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E’ prassi assai diffusa presso le stazioni appaltanti la previsione, nei bandi di gara relativi all’affidamento di lavori pubblici, di clausole che subordinano i pagamenti dovuti all’impresa esecutrice all’ottenimento di finanziamenti da parte di soggetti terzi (ad esempio finanziamenti derivanti da fondi europei) ovvero a risorse non ancora presenti in bilancio e quindi non disponibili – quanto meno in termini di cassa – da parte della stazione appaltante.
Il Presidente della Autorità Nazionale Anticorruzione, con comunicato dello scorso 6 ottobre recante «Clausole relative alle modalità di pagamento dei lavori pubblici finanziati in tutto o in parte da soggetti esterni», ha analizzato il tema in oggetto, fornendo precise indicazioni che, com’è agevole immaginare, avranno rilevante influenza sul modus operandi degli enti affidanti[1].
1. Il divieto dei «compensi condizionati» nella progettazione
L’attuale Codice dei contratti pubblici espressamente vieta l’assoggettabilità dei compensi a condizioni relative allo stato dei finanziamenti da ottenere e/o erogare. Tale previsione si riferisce tuttavia solo agli appalti relativi alla progettazione: «Le amministrazioni aggiudicatrici non possono subordinare la corresponsione dei compensi relativi allo svolgimento della progettazione e delle attività tecnico-amministrative ad essa connesse all’ottenimento del finanziamento dell’opera progettata.» (art. 92 D.Lgs. 163/2006).
Una simile disposizione nel caso della progettazione risponde senza dubbio all’esigenza di porre fine alla prassi invalsa presso gli Enti locali, specialmente di minori dimensioni, di affidare incarichi di progettazione senza avere ancora i fondi per la realizzazione dell’opera pubblica, fondi che sono normalmente finalizzati sia al finanziamento dei lavori che al pagamento delle spese generali e di progettazione. Il che determinava una serie di problematiche in primis sotto il profilo della regolarità contabile.
In merito la giurisprudenza di legittimità ha osservato come la delibera con la quale i competenti organi comunali o provinciali affidano ad un professionista privato l’incarico per la progettazione di un’opera pubblica debba ritenersi valida e vincolante nei confronti dell’ente soltanto se il relativo impegno di spesa sia accompagnato dall’attestazione, da parte del responsabile del servizio finanziario, della copertura finanziaria. L’inosservanza di tale prescrizione determina la nullità della delibera, che si estende al contratto di prestazione d’opera professionale poi stipulato con il professionista, comportando l’esclusione di qualsiasi responsabilità o obbligazione dell’ente pubblico in ordine alle spese assunte senza il suddetto adempimento[2].
Anche la giurisprudenza amministrativa si è più volte pronunciata nel senso di ritenere illegittimo subordinare il pagamento di compensi professionali (progettazione, indagini, etc.) all’ottenimento del finanziamento per la realizzazione dell’opera pubblica[3].
In coerenza a tali orientamenti, l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha affermato l’illegittimità di clausole che subordinano il pagamento di una prestazione all’ottenimento del relativo finanziamento, evidenziando come «l’abolizione dei minimi tariffari non ha abrogato il divieto, tuttora in vigore, di subordinare il pagamento dei compensi relativi alla progettazione all’ottenimento del finanziamento dell’opera. Deve ribadirsi, al riguardo, quanto già asserito da questa Autorità ed in particolare che non è possibile – a pena di nullità – affidare incarichi di progettazione subordinando la corresponsione dei compensi professionali, relativi allo svolgimento della progettazione e delle attività tecnico-amministrative ad esse connesse, ai finanziamenti dell’opera, né è ammissibile subordinare il pagamento di tali compensi a fasi della realizzazione dei lavori ed in particolare all’emissione dei S.A.L. La progettazione di un’opera pubblica non può costituire un’attività fine a se stessa, svincolata dalla esecuzione dei lavori, con la conseguenza che non si può affidare un incarico di progettazione senza che l’opera sia stata non solo programmata, ma sia stata anche indicata l’effettiva reperibilità delle somme necessarie per realizzarla e che, pertanto, con l’entrata in vigore della legge Bersani non è stato abrogato l’articolo 92, comma 1, del Codice (cfr. sul punto, determinazione n. 4/2007; deliberazione n. 125/2007)»[4].
