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( votes)1. I soggetti aggregatori introdotti dal decreto-legge n. 66 del 2014
L’articolo 9 del decreto-legge n. 66 del 2014[1]ha introdotto la nuova figura dei “soggetti aggregatori” per l’acquisizione di beni e servizi.
Il tema è stato recentemente affrontato da ITACA-Istituto per l’innovazione e trasparenza degli appalti e la compatibilità ambientale, organo tecnico della Conferenza delle regioni-che ha predisposto un documento dal titolo “Elementi guida per l’attuazione degli obblighi di aggregazione della domanda pubblica di cui al decreto-legge n. 66 del 2014”[2].
Nel corso della seduta del 19 febbraio 2015 la Conferenza delle regioni ha approvato il documento di ITACA – elaborato dal Gruppo di lavoro interregionale “Centrali di committenza”, coordinato dalla Regione Umbria – che fornisce un quadro ricognitivo delle norme emanate nel corso degli ultimi anni, spesso sovrapposte e confuse, in materia di aggregazione della domanda pubblica. Il documento – una sorta di piccola Guida pratica, dal taglio snello ed operativo – mira ad orientare le stazioni appaltanti e gli operatori economici sulla riorganizzazione e sulla razionalizzazione della committenza pubblica di lavori, servizi e forniture, tema sul quale il legislatore è intervenuto ripetutamente senza che le nuove fattispecie siano state chiaramente coordinate rispetto alle norme emanate in precedenza.
Le disposizioni contenute nel decreto-legge n. 66 del 2014 prevedono che faranno parte di un apposito Elenco dei soggetti aggregatori:
- CONSIP;
- una centrale di committenza per ciascuna regione “qualora costituita ai sensi dell’articolo 1, comma 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296”;
- altri soggetti, pubblici o privati, che richiedano l’iscrizione nell’Elenco sulla base di specifici requisiti individuati con apposito d.P.C.M.[3].
Per quanto concerne i soggetti aggregatori individuati dalle regioni, nella Guida di ITACA si riporta una tabella che contiene il quadro ricognitivo dei soggetti aggregatori regionali[4].
Come accennato, le nuove disposizioni prevedonoche anche altri soggetti – diversi da CONSIP e dalle centrali regionali – potranno richiedere all’Autorità Nazionale Anticorruzione l’iscrizione all’Elenco nazionale dei soggetti aggregatori, potendo così partecipare alle attività del Tavolo dei soggetti aggregatori e potendo attingere al Fondo per l’aggregazione degli acquisti di beni e di servizi: in considerazione della prevedibile limitazione delle risorse, il numero massimo dei soggetti aggregatori è stato fissato in un massimo di trentacinque soggetti[5].
L’articolo 9, comma 2 del decreto-legge 66 del 2014 prevede in particolare che, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri da adottare previa intesa con la Conferenza unificata, debbono essere definiti i requisiti per l’iscrizione all’interno del predetto Elenco nazionale dei soggetti aggregatori: tra tali requisiti, la norma cita espressamente il carattere di stabilità dell’attività di centralizzazione, nonché valori di spesa ritenuti significativi per le acquisizioni di beni e di servizi, con riferimento ad ambiti, anche territoriali, da ritenersi ottimali ai fini dell’aggregazione e della centralizzazione della domanda. Oltre a ciò, il medesimo articolo 9 prevede, ancora al comma 2, che, con ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da adottare previa intesa con la Conferenza unificata, debba essere istituito il Tavolo tecnico dei soggetti aggregatori, e ne siano stabiliti i compiti, le attività e le modalità operative.
I due decreti presidenziali, datati 11 novembre 2014 e pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 15 del 20 gennaio 2015, definiscono quindi i requisiti per l’iscrizione delle centrali di committenza (diverse da CONSIP e dalla centrale regionale a tal fine individuata entro il 31 dicembre 2014) e le regole di funzionamento del Tavolo.
