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1. Premessa

Ai sensi dell’art. 3 (rubricato “Definizioni”) comma 28 del D. Lgs. 163/06 e s.m.i. (nel prosieguo “Codice”), sono definite «imprese pubbliche» “le imprese su cui le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante o perché ne sono proprietarie, o perché vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che disciplinano dette imprese. L’influenza dominante è presunta quando le amministrazioni aggiudicatrici, direttamente o indirettamente, riguardo all’impresa, alternativamente o cumulativamente:

a) detengono la maggioranza del capitale sottoscritto;

b) controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall’impresa;

c) hanno il diritto di nominare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa.”

Le definizioni dell’art. 3 comma 25 del Codice inoltre spiegano che “Le «amministrazioni aggiudicatrici» sono: le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti.”

In altri termini, allorquando una pubblica amministrazione, nell’ampia accezione individuata dal comma 25 dell’art. 3 del Codice, risulti essere detentrice di una delle potestà/facoltà/condizioni civilistico-societarie sopra elencate nelle lettere a) b) e c) nei confronti di una società, quest’ultima è qualificata, in via di presunzione iuris et de iure quale impresa pubblica e pertanto soggetta, secondo un sistema a fasatura variabile, all’applicazione del Codice stesso per l’approvvigionamento di beni e servizi.

Sovente occorre che l’impresa pubblica, in ragione del settore commerciale di orientamento, operi nel mercato dei c.d. settori speciali[1], dovendosi, in tal caso, tale impresa, qualificarsi quale ente aggiudicatore[2], con la conseguenza che la stessa diventi onerata dell’applicazione della peculiare e flessibile disciplina pubblicistica dettata dal Capo III del Codice stesso[3].

Se per quanto concerne la disciplina che deve ritenersi applicabile alle “società pubbliche” nel caso operino nei c.d. settori ordinari aventi ad “oggetto della loro attività la realizzazione di lavori o opere, ovvero la produzione di beni o servizi, non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza”[4], l’art. 32 comma 1 lett. c)[5] del Codice ci indica chiaramente quale debba essere il grado di evidenza pubblica che l’impresa dovrà attuare per poter acquistare beni dal marcato avendo il legislatore equiparato l’impresa pubblica ad amministrazione aggiudicatrice tout court, con la conseguente espressione del più alto grado di ingerenza pubblicistica nell’operato imprenditoriale di una società, non altrettanto immediata è la percezione del grado di estensione (ovvero compressione) dell’onere di evidenza pubblica da richiedersi allorquando l’impresa pubblica operi nei cd. settori speciali.

Si badi bene, che la distinzione lessicale tra “società pubblica” nel caso di imprese operanti nei settori ordinari e impresa pubblica quando orbitino nei settori speciali non è solo semantica, ma, come in seguito si dirà, assume valenza di carattere esegetico.

Di recente, la giurisprudenza amministrativa nel tentativo di bilanciare i diversi principi in gioco nella fattispecie (trasparenza e libertà imprenditoriale in settori di rilevanza strategico nazionale), ha elaborato il nuovo genus dei “contratti estranei”,  come categoria contrattuale da porsi accanto ai contratti ordinari, speciali ed esclusi.

Tale categoria nasce precipuamente dall’analisi puntuale della graduazione degli oneri di evidenza pubblica di cui sarebbe gravata una impresa pubblica operante nel settore dei settori speciali, posto che, come detto nel caso in cui sia anche amministrazione aggiudicatrice, dovrà in ogni caso fare la gara per ricorre al mercato.

2. Il percorso giurisprudenziale: il conio degli appalti estranei

Già nel 2010, il Consiglio Giustizia Amministrativa Regione Sicilia con la sentenza n. 1197 sottolineava che “non tutta l’attività contrattuale [di un soggetto qualificabile come «impresa pubblica», ndr] soggiace alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 163/2006. Le imprese pubbliche sono difatti tenute a osservare le procedure disciplinate dal Codice solo limitatamente all’affidamento di contratti di lavori, servizi e forniture che siano strumentali rispetto all’oggetto dell’esclusiva conseguita (esclusiva nella specie attinente al settore del trasporto aereo) e non anche per l’intero spettro delle loro attività commerciali, siccome chiaramente espresso dall’art. 217, comma 1, del citato decreto n. 163/2006”.

