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Deflagrazione dell’elemento fiduciario ai sensi dell’art. 38, co.1, lett. f) del D.Lgs. 163/06 e s.m.i..

1. Contesto normativo

Ai sensi dell’art. 38, comma I, lett. f) del Codice dei Contratti Pubblici di cui al Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163 sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavoro, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante.

La ratio[1] è quella di garantire l’elemento fiduciario che deve necessariamente connotare i rapporti contrattuali della P.A. fin dal loro momento genetico, elevando il requisito della “affidabilità professionale” a requisito di partecipazione alle gare per l’aggiudicazione di appalti pubblici.

La richiamata disposizione prevede due fattispecie di esclusione alternative ed in specie

(i)     la commissione di una grave negligenza o malafede nelle esecuzione delle prestazioni affidate dall’amministrazione aggiudicatrice che bandisce la gara;

(ii)    o    la commissione di un errore grave nell’esercizio dell’attività professionale accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante.

Si tratta di una norma apparentemente di facile esegesi ma che in realtà ha un contenuto assai complesso[2]. L’elemento fiduciario ha contorni sottili e difficilmente visibili se non attraverso un’adeguata indagine istruttoria. La “negligenza” e la “malafede” (ipotesi sub (i)) non hanno per presupposto un concetto che possa dirsi giuridicamente chiaro e la “gravità” (ipotesi sub (ii)) dell’errore professionale non ha di per sé una connotazione giuridica per così dire “univoca”, essendo anche quest’ultima rimessa alla percezione della condotta. In altri termini gli scarni parametri della “negligenza” della “malafede” e dell’“errore grave” testimoniano la scelta di riconoscere alla P.A. un ampio margine di apprezzamento della sussistenza del requisito dell’affidabilità.

Si può quindi affermare che è per tale ragione che la giurisprudenza è assai rigorosa nell’affermare la necessità di una “motivata valutazione” di tale causa di esclusione che tenga conto di quanto effettivamente verificatosi in passato rispetto all’affidamento della gara in oggetto, fermo restando il caso dell’inadempimento contrattuale[3].

I predetti concetti di negligenza e malafede  evocano atteggiamenti dolosi o comunque gravemente colposi e sono stati posti a fondamento dell’esclusione di imprese coinvolte in indagini penali su episodi di negligenza o malafede nei rapporti contrattuali pregressi, sulla scorta della considerazione che la pendenza di siffatti accertamenti sarebbe già di per sé idonea a minare il rapporto fiduciario tra P.A. ed impresa e, dunque, l’affidabilità professionale dell’impresa stessa[4].

La norma non ha carattere sanzionatorio e l’espulsione non è neppure automatica posto che, come si è detto, l’apprezzamento dell’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali con la P.A. esclude di per sé qualsiasi automatismo. Deve comunque trattarsi di una condotta ascrivibile all’impresa in grado di compromettere l’affidamento sulle qualità di serietà e di correttezza contrattuale dell’impresa.

Per giurisprudenza pacifica:

  1. è sufficiente una motivata valutazione dell’Amministrazione in ordine alla condotta che integra la fattispecie espulsiva tenuta nell’esercizio delle prestazioni affidate dalla stessa stazione appaltante, che abbia fatto venir meno la fiducia nell’impresa;
  2. non è necessario un accertamento giurisdizionale della responsabilità del contraente per l’inadempimento in relazione ad un precedente rapporto contrattuale, quale sarebbe richiesto invece per l’esercizio di un potere sanzionatorio;
  3. la gravità della situazione ostativa deve essere motivatamente valutata dall’Amministrazione,;
  4. la rilevanza della fattispecie “incriminate” va, in concreto, commisurata al pregiudizio arrecato all’affidamento che la stazione appaltante deve poter riporre ex ante nell’impresa con cui decide di intraprendere un nuovo rapporto contrattuale.

In definitiva, come indicato dal Consiglio di Stato[5] e come dall’ex AVCP[6], la negligenza, malafede ed errore grave sono cause di esclusione in funzione della salvaguardia dell’elemento fiduciario; la relativa valutazione della stazione appaltante può prescindere dall’accertamento giurisdizionale e comporsi attraverso un’ispezione nei rapporti contrattuali precedenti.