2. L’intervento dell’ANAC
L’Autorità Nazionale Anticorruzione, nel comunicato in oggetto, riconduce il tema nell’ambito del principio generale secondo cui i provvedimenti comportanti una spesa devono essere adottati soltanto in presenza di idonea copertura finanziaria.
Tale assunto trova fondamento, secondo l’Autorità, nel più generale principio di buon andamento dell’Amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione nonché nelle previsioni dell’articolo 81 della medesima, che, sebbene in riferimento alla legge statale, stabilisce, tra l’altro, che lo Stato debba assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico e che ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri debba provvedere ai mezzi per farvi fronte.
Nel comunicato non manca il riferimento al d.lgs. 267/2000, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, che in precipua attuazione dei principi generali sopra richiamati, dispone che «gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste l’impegno contabile registrato sul competente programma del bilancio di previsione e l’attestazione della copertura finanziaria di cui all’articolo 153, comma 5 (art. 191, comma 1)».
I principi costituzionali impongono alla stazione appaltante l’onere di verificare ex ante la sostenibilità finanziaria degli interventi che intende realizzare.
Pertanto, la stazione appaltante ha l’onere di verificare ex ante la sostenibilità finanziaria degli interventi che intende realizzare, anche in considerazione dei limiti posti dal patto di stabilità, garantendone la permanenza anche in fase di esecuzione, coerentemente a quanto previsto nel bando di gara.
Quest’ultimo deve contenere, tra l’altro, a norma dell’art. 64 d.lgs. 163/2006, le informazioni di cui all’allegato IX A del Codice dei contratti pubblici, ivi incluse quelle relative alle modalità essenziali di finanziamento e di pagamento e/o riferimenti alle disposizioni in materia.
Inoltre, sempre ai sensi di tale disposizione, i bandi devono essere predisposti dalle stazioni appaltanti sulla base di modelli («bandi – tipo») approvati dall’Autorità, previo parere del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e sentite le categorie professionali interessate. Dunque, gli schemi in questione vincolano le stazioni appaltanti, le quali nella delibera a contrarre hanno l’obbligo di motivare espressamente in ordine alle eventuali deroghe allo schema predisposto dall’Autorità[5]. Conformemente agli orientamenti espressi nel recente comunicato, nei «bandi – tipo» ad oggi pubblicati sul sito dell’Autorità non compaiono clausole sui pagamenti del tipo di quelle in esame.
Da quanto sopra deriva, quale fondamentale corollario, il principio secondo cui la disciplina dei termini e delle modalità di pagamento prevista nella lex specialis deve necessariamente essere conforme alle prescrizioni normative di cui al D.Lgs. 9.10.2002 n. 231, come modificato dal D.lgs. 9.11.2012 n. 192.
Il decreto in questione, come noto, prevede imperativamente termini massimi di pagamento che i soggetti coinvolti nelle transazioni commerciali, ivi inclusi gli enti pubblici, sono tenuti a rispettare.
In particolare, la normativa di cui al citato decreto – applicabile anche agli appalti di servizi e forniture stipulati dalle amministrazioni pubbliche[6] – prevede:
- la decorrenza automatica degli interessi moratori;
- l’imposizione normativa del termine per il pagamento, salvo il diverso termine concordato tra le parti;
- l’imposizione normativa del saggio di interessi moratori, salvo il diverso accordo tra le parti;
- la nullità delle clausole sui termini di pagamento, anche se concordate tra le parti, qualora, «avuto riguardo alla corretta prassi commerciale, alla natura della merce o dei servizi oggetto del contratto, alla condizione dei contraenti e ai rapporti commerciali tra i medesimi, nonché a ogni altra circostanza», risultino gravemente inique in danno del creditore.
La prassi censurata dalla Autorità, pertanto, comporta una inammissibile violazione della disciplina nazionale e comunitaria prevalente oggi contenuta nel D.Lgs. 231/2002, laddove consente alle stazioni appaltanti di differire i termini di pagamento nelle more dell’avveramento di un evento futuro e incerto, quale, ad esempio, l’erogazione di un finanziamento da parte di enti terzi.