L’approccio ermeneutico Supremo Consiglio siciliano è risultato talmente convincente da esser stato successivamente introitato e sviscerato nella nota decisione dell’Adunanza Plenaria n. 16 del 2011.

E’ proprio con tale sentenza che si conia il nuovo genus contrattual-pubblicistico dei contratti estranei.

L’Adunanza Plenaria, muovendo dall’interpretazione sistematica delle norme definitorie del Codice accennate in premessa del presente scritto, ha chiarito che, in ragione della summenzionata distinzione lessicale tra imprese pubbliche e società pubbliche, la stessa “assume rilevanza in quanto le imprese pubbliche rientrano tra gli “enti aggiudicatori” tenuti all’osservanza della disciplina degli appalti nei settori speciali (art. 207, d.lgs. n. 163/2006), mentre non sono in quanto tali e in termini generali contemplate tra le “amministrazioni aggiudicatrici e altri soggetti aggiudicatori” tenuti all’osservanza della disciplina degli appalti nei settori ordinari (art. 32, d.lgs. n. 163/2006).

Continua l’Adunanza Plenaria ribadendo che “Sotto tale profilo sono dirimenti i seguenti dati esegetici:

  • l’art. 32, che indica i soggetti aggiudicatori nei settori ordinari, non contempla le imprese pubbliche in quanto tali;
  • l’art. 3, co. 28 e co. 29, che danno la definizione di impresa pubblica e indicano l’ambito  degli enti aggiudicatori, sono norme definitorie che vanno lette comunque in “combinato disposto” con le specifiche previsioni che assoggettano ad obblighi di evidenza pubblica le imprese pubbliche, e non possono essere interpretate come disposizioni che di per sé sole assoggettano le imprese pubbliche a tutta la disciplina del codice;

Relativamente ai settori esclusi, ai sensi dell’art. 27, codice appalti, letto alla luce della giurisprudenza del giudice comunitario, il rispetto dei principi generali del trattato a tutela della concorrenza non s’impone anche per i contratti del tutto “estranei” agli scopi e all’oggetto del codice e delle direttive comunitarie, con la conseguenza che le relative controversie non soggiacciono alla giurisdizione del giudice amministrativo ma del g.o.

Da tali considerazioni più strettamente d’interpretazione letterale delle definizioni contenute nel Codice, l’Adunanza si è mossa per sviscerare l’assetto giuridico complessivo vigente, dalla cui analisi è stato possibile partorire il quartum genus dei contratti estranei.

Esistono quindi: i contratti pubblici nei settori ordinari, i contratti esclusi dall’applicazione del Codice, ma ugualmente soggetti ai principi comunitari che presuppongono una forma di concorrenzialità per il loro affidamento, i contratti affidati nei settori speciali e, in ultimo, gli appalti estranei.

Ma estranei a cosa? Lo spiega sempre il Consiglio di Stato nella sua composizione plenaria.

Il quadro normativo si completata – spiega l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato –  con l’art. 217, d.lgs. n. 163/2006 (che riproduce fedelmente l’art. 20, direttiva 2004/17/CE), a tenore del quale la disciplina dei settori speciali non si applica agli appalti che gli enti aggiudicatori aggiudicano per scopi diversi dall’esercizio delle loro attività di cui agli articoli da 208 a 213 o per l’esercizio di tali attività in un Paese terzo, in circostanze che non comportino lo sfruttamento materiale di una rete o di un’area geografica all’interno della Comunità. Se ne desume, come già la VI sezione ha avuto modo di affermare in un precedente analogo, che l’assoggettabilità dell’affidamento di un servizio alla disciplina dettata per i settori speciali non può essere desunta sulla base di un criterio solo soggettivo, relativo cioè al fatto che ad affidare l’appalto sia un ente operante nei settori speciali, ma anche in applicazione di un parametro di tipo oggettivo, attento alla riferibilità del servizio all’attività speciale (Cons. St., sez. VI, 13 maggio 2011 n. 2919).

