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In data 26 Febbraio 2014 il Parlamento Europeo ed il Consiglio dell’Unione Europea, nell’ambito della completa rinnovazione del diritto comunitario in tema di contratti pubblici, hanno proceduto all’emanazione di un nuovo pacchetto di Direttive sulla materia: la Dir. 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (cd. Direttiva Concessioni), la Dir. 2014/24/UE sugli appalti pubblici  e la Dir. 2014/25/UE sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei
servizi postali. Il  recepimento  delle Direttive da parte dello Stato italiano dovrà intervenire  entro il 18 Aprile 2016. In particolare, la Direttiva Concessioni ha introdotto diverse novità in una materia fino ad oggi poco regolamentata nell’ambito del Codice dei Contratti pubblici vigente: tra le nuove disposizioni introdotte, il presente articolo si propone di approfondire gli aspetti legati all’istituto dell’ in house providing, con particolare riferimento al settore dei Servizi Pubblici Locali di rilevanza economica (di seguito SPL).

L’affidamento diretto in house (senza l’esperimento di una procedura di evidenza pubblica) è giustificato in presenza di un rapporto tra Amministrazione e società concessionaria, caratterizzato, da: 1. proprietà totalitaria pubblica 2. prevalenza dell’attività svolta verso i soci 3. controllo analogo (sent. Teckal)

1. Evoluzione dell’istituto dell’ in house providing

La disciplina dell’affidamento in house trova la propria fonte primaria nella sentenza Teckal (Sent. Corte di Giustizia CE 18 novembre 1999, causa C – 107/98) nella quale venivano per la prima volta enucleati i tre requisiti di legittimità dell’istituto, successivamente via via approfonditi e sviluppati dalla Giurisprudenza sia comunitaria che interna. Sostanzialmente l’affidamento cd in house è un affidamento diretto, che avviene dunque senza l’esperimento di una procedura di evidenza pubblica per la selezione del soggetto concessionario  e dunque in potenziale contrasto con il principio di concorrenza. Tale tipo di soluzione è tuttavia giustificata in presenza di un particolare rapporto tra Amministrazione aggiudicatrice e società concessionaria. Questa relazione deve essere caratterizzata, in conformità alla sentenza Teckal e alla costante Giurisprudenza europea e nazionale, dai seguenti tre requisiti fondamentali: 1. proprietà totalitaria pubblica: il capitale della società affidataria deve essere integralmente in capo all’Amministrazione o a più Amministrazioni affidanti; 2. prevalenza dell’attività svolta verso i soci: i soci pubblici debbono essere i primari destinatari dell’attività svolta dalla società, con esclusione della vocazione commerciale della società affidataria (ex multis, Corte di Giustizia Europea C- 458/2003- Parking Brixen); 3. controllo analogo: il controllo esercitato dai soci pubblici sulla società deve essere paragonabile a quello che gli stessi esercitano sui propri servizi; si è spesso fatto riferimento in proposito al fatto che il servizio è esercitato da una società che deve poter essere considerata una longa manus dell’Ente socio. In particolare quest’ultimo requisito, il controllo analogo, ha generato un vasto contenzioso giurisprudenziale, che ha portato alla sempre maggiore puntualizzazione dei suoi caratteri qualificanti. Affinché possa dirsi che il socio pubblico eserciti il controllo analogo, quest’ultimo dovrà caratterizzarsi per: – la possibilità di esercitare un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni più importanti della società (Corte di Giustizia Europea C-458/2003- Parking Brixen e C-340/2004 Carbotermo). Questo tipo di influenza dovrà essere tale da spostare sui soci controllanti il potere decisionale sulle questioni più rilevanti; – la previsione di un controllo preventivo e non solo successivo delle decisioni ed attività della società controllata (Corte di Giustizia Europea C- 373/2000 – Truley); – la previsione di strumenti ulteriori rispetto a quelli disposti dal diritto civile, in ragione del carattere speciale delle società in house  (Cons. di Stato sent. n. 5/2007); – in caso di pluralità di Enti partecipanti alla medesima società, la previsione di un organo comune che permetta a tutti i soci di esercitare il controllo congiunto sulla società indipendentemente dalla propria quota di partecipazione al capitale, anche se ultraminoritaria (sent. TAR Lombardia, Sez. Brescia sez. II, 23/9/2013 n. 780). A livello interno l’istituto è stato oggetto di diversi interventi regolatori: principalmente con il D. Lgs. 267/2000 Testo Unico degli Enti Locali, art. 113, con l’art. 23-bis D.L. 133/2008, abrogato a seguito di consultazione referendaria nel 2011 e quindi con l’art. 4 D.L. 138/2011 espunto dall’ordinamento a seguito di pronuncia di incostituzionalità nel 2012.  Nei confronti dell’istituto dell’ in house providing nel tempo si sono via via manifestati atteggiamenti restrittivi, arrivando a consentirne il ricorso solo a fronte di situazioni eccezionali e straordinarie, di fatto considerando l’istituto come residuale, utilizzabile solo previa adeguata motivazione e solo dopo autorizzazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, al fine di arginare forme elusive e la conseguente lievitazione della spesa pubblica. A seguito dei riferiti rivolgimenti normativi oggi la disciplina dei modelli di affidamento dei SPL di rilevanza economica e, tra questi dell’ in house providing, ha trovato spazio all’interno dell’art. 34 commi 20 e ss. del D.L. 179/2012 s.m.i.

