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( votes)1. Premesse
La «clausola sociale», anche nota come clausola «di protezione» o «di salvaguardia sociale», è un istituto previsto dalla contrattazione collettiva e/o da specifiche disposizioni legislative statali, sia generali che di settore[1], che opera nell’ipotesi di cessazione di un appalto (o di cessione dello stesso) e di subentro di un nuovo appaltatore.
Lo scopo di tali clausole, in sostanza, è quello di assicurare, tramite la previsione dell’obbligo per il soggetto subentrante di assumere il personale dell’appaltatore uscente, la continuità dell’occupazione nel caso di discontinuità dell’affidatario e, quindi, la tutela dei lavoratori (e, nello specifico caso dell’affidamento dei servizi pubblici, anche la continuità del servizio). Alle medesime finalità di garanzia per i lavoratori si rivolgono dichiaratamente ulteriori misure di protezione sociale previste spesso nei bandi di gara, quali, ad esempio, quelle che impongono al gestore subentrante l’osservanza dello stesso contratto collettivo applicato dal gestore uscente.
Prassi e giurisprudenza si sono spesso trovate ad affrontare il tema della legittimità di simili clausole, specie in raffronto ai principi di libera iniziativa economica e massima partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica. Sono proprio questi ultimi principi, infatti, a porsi al centro delle recenti pronunce del giudice amministrativo, che spingono verso una sempre più marcata tendenza al contenimento della portata cogente delle «clausole sociali».
Tale tendenza deve, però, oggi essere letta necessariamente alla luce delle disposizioni del nuovo Codice degli appalti pubblici e concessioni, che sembra rivalutare il ruolo delle «clausole sociali», sia come criterio di valutazione dell’offerta che come condizione della stessa aggiudicazione dell’appalto.
2. L’evoluzione giurisprudenziale
La giurisprudenza prevalente si è oggi consolidata nel senso di ritenere legittima la «clausola sociale» – intesa come obbligo per l’appaltatore subentrante di assumere prioritariamente gli stessi addetti che operavano alle dipendenze dell’appaltatore uscente – solo se il numero e la qualifica di tali addetti siano armonizzabili con l’organizzazione d’impresa prescelta da quest’ultimo.
Tale orientamento, sviluppatosi in tempi recenti, determina un sostanziale superamento del filone giurisprudenziale secondo cui dall’inosservanza della clausola sociale, da parte del concorrente, discenderebbe un effetto automaticamente e rigidamente escludente dalla gara.
Alla base del nuovo orientamento giurisprudenziale è la considerazione secondo cui le esigenze sociali, pur legittime, debbano essere bilanciate da una adeguata tutela della libertà di concorrenza, anche nella forma della libertà imprenditoriale degli operatori economici potenziali aggiudicatari, i quali devono poter assumere un mero obbligo di prioritario assorbimento e utilizzo del personale già impiegato dal precedente affidatario per il periodo di durata dell’appalto subordinatamente alla compatibilità con l’organizzazione d’impresa dell’appaltatore subentrante[2]. L’espressione «prioritariamente» contempera, in quest’ottica, l’obbligo di assunzione con l’autonomia organizzativa e le esigenze tecnico organizzative e di manodopera previste dall’impresa aggiudicataria.
Diversamente opinando – osserva la giurisprudenza più recente – la clausola in questione dovrebbe ritenersi senz’altro lesiva della concorrenza, perché tale da scoraggiare la partecipazione alla gara, limitando ultroneamente la platea dei partecipanti. Essa sarebbe inoltre lesiva della libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’art. 41 della Costituzione, che sta a fondamento dell’autogoverno dei fattori di produzione e dell’autonomia di gestione propria dell’archetipo del contratto di appalto[3]. In definitiva, la clausola sociale deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente[4].
In sintesi, sulla base di tali orientamenti deve ritenersi che:
- sia legittimo prevedere nei bandi di gara clausole sociali, ossia clausole che impongano il trasferimento del personale dal soggetto uscente a quello entrante, con valore cogente;
- tali clausole, ove richiamate dai bandi, devono tuttavia essere intese nel senso che l’offerente non possa ridurre ad libitum il numero di unità da impiegare nell’appalto, senza che ad esse possa essere attribuita la funzione di obbligare l’impresa aggiudicataria ad assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata tutto il personale già utilizzato dalla precedente impresa affidataria del servizio;
- la verifica sull’effettivo rispetto della clausola sociale dovrà essere effettuata nella fase di avvio del servizio trattandosi di un impegno, gravante sull’aggiudicatario, da assolvere nella fase dell’esecuzione del servizio in relazione al tipo di organizzazione di impresa prescelta[5].