2. Focus: sull’errore grave nell’esercizio dell’attività professionale

L’ipotesi di esclusione per errore grave professionale concerne, più in generale, la capacità tecnica e professionale dell’operatore economico. Si tratta per certi versi di un’ipotesi caratterizzata da aspetti per così dire più oggettivi ed in quanto tali maggiormente percepibili e rilevabili[7]. Trattandosi di una condotta sintomatica della perdita del requisito di capacità tecnica e professionale e della affidabilità che si riverbera sull’idoneità a fornire prestazioni congrue rispetto all’interesse pubblico perseguito, si ritiene che la rilevanza della condotta non si circoscriva all’ambito dei rapporti intercorsi con la stazione appaltante[8], riferendosi alla più ampia sfera della pregressa attività professionale.

La vicenda relativa alla grave inadempienza con soggetto diverso dall’amministrazione che ha bandito la gara rientra, quindi, nell’ipotesi in esame.

Con riferimento al concetto di errore professionale, è utile richiamare una sentenza del Consiglio di Stato del 21 giugno 2012, n. 3666, con la quale è stato affermato il seguente principio: “il concetto di errore professionale abbraccia un’ampia gamma di ipotesi, riconducibili comunque alla negligenza, alla malafede o all’incapacità di assolvere alle prestazioni contrattuali e l’omessa indicazione, nella domanda di partecipazione alla gara, di tali pregresse gravi inadempienze, è affetta da incompletezza potenzialmente idonea ad influire in maniera determinante sullo svolgimento della procedura concorsuale e non può essere pertanto considerata come omissione di una mera formalità “innocua” ai fini delle determinazione delle cause di esclusione dalla gara.”

La disposizione in commento – come nell’ipotesi sub i) – demanda alla stazione appaltante la valutazione circa il rilievo dell’errore professionale compiuto dall’impresa che aspira alla stipula del contratto, in modo da accertarne l’affidabilità professionale mediante un apprezzamento necessariamente discrezionale. Il che è correlato all’obbligo dichiarativo che incombe sull’operatore.

L’articolo 38, comma 1, lettera f), del D. Lgs. 163/2006 onera, a pena di esclusione, l’impresa che aspira alla stipula del contratto con una Pubblica amministrazione appaltante, a presentare apposita dichiarazione concernente pregresse risoluzioni contrattuali dovute a grave errore professionale, malafede o negligenza, anche qualora queste dovessero interessare appalti affidati da altre Stazioni Appaltanti.

Come recentemente e condivisibilmente osservato del resto dalla giurisprudenza[9], l’art. 38, comma 1, lett. f), del D.Lgs. n. 163/2006 impone, a pena di esclusione, la dichiarazione di pregresse risoluzioni contrattuali anche se relative ad appalti affidati da altre stazioni appaltanti e richiede che a detta dichiarazione in ogni caso l’offerente provveda, per spettare all’Amministrazione la valutazione, caso per caso, della gravità dell’errore professionale, con esclusione di qualsiasi “filtro” del concorrente in sede di domanda di partecipazione.

Sicché ai fini dell’inveramento dell’obbligo di relativa dichiarazione in sede di domanda partecipativa a una gara di pubblico appalto, non ha rilievo:

  1. che le pregresse infrazioni siano state oggetto di accertamento in sede giurisdizionale, poiché è invece sufficiente il verificarsi del fatto storico della risoluzione del contratto (o della disposta e intervenuta decadenza[10]), essendo richiesta una simile condizione (accertamento giurisdizionale) dall’art. 38, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006 limitatamente ad altre cause di esclusione, non con riferimento a quella dell’errore professionale[11];
  2. la semplice risalenza temporale del provvedimento di decadenza o di risoluzione;
  3. l’insussistenza di annotazioni del fatto nel casellario informatico di cui all’art. 7, comma 10, del d.lgs. n. 163 del 2006, limitando la norma ad altri casi l’imprescindibilità di tale presupposto formale, ed operando quindi quell’annotazione come una mera forma di pubblicità di per sé non ostativa ad una diversa valutazione in concreto circa la rilevanza dei precedenti atti di risoluzione contrattuale[12].

L’obbligo dichiarativo in questione si sostanzia dunque in “adempimento doveroso” imposto dalla norma e, pertanto, in caso di assenza di una siffatta dichiarazione secondo un orientamento giurisprudenziale non è possibile porvi rimedio attraverso il c.d. “soccorso istruttorio”[13], pena l’illegittimità dell’operato della stazione appaltante che confermi l’aggiudicazione dell’appalto una volta venuta a conoscenza di tale omissione.

Rientra in tale ipotesi la fattispecie di prestazione non eseguita a regola d’arte o non conforme alle esigenze della P.A. o l’esecuzione del contratto contraddistinta da numerose segnalazioni di disservizi o di denunce alle autorità competenti[14]. Mentre non vi rientrano le prestazioni caratterizzate da mera irregolarità, o lieve ritardo.