Con Determinazione n. 2 dell’11 febbraio 2015 l’ANAC ha poi dettato disposizioni in merito all’“Applicazione dell’art. 3, comma 1del DPCM 11 novembre 2014”, fornendo le modalità operative per la presentazione delle candidature – presentate dai soggetti diversi da CONSIP e dai soggetti aggregatori designati da ciascuna regione – per l’iscrizione nell’Elenco. Le richieste dovranno essere corredate dalle informazioni da inserire in uno specifico format predisposto dall’Autorità Anticorruzione e messo a disposizione sul portale istituzionale della medesima Autorità. Dalla data di pubblicazione della predetta determinazione in Gazzetta Ufficiale inizierà la decorrenza del termine dei 45 giorni per la presentazione della candidatura.
Con il d.P.C.M. dell’11 novembre 2014 è stato altresì stabilito che i soggetti diversi da Consip e dagli aggregatori individuati dalle regionipossono richiedere l’iscrizione nell’Elenco ove, nei tre anni precedenti, abbiano pubblicato bandi e/o inviato lettere di invito per l’acquisizione di beni e servizi di importo a base di gara pari o superiore alla soglia comunitaria per almeno 200 milioni nell’ultimo triennio e, comunque, con un valore minimo di 50 milioni di euro per ciascun anno.
In relazione ai soggetti – diversi da CONSIP dagli aggregatori regionali – la Conferenza delle regioni ha tuttavia segnalato il rischio del coinvolgimento, tra gli “altri soggetti aggregatori”, di soggetti privati: le regioni hanno infatti posto in luce, con preoccupazione, la concreta possibilità di ammettere nell’Elenco degli aggregatori anche soggetti aventi governance e finalità di tipo privatistico e lucrativo, che – tenuto conto della lacuna normativa contenuta nel decreto-legge n. 66 del 2014 – potrebbero teoricamente candidarsi a svolgere l’attività di centrali di committenza per le amministrazioni pubbliche[6].
2. Cosa fanno i soggetti aggregatori?
Nella Guida di ITACA si evidenzia che il decreto-legge n. 66 del 2014 nel disciplinare le attività dei soggetti aggregatori fa essenzialmente riferimento all’acquisizione di beni e servizi, ma questo non preclude ai soggetti aggregatori, laddove previsto negli atti istitutivi tra le proprie competenze, di procedere anche all’affidamento di lavori per gli enti locali del proprio territorio, tenuto conto anche dell’operato di alcuni organismi regionali già esistenti.
A tali fini, peraltro, sarebbe stato opportuno prevedere nella fonte primaria la possibilità della stipula di un’apposita convenzione – in analogia agli accordi già oggi richiamati all’articolo 33, comma 3-bis del codice dei contratti pubblici – per consentire ai soggetti aggregatori di programmare adeguatamente le proprie attività e poter così rispondere efficientemente alla domanda proveniente dalle amministrazioni del proprio territorio.
3. Le competenze delle Regionie degli altri enti del Servizio Sanitario
Nella Guida di ITACA si evidenzia che dal decreto-legge n. 66 del 2014 emerge che i soggetti aggregatori non sono chiamati a sostituire in toto le precedenti stazioni appaltanti, né sono chiamati a prendere radicalmente il posto delle centrali regionali già costituite, ma dovranno (nell’ambito delle proprie attività e della relativa programmazione) svolgere alcune procedure – anno per anno individuate dal Tavolo dei soggetti aggregatori, anche in relazione alle soglie di importo – da indire per l’acquisizione di specifici beni e servizi destinati alle amministrazioni statali centrali e periferiche nonché alle regioni, agli enti regionali e loro consorzi e associazioni ed agli enti del servizio sanitario nazionale.