La clausola sociale non può comportare l’obbligo per l’impresa aggiudicataria di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata tutto il personale già utilizzato dalla precedente impresa.
Nel contesto giurisprudenziale sopra citato si inserisce anche la recente sentenza del Consiglio di Stato (10/2/2016 n. 589), che sposa l’orientamento prevalente, volto sostanzialmente a contenere l’applicazione delle misure di protezione sociale da parte delle stazioni appaltanti.
In particolare, la pronuncia affronta il tema della legittimità delle previsioni di gara che impongano al concorrente di accettare – una volta divenuto aggiudicatario – l’applicazione al personale dipendente di un dato contratto collettivo.
Ebbene, secondo il Consiglio di Stato, la scelta del contratto da applicare al personale dipendente non può essere rimessa alla stazione appaltante, rientrando la stessa nelle prerogative di organizzazione dell’imprenditore e nella libertà negoziale delle parti, con il solo limite rappresentato dalla necessità che l’organizzazione imprenditoriale che si vuole affermare sia di fatto coerente con l’oggetto dell’appalto.
Come si legge nella pronuncia in esame, a ben vedere, il fatto che il concorrente indichi, nella propria offerta, di voler applicare un dato contratto collettivo piuttosto che un altro non può avere alcuna rilevanza ai fini della partecipazione alla gara, per quanto tale scelta gli consenta, ad esempio, un abbattimento dei costi e, quindi, un prezzo più competitivo: secondo il disposto del Consiglio di Stato, l’applicazione di un dato contratto di lavoro, difatti, può incidere solo in sede di valutazione di congruità dell’offerta, ma non può costituire causa di non ammissibilità ossia di esclusione dalla gara. Il legame con la congruità dell’offerta è evidente laddove si consideri che una data offerta potrebbe rivelarsi anomala se valutata in riferimento ad un determinato CCNL e non risultare tale, invece, assumendo a parametro i valori di un diverso CCNL.
Sul piano della congruità per l’appunto – si osserva nella sentenza in esame –«… non può considerarsi anomala l’offerta quando la stessa è riconducibile al minor costo del lavoro per il contratto applicato dall’impresa concorrente al proprio personale rispetto a quello applicato da altra impresa se nel disciplinare di gara si richiede l’indicazione non di un contratto specifico ma semplicemente di quale sia il contratto applicato e, peraltro, le mansioni richieste per l’esecuzione del servizio sono riconducibili a più figure professionali, inquadrabili anche nelle previsioni di diverse tipologie contrattuali»[6].
In tema di appalti pubblici, la scelta del contratto collettivo applicabile al personale, oggetto di trasferimento al nuovo gestore, può incidere solo in sede di valutazione di congruità dell’offerta ma non può costituire causa di esclusione del concorrente dalla gara.
La medesima questione è affrontata in termini analoghi dal TAR Lazio che, con una recente sentenza, ha ritenuto preclusa alle stazioni appaltanti la possibilità di imporre nel bando di gara l’obbligo, a carico dell’aggiudicatario, di applicare un determinato CCNL al personale, quand’anche si tratti di quello applicato dal gestore uscente[7]: «… la c.d. clausola sociale non può̀ imporre all’impresa subentrante in una gara pubblica di prescegliere un determinato contratto collettivo, potendo essa applicare un contratto collettivo diverso, pertinente all’oggetto dell’appalto, che salvaguardi i livelli retributivi dei lavoratori riassorbiti in modo adeguato e congruo». Il Giudice amministrativo ritiene, invece, legittima la previsione della lex specialis che faccia richiamo al «contratto collettivo di riferimento” o, comunque, a quello avente la maggiore diffusione tra i lavoratori proprio in quanto ritenuto maggiormente proconcorrenziale. Ad ogni buono conto, anche tale pronuncia pone l’accento sulla necessità che, in linea generale, l’applicazione di un determinato contratto collettivo non sia imposta alle imprese concorrenti quale requisito di partecipazione e che la mancata applicazione di questo non sia a priori sanzionata dalla stazione appaltante con l’esclusione, «sicché́ deve negarsi in radice che l’applicazione di un determinato contratto collettivo anziché́ di un altro possa determinare, in sé, l’inammissibilità̀ dell’offerta».