3. L’errore grave nella casistica giurisprudenziale

In una assai recente pronuncia il Consiglio di Stato ha ritenuto non sussistenti i presupposti per l’esclusione dalla gara di un’impresa che aveva omesso di dichiarare di essere incorsa in un errore grave nell’esercizio dell’attività professionale (oggetto di contestazione era la mancata dichiarazione di una revoca disposta anni prima da un’altra stazione appaltante per l’insufficienza e non idoneità del materiale consegnato per l’avvio del servizio). I giudici in particolare hanno affermato che “…Tale ultimo obbligo di dichiarazione ricorre con riguardo non a qualsiasi irregolarità. inadempienza o ritardo nello svolgimento di attività espressione delle qualità professionali di chi partecipa alla gara, ma solo per quelle che presentano la connotazione della gravità che, ove non tipizzata dalla lex specialis del concorso, è soggetta al filtro valutativo di chi rende la dichiarazione. (Consiglio di Stato, sez. III. 13 maggio 2015, n. 2388).

La vicenda contestata ai fini dell’emersione della causa di esclusione prevista alla lett. f) secondo periodo, dell’art. 38 è stata ritenuta insussistente attesa la sua peculiarità. Malgrado, infatti, la disposta revoca per la non corretta prestazione del servizio di sterilizzazione da parte della Amministrazione, la medesima P.A. a distanza di un poco tempo aveva invitato l’impresa a partecipare a nuova gara indetta per l’affidamento dello stesso servizio.

Siffatta circostanza ha indotto il Consiglio di Stato a ritenere non esigibile, anche agli effetti dell’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000, il puntuale obbligo dichiarativo che il ricorrente ascriveva all’impresa aggiudicataria, in presenza di una condotta che la stessa stazione appaltante non ha ritenuto qualificata da negligenza e inadempienza e tale da precludere ogni ulteriore rapporto contrattuale e, quindi, non assistita dalla connotazione di gravità. E ciò sulla scorta della considerazione che la lettera f) dell’art. 38 non dà rilievo, ai fini della perdita della capacità di partecipare alle pubbliche gare, ad ogni errore commesso nell’attività di impresa, ma solo a quelli, si ripete, caratterizzati da gravità nella specie esclusa dallo stesso organo pubblico che aveva disposto la risoluzione del precedente rapporto contrattuale.

In omaggio al “favor partecipationis” che privilegia interpretazioni più conformi alla sostanza dell’esito competitivo, sono esclusi dalle gare pubbliche coloro che nell’esercizio dell’attività professionale commettano un errore “grave” accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante, non invece chi è autore di mera irregolarità, inadempienza o ritardo nell’impresa.

Il medesimo Collegio con sentenza 13 maggio 2015, n. 2389 ha, in una diversa fattispecie, ritenuto[15] invece integrata l’ipotesi di cui si discute nel caso in cui l’impresa sia destinataria di un provvedimento di risoluzione del rapporto contrattuale – relativo ad un lotto (già in corso di esecuzione) rientrante nel perimetro della gara oggetto del ricorso – in ragione del quale l’amministrazione ha revocato l’aggiudicazione degli ulteriori lotti di gara[16].

Il Consiglio di Stato ha nella specie ritenuto che:

  1. tale causa di esclusione non presuppone il necessario accertamento in sede giurisdizionale del comportamento di grave negligenza o inadempimento tenuto dalla società nel corso del pregresso rapporto contrattuale – (e nemmeno, aggiunge il Collegio, in sede amministrativa delle eventuali violazioni della normativa di settore che tale comportamento abbia altresì potuto concretizzare)[17]-, trattandosi di disposizione non avente carattere sanzionatorio, bensì posta a presidio dell’elemento fiduciario destinato a connotare, sin dal momento genetico, i rapporti contrattuali pubblici;
  2. tale conclusione trova conforto, sul piano sistematico, nel rilievo che lo stesso articolo 38 richiede espressamente il definitivo accertamento – v. lett. g) e lett. i) – laddove individua altre cause di esclusione;
  3. a questa stregua, e pur in mancanza di un accertamento definitivo – nella fattispecie, del presunto “illegittimo utilizzo di proprio personale in cassa integrazione” -, deve ritenersi legittimo il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione di un appalto, motivato con riferimento alla risoluzione di un precedente contratto, a sua volta fondata[18] su irregolarità concernenti la gestione del personale dipendente segnalate da alcuni dipendenti e riprese da organi di stampa, che hanno trovato adeguato riscontro nell’attività istruttoria conseguentemente posta in essere dall’Amministrazione[19];
  4. deve reputarsi sufficiente la valutazione, che la stessa Amministrazione ha operato – in sede appunto amministrativa e fatti salvi gli accertamenti paralleli di competenza delle autorità di settore – del comportamento tenuto dall’appaltatore nel rapporto contrattuale risolto, in quanto idoneo ad incidere sul carattere fiduciario dei rapporti instaurandi;
  5. si tratta di valutazione la cui natura discrezionale, sia in ordine al parametro della gravità della negligenza contrattuale contestata sia quanto al grado di vulnus ai principi di correttezza e buona fede con conseguente venir meno della fiducia dell’Amministrazione nel suo appaltatore (e dunque nella possibilità futura del corretto svolgimento del rapporto contrattuale[20]), se pure non vale ad escludere che il giudice amministrativo possa esser chiamato a verificare al fine di scrutinare l’eventuale ricorrenza di ipotesi di eccesso di potere se effettivamente nella situazione concreta alla base del provvedimento vi siano fatti idonei a giustificare il venir meno della fiducia o se al contrario ricorrano elementi sintomatici tali da denotare un esercizio del potere per finalità diverse da quelle prese in considerazione dalla norma attributiva[21], non consente comunque di ravvisare alcun indice sintomatico tale da denotare un uso distorto del potere.

Con riferimento alla necessarietà (in questo caso) di un accertamento amministrativo sulla condotta che integra causa di esclusione prevista dalla lett. f) dell’art. 38 d.lgs. n. 163/2006 si evidenzia[22] un contrasto giurisprudenziale: la V Sezione del Consiglio di Stato 23 marzo 2015, n. 1567 ha avuto modo di osservare che, pur essendo indiscutibile che il sistema normativo non presuppone il necessario accertamento in sede giurisdizionale del comportamento integrante la clausola di esclusione di cui si discute, deve però reputarsi indeclinabile la valutazione che la stessa amministrazione abbia fatto, in sede per l’appunto amministrativa, del comportamento tenuto in altri e precedenti rapporti contrattuali dal soggetto che chiede di partecipare alla nuova procedura selettiva. Da qui la necessità che in sede amministrativa siano state già definitivamente accertate le condotte integranti la “grave negligenza o malafede” del contraente. Occorre pertanto – secondo la medesima pronuncia – che anche il “grave errore” nell’esercizio dell’attività professionale sia stato preventivamente accertato in sede amministrativa, non essendo sufficiente, al riguardo, la mera pendenza di un procedimento amministrativo che in un simile accertamento potrebbe sfociare nel futuro. Sicché l’obbligo dichiarativo non è configurabile in presenza di fattispecie concrete di errore grave per le quali esista al momento della partecipazione solo un procedimento di accertamento ancora in itinere.

Inoltre, con sentenza 22 maggio 2015 n. 2589, la VI Sezione del Consiglio di Stato ha affermato che “…in un caso, per i rapporti con la stessa stazione appaltante, si verte in una “grave negligenza o malafede”, mentre nel secondo, per i rapporti con altri soggetti, rileva “un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale”.

In questo senso, la giurisprudenza[23] tende a far risaltare l’ambito decisionale lasciato alla P.A. e, atteso che l’esclusione dalle gare pubbliche per inaffidabilità delle imprese concorrenti per grave negligenza e malafede commessa nel corso di esecuzione di precedenti contratti pubblici può essere pronunciata in termini di automaticità soltanto quando il comportamento di deplorevole trascuratezza e slealtà sia stato posto in essere in occasione di un pregresso rapporto negoziale intercorso con la stessa stazione appaltante che indice la gara. In caso contrario, invece, il giudizio d’inaffidabilità professionale su un’impresa partecipante a una gara pubblica è subordinato alla preventiva motivata valutazione della stazione appaltante o della commissione giudicatrice, che è tenuta a valorizzare i precedenti professionali delle imprese concorrenti nel loro complesso, nonché a valutare gravità e rilevanza sul piano professionale di precedenti risoluzioni contrattuali comminate da altre Amministrazioni.

In ogni caso ciò che rileva a detti fini è che l’errore ascritto sia espressione di un difetto di capacità professionale e lo stesso, nella sua obiettiva rilevanza, costituisca elemento sintomatico della perdita del requisito di affidabilità e capacità professionale a fornire prestazioni che soddisfino gli interessi di rilievo pubblico perseguiti dall’ente committente.