3. L’orientamento giurisprudenziale dominante
L’intervento dell’ANAC si ricollega ad un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, relativo, più in generale, all’imperatività dei termini di pagamento di cui al D.Lgs. 231/2002 anche nel settore dei contratti pubblici.
Il Consiglio di Stato è difatti intervenuto sul punto ritenendo illegittime le prescrizioni di capitolato speciale che prevedano dei termini di pagamento e/o un saggio degli interessi moratori differenti rispetto a quelli disposti dal suddetto D.lgs. 231/2002[7].
Anteriormente a tali statuizioni giurisprudenziali l’impatto della normativa in oggetto sulle gare pubbliche delle amministrazioni italiane è stato assai esiguo.
Le stazioni appaltanti hanno, infatti, continuato a mantenere per lungo tempo, negli atti di gara, previsioni che impongono termini di pagamento e modalità di calcolo degli interessi moratori ben differenti rispetto a quelli disposti dal citato decreto.
Siffatto modus operandi trovava la principale giustificazione nell’articolo 4, comma 4, del detto decreto, ai sensi del quale: «Le parti, nella propria libertà contrattuale, possono stabilire un termine superiore rispetto a quello legale di cui al comma 3 a condizione che le diverse pattuizioni siano stabilite per iscritto e rispettino i limiti concordati nell’ambito di accordi sottoscritti, presso il ministero delle Attività produttive, dalle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale della produzione, della trasformazione e della distribuzione per categorie di prodotti deteriorabili specifici».
L’intervento della giurisprudenza è stato quindi decisivo, facendo chiarezza innanzitutto sulla giurisdizione competente ad affrontare la legittimità di una clausola inserita in un capitolato speciale: le procedure di affidamento di contratto di appalto di lavori pubblici, servizi e forniture sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi degli articoli 244 del D.lgs. 163/2006 e 6 della L. 205/2000, la quale conosce delle posizioni di diritto o interesse, esulando dalla giurisdizione del giudice amministrativo solo le controversie sulla esecuzione e cioè sul contratto ormai stipulato e quindi sul contratto non più in quanto negozio ma in quanto rapporto[8].
In caso di contestazione delle clausole relative ai termini di pagamento che siano contrarie al D.Lgs. 231/2002, pertanto, la questione – riguardante formalmente il bando – investe nella sostanza il contenuto iniquo di talune delle clausole contrattuali in esso inserite e il giudizio di invalidità sulla base della loro ritenuta iniquità. Pertanto, secondo orientamento consolidato, sussistono le condizioni dell’azione e i presupposti per la tutela inibitoria ovvero per l’accertamento della illegittimità di cui al citato decreto legislativo; sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo ed oggetto del giudizio sono da ritenersi le clausole inique di cui si vuole impedire l’inserimento.
In particolare, la giurisprudenza in esame ha qualificato la pubblica amministrazione quale «imprenditore forte», in quanto in grado di predisporre condizioni generali di contratto e utilizzarle nelle transazioni commerciali, ritenendo per l’effetto che l’inserzione nei capitolati di termini più lunghi rispetto a quelli previsti dal D.lgs. 231/2002 rappresenta «un comportamento abusivo della parte contrattualmente più forte».
La condotta della amministrazione, di conseguenza, «integra e concreta proprio uno di quei comportamenti abusivi della parte contrattualmente più forte che il legislatore ha inteso contrastare attraverso la introduzione di un diritto diseguale mirante a stabilire un equilibrio giuridico antitetico rispetto al potere reale dei paciscenti …»[9].
Secondo la giurisprudenza, quindi, il decreto legislativo del 2002 ha efficacia prevalente rispetto a qualsivoglia diversa previsione unilaterale o negoziale ma anche sostitutiva di quest’ultima ai sensi degli articoli 1339 e 1419 del codice civile. E’ difatti principio generale quello secondo cui il contratto obbliga le parti non solo alle regole previste dal medesimo, ma anche al rispetto delle regole imperative e a quanto deriva dalla legge, dagli usi e dalla equità (articoli 1339, 1419, 1418 e 1374 del codice civile).