3. «Clausole sociali» previste dalla contrattazione collettiva
Uno dei tempi più spinosi connessi alle «clausole sociali» è quello del rapporto tra la disciplina prevista nei contratti collettivi e la lex specialis.
A differenza, infatti, della «clausola sociale» della lex specialis che è unilateralmente e discrezionalmente disposta dalle stazioni appaltanti, la clausola di imponibile di manodopera è di fatto espressamente contemplata in numerosi CCNL. In questo caso, l’obbligo discende da una trattativa tra le parti, nella quale rientrano – per sua natura, anche in virtù̀ dell’autonomia negoziale ex art. 1322 e 1372 c.c. – considerazioni e bilanciamento di interessi relativi all’organizzazione delle imprese e del mercato.
L’ANAC ha sul punto osservato che, se la clausola sociale inserita in un bando di gara necessita della valutazione di compatibilità con il diritto comunitario da parte dell’Autorità, così come richiesto dal Codice, la stessa valutazione non è imposta da alcuna norma con riguardo alla contrattazione collettiva.
A tal riguardo va tuttavia rilevato che la prevalente giurisprudenza considera la «clausola sociale» nella contrattazione collettiva alla stessa stregua di quella contenuta nei bandi di gara. In tal senso, è stato affermato che «gli obblighi di assunzione derivanti dai CCNL e dalla c.d. clausola sociale in materia di gare pubbliche, devono essere interpretati e osservati nei limiti di capienza dell’organico apprestato dal nuovo imprenditore, cui non può essere impedito di predisporre un progetto tecnico diverso da quello del precedente gestore con diverso e più limitato utilizzo di risorse, perché una tale costrizione violerebbe la libertà di iniziativa economica e sarebbe in contrasto con la logica stessa della attività di impresa» (TAR Emilia-Romagna Bologna Sez. II, 9/11/2012, n. 672 e TAR Abruzzo Pescara, Sez. I, 2/1/2015, n. 6).
Come osservato dall’ANAC, se è vero che l’accordo negoziale di contrattazione collettiva, in ragione della sua natura pattizia, può essere considerato astrattamente idoneo a fondare un principio di integrale assorbimento di manodopera nel caso di avvicendamento nella gestione del contratto, è parimenti vero che l’applicabilità della suddetta clausola, prevista in un CCNL, è chiaramente limitata alle imprese che applicano tale CCNL e agli specifici ambiti contrattuali dallo stesso disciplinati.
In altri termini, gli orientamenti giurisprudenziali, sopra menzionati, che tendono ad un temperamento delle clausole sociali, trovano applicazione anche con riguardo alle clausole previste dai contratti collettivi, esprimendosi anche in tale ambito perplessità di compatibilità costituzionale sulla legittimità dell’integrale e automatico assorbimento[8].
4. La legge delega e il nuovo Codice degli appalti e concessioni
Nel delegare il Governo, con la legge delega n. 11/2016, in relazione all’attuazione delle «direttive appalti», il legislatore non ha trascurato di inserire una serie di prescrizioni che, in vario modo, sono volte a tutelare i lavoratori in forza presso il soggetto uscente, con una sostanziale rivalutazione della portata delle «clausole sociali» negli appalti pubblici[9].
In particolare, tra gli indirizzi per l’attuazione del nuovo Codice (comma 1, lettere ddd, fff, ggg) il legislatore pone la previsione di:
- criteri premiali nella valutazione dell’offerta in favore delle imprese che si impegnino all’utilizzo prioritario della manodopera già impiegata dall’impresa uscente (art. 1, comma 6, lett. ddd)[10];
- una disciplina specifica per gli appalti pubblici di servizi, diversi da quelli aventi natura intellettuale, che preveda – con particolare riguardo a quelli «ad alta intensità di manodopera», definiti come quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50% dell’importo totale del contratto, l’introduzione di «clausole sociali» volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prendendo a riferimento, per ciascun comparto merceologico o di attività, il contratto collettivo nazionale di lavoro che presenta le migliori condizioni per i lavoratori ed escludendo espressamente il ricorso al solo criterio di aggiudicazione del prezzo o del costo, inteso come criterio del prezzo più basso o del massimo ribasso d’asta, comunque nel rispetto del diritto dell’Unione europea (art. 1, comma 6, lett. fff);
- una disciplina specifica per gli appalti pubblici di lavori e servizi, che introduca clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato e stabilisca che per contratti collettivi, nazionale e territoriale, in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni devono intendersi quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto e svolta dall’impresa, anche in maniera prevalente (art. 1, comma 6, lett. ggg);
- l’obbligo per i concessionari, con specifico riferimento alle concessioni di lavori o di servizi pubblici di importo superiore a 150.000 euro, già esistenti o di nuova aggiudicazione, di affidare una quota pari all’80% mediante gara, mentre la restante parte può essere realizzata da società in house (per i concessionari pubblici) ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate (per i concessionari privati), ovvero tramite operatori individuati mediante procedure ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato; il trasferimento deve avvenire «… prevedendo clausole sociali per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità …» (art. 1, comma 6, lett. iii)[11].