Conclude quindi il Consiglio di Stato nella sua massima espressione che nel caso delle imprese pubbliche, che sono enti aggiudicatori nei settori speciali (art. 2, direttiva 2004/17/CE), ma non sono contemplati tra le amministrazioni aggiudicatrici nei settori ordinari (artt. 1 e 2, direttiva 2004/18/CE), per gli appalti “estranei”, aggiudicati per scopi diversi dalle loro attività nei settori speciali (art. 20, direttiva 2004/17/CE), la sottrazione alla direttiva 2004/17/CE non comporta l’espansione della direttiva 2004/18/CE, ma piuttosto la sottrazione ad entrambe le direttive comunitarie.

Pertanto, al di fuori di questi settori speciali, cioè fuori dell’ambito degli oggettivi servizi pubblici nominati, non vi è sostituzione all’attività amministrativa e pertanto non sorge la necessità di assicurare normativamente la garanzia della concorrenza dei potenziali contraenti, mediante l’imposizione di scansioni particolari del processo di formazione contrattuale; vengono infatti meno la rilevanza e la peculiarità dell’attività che giustificano l’eccezionale attrazione e assoggettamento a regole eteronome sulla formazione della volontà contrattuale con terzi; l’impresa pubblica è comunque un’impresa e come tale agisce anch’essa con rischio, fine di lucro (art. 2082 cod. civ.) e moduli privatistici: e questi debbono essere integri ad evitare claudicazioni rispetto alla concorrenza (cioè restrizioni nell’ordinaria capacità di attività e di competizione).

Gli appalti “estranei” sono quelli esclusi perché sono del tutto al di fuori dei settori di intervento delle direttive o dello stesso ordinamento comunitario, quali gli appalti da eseguirsi al di fuori del territorio dell’Unione (art. 15, direttiva 2004/18/CE e art. 22, direttiva 2004/17/CE), o quali gli appalti aggiudicati dagli enti aggiudicatori dei settori speciali per fini diversi dall’esercizio delle attività nei settori speciali (art. 20, direttiva 2004/17/CE).

Da tali statuizioni giurisprudenziali, sono derivate una molteplicità di arresti che hanno consolidato un orientamento ermeneutico sempre più pervasivo che tende ad escludere dall’applicazione del Codice sempre crescenti fette di mercato.

E stato infatti affermato dal TAR Lazio Roma sez. II ter con la sentenza n. 9844  del 2011 che la gara per l’affidamento di servizi di vigilanza armata e accoglienza relativamente agli uffici di ACEA s.p.a., che è da qualificarsi come impresa pubblica ai sensi dell’art. 3, comma 28, del D.lgs n. 163/200, deve qualificarsi come un appalto di cui all’art. 217 del predetto Codice dei contratti, da cui deriva la sottrazione dall’applicazione del Codice.

Più diffusamente è stato chiarito che “Una società partecipata che gestisce la produzione/distribuzione dell’energia elettrica è qualificabile come un’impresa pubblica, il cui ‘core business’ viene esercitato nel settore speciale dell’elettricità. Conseguentemente, un appalto di tale società per i servizi di pulizia e sanificazione della sede aziendale non ha nulla in comune con l’attività istituzionale della stazione appaltante, alla quale non è connesso neppure strumentalmente. Come statuito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 16/2011), si tratta di un appalto c.d. “estraneo”, del tutto al di fuori dei settori di intervento delle direttive comunitarie, bandito per scopi diversi dall’esercizio delle attività nei settori speciali (articolo 20 direttiva 2004/17/CE, ripreso dall’articolo 217 codice appalti). L’Adunanza plenaria ha precisato che le imprese pubbliche sono “…comunque imprese e come tali agiscono anch’esse, con rischio, fine di lucro (art. 2082 cod. civ.) e moduli privatistici: e questi debbono essere integri ad evitare claudicazioni rispetto alla concorrenza (cioè restrizioni nell’ordinaria capacità di attività e di competizione)” (Tribunale Regionale Giustizia Amministrativa Bolzano 29/4/2015 n. 151).