La diretta conseguenza è che le clausole del capitolato, in contrasto con le disposizioni di cui al decreto 231/2002, sono da considerarsi nulle e vanno sostituite con le prescrizioni normative vigenti (che, come detto, prevedono un termine di pagamento entro trenta giorni e un saggio di interessi « … determinato in misura pari al saggio d’interesse del principale strumento di rifinanziamento della Banca centrale europea applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale effettuata il primo giorno di calendario del semestre in questione, maggiorato di sette punti percentuali»). La predetta nullità, peraltro, può essere fatta valere dalla parte, rilevata d’ufficio in ogni stato e grado di giudizio o, ancora, eccepita dalle associazioni di categoria in sede di azione inibitoria a tutela di interessi collettivi.
Le amministrazioni dunque non possono più validamente far leva sulla norma di cui all’art. 4 del D.lgs. 231/2002, in quanto – secondo il Consiglio di Stato – la presentazione della offerta da parte dei soggetti privati non può essere considerata quale un diverso accordo tra le parti ai sensi del citato articolo 4. Tale accordo, conclude il Consiglio di Stato, può rinvenirsi «solo a seguito di apposita contrattazione e trattativa sul punto, che evoca un concetto di contratto di tipo pararapportuale (o precontrattuale) che non può certo rinvenirsi nel binomio “bando – presentazione dell’offerta”, che già integra (quantomeno in parte) la conclusone del contratto»[10].
Alla luce di quanto sopra deve considerarsi illegittima l’eventuale esclusione dalla procedura di gara che sia disposta in ragione della mancata accettazione (espressa o tacita) della clausola contrattuale iniqua e lo è, altrettanto, l’attribuzione di un punteggio, nell’ambito dell’offerta economicamente più vantaggiosa, di termini di pagamento dilazionati rispetto alla disciplina legale.
La disciplina dei termini e delle modalità di pagamento prevista nella lex specialis deve essere conforme alle prescrizioni del D.Lgs. 9.10.2002 n. 231.
4. Le clausole consentite
Ribaditi i principi di cui sopra, l’ANAC precisa che essi possono subire delle deroghe. Tali deroghe non possono tuttavia far leva sul mero richiamo da parte degli enti affidanti ai vincoli imposti dal patto di stabilità. In altri termini, le stazioni appaltanti non possono legittimamente differire o negare il pagamento dovuto alla azienda esecutrice dei lavori adducendo a giustificazione i detti vincoli derivanti alla finanza pubblica dal patto di stabilità interno.
Sul punto, difatti, l’Autorità aveva già avuto modo di intervenire, chiarendo che « … non può ritenersi sufficiente che la stazione appaltante per derogare alla suddetta normativa puntuale faccia in sede di bando di gara un generico richiamo alla necessità del rispetto del patto di stabilità interno. … » (determinazione n. 4 del 7.7.2010).
In precedenza, sullo stesso argomento, l’ANAC era intervenuta ritenendo illegittima la previsione di gara implicante l’esonero della responsabilità della stazione appaltante nei confronti dell’appaltatore per ritardato pagamento, asserendo che non poteva ritenersi idonea giustificazione la circostanza che il ritardo fosse imputabile a fatti ricollegabili agli enti finanziatori dell’opera (Parere del 6/11/2013 n.176). L’Autorità faceva in particolare richiamo all’art. 133 del D.Lgs. 163/2006, il quale prevede che «In caso di ritardo nella emissione dei certificati di pagamento o dei titoli di spesa relativi agli acconti e alla rata di saldo rispetto alle condizioni e ai termini stabiliti dal contratto, che non devono comunque superare quelli fissati dal regolamento di cui all’art. 5, spettano all’esecutore dei lavori gli interessi, legali e moratori (…)»: in questo quadro «… non è ravvisabile alcun margine per accordi derogatori peggiorativi della posizione dell’appaltatore, tanto meno una rinuncia integrale agli interessi per ritardo nei pagamenti. (…) Una tale previsione, inserita in uno schema di contratto unilateralmente predisposto dalla Stazione Appaltante (…) è da ritenersi senza dubbio vessatoria ai sensi dell’art. 1341, c. 2 del codice civile, e gravemente iniqua dal momento che espone l’appaltatore a rilevanti oneri finanziari e organizzativi e al rischio di insolvenza».