- l’introduzione di una clausola sociale di riassorbimento occupazionale nei casi di successione delle imprese nel contratto di appalto nelle attività di call center secondo le modalità e le condizioni previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro applicati e vigenti alla data del trasferimento, stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative sul piano nazionale; in assenza di specifica disciplina nazionale collettiva, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto adottato sentite le organizzazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, definisce i criteri per l’attuazione della disposizione (art. 1, comma 10).
In attuazione di tali indirizzi, il nuovo Codice degli appalti e concessioni (esaminato dal Consiglio dei Ministri del 3/3/2016 n. 107) contiene una disciplina più dettagliata delle «clausole sociali». Le stesse sono espressamente definite all’art. 3, lett. qqq, come «… disposizioni che impongono a un datore di lavoro il rispetto di determinati standard di protezione sociale e del lavoro come condizione per svolgere attività economiche in appalto o in concessione o per accedere a benefici di legge e agevolazioni finanziarie;». Una simile definizione non si rinveniva invece nel Codice precedente. Sin dalla definizione emerge, peraltro, il ruolo ambivalente che possono assumere le «clausole sociali», sia come condizione della aggiudicazione dell’appalto sia come mero criterio premiante di accesso a benefici fiscali o finanziari.
L’istituto è poi disciplinato all’art. 30 (Principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni), che individua per l’appunto i principi generali in tema di aggiudicazione ed esecuzione di appalti e concessioni. Il bilanciamento è sempre tra le esigenze di tutela sociale, da un lato, e il principio di economicità dall’altro. In particolare, è previsto che l’affidamento e l’esecuzione di appalti e concessioni debba garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, mentre le stazioni appaltanti devono rispettare i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità. Con previsione, in parte analoga, a quella contenuta all’art. 2, comma 2, del D.Lgs. 163/2006, si stabilisce che «Il principio di economicità può essere subordinato, nei limiti delle norme vigenti e dal nuovo codice, ai criteri, previsti nel bando, ispirati a esigenze sociali, … Le stazioni appaltanti non devono limitare in alcun modo artificiosamente la concorrenza allo scopo di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici o, nelle procedure di aggiudicazioni delle concessioni, compresa la stima del valore, taluni lavori, forniture o servizi, mentre gli operatori economici devono rispettare gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell’allegato X.» (art. 30 cit.).
Quanto al contratto collettivo applicabile, l’art. 30 del Codice vincola l’attività amministrativa, chiarendo che il contratto da applicare al personale impiegato nei lavori oggetto dell’appalto o della concessione cui deve aversi riferimento è il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa, anche in maniera prevalente. La norma sembra scoraggiare dunque l’applicazione di contratti che siano poco diffusi tra i lavoratori oppure che siano poco coerenti con l’oggetto della gara (ciò in linea con la giurisprudenza sopra richiamata).
Il nuovo Codice appalti prevede che la lex specialis possa imporre «clausole sociali» (soprattutto per i servizi ad alta intensità di manodopera) purché compatibilmente con il diritto dell’Unione europea e con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità nonché previa obbligatoria comunicazione all’ANAC.
Il successivo art. 50 (Clausole sociali del bando di gara e degli avvisi) detta quindi la disciplina di dettaglio, stabilendo che i bandi di gara e gli avvisi e gli inviti soggetti alle norme del Codice, con particolare riguardo a quelli ad alta intensità di manodopera, «… possono prevedere «clausole sociali», volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato e la salvaguardia delle professionalità, compatibilmente con il diritto dell’Unione europea e con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità.».