Ed ancora, con riferimento alla procedura di affidamento di un servizio di implementazione di una soluzione informatiche, è stato tassativamente chiarito che: “La disciplina di cui alla Parte III del Codice, “Contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nei settori speciali”, ai sensi dell’art. 206 del medesimo testo normativo “si applica, nei limiti espressamente previsti, a soggetti: a) che sono amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche che svolgono una delle attività di cui agli articoli da 208 a 213 del presente codice” (art. 208 “Gas , energia termica ed elettricità”; art. 209 “Acqua”; art. 210 “Servizi di trasporto”; art. 211 “Servizi postali”; art. 212 “Prospezione ed estrazione di petrolio, gas, carbone e altri combustibili solidi” e art. 213 “Porti e aeroporti”). (..) ai sensi del successivo art. 217, “la presente parte non si applica agli appalti che gli enti aggiudicatori aggiudicano per scopi diversi dall’esercizio delle loro attività di cui agli articoli da 208 a 213 …”; (..) la norma da ultimo citata deve essere interpretata nel senso che l’applicazione della normativa in tema di affidamenti di servizi afferenti ai cc.dd. “settori speciali” è consentita unicamente con riferimento ad attività legate da un vincolo di strumentalità con l’attività speciale svolta dalla Stazione appaltante (Cons. St., sez. VI, 13 maggio 2011 n. 2919); (..) il principio della finalizzazione del servizio oggetto di affidamento agli scopi propri (core business) dell’attività speciale della Stazione appaltante è stato affermato anche dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, richiamando l’orientamento in materia della Corte di Giustizia favorevole ad una interpretazione restrittiva dei settori speciali (C. giust. CE 10 aprile 2008 C-393/06, Aigne), ha escluso l’applicazione della disciplina invocata dalla ricorrente ogni qual volta l’attività affidata non sia “esclusiva del settore, né si pone ad esso in termini di mezzo a fine, né può essere considerata come inclusa nella gestione di un servizio” (Cons. Stato, Ad. Plen., dep. 1 agosto 2011, n. 16) ; (..) nell’occasione, il Consiglio di Stato ha escluso “che agli appalti “estranei” ai settori speciali di cui all’art. 217 del Codice (art. 20, direttiva 2004/17/CE) posti in essere da imprese pubbliche siano estensibili “i principi dei Trattati a tutela della concorrenza” (Ad. Plen. n. 16/2011, cit.)” (TAR Emilia Romagna Parma sez. I 23/10/2014 n. 378).

Risulta evidente come, spianata la strada dello iure privatorum, ogni affidamento che sia aggiudicato al di fuori del nesso di stretta strumentalità con il core business dell’impresa pubblica, che non sia al contempo amministrazione aggiudicatrice, nel qual esclusivo caso, si riespanderebbe l’applicazione delle regole ordinarie del Codice, debba essere qualificato alla stregua di un negozio giuridico contrattato secondo le regole privatistiche, senza che alcun munus publicum debba essere intercettato nell’agere dell’impresa.

Diretta conseguenza è che le regole di gara poste dall’impresa pubblica risultano di certo applicabili alla singola procedura in virtù dell’autovincolo, ma che le stesse, qualora violate, debbano essere fatte valere dinanzi al giudice dei diritti.

3. Riflessi sul riparto giurisdizione. La non rilevanza dell’autovincolo

Le pronunce anzi richiamate, portano con sé il risvolto del difetto di giurisdizione del giudice amministravo.

E’ diretta conseguenza della sottrazione, della totale estraneità dell’applicazione del Codice alle procedere de quibus, che il giudice naturale dinanzi al quale pretendere la tutela dei propri interessi non è più il giudice degli interessi legittimi, ma il giudice dei diritti soggettivi perfetti.

Ebbene, se si tratta di una negoziazione paritaria tra impresa, seppur pubblica, e concorrenti, la violazione delle regole di gara cui si era vincolato l’ente banditore, può esser fatta valere, secondo i dettami civilistici, dinanzi al giudice ordinario.

Invero, si afferma in giurisprudenza (T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 03 agosto 2009, n. 758) che il bando di gara, pur non avendo la natura giuridica di promessa al pubblico, né di offerta al pubblico (potendo essere semmai accostato all’invito ad offrire) genera, comunque, in capo alle imprese partecipanti alla gara, un livello di affidamento (circa il rispetto da parte dell’Amministrazione della lex specialis in esso contenuta) non inferiore a quello generato dai predetti atti negoziali.