Proprio lo spazio lasciato all’apprezzamento dell’amministrazione, e quindi alla necessità che la stessa abbia contezza di come si siano stati svolti i pregressi rapporti contrattuali del partecipante alla gara al fine di poter compiutamente esprimere il suo voto, rende ragione dell’ampiezza con cui deve essere inteso l’obbligo di informazione in capo all’impresa.

Questa ratio giustifica l’estensione del dovere di esternazione dei fatti, atteso che “si tratta di dichiarazione/prescrizione essenziale che prescinde dalla stazione appaltante, la stessa o altra, perché attiene ai principi di lealtà e affidabilità contrattuale e professionale che presiedono agli appalti e ai rapporti con la stazione stessa, né si rilevano validi motivi per non effettuare tale dichiarazione, posto che spetta comunque all’Amministrazione la valutazione dell’errore grave che può essere accertato con qualsiasi mezzo di prova. La circostanza pertanto assume il carattere di elemento sintomatico in ogni caso apprezzabile, anche se proveniente da altra Amministrazione, e che può fornire elementi oggettivi per le determinazioni della stazione appaltante[24].

D’altra parte nella pronuncia da ultimo citata, il Consiglio di Stato ha affrontato il tema della differenza tra dichiarazione non veritiera ed omessa dichiarazione ai fini del soccorso istruttorio.

Sul punto è stato osservato che: “…Secondo una prima prospettazione, la mancata indicazione di un fatto rilevante ai sensi dell’art. 38 non può essere considerato “errore”, ma dichiarazione non veritiera a norma dell’art. 75 del d.P.R. n. 445 del 2000, comportando così la decadenza dai benefici conseguiti, ossia in questo caso l’ammissione alla procedura di gara. Secondo una seconda prospettazione, si sarebbe in presenza di una mera omissione, e come tale ricompresa nell’ambito applicativo del sopravvenuto comma 2 bis dell’art. 38.
Questa seconda lettura pare alla Sezione meritevole di accoglimento, in quanto maggiormente in linea con la norma recentemente introdotta (di per sé prevalente, sia perché successiva nel tempo rispetto al d.P.R. del 2000, sia perché speciale, concernendo unicamente la materia delle procedure di gara per contratti pubblici), sia perché più coerente con l’interpretazione datane dalla citata sentenza n. 16 del 2014 dell’Adunanza plenaria.

Si noti, infatti, che il comportamento della parte è consistito nella mancata indicazione di un determinato elemento (ossia l’esistenza di una vicenda rilevante a norma dell’art. 38, comma 1 lett. f) del codice degli appalti). Si tratta quindi di una fattispecie che si connota strutturalmente per una sua mancata interezza e come tale considerata dall’interpretazione appena esaminata (che considera come fatto che impone il soccorso istruttorio della pubblica amministrazione anche l’omissione totale). Questa è quindi strutturalmente mancante e, come tale, fa sorgere l’obbligo dell’amministrazione di procedere a quanto disposto dal comma 2 bis dello stesso art. 38.

L’eventuale qualificazione come dichiarazione non veritiera o mendacio è, invece, una qualificazione giuridica che riguarda un momento giuridicamente successivo, ossia quello della valutazione dell’ordinamento sull’intento che ha mosso la parte, e non vale a escludere la rilevanza in sé della situazione a monte ai fini del citato comma 2 bis.

Conclusivamente, la mancata indicazione da parte dell’appellante dell’esistenza di un fatto rilevante ai fini dell’art. 38, comma 1 lett. f), del D.Lgs. n. 163 del 2006 imponeva all’amministrazione l’attivazione dei doveri di soccorso di cui al comma 2 bis dello stesso articolo, evenienza concretamente non verificatasi.”

3. Conclusioni

Come è noto, è in atto il recepimento delle nuove direttive appalti e concessioni  (Direttiva sugli appalti per i settori ordinari (2014/24/UE) e Direttiva sugli appalti nei settori speciali (2014/25/UE), Direttiva sulle concessioni (2014/23/UE)). Il termine per l’adozione del decreto legislativo è il 18 aprile 2016.

Il testo-base del disegno di legge delega per la riforma della disciplina degli appalti pubblici, presentato alla Commissione lavori pubblici del Senato l’8 aprile 2015 presenta una serie di importanti ed interessanti novità. La linea guida del procedimento dei recepimento è il  criterio della semplificazione delle norme.

In tale ottica è auspicabile che il legislatore per l’appunto semplifichi e razionalizzi gli oneri dichiarativi, facendo  per quanto possibile tesoro della mole di principi giurisprudenziali nel frattempo formatosi sulle Direttive del 2004.