È poi utile notare che, laddove si parla di indizione di “procedure”, la norma del decreto-legge n. 66 del 2014 non fa riferimento esplicito ed esclusivo all’affidamento di convenzioni ex articolo 26 della legge n. 488 del 1999, ma si riferisce, più in generale, allo svolgimento di procedure, lasciando così aperta la scelta della procedura ritenuta dal soggetto aggregatore volta per volta ottimale, tenuto conto delle caratteristiche dei beni e dei servizi da acquisire.
Nel documento di ITACA si sottolinea pertanto che resta salva la facoltà, per le singole stazioni appaltanti – ad eccezione dei comuni non capoluogo di provincia, e fermo restando quanto già notato relativamente all’area “esclusiva” assegnata ai soggetti aggregatori – di indire procedure autonome per l’acquisizione di beni e servizi, ferma restando la necessità che tali affidamenti autonomi siano disposti nel rispetto dei vincoli generali a tal fine previsti dall’ordinamento giuridico.
4. Le centrali di committenza per gli appalti dei comuni non capoluogo di provincia
L’attuale formulazione dell’art.33, comma 3-bis del codice dei contratti pubblici[7] dispone che i comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di lavori, beni e servizi nell’ambito delle unioni dei comuni di cui all’articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da CONSIPS.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara ai comuni non capoluogo di provincia che procedano all’acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma[8].
Nella Guida ITACA si evidenzia come sia ormai consolidato il fatto che, in subordine al ricorso alle unioni già disciplinate dal testo unico degli enti locali, i comuni non capoluogo possono procedere alla sottoscrizione di una convenzione (senza però procedere all’istituzione di un nuovo consorzio di funzioni[9]) ai sensi dell’articolo 30 del medesimo testo unico.
Il medesimo comma 3-bis prevede che, in alternativa, i medesimi comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da CONSIP o da altro soggetto aggregatore di riferimento.
Per quanto concerne la decorrenza dei nuovi obblighi, l’articolo 23-ter del decreto-legge n. 90 del 2014[10]aveva disposto che:
- le disposizioni di cui al comma 3-bis dell’articolo 33
del codice dei contratti pubblici entrano in vigore:
- il 1gennaio 2015, quanto all’acquisizione di beni e servizi;
- il 1luglio 2015, quanto all’acquisizione di lavori;
- i comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti possono procedere autonomamente per gli acquisti di beni, servizi e lavori di valore inferiore a 40.000 euro.
Va peraltro segnalato che, in sede di conversione in legge del decreto-legge n. 192 del 2014[11], il Parlamento ha disposto di aggiungere all’art. 33 del codice dei contratti pubblici un comma 3-ter nel quale si prevede che la nuova disciplina per la centralizzazione delle procedure di acquisizione di lavori, servizi e forniture, per tutti i comuni non capoluogo di provincia si applichi dal 1 settembre 2015. Tale modifica è volta a fissare un termine unico, a decorrere dal quale si applicherà la nuova disciplina a tutte le procedure di appalto. Oltre a ciò, è stato introdotto un successivo comma 3-quater nel quale si prevede che tale norma non si applichi alle procedure già avviate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge.
L’attuale assetto normativo vieta, ai soli comuni non capoluogo con popolazione fino a 10.000 abitanti, di procedere ad affidamenti diretti in economia: tale disposizione costituisce, peraltro, un ennesimo sintomo di quella generale incoerenza che caratterizza l’odierno sistema degli appalti, posto che la norma generale contenuta all’articolo 125, commi 8 e 11 del codice dei contratti pubblici (e la relativa soglia di 40.000 euro prevista per gli affidamenti diretti) sono tutt’oggi in vigore, con efficacia, almeno apparentemente, illimitata.
5. Il rilascio del CIG da parte dell’ANAC
Come accennato, l’art. 33, comma 3-bis del codice dei contratti pubblici prevede che l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (oggi: ANAC) non rilascia il codice identificativo gara ai comuni non capoluogo di provincia che procedano all’acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal medesimo comma 3-bis.