In materia di SPL l’art. 34 c.20 D.L.179/2012 rinvia la disciplina dell’affidamento ai requisiti comunitari. L’affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta.

2. Le previsioni dell’art. 34 commi 20 e ss. del D.L. 179/2012 s.m.i. e il rinvio alla disciplina comunitaria

La disciplina normativa in tema di affidamento di SPL di rilevanza economica, a livello nazionale, è oggi contenuta nell’art. 34 del D.L. n. 179 del 18 ottobre 2012 – convertito con modificazioni in L. 17 Dicembre 2012, n. 221 – ai commi da 20 a 27. La norma in particolare introduce una doppia regolazione, prevedendo ai commi 20 e 23 la disciplina a regime ed introducendo con i commi 21 e 22 la regolazione del periodo transitorio. Per quanto attiene all’operatività del nuovo sistema di affidamento di SPL a regime il comma 20 prevede: <<20.  Per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l’affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell’ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste.>>. In base a quanto riportato, dunque, l’Ente pubblico che intenda affidare un SPL dovrà procedere ad approvare un apposito atto deliberativo motivato, pubblicando sul proprio sito internet una Relazione esplicativa che contenga tutti gli elementi indicati dalla nuova disciplina, ovvero: si dovrà individuare e dare conto dell’esistenza dei requisiti comunitari per la forma di affidamento prescelta; si dovranno definire ed indicare gli specifici obblighi di servizio pubblico e servizio universale assicurati dall’affidamento; si dovranno pre-valutare ed indicare le compensazioni economiche, ove previste, per i singoli SPL oggetto di affidamento. Le modalità procedurali definite per i nuovi affidamenti in house assumono poi particolare rilievo se coordinate con le disposizioni relative al periodo transitorio, che di fatto hanno portato alla scadenza degli affidamenti in essere non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea al 31 Dicembre 2014 (c. 21 del medesimo art. 34, D.L. 179/2012, e successivo  D.L 30.12.2013, n. 150 – Proroga di termini previsti da disposizioni legislative (c.d. Milleproroghe) – conv. con mod. in L. n. 15 del 27.2.2014), con conseguente estensione della platea di applicazione delle disposizioni relative ai nuovi affidamenti. In relazione alla vigente normativa nazionale in materia di affidamenti in house, va inoltre sottolineato che in tema di concessione dei servizi cd a rete (come ad esempio il Servizio idrico integrato o il Servizio di Igiene ambientale) l’art. 3-bis D.L. 138/2011 s.m.i. ha previsto che gli stessi siano svolti per ambiti territoriali ottimali ed attribuiti alla competenza esclusiva di appositi Enti di governo di tali ambiti. Sul punto si ricordano le importanti novità introdotte con la L. di Stabilità per il 2015 (L. 190 del 23.12.2014): l’art. 1 comma 609 lett. a) della citata legge ha introdotto integrazioni significative all’art. 3 – bis del DL 138/2011 e, facendo riferimento alla centralità degli Enti di governo degli Ambiti o bacini territoriali ottimali, ha dettato specifiche disposizioni in ordine alle società in house. A seguito delle modifiche il nuovo comma 1-bis dell’art. 3-bis citato prevede quanto segue << 1-bis. (…) Gli enti di governo di cui al comma 1 devono effettuare la relazione prescritta dall’ articolo 34, comma 20, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 , e le loro deliberazioni sono validamente assunte nei competenti organi degli stessi senza necessità di ulteriori deliberazioni, preventive o successive, da parte degli organi degli enti locali. Nella menzionata relazione, gli enti di governo danno conto della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e ne motivano le ragioni con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio. Al fine di assicurare la realizzazione degli interventi infrastrutturali necessari da parte del soggetto affidatario, la relazione deve comprendere un piano economico-finanziario che, fatte salve le disposizioni di settore, contenga anche la proiezione, per il periodo di durata dell’affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti, con la specificazione, nell’ipotesi di affidamento in house, dell’assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio investito e dell’ammontare dell’indebitamento da aggiornare ogni triennio. Il piano economico-finanziario deve essere asseverato da un istituto di credito o da società di servizi costituite dall’istituto di credito stesso e iscritte nell’albo degli intermediari finanziari, ai sensi dell’articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 , e successive modificazioni, o da una società di revisione ai sensi dell’ articolo 1 della legge 23 novembre 1939, n. 1966. Nel caso di affidamento in house, gli enti locali proprietari procedono, contestualmente all’affidamento, ad accantonare pro quota nel primo bilancio utile, e successivamente ogni triennio, una somma pari all’impegno finanziario corrispondente al capitale proprio previsto per il triennio nonché a redigere il bilancio consolidato con il soggetto affidatario in house.>>. In tema di in house providing la disposizione di recente approvazione segue evidentemente la medesima logica limitativa dell’applicazione dell’istituto seguita delle normative precedenti e motivata dai purtroppo frequenti casi di abuso del modello in house che si sono verificati nel nostro Paese, introducendo specifici obblighi dimostrativi dell’efficienza nonché particolari garanzie di tipo economico-finanziario delle gestioni dirette di questo tipo. Da quanto fin qui esposto risulta dunque che l’attuale disciplina interna in tema di affidamento SPL in house sia allo stato contenuta principalmente nell’art.34 D.L. 179/2012 s.m.i, che impone la sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo: questo diretto ed esplicito riferimento assume particolare rilievo nel momento in cui si è in presenza della nuova Direttiva 2014/23/UE che ha introdotto rilevanti novità in materia.

A livello interpretativo, ciò consente infatti di dare immediata attuazione alle nuove disposizioni nell’ordinamento interno, e dunque prima dell’effettivo recepimento della Direttiva, che sarà trasfusa nel nuovo Codice dei contratti pubblici, attualmente in discussione. E’ evidentemente di primario rilievo, pertanto, analizzare le novità introdotte con la nuova Direttiva 2014/23/UE per verificare in che misura le stesse possano essere considerate di immediata applicazione a livello nazionale.

Le nuove Direttive comunitarie in tema di contratti pubblici, hanno introdotto novità in ordine ai requisiti per l’affidamento in house, sia per quanto riguarda l’assetto proprietario, che per la destinazione dell’attività svolta ed il  controllo analogo.