L’estraneità dell’affidamento ai settori speciali determina il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e alla declinatoria di giurisdizione da parte di de g.a. deve seguire il rinvio della causa al giudice ordinario munito di giurisdizione, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda, ove riassunta nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente pronuncia ex art. 11 c.p.a.    

Non è pertanto preclusa tutela giurisdizionale all’operatore economico, è solo devoluta ad altro giudice.

Sul punto è infatti opportuno ricordare che non rileva che imprese non legalmente obbligate all’osservanza di moduli tipici della contrattualistica pubblica decidano ugualmente di adeguare la propria attività a dette regole, posto che la scelta della procedimentalizzazione, frutto di un’autonoma e consentita scelta negoziale, non è giuridicamente idonea a interferire sull’inderogabile regime del riparto, che si presenta del tutto insensibile a un eventuale “autovincolo” nei termini sopra precisati.

Non sussiste, pertanto, la giurisdizione del giudice amministrativo. Inoltre, il cosiddetto “autovincolo”, eventualmente impostosi dalla stazione appaltante (sottoposizione o meno dell’appalto al regime pubblicistico divisato dal codice degli appalti), non è idoneo a determinare spostamenti della giurisdizione. Per questa fattispecie, dunque, non sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo e la causa, pertanto, va riassunta ai sensi del comma 2 dell’articolo 11 del cpa innanzi al giudice ordinario (Tribunale Regionale Giustizia Amministrativa Bolzano 29/4/2015 n. 151).

4. Conclusioni

E’ chiaro che l’errore in cui molti difensori sono incorsi adendo il giudice amministrativo per la tutela degli interessi dei propri assistiti, anziché il giudice ordinario, fosse frutto non tanto e non solo di una giurisprudenza allora non troppo sedimentata, ma anche dalla tipologia di procedura di affidamento posta in essere dalle imprese pubbliche, chiaramente riecheggiante una vera e propria gara d’appalto.

In totale buona fede, ritenendo di essere in ogni caso onerate dell’evidenza pubblica e di dover agire secundum legem, le stazioni appaltanti hanno adottato gli schemi procedurali delle gare d’appalto pubbliche, ingenerando l’affidamento che ci si trovasse davvero dinanzi ad una procedura pubblica di appalto.

E’ evidente, d’altro canto, che qualora le impese pubbliche fossero state consapevoli di non dover intavolare una vera e propria gara, avrebbero gestito l’affidamento in maniera sicuramente più flessibile e meno vincolato nelle sue procedure: si pensi all’apertura delle buste, nomina di commissioni ecc…

L’orientamento è accolto ovviamente con favore delle imprese, ma quale sia il risvolto della medaglia di è sotto gli occhi di tutti.

Così facendo, si sottrae alla verifica di piena trasparenza, concorrenzialità, pubblicità  e par condicio una importante fetta di mercato di affidamenti posti in essere da soggetti che, pur essendo imprese, sono soggette all’influenza pubblica, e che operano in settori che di regola conferiscono anche ope legis diritti esclusivi in mercati regolamentati spesso molto remunerativi, come quello del petrolio, gas ed elettricità, con la conseguenza che clientele, corruzioni e opportunismi possano rifiorire senza che ciò costituisca una distrazione di pubbliche risorse ovvero turbative di incanti pubblici.

In un momento storico di necessaria e pervicace lotta al malaffare, questa interpretazione, seppur impeccabile dal punto di vista sistematico, appare un elemento disarmonico rispetto al trend che ha portato il legislatore di recente a creare una Autorità deputata, proprio, alla lotta alla corruzione.


[1] Cioè le attività tra quelle di cui agli articoli da 208 a 213: acqua, energia, gas, trasporti, ecc..

[2] Cfr. Art. 3 comma 29 del Codice: “Gli «enti aggiudicatori» al fine dell’applicazione delle disposizioni delle parti I, III, IV e V comprendono le amministrazioni aggiudicatrici, le imprese pubbliche, e i soggetti che, non essendo amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche, operano in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi loro dall’autorità competente secondo le norme vigenti.”