Va peraltro notato che i responsabili del procedimento comunali che devono richiedere il CIG[12] possono accedere liberamente al sistema di rilascio del CIG (in SIMOG o mediante richiesta dello SMART CIG) ma devono “auto-dichiarare” all’interno di tale sistema – al quale hanno fatto accesso mediante la firma elettronica costituita dal proprio codice fiscale e dalla password personale[13] – che l’appalto per il quale stanno richiedendo il CIG è affidato nel rispetto delle norme contenute all’art. 9, comma 4 del decreto-legge n. 66 del 2014; di fatto, quindi, l’ANAC rilascia il CIG ma lo fa sotto la diretta responsabilità del responsabile unico del procedimento, il quale dovrà attestare (anche) all’interno del sistema dell’Autorità Anticorruzione la legittimità del procedimento di appalto cui si riferisce il CIG.
Quando l’obbligo di aggregazione sarà entrato in vigore (ovverosia dopo il 1 settembre 2015) il responsabile del procedimento, dopo aver richiesto il CIG, dovrà trasmetterlo alla centrale di committenza individuata ai sensi dell’art. 33, comma 3-bis del decreto legislativo n. 163 del 2006 per l’espletamento della procedura di affidamento e dovrà curare, dopo tale affidamento, l’esecuzione del contratto nonché il correlativo monitoraggio del ciclo di vita dell’appalto[14].
L’acquisizione del CIG non sarà necessaria, in ogni caso, ove l’appalto venga realizzato dalla stessa amministrazione mediante ricorso all’”amministrazione diretta” – ovverosia senza “esternalizzazione”[15] -ai sensi dell’art. 125, comma 3 del codice dei contratti pubblici, per importi sotto la soglia comunitaria (e, per i lavori, per importi comunque inferiori a 50.000 euro).
6. Gli appalti dei comuni capoluogo di provincia
I comuni capoluogo di provincia non sono tra i soggetti esplicitamente richiamati tra gli enti destinatari dei beni e dei servizi acquisiti da parte dei soggetti aggregatori ed essi possono pertanto indire procedure di gara autonome, fermo restando il necessario rispetto delle regole generali.
La mancata previsione dei comuni capoluogo di provincia sia tra i soggetti sottoposti agli aggregatori, sia tra i soggetti obbligati ad aderire alle centrali comunali costituisce, peraltro, un ulteriore indice dell’assenza di coerenza all’interno dell’attuale sistema normativo, considerato come in taluni casi gli stessi comuni presentano una dimensione demografica inferiore a taluni comuni non capoluogo di provincia[16].
7. Un percorso ancora in salita.
Il cammino che occorre percorrere per l’effettiva aggregazione della domanda pubblica sembra essere piuttosto complesso ed articolato.
Per quanto concerne i soggetti aggregatori, occorrerà infatti che venga costituito dall’ANAC l’apposito Elenco, comprensivo sia degli aggregatori regionali (che alcune regioni stanno ancora individuando), sia dei soggetti, pubblici o privati, che presentino a tal fine l’apposita candidatura all’Autorità Anticorruzione.
Successivamente all’approvazione dell’Elenco occorrerà poi che venga costituito il Tavolo dei soggetti aggregatori il quale, a sua volta-per poter individuare i beni ed i servizi soggetti alla competenza esclusiva degli aggregatori – dovrà effettuare una ricognizione dei fabbisogni, indispensabile a qualunque processo di aggregazione della spesa.
Successivamente all’individuazione dei beni/servizi di competenza esclusiva degli aggregatori, questi ultimi potranno indire le relative procedure di gara e, solo all’esito della relativa aggiudicazione, l’esistenza di tali contratti costituirà un vincolo per regioni ed enti del servizio sanitario.
Ed anche per quanto concerne le centrali di committenza comunali il cammino sembra irto di difficoltà, tanto ciò è vero che ormai sono ricorrenti le partenze e gli inevitabili rinvii disposti dal legislatore con provvedimenti di proroga (peraltro “puntualmente” adottati dopo la scadenza dei termini da prorogare).