3. Novità sull’istituto dell’ in house providing introdotte con la Dir. 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione

Come sopra richiamato, l’istituto dell’ in house providing, almeno a livello europeo, è rimasto fondamentalmente uguale a sé stesso dal 1999 in quanto è sempre stato basato sulla sussistenza dei medesimi tre requisiti di legittimità: controllo analogo, prevalenza dell’attività svolta verso i soci  e proprietà totalitaria pubblica. A seguito dell’emanazione della Direttiva 2014/23/UE, tuttavia, la disciplina dell’ in house providing appare subire un cambiamento radicale. La Direttiva si occupa dell’istituto all’art. 17 – Concessioni tra enti nell’ambito del settore pubblico. In base al primo paragrafo dell’art. 17 una concessione aggiudicata da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore (come definiti all’art. 7, par. 1, lett. a)), a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di applicazione della Direttiva ove siano soddisfatte tutte  le seguenti tre condizioni: << a) l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi; b) oltre l’80 % delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore di cui trattasi; c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione di capitali privati diretti, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.>>. Come si vede dunque la Direttiva mantiene i tre requisiti classici dell’ in house providing, ma provvede a definirli maggiormente, introducendo  innovazioni: nell’ultima parte del paragrafo 1 e nel successivo paragrafo 2 viene dunque mantenuto il requisito del controllo analogo, ma questo viene definito con ulteriori specifiche. In particolare ne è riconosciuta la sussistenza quando un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore esercita un’influenza decisiva sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. E’ importante rilevare poi che tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore. Il seguente paragrafo 2 dell’art. 17 in commento, estende poi la nozione di controllo analogo prevedendo l’applicazione dell’istituto anche ai casi in cui una persona giuridica controllata che è un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore (ex art.7, par. 1, lett. a)), aggiudica una concessione all’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore che lo controlla oppure a un’altra persona giuridica controllata dalla stessa amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore, purché non vi sia partecipazione di capitali privati diretti nella persona giuridica cui viene aggiudicata la concessione, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata. Al successivo paragrafo 3 si aggiunge poi un caso di affidamento diretto in presenza di una tipologia ulteriore di controllo analogo: quello che viene esercitato da una pluralità di amministrazioni/enti congiuntamente. In particolare si prevede che un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore, che non eserciti su una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato il controllo analogo nella forma tipica di cui al par.1, possa comunque aggiudicare una concessione a tale persona giuridica senza applicare la Direttiva qualora siano soddisfatte  le medesime condizioni di cui al precedente par. 1, fatto salvo che per quanto attiene al primo requisito di cui alla lett.a, relativo al controllo analogo, questo possa essere esercitato in forma congiunta. Il paragrafo prosegue definendo maggiormente il concetto di controllo analogo congiunto, specificando che per poterne affermare la sussistenza occorre che siano soddisfatte tutte le tre condizioni di seguito riportate: << i) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti; ii) tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; e iii) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti. >>. La definizione di controllo analogo che risulta dall’analisi dei primi tre paragrafi dell’art. 17 della Direttiva 2014/23/UE prende dunque in considerazione tanto il controllo analogo diretto, quanto quello indiretto anche ove tale controllo sia esercitato trasversalmente nonché congiuntamente da più amministrazioni. Come più sopra accennato, il requisito del controllo analogo è quello sul quale si è creato il maggiore dibattito giurisprudenziale e dottrinale dal 1999 ad oggi, per