L’inaffidabilità dell’operatore economico deve essere motivo per la sua esclusione dalla procedura ad evidenza pubblica: questo è il leitmotiv del considerando n. 101 della 2014/24/UE, il quale recita così: “Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero continuare ad avere la possibilità di escludere operatori economici che si sono dimostrati inaffidabili, per esempio a causa di violazioni di obblighi ambientali o sociali, comprese le norme in materia di accessibilità per le persone con disabilità[25], o di altre forme di grave violazione dei doveri professionali, come le violazioni di norme in materia di concorrenza o di diritti di proprietà intellettuale. È opportuno chiarire che una grave violazione dei doveri professionali può mettere in discussione l’integrità di un operatore economico e dunque rendere quest’ultimo inidoneo ad ottenere l’aggiudicazione di un appalto pubblico indipendentemente dal fatto che abbia per il resto la capacità tecnica ed economica per l’esecuzione dell’appalto. Tenendo presente che l’amministrazione aggiudicatrice sarà responsabile per le conseguenze di una sua eventuale decisione erronea, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero anche mantenere la facoltà di ritenere che vi sia stata grave violazione dei doveri professionali qualora, prima che sia stata presa una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori, possano dimostrare con qualsiasi mezzo idoneo che l’operatore economico ha violato i suoi obblighi, inclusi quelli relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali, salvo disposizioni contrarie del diritto nazionale. Dovrebbero anche poter escludere candidati o offerenti che in occasione dell’esecuzione di precedenti appalti pubblici hanno messo in evidenza notevoli mancanze per quanto riguarda obblighi sostanziali, per esempio mancata fornitura o esecuzione, carenze significative del prodotto o servizio fornito che lo rendono inutilizzabile per lo scopo previsto o comportamenti scorretti che danno adito a seri dubbi sull’affidabilità dell’operatore economico. Il diritto nazionale dovrebbe prevedere una durata massima per tali esclusioni. Nell’applicare motivi di esclusione facoltativi, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero prestare particolare attenzione al principio di proporzionalità. Lievi irregolarità dovrebbero comportare l’esclusione di un operatore economico solo in circostanze eccezionali. Tuttavia, casi ripetuti di lievi irregolarità possono far nascere dubbi sull’affidabilità di un operatore economico che potrebbero giustificarne l’esclusione”.

Il legislatore comunitario ha individuato una macro categoria, la quale è la manifestazione più tangibile della causa da cui discende l’inaffidabilità: si tratta della categoria della “grave violazione dei doveri professionali”. Tale categoria pare tratteggiare una situazione complessa in grado di mettere in seria discussione l’integrità di un operatore economico “indipendentemente – così come sottolinea il considerando 101 – dal fatto che abbia per il resto la capacità tecnica ed economica per l’esecuzione dell’appalto”.

La grave violazione dei doveri professionali non può che essere letta che con riferimento “al passato”, riguardando azioni od omissioni che l’impresa ha concretizzato e che danno vita al deficit di fiducia.

Questa ampia e nuova categoria, ha delle interessanti sfaccettature, dal momento che:

(i) l’inaffidabilità può riguardare anche imprese in pieno possesso di requisiti speciali, capaci cioè di eseguire potenzialmente il contratto in modo corretto;

(ii) la valutazione di inaffidabilità presuppone un’analisi di fatti obiettivi legati al passato dell’attività dell’impresa interessata;

(iii) l’inaffidabilità è caratterizzata da confini più ampi della nozione della negligenza o malafede e dell’errore grave, così come richiamati dalla lettera f), comma 1 dell’art. 38 D.lgs 163/2006;

(iv) la grave violazione dei doveri professionali è determinata da “comportamenti scorretti” tali da generare “seri dubbi” sull’affidabilità dell’impresa.

Il contenuto della lett. f) dell’art. 38 del Codice dei contratti pubblici si inquadra sostanzialmente nella categoria della grave violazione dei doveri professionali così come plasmata dalle nuove Direttive, ma quest’ultima comprende anche ulteriori ipotesi di violazione che sono diverse ex natura rei dalla negligenza, malafede o errore grave. E ciò discende dal richiamato considerando n. 101, laddove nel primo capoverso richiama, quali cause capaci di spezzare l’elemento fiduciario, la violazione del pagamento di imposte o contributi previdenziali, che, invece, nel sistema nazionale configurano altre e diverse ipotesi di mancanza dei requisiti generali (art. 38 comma 1, lett. g ed i).