In via più generale si deve sottolineare che l’introduzione di un generale obbligo di procedere all’aggregazione della domanda pubblica non sempre porta con sé, di riflesso, i risultati attesi ove tale obbligo non venga accompagnato da un “percorso” informativo, formativo ed organizzativo che consenta, alle varie amministrazioni coinvolte nel processo di aggregazione, di avere a disposizione i necessari strumenti concreti, pratici ed operativi.
[1]Convertito, con modificazioni, con legge 23 giugno 2014, n. 89.
[2]Il documento è consultabile al link: http://www.itaca.org/news_dettaglio.asp?ID=429. In tema cfr. anche il precedente documento di ITACA dal titolo “Le centrali di committenza per gli appalti dei piccoli comuni – Primo rapporto sull’attuazione dei nuovi obblighi: stato dell’arte e qualche strumento operativo” del 10 aprile 2013.
[3] Articolo 9, comma 1, decreto-legge n. 66 del 2014.
[4]La tabella definisce il quadro dei soggetti aggregatori regionali aggiornato alla data del 19 febbraio 2015.
[5] Articolo 9, comma 5, decreto-legge n. 66 del 2014.
[6]Sul punto cfr. lo specifico documento approvato dalla Conferenza delle regioniil 16 ottobre 2014, consultabile in www.regioni.it.
[7]Come modificato dall’art. 9, comma 4, decreto-legge n. 66 del 2014.
[8]Il comma 3-bis aggiunge che per i comuni istituiti a seguito di fusione l’obbligo decorre dal terzo anno successivo a quello di istituzione.
[9]La legge n. 191 del 2009 ha infatti previsto, all’art. 2, comma 186, che, al fine del coordinamento della finanza pubblica e per il contenimento della spesa pubblica, i comuni devono adottare le seguenti misure: (…)e) soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali.Tale previsione è stata tra l’altro confermata, sotto altro aspetto, dall’art. 9, comma 6 del decreto-legge n. 95 del 2012, nella parte in cui in esso si dispone che:è fatto divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’articolo 118, della Costituzione(sul tema si veda anchequanto evidenziato nel parere reso dalla Corte dei conti – Sez. regionale Controllo Lombardia del 6 marzo 2013, n. 74).
[10]Convertito, con modificazioni, con legge 11 agosto 2014, n. 114.
[11]Nella seduta del Senato del 26 febbraio 2015.
[12]Sull’obbligo di richiedere il CIG da parte del responsabile del procedimento individuato ai sensi dell’art. 10 del codice dei contratti pubblici cfr. il comunicato del Presidente dell’ex Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici del 15 settembre 2010.
[13]Secondo il codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005, infatti, la firma elettronica è costituita dall’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica
[14]Il monitoraggio del ciclo di vita del contratto d’appalto deve essere effettuato mediante l’invio dei dati ai sensi dell’art. 7, comma 8 del decreto legislativo n. 163 del 2006, ovverosia attraverso la compilazione delle schede all’interno del sistema SIMOG dell’Autorità oppure attraverso i sistemi autonomi messi a disposizione dalle sezioni regionali dell’Osservatorio sui contratti pubblici.
[15]Gli obblighi di tracciabilità non trovano applicazione nel caso di prestazioni in economia realizzate tramite amministrazione diretta ex articolo 125, comma 3del codice dei contratti pubblici in quanto il ricorso a tale istituto non rientra nella fattispecie del contratto d’appalto con un operatore economico (www.avcp.it, FAQ n. C3 in materia di tracciabilità dei flussi finanziari, in cui si rinvia anche ad AVCP, Determinazione n. 4 del 2011).
[16]Per fare un esempio, il comune di Giugliano in Campania annovera 110.473 abitanti mentre il comune di Terni, capoluogo di provincia, ne annovera un numero inferiore, pari a 109.382 abitanti.