cui risulta apprezzabile lo sforzo definitorio che può aiutare a risolvere alcuni problemi interpretativi, anche se alcuni aspetti (quali l’influenza decisiva sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della persona giuridica controllata) non mancheranno di continuare a dare origine a disquisizioni interpretative. La norma passa quindi alla trattazione inerente il secondo requisito ovvero la prevalenza dell’attività svolta dal soggetto in house verso gli Enti pubblici che lo partecipano, condizione che, come sopra riportato, è soddisfatta ai sensi della lett. b) del primo paragrafo dell’art. 17, quando oltre l’80 % delle attività del soggetto sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad esso affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici o dagli enti aggiudicatori controllanti o da altre persone giuridiche controllate dalle stesse amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori. Anche questo secondo requisito viene dunque mantenuto dalla Direttiva, in coerenza con i già vigenti principi derivanti dalla sentenza Teckal, ma viene introdotta la specifica percentuale a partire dalla quale la condizione può considerarsi soddisfatta. Non solo: il paragrafo 5 dell’art. 17 detta le coordinate necessarie a determinare la percentuale dell’80%, stabilendo che a tal fine occorre prendere in considerazione il fatturato totale medio, o una idonea misura alternativa basata sull’attività, quali i costi sostenuti dalla persona giuridica, l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore in questione nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i 3 anni precedenti l’aggiudicazione della concessione, se tali dati sono disponibili, diversamente  sarà sufficiente dimostrare, segnatamente in base a proiezioni dell’attività, che la misura dell’attività è credibile. Venendo ora alla terza condizione, contenuta alla lett. c) del primo paragrafo dell’art. 17, si nota immediatamente che la nuova definizione innova in modo significativo la disciplina tradizionale: l’orientamento classico – e assolutamente consolidato – infatti, ha sempre negato la legittimità di un affidamento in house in tutti i casi ove anche solo una piccola percentuale del capitale sociale della società fosse in mano privata (ex multis Sent. Corte di Giustizia Europea, SEZ.I, 11 gennaio 2005, C- 26/03 – Stadt Halle).  La nuova Direttiva, alla lett. c, del paragrafo 1 dell’art. 17 prevede invece, in controtendenza con quanto fino ad oggi sostenuto, che nella persona giuridica controllata non è ammessa alcuna partecipazione di capitali privati diretti, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata. La nuova norma in altre parole, dunque, ribalta radicalmente la concezione classica, permettendo che i capitali privati entrino negli organismi affidatari in house, a patto che gli stessi non possano intervenire in modo determinante sulla vita della società. Dall’analisi svolta emerge il primario assoluto rilievo delle innovazioni disposte rispetto all’istituto dell’ in house providing dal Legislatore europeo e la conseguente necessità di stabilire in quale misura le stesse debbano o meno trovare immediata applicazione. Se da un lato infatti le Direttive europee non trovano attuazione nel territorio degli Stati membri se non quando vengono dagli stessi recepite, è pur vero che ove tali provvedimenti dettino discipline sufficientemente precise e definite le istituzioni nazionali non possono ignorarle. Inoltre occorre ricordare che in materia di SPL di rilevanza economica la disciplina interna – contenuta all’art. 34 commi 20-27 del D.L. n. 179/2012 s.m.i. – fa esplicito richiamo ai requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta. Da quanto sopra appare maggiormente coerente tanto con le disposizioni generali inerenti i rapporti tra fonti nazionali ed europee, quanto con la disciplina interna dei SPL di rilevanza economica, che le disposizioni in commento trovino immediata applicazione almeno nelle parti più compiutamente definite e quantomeno a livello di principi generali. Come di seguito si vedrà, tale impostazione ermeneutica appare essere quella scelta anche dal Consiglio di Stato con il recente Parere sul caso Cineca, che ha così stabilito un autorevole precedente rispetto a questo tipo di interpretazione.