[3] Cfr. Art. 206 del Codice: “1. Ai contratti pubblici di cui al presente capo si applicano, oltre alle norme della presente parte, le norme di cui alle parti I, IV, e V. Della parte II, titolo I, riguardante i contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture nei settori ordinari, si applicano esclusivamente i seguenti articoli: 29, intendendosi sostituite alle soglie di cui all’articolo 28 le soglie di cui all’articolo 215; 33; 34; 35; 36; 37; 38; 46, comma 1-bis; 51; 52; 53, commi 1, 2, 3, 4, fatte salve le norme della presente parte in tema di qualificazione; 55, comma 1, limitatamente agli enti aggiudicatori che sono amministrazioni aggiudicatrici; 55, commi 3, 4, 5, 6, con la precisazione che la menzione della determina a contrarre è facoltativa; 58, con il rispetto dei termini previsti per la procedura negoziata nella presente parte III; 60; 66, con esclusione delle norme che riguardano la procedura urgente; in relazione all’articolo 66, comma 4, in casi eccezionali e in risposta a una domanda dell’ente aggiudicatore, i bandi di gara di cui all’articolo, 224, comma 1, lettera c), sono pubblicati entro cinque giorni, purché il bando sia stato inviato mediante fax; 68; 69; 71; 73; 74; 76: gli enti aggiudicatori possono precisare se autorizzano o meno le varianti anche nel capitolato d’oneri, indicando, in caso affermativo, nel capitolato i requisiti minimi che le varianti devono rispettare nonché le modalità per la loro presentazione; 77; 79; 81, commi 1 e 3; 82; 83, con la precisazione che i criteri di cui all’articolo 83, comma 1, la ponderazione relativa di cui all’articolo 83, comma 2, o l’ordine di importanza di cui all’articolo 83, comma 3, o i sub-criteri, i sub-pesi, i sub-punteggi di cui all’articolo 83, comma 4, sono precisati all’occorrenza nell’avviso con cui si indice la gara, nell’invito a confermare l’interesse di cui all’articolo 226, comma 5, nell’invito a presentare offerte o a negoziare, o nel capitolato d’oneri; 84; 85, con la precisazione che gli enti aggiudicatori possono indicare di volere ricorrere all’asta elettronica, oltre che nel bando, con un altro degli avvisi con cui si indice la gara ai sensi dell’articolo 224; 86, con la precisazione che gli enti aggiudicatori hanno facoltà di utilizzare i criteri di individuazione delle offerte anormalmente basse, indicandolo nell’avviso con cui si indice la gara o nell’invito a presentare offerte; 87; 88; 95; 96; 112-bis; 118; 131. Nessun altra norma della parte II, titolo I, si applica alla progettazione e alla realizzazione delle opere appartenenti ai settori speciali.

2. Quando, ai sensi della presente parte, la gara può essere indetta, oltre che con bando di gara, anche con un avviso periodico indicativo o con un avviso sull’esistenza di un sistema di qualificazione, il riferimento al «bando di gara» contenuto negli articoli della parte I e della parte II che sono applicabili anche ai contratti soggetti alla presente parte, deve intendersi comprensivo di tutti e tre tali avvisi.

3. Nel rispetto del principio di proporzionalità, gli enti aggiudicatori possono applicare altre disposizioni della parte II, alla cui osservanza non sono obbligati in base al presente articolo, indicandolo nell’avviso con cui si indice la gara, ovvero, nelle procedure in cui manchi l’avviso con cui si indice la gara, nell’invito a presentare un’offerta

[4] Vedasi il caso delle società c.d. strumentali.

[5] Cfr. “lavori, servizi, forniture affidati dalle società con capitale pubblico, anche non maggioritario, che non sono organismi di diritto pubblico, che hanno ad oggetto della loro attività la realizzazione di lavori o opere, ovvero la produzione di beni o servizi, non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza, ivi comprese le società di cui agli articoli 113, 113-bis, 115 e 116 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali;”

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Giuseppe Totino
Esperto in contratti pubblici
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