversa da quella aquiliana e prossima a quella contrattuale, poichè ancorabili a quei fatti ed atti idonei a produrli, costituente la terza fonte delle obbligazioni menzionata dall’art. 1173 c.c..

[7] La responsabilità precontrattuale del privato e della pubblica amministrazione di Antonio Carbone e Emanuela Carmen Bonacci, su www.ambientediritto.it

[8] Cons. Stato Sez. V, n. 3858/2016: Pertanto il Collegio ritiene di richiamare la prevalente giurisprudenza di questo Consiglio secondo cui il danno da mancata aggiudicazione, in assenza di allegazione probatoria debba essere liquidato nella misura del 5 per cento dell’offerta (nel caso di specie, pari ad euro 342.130,00), in quanto è ragionevole ritenere che essa abbia riutilizzato mezzi e manodopera impiegati per la gara da cui è stata esclusa illegittimamente per lo svolgimento di altri lavori analoghi o di servizi e forniture, vedendo così ridotta la propria perdita di utilità (in tal senso –ex multis -: Cons. Stato, IV, 9 febbraio 2015, n. 656).

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Giuseppe Totino
Esperto in contratti pubblici
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