Dà attuazione a tali principi la disposizione espressa nell’art. 57 della Direttiva n. 24[26]. In particolare per quel che qui rileva il paragrafo 4 stabilisce che “4. Le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere, oppure gli Stati membri possono chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni: …

c) se l’amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, il che rende dubbia la sua integrità; …

g) se l’operatore economico ha evidenziato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un requisito sostanziale nel quadro di un precedente contratto di appalto pubblico, di un precedente contratto di appalto con un ente aggiudicatore o di un precedente contratto di concessione che hanno causato la cessazione anticipata di tale contratto precedente, un risarcimento danni o altre sanzioni comparabili”.

Con riferimento alle cause ostative indicate alle lett. c) e g) del paragrafo 4, che riguardano rispettivamente ipotesi di gravi illeciti professionali e le “carenze nell’esecuzione”, esse già vigono nel nostro ordinamento come motivi di esclusione obbligatoria nella lett. f) dell’art. 38 Codice appalti: gravi illeciti professionali corrispondono al concetto del nostro di errore grave e le carenze nell’esecuzione si equilibrano con le ipotesi di negligenza e malafede indicate nel citato art. 38: con un’unica differenza: le carenze nell’esecuzione, per la nuova Direttiva comunitaria, fanno riferimento ad un precedente contratto d’appalto con “un” ente aggiudicatore; questo a differenza di quanto indicato nella lett. f) dell’art. 38 Codice che fa riferimento alle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara. Con il conseguente corollario che l’operatore avrà l’onere di dichiarare tutti gli episodi in cui è incorso per negligenza e/o malafede indipendentemente. D’altra parte, l’espressione “significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un requisito sostanziale” (nel quadro di un precedente contratto) definisce maggiormente il concetto di inaffidabilità.

La novità è rappresentata dalla possibilità per l’operatore economico di dimostrare attraverso una specie di prova di resistenza la propria affidabilità. Infatti l’impresa che si trovi in una delle situazioni di cui ai paragrafi 1 e 4 dell’art. 57 della menzionata direttiva di fornire prove del fatto che le misure da lui adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza di un pertinente motivo di esclusione. Se tali prove sono ritenute sufficienti, l’operatore economico in questione non è escluso dalla procedura d’appalto. A tal fine, l’operatore economico deve dimostrare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito, di aver chiarito i fatti e le circostanze in modo globale collaborando attivamente con le autorità investigative e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti.

Le misure adottate dagli operatori economici sono valutate dall’amministrazione considerando la gravità e le particolari circostanze del reato o dell’illecito. Se si ritiene che le misure siano insufficienti, l’operatore economico riceve una motivazione di tale decisione. È dunque affermato l’obbligo di motivare anche detta fase procedurale.

La proiezione della valutazione procedimentale dell’amministrazione sul piano processuale comporterà pur sempre i cd. limiti esterni del sindacato del giudice amministrativo, così come ribadito dalla Corte di Cassazione, Sez. Un., 17 febbraio 2012, n. 2312: il giudice amministrativo in tale verifica si dovrà limitare alla “non pretestuosità” delle valutazioni della stazione appaltante, e non alla “non condivisibilità” di quelle valutazioni.

È necessario attendere il legislatore italiano e comunque il 18 aprile 2016 per verificare come saranno tradotte le nuove disposizione europee.


[1] Si veda sul punto ex multis: Cons. St., sez. V, 25.08.2006, n.49999; id. sez. VI, 8 marzo 2003, n. 1071.

[2] Tale nozione appartiene peraltro già all’acquis nazionale atteso che la fattispecie di cui sub (i) era già mutatis mutandis contenuta nel Regolamento di Contabilità generale dello Stato di cui al R.D. 827/1924 e nell’art. 75 del D.P.R. 554/1999 (da cui trae spunto l’attuale formulazione della norma).

[3] Cfr. Cons. St., sez. V, 25.05.2012. n. 3078 secondo cui ai fini dell’applicazione dell’art. 38, c. 1, lett. f), del d.lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti pubblici), non è necessario un accertamento della responsabilità del contraente per l’inadempimento in relazione ad un precedente rapporto contrattuale, quale sarebbe richiesto per l’esercizio di un potere sanzionatorio, ma è sufficiente una motivata valutazione dell’amministrazione in ordine alla grave negligenza o malafede nell’esercizio delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara, che abbia fatto venir meno la fiducia nell’impresa. Inoltre, l’esclusione per grave negligenza non presuppone il definitivo accertamento di tale comportamento, essendo sufficiente la valutazione fatta dalla stessa amministrazione con il richiamo per relationem all’atto con cui, in altro rapporto contrattuale di appalto, aveva provveduto alla risoluzione per inadempimenti contrattuali; id. Cons. St., sez. III, 14.01.2013, n. 149.