Il legislatore individua così una categoria di contratti pubblici che meglio giustifica la presenza di «clausole sociali»: trattasi dei contratti relativi a servizi ad alta intensità di manodopera, definiti come «quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50% dell’importo totale del contratto».
Il comma 2 dell’art. 50, con riferimento agli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, sempre avendo particolare riguardo a quelli ad alta intensità di manodopera, pone l’obbligo di inserire nella lex specialis specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario dei contratti collettivi di settore di cui all’art. 51 del D.Lgs. 15/6/2015, n. 81.
Infine, è stabilito che le stazioni appaltanti che prevedono clausole sociali ne diano comunicazione all’ANAC, che deve pronunciarsi entro 30 giorni. Decorso tale termine, il bando può essere pubblicato e gli inviti possono essere spediti. La disposizione riproduce quella presente nell’art. 69 del D.Lgs. 163/2006 che prevedeva nei settori ordinari la possibilità per le stazioni appaltanti di stabilire condizioni particolari di esecuzione del contratto[12].
Quanto alla esecuzione dei contratti di concessione, l’art. 177, in attuazione della legge delega, stabilisce l’obbligo per i soggetti pubblici e privati, titolari di concessioni di lavori o di servizi pubblici già esistenti o di nuova aggiudicazione, di affidare mediante procedura ad evidenza pubblica una quota pari all’80% dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro. L’affidamento deve prevedere «clausole sociali per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità».[13].
[1] Si pensi all’art. art. 69, D.Lgs. n. 163/2006 (oggi sostituito dalle norme del nuovo Codice di cui si dirà appresso), all’art. 63, c. 4, D.Lgs. n. 112/1999, all’art. 29, c. 3, D.Lgs. n. 276/2003. Quanto alle norme di settore può, ad esempio aversi riguardo alle norme disciplinanti taluni servizi pubblici locali (come il trasporto pubblico locale, disciplinato dal D.Lgs. 422/97).
[2] V. TAR Abruzzo – Pescara, Sez. 1, sentenza 2/1/2015, n. 6; ANAC, parere AG-15/2015/AP del 27/5/2015. V. anche Consiglio di Stato, Sez. VI, 27/11/2014, n. 5890. Il Consiglio di Stato (sentenza 9/12/2015 n. 5598) ha da ultimo espressamente ammesso la legittimità dell’obbligo di assunzione dei dipendenti previsto dalla clausola sociale solo “a condizione che il loro numero e la loro qualifica siano armonizzabili con l’organizzazione d’impresa prescelta dall’imprenditore subentrante, mentre i lavoratori che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali”.
[3] V. Consiglio di Stato, VI, 27.11.2014, n. 5890; AVCP, parere del 25/2/2010 n. 44; TAR Toscana – Firenze, Sez. 1, 11/2/2016 n. 261.
[4] Anche la Corte Costituzionale, con sentenza del 3/3/2011, n. 68, si è espressa nel senso di limitare la portata delle misure di protezione sociale previste dal legislatore regionale: nella sentenza in questione la Corte ha dichiarato infatti l’illegittimità̀ costituzionale dell’art. 30 della legge della Regione Puglia nella parte in cui imponeva alle nuove imprese o società̀ affidatarie dell’appalto l’obbligo di assunzione a tempo indeterminato del personale dell’impresa uscente, in luogo del mero mantenimento in servizio di personale non eccedente i limiti temporali dell’affidamento del servizio, nonché nella parte in cui prevedeva la stabilizzazione di personale della precedente impresa o società affidataria dell’appalto, senza alcuna forma selettiva.
[5] Quest’ultimo aspetto è stato evidenziato da ultimo dal Consiglio di Stato, sez. III, 14/9/2015 n. 4274 e sez. VI, 27/11/2014, n. 5890.