Quali sono dunque le uniche deroghe da ritenersi ammesse? Come chiarito nel comunicato in oggetto, è consentito, sebbene in via del tutto eccezionale, che il bando subordini l’effettiva erogazione del pagamento dovuto all’esecutore a « … condizioni oggettive, specificamente individuate, che impediscono alla stazione appaltante di rispettare le condizioni di pagamento imposte dalle norme, purché le stesse non siano imputabili alla violazione del dovere generale che grava sulle amministrazioni pubbliche di verificare la compatibilità del programma dei pagamenti con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica»[11].
La stazione appaltante non può rifiutare il pagamento dovuto alla ditta esecutrice adducendo, quale giustificazione, la necessità del rispetto dei vincoli derivanti dal patto di stabilità interno.
Ne deriva quindi uno specifico onere per l’Ente affidante di indicare preventivamente, nella documentazione di gara, le condizioni in presenza delle quali il ritardo o l’impedimento nel pagamento dovranno ritenersi giustificati, fermo restando che tale ritardo o impedimento non devono risultare in nessun caso imputabili alla negligenza dell’Ente affidante, il quale abbia omesso di verificare attentamente e preventivamente la disponibilità delle somme necessarie per realizzare l’opera commissionata.
In tal caso infatti deve ritenersi fermo il diritto dell’appaltatore di agire in giudizio per far valere la responsabilità della stazione appaltante e l’illegittimità della relativa clausola.
Allo stesso modo, nell’ipotesi in cui la stazione appaltante ometta di fare quanto necessario per ottenere il finanziamento da enti terzi ovvero ometta di versare una rata del finanziamento ricevuto all’appaltatore, quest’ultimo potrà agire avverso l’inerzia e/o l’inadempimento dell’Ente, il quale sarà tenuto anche al pagamento degli interessi di mora medio tempore maturati.
5. Conclusioni
I nuovi orientamenti dell’Autorità fanno chiarezza su un aspetto, quello dei tempi di pagamento, particolarmente cruciale nel settore dei contratti pubblici, con l’effetto, auspicato, di indurre ad un notevole ridimensionamento del contenzioso sul punto.
Lo scopo perseguito dalla Autorità senza dubbio si inquadra nella generale attività volta a garantire omogeneità della prassi del settore e a limitare la discrezionalità delle stazioni appaltanti nella determinazione del contenuto degli atti di gara, imponendo alle stesse un onere motivazionale stringente laddove intendano discostarsi dal bando–tipo.
Nello specifico, l’attenzione della Autorità deriva, come dichiarato – del tutto condivisibilmente – dallo stesso Presidente, dalla consapevolezza che la previsione di modalità di pagamento incerte, la cui erogazione effettiva, cioè, sia legata alla effettiva erogazione o – ancor peggio – allo stesso ottenimento di determinati finanziamenti, non solo non consente di garantire il rispetto della disciplina imperativa in ordine alla tassatività dei termini di pagamento di cui al d.lgs. 231/2002, bensì genera problematiche assai rilevanti in ordine alla effettiva sostenibilità finanziaria della partecipazione alle gare da parte dei soggetti privati, riducendone gli incentivi ed alterando, in tal modo, le condizioni di concorrenza sul mercato. La centralità delle garanzie di pagamento nella vita delle imprese e, più in generale, nell’economia europea, è stata poi sottolineata con forza dal legislatore europeo e dai recenti interventi nazionali di contrasto ai ritardi di pagamento.
L’evoluzione dei concetti espressi dall’ANAC dovrebbe pertanto portare a rivedere anche la disciplina dei casi in cui i pagamenti siano addebitabili ad un ente finanziatore terzo, con conseguente dicotomia tra provvista finanziaria e titolarità del rapporto contrattuale (es. appalti cofinanziati dall’Unione europea, ove si pongono in essere due percorsi differenziati: uno, di tipo contrattuale, con l’operatore economico e un altro, di carattere amministrativo, con il suddetto ente), nel senso di affermare l’obbligo della stazione appaltante di provvedere alla tempestiva erogazione dei corrispettivi attraverso proprie risorse finanziarie, salva la facoltà di esercitare l’azione di rivalsa verso il terzo.
[1] Il comunicato è disponibile al seguente link http://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/AttivitaAutorita/AttiDellAutorita/_Atto?ca=6287
[2] V. sentenza della Corte di Cassazione civile, sez. un., 28 giugno 2005, n. 13831.