In ordine al requisito della proprietà, è consentita la partecipazione di capitali privati diretti che non comportano controllo o potere di veto e che non esercitino un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

4. L’immediata applicazione dei principi delle nuove Direttive sui contratti pubblici: il parere del Consiglio di Stato sul << caso CINECA >>

Con il parere n. 298 del 30 Gennaio 2015 il Consiglio di Stato si è pronunciato in merito al caso di affidamento diretto da parte del MIUR al consorzio interuniversitario CINECA di un incarico relativo allo sviluppo di soluzioni informatiche: nel caso di specie sono stati applicati per la prima volta i principi sull’ in house providing contenuti nella Direttiva 2014/24/UE in tema di appalti pubblici. Appare opportuno preliminarmente sottolineare come l’art. 12 della Direttiva 24 – che ha trovato applicazione diretta ad opera del Supremo Collegio – ricalca esattamente il contenuto dell’art. 17 della Direttiva 2014/23/UE, con conseguente applicazione analogica anche in tema di concessioni di servizi. In particolare il Collegio dà via libera agli appalti senza gara anche a società pubbliche  il cui capitale non sia completamente in mano pubblica, sovvertendo così un principio che finora era da ritenersi assolutamente consolidato. L’interpretazione di Palazzo Spada fornisce dunque parere positivo in ordine all’assegnazione in via diretta e senza gara dell’incarico da parte del MIUR al consorzio CINECA, nonostante tanto l’Autorità Antitrust, quanto l’Anac avessero reso pareri contrari. In risposta al parere richiesto dal Ministero dell’istruzione, il Consiglio di Stato sottolinea come la relazione intercorrente tra il MIUR e il consorzio CINECA si caratterizzi per la presenza di due dei requisiti fondamentali previsti dal modello in house: 1. l’esercizio da parte del Ministero che affida l’incarico di un «controllo analogo» sulla società pubblica che lo riceve (e questo sarebbe dimostrato, a parere del Collegio, in quanto è presente un rappresentante del MIUR in tutti gli organi direttivi del CINECA, nonché dalla necessità del consenso del Ministero per tutte le decisioni più importanti del consorzio, il che configurerebbe una sorta di diritto di veto); 2. la società controllata svolge certamente la parte più importante dell’attività «nell’interesse dei soggetti pubblici partecipanti» (risulta infatti che la quasi totalità del fatturato del CINECA derivi da servizi resi nell’interesse dei consorziati). Come poco sopra accennato, dunque, la fondamentale novità della decisione di Palazzo Spada sta nel sovvertimento di un orientamento che nel corso del tempo tanto la Giurisprudenza nazionale quanto quella comunitaria sono arrivate a ritenere consolidato: la necessarietà del capitale interamente pubblico e la conseguente esclusione di legittimità di affidamenti diretti in house in presenza di privati nel capitale sociale. Peraltro una corrente interpretativa restrittiva era arrivata a negare la legittimità dell’affidamento diretto anche in presenza della mera previsione statutaria di una futura ed eventuale privatizzazione della società inizialmente pubblica. Nel caso di specie, CINECA  include tra i suoi soci anche Università private come la Bocconi e lo Iulm, ma in via assolutamente minoritaria e con poteri non incisivi. Dunque CINECA viene a costituire una fattispecie paradigmatica rispetto alla nuova disciplina dell’affidamento in house prevista dalle Direttive europee. Conseguentemente le conclusioni del Consiglio di Stato divergono rispetto ai pareri rilasciati da Antitrust e Anac in quanto, spiega il Consiglio, gli stessi essendo precedenti all’entrata in vigore della nuova Direttiva europea non hanno potuto tenere conto delle profonde innovazioni delle condizioni di esclusione dell’ in house providing introdotte dall’intervento comunitario. In particolare a seguito dell’emanazione delle Direttive non si potrebbe ignorare che: resta l’obbligo del controllo analogo, ma sulla commisurazione dell’attività prevalente viene ora fissato un tetto preciso all’80% del fatturato derivante da servizi svolti per gli Enti controllanti, mentre il resto può essere raccolto sul mercato ed, infine, viene ammessa la presenza di capitali privati sempre che tale partecipazione non produca un’influenza determinante . Per Il Consiglio di Stato dunque, nel caso CINECA sussistono i requisiti del controllo analogo e dell’attività prevalente, e la modesta presenza del capitale privato è tale da rientrare nella fattispecie di cui alle nuove previsioni comunitarie, dal momento che il consorzio risulta stabilmente partecipato al 98% da pubbliche amministrazioni e solo in minima parte da persone giuridiche private. In conclusione la pronuncia del Supremo Collegio non può che essere considerata innovativa, consentendo per la prima volta – pur in presenza di specifiche condizioni – l’affidamento in house ad un soggetto partecipato anche da privati, in virtù dell’ applicazione diretta dei requisiti comunitari contenuti nelle nuove Direttive, che anche ove non fossero da considerarsi self executing, meritano comunque di trovare immediata considerazione nell’ordinamento interno.

Con parere n. 298/2015 il Consiglio di Stato in merito al caso di affidamento diretto MIUR/ CINECA ha applicato i principi sull’ in house providing contenuti nella Direttiva UE consentendo l’affidamento in house ad un soggetto partecipato anche da privati.

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Avv. Emilia Giulia Di Fava
Docente ed esperta in disciplina di Diritto Amministrativo - Servizi Pubblici Locali
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