[4]  Si veda in senso conforme A.V.C.P., determinazione 12 gennaio 2010 n. 1. Sulla non necessarietà di una sentenza di condanna passata in giudicato si vedano tra le altre Cons. St. , sez. VI, 15.05.2012, n.2761: non mancano precedenti in senso contrario: T.R.G.A., sez. autonoma di Bolzano, 5.02.2002, n. 59 il quale richiama la sentenza del Cons. St., sez.  VI, 9.11.1994, n. 1597.

[5] ex multis, Cons. di Stato, VI, n. 5029/10; V, n. 296/2010.

[6] v. Determinazione AVCP n. 1/2010.

[7] TAR Piemonte, sez. I, 11.02.2009, n. 401.

[8] Avcp, 1/2010 cit.

[9] Vedi Cons. Stato, Sez. III, 2289/2014 e TAR Bologna, 30.10.2014, n. 1041; in tal senso anche Tar Lazio, Roma, sez.II-bis, 16.01.2015, n. 690.

[10] Il TAR Lazio cit. 690/2015 sul punto ha chiarito che non rileva che la condotta contestata si sostanzi in decadenza dal contratto piuttosto che in risoluzione contrattuale, perché ciò che conta non è il tipo o il nomen del provvedimento ma le circostanze che sono a base di esso, comunque potenzialmente dimostrative di errore grave professionale e come tali suscettibili quanto meno di doverosa valutazione da parte della stazione appaltante.

[11] Cfr., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 21 gennaio 2011 n. 409.

[12] Si veda TAR Lazio cit. 690/2015.

[13] Cons. Stato, Sez. III, 5 maggio 2014, n. 2289, si veda in senso contrario Cons. Stato, sez. IV, 22.05.2015 n. 2589.

[14] Cons. St. 15.03.2010, n.1500;  TAR Lazio, Sez. II-bis, 16.01.2015, n.690.

[15] Sulla scorta di quanto già deciso da questo Consiglio in fattispecie analoghe anche sotto il regime del previgente art. 75 del D.P.R. n. 554/1999: v. VI, 8 marzo 2004, n. 1071 e IV, 31 marzo 2005, n. 1435.

[16]L’impresa era risultata aggiudicataria di cinque lotti ( nn. 10, 17, 18, 19 e 23 ) di una più ampia gara indetta da Poste Italiane S.p.A. per l’affidamento del servizio di distribuzione e raccolta di corrispondenza e posta non indirizzata (comprensivo di servizi ausiliari). In forza di detta aggiudicazione la stipula e l’esecuzione del contratto relativo al lotto n. 17 venivano regolarmente e rispettivamente conclusa ed avviata, mente per i restanti lotti il rapporto non veniva avviato prima a causa del contenzioso proposto da altre ditte concorrenti ( conclusosi favorevolmente per l’impresa) poi per la sopravvenienza di un’informativa prefettizia atipica successivamente impugnata.

[17] Sul punto sussiste un contrasto giurisprudenziale si veda infra la pronuncia della V Sezione Consiglio di Stato 23 marzo 2015, n. 1567.

[18] Ferma la competenza del giudice ordinario in ordine alla validità di tale risoluzione, giurisdizione affermata dal T.A.R. con statuizione espressa rimasta inoppugnata, con conseguente inammissibilità della riproposizione in appello da parte dell’originaria ricorrente della censura di violazione del procedimento di cui all’art. 136 del D. Lgs. n. 163/2006, che pertiene appunto alla domanda in relazione alla quale è stata affermata la giurisdizione del giudice ordinario.

[19] La quale ha infatti chiaramente evidenziato la macroscopica insufficienza del monte-ore lavorato dalle risorse umane dell’appaltatore rispetto al monte-ore effettivamente necessario per lo svolgimento del servizio in relazione ai volumi di corrispondenza affidati per la distribuzione.

[20] Cons. Stato, sez. V, 12 ottobre 2004, n. 6541.

[21] Cons. St., VI, 28 luglio 2010, n. 5029.    

[22] V. anche nota 15.

[23] da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 28 dicembre 2011 n. 6951.

[24] In termini, Consiglio di Stato, sez. III, 5 maggio 2014 n. 2289.

[25] La linea che perseguono le nuove Direttive è Ambiente, Sociale e Lavoro.

[26]  É presente la medesima previsione anche nella Direttiva n. 23 sulle concessioni, al paragrafo 6 dell’art. 38.

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Avv. Adriana Presti
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
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