[3] V. sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia – sez. Lecce n. 557 del 20/2/2010 che ha accolto un ricorso finalizzato ad ottenere l’annullamento di un bando per l’affidamento di un incarico professionale. Il TAR ha ritenuto che il bando fosse in palese contrasto con le disposizioni dell’art. 92 del Codice dei Contratti. V. anche Conti reg. Puglia, sez. giurisdizionale, 4 giugno 2003, n. 465; C.Conti reg. Puglia, sez. giurisd., 19 febbraio 2004, n. 159.
[4] V. Delibera n. 19 del 18 febbraio 2015.
[5] In attuazione dell’art. 64, comma 4-bis, del d.lgs. 12/4/2006, n. 163 , l’Autorità ha elaborato il primo modello (bando-tipo) per l’affidamento degli appalti di lavori pubblici nei settori ordinari d’importo superiore a 150.000 euro, per i quali vige il sistema unico di qualificazione previsto dal D.p.r. 10/12/2010, n. 207. Il bando tipo è consultabile al seguente link http://www.anticorruzione.it/portal/rest/jcr/repository/collaboration/Digital%20Assets/anacdocs/Attivita/Atti/ComunicatiPresidente/2015/com.pres.06.10.15.pdf
[6] L’articolo 2 dispone, infatti, che il decreto si applica in generale alle transazioni commerciali intese come «i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo».
[7] V. Consiglio di Stato, sezione IV, n. 469 del 2/2/2010.
[8] V. Corte di Cassazione, ss. uu. n. 11656/2008; Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 9/2008.
[9] V. Consiglio di Stato, sezione IV, del 2 febbraio 2010 n. 469; in tal senso anche Consiglio di Stato, sez. V, 11 gennaio 2006, n. 43. V. anche TAR Piemonte, sez. 1, 4 dicembre 2009 n. 3260, secondo cui «… per poter parlare di accordo tra le parti, è necessario che la formazione della volontà contrattuale sia libera per entrambi i contraenti, il che deve escludersi ove le clausole peggiorative, oltre che essere state unilateralmente predisposte da una delle parti, siano state imposte all’altra quali condizioni di partecipazione alla gara … conseguendone l’inconfigurabilità della deroga nei casi di deroga apportata con atti unilaterali dell’Amministrazione, quali i bandi o i disciplinari di pubbliche gare. Illegittimamente il capitolato speciale e quello generale d’appalto recano un termine dilatorio per il pagamento dei corrispettivi contrattuali e una misura degli interessi moratori in difformità dalla disposizioni di cui agli articoli 4 e 5 del Dlgs n. 231/2002 senza, peraltro, che dagli atti di gara consti l’emergenza di particolari, motivate e documentate ragioni. ».
La giurisprudenza in questione supera così i precedenti orientamenti minoritari, che invece ritenevano legittimo il capitolato che prevedesse un termine di pagamento di 90 giorni dal ricevimento della fattura (v. Tar Veneto, sezione I, del 25 novembre 2008 n. 3637, secondo cui «il decreto legislativo n. 231/2002 non impone il termine di trenta giorni e comunque non dispone nel senso che un termine superiore ai 30 giorni debba automaticamente considerarsi iniquo e quindi illegittimo. E, nella specie, il termine concretamente fissato di 90 giorni non può ritenersi iniquo tenuto conto della entità e della complessità e dell’oggetto della gara in questione»).
[10] V. sentenza n. 469/2010 cit..
[11] In un precedente atto, l’ANAC si soffermava anche sul problema dei pagamenti ai subappaltatori e fornitori, segnalando che « … al fine di evitare che un comportamento non corretto all’atto del pagamento possa produrre effetti esponenziali sul sistema delle imprese che operano con incarichi di subappalto, è indispensabile che i contratti impongano all’aggiudicatario che ha ottenuto un pagamento da una P.A. (tempestivo o ritardato) di provvedere ai propri obblighi verso i subappaltatori o fornitori nello stesso giorno di valuta, sì da evitare che il primo trasferisca il costo dell’inefficienza dell’appaltante sulle imprese più piccole e, dunque, più deboli finanziariamente» (AVCP, determinazione n. 7/2010).