[6] Il Consiglio di Stato si sofferma sull’art 82 del Codice, ritenendo che “L’art. 82, comma 3-bis del d.lgs. n. 163 del 2006, va interpretato nel senso che questa norma comporta solo l’obbligo per le stazioni appaltanti di accertare la congruità delle offerte sulla base della verifica della compatibilità delle scelte organizzative effettuate dal concorrente con la normativa concernente i minimi salariali contrattuali della manodopera di settore, fermi, comunque l’inammissibilità «di giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge» ex art. 87, comma 3, dello stesso d.lgs. n. 163/2006 e l’adempimento alle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. La valutazione del costo del lavoro, in sede di verifica della congruità dell’offerta, consente alla stazione appaltante di verificare il rispetto dei minimi salariali inderogabili, sui quali non sono ammesse giustificazioni, ma nello stesso tempo di dare spazio alla valutazione di efficienze organizzative dell’impresa, che conducono alla scelta dell’offerta realmente “economicamente più bassa”.”.
[7] V. TAR Lazio – Roma, sez. II, 11/2/2016 n. 1969. Nel caso di specie, il bando prevedeva che l’impresa aggiudicataria applicasse nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni contrattuali non inferiori a quelle risultanti dal CCNL, mentre alla ricorrente viene contestata la mancata applicazione nei confronti dei propri lavoratori di condizioni contrattuali non inferiori a quelle risultanti dal CCNL Cooperative sociali, laddove essa applica il differente CCNL per le lavoratrici ed i lavoratori dipendenti da strutture associative ANFFAS.
[8] V. ANAC, parere sulla normativa AG-15/2015/AP del 27/5/2015.
[9] V. L. 28 gennaio 2016, n. 11 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 23 del 29/1/2016) recante “Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”.
[10] Il legislatore evidenzia la necessità di “… valorizzazione delle esigenze sociali e di sostenibilità ambientale, mediante introduzione di criteri e modalità premiali di valutazione delle offerte nei confronti delle imprese che, in caso di aggiudicazione, si impegnino, per l’esecuzione dell’appalto, a utilizzare anche in parte manodopera o personale a livello locale ovvero in via prioritaria gli addetti già impiegati nel medesimo appalto, in ottemperanza ai principi di economicità dell’appalto, promozione della continuità dei livelli occupazionali, semplificazione ed implementazione dell’accesso delle micro, piccole e medie imprese, tenendo anche in considerazione gli aspetti della territorialità e della filiera corta e attribuendo un peso specifico anche alle ricadute occupazionali sottese alle procedure di accesso al mercato degli appalti pubblici, comunque nel rispetto del diritto dell’Unione europea;”.
[11] Il comma in parola prevede inoltre che il disegno di legge preveda … per le concessioni già in essere, un periodo transitorio di adeguamento non superiore a 24 mesi…“ e che lo stesso escluda dal predetto obbligo “… unicamente le concessioni in essere o di nuova aggiudicazione affidate con la formula della finanza di progetto o con procedure di gara ad evidenza pubblica”.
[12] V. art. 69, Condizioni particolari di esecuzione del contratto prescritte nel bando o nell’invito:
«1. Le stazioni appaltanti possono esigere condizioni particolari per l’esecuzione del contratto, purché siano compatibili con il diritto comunitario e, tra l’altro, con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, e purché siano precisate nel bando di gara, o nell’invito in caso di procedure senza bando, o nel capitolato d’oneri.
2. Dette condizioni possono attenere, in particolare, a esigenze sociali o ambientali.
3. La stazione appaltante che prevede tali condizioni particolari può comunicarle all’Autorità, che si pronuncia entro trenta giorni sulla compatibilità con il diritto comunitario. Decorso tale termine, il bando può essere pubblicato e gli inviti possono essere spediti.
4. In sede di offerta gli operatori economici dichiarano di accettare le condizioni particolari, per l’ipotesi in cui risulteranno aggiudicatari.».
[13] Ai sensi dell’art. 177 cit. «1. I soggetti pubblici o privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già̀ in essere alla data di entrata in vigore del presente codice, non affidate con la formula della finanza di progetto ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione europea, sono obbligati ad affidare una quota pari all’ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità̀. La restante parte può̀ essere realizzata da società̀ in house per i soggetti pubblici, ovvero da società̀ direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.
2. Le concessioni di cui al comma 1 già̀ in essere si adeguano alle predette disposizioni entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente codice.
3. La verifica del rispetto del limite di cui al comma 1, pari all’ottanta per cento, da parte dei soggetti preposti e dell’ANAC, viene effettuata secondo le modalità̀ e con la cadenza indicate dall’ANAC stessa in apposite linee guida. Eventuali situazioni di squilibrio rispetto al limite indicato devono essere riequilibrate entro il termine individuato dai soggetti preposti.».