Questo articolo è valutato
( votes)Premesse
Il fenomeno delle società partecipate dagli enti locali, insuscettibile di essere ricondotto ad una disciplina omogenea e uniforme, resta al centro dell’intervento statale, volto ad individuare gli strumenti “chiave” per una razionalizzazione complessiva del settore.
Questo l’obiettivo affidato dal legislatore al Commissario straordinario per la revisione della spesa in vista del suo recepimento nel disegno di legge di stabilità per il 2015 (“DDL Stabilità”).
In una sua prima versione l’art. 43 del DDL, rubricato “Razionalizzazione delle società partecipate locali”, conteneva una iniziale disciplina (commi 1-4) che si occupava, trasversalmente, delle due grandi categorie delle partecipate locali (le società strumentali e quelle erogatrici di servizi pubblici locali), prevedendone l’eliminazione ove non indispensabili in relazione agli scopi dell’Ente.
Il testo approvato lo scorso 15 ottobre dal Consiglio dei Ministri, pur avendo al momento una portata più limitata rispetto alle bozze iniziali, prevede comunque una importante revisione della vigente disciplina della gestione per ambiti ottimali di cui all’art. 3-bis della legge n. 148/2011.
Le nuove previsioni sono destinate ad intrecciarsi con le novità previste dal disegno di legge n. 1577/2014, in corso di esame al Senato, che pone le basi per un riordino dell’intero settore.
1. Il “Piano Cottarelli”
Un significativo impulso alla recente attività di governo in materia è stato fornito dal “Programma di razionalizzazione delle partecipate locali” del 7/8/2014 (“Piano Cottarelli”), contenente una serie di spunti e propositi volti all’efficientamento delle amministrazioni pubbliche e delle società dalle stesse direttamente o indirettamente controllate.
L’approccio seguito è focalizzato sul riferimento ai “compiti istituzionali” dell’ente, ossia sull’idea per cui l’intervento pubblico è appropriato solo in caso di fallimento di mercato: trattasi, del resto, della ratio sottesa all’art. 3, comma 27 e ss., della Legge Finanziaria per il 2008, rimasto tuttavia inattuato[1] anche per effetto della modifica intervenuta con l’art. 1 L. n. 147/2013 (“Legge di stabilità 2014”), che ha prorogato di 12 mesi (ossia al 31/12/2014) il termine ivi previsto per la cessazione della partecipazione vietata e non alienata mediante procedura di evidenza pubblica.
A differenza della normativa previgente, il Piano consente il mantenimento di partecipazioni in società da parte dell’ente locale non in presenza di un mero e generico interesse generale, ma in stretto riferimento ad attività specificamente individuate. E’ questa la funzione della apposita tabella – suscettibile di aggiornamento annuale – contenente le attività in presenza delle quali l’ente locale può partecipare alla società in questione autonomamente, ossia senza alcun obbligo di cessione di quote e/o vaglio preventivo di enti terzi (v. Tabella III. 1 a pag. 15)[2].
Nel caso, invece, di attività non contemplate nella citata tabella, la decisione dell’ente locale di mantenere la partecipazione o di costituire nuove società dovrebbe essere rimessa al vaglio di un ente terzo (AGCM).
In linea generale il Piano propone una drastica limitazione del ricorso alla modalità di affidamento in house, tramite la previsione di una disciplina che sia maggiormente restrittiva rispetto a quella comunitaria.
Con specifico riguardo al settore dei servizi pubblici locali, il Piano Cottarelli:
- qualifica espressamente come “servizi pubblici di rilevanza economica a rete” solo determinati servizi, quali servizio idrico integrato, gas, energia elettrica, rifiuti, trasporto pubblico locale;
- inserisce tali servizi nella citata tabella III. 1 (v. pag. 15), prospettando come sufficiente la mera delibera degli enti locali al fine del mantenimento di partecipazioni in società che eroghino i detti servizi, senza che tale scelta debba essere sottoposta al vaglio di un ente esterno (nella specie, l’AGCM);
- la partecipazione dell’ente locale in società che svolgono servizi pubblici locali non rientranti nella predetta tabella dovrebbe ritenersi legittima solo se supera il vaglio dell’AGCM[3]; in assenza di una “certificazione” di tale ente, la partecipata dovrebbe essere dismessa (cioè venduta o liquidata) entro un termine tassativo;
- la qualificazione “tipica” di tali servizi come «servizi pubblici di rilevanza economica a rete» renderebbe applicabile solo ad essi la vigente normativa in tema di ambiti territoriali ottimali di cui all’art. 3 bis del D.L. 138/2011, come successivamente integrato dall’art. 34, comma 23, L. 221/2012, norma che definisce i relativi enti di governo, fissando nella data del 31.12.2014 il termine di cessazione degli affidamenti non conformi al diritto europeo.
Di entrambe le norme richiamate si evidenzia tuttavia la mancata attuazione, richiedendo un nuovo intervento legislativo sul punto[4].
2. Il Disegno di legge di stabilità per il 2015: modifiche alla disciplina dei servizi pubblici a rete
2.1. La gestione per ambiti territoriali e il PEF
Il DDL Stabilità detta, all’art. 43, una disciplina che mira ad integrare e, in parte, a sostituire quella contenuta nel vigente art. 3-bis del D.L. n. 138/2011, convertito con modificazioni nella L. n. 148/2011, che, come noto, impone agli enti locali di definire, salvo alcuni casi di deroga, gli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, di dimensione non inferiore a quella provinciale, e di istituire i relativi enti di governo.
La portata dell’art. 43 è stata notevolmente ridimensionata, nell’iter legislativo, rispetto alla formulazione iniziale.
Quest’ultima (ai commi 1-4) aveva riguardo al più ampio fenomeno delle partecipate locali, sia strumentali che preposte alla gestione di servizi pubblici, possedute non solo dalle regioni e dagli enti locali, ma anche dalle università, dagli istituti di istruzione universitaria pubblici, dalle autorità portuali e dalle camere di commercio. A tali soggetti la disposizione in parola imponeva di procedere ad una riduzione delle partecipazioni, sia dirette che indirette, che fossero sovrabbondanti o non indispensabili, mediante processi di messa in liquidazione, cessione, internalizzazione delle funzioni ovvero mediante l’aggregazione di società nel caso di servizi pubblici locali di rilevanza economica[5].
Nel testo attuale dell’art. 43, in corso di approvazione alle Camere, l’attenzione è difatti rivolta esclusivamente ai soggetti preposti all’affidamento e alla gestione di servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica di cui all’art. 3-bis cit..
L’art. 43 cit. precisa tuttavia l’ambito applicativo dell’art. 3-bis, stabilendo che «Le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, comprese quelle di carattere speciale, in materia di servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica si intendono riferite, salvo deroghe espresse, anche al settore dei rifiuti urbani ed ai settori sottoposti alla regolazione ad opera di un’Autorità indipendente» (v. nuovo comma 6-bis dell’art. 3-bis cit.).
Con il provvedimento in esame si punta quindi ad un rafforzamento di tale disciplina, fissando un nuovo termine di 60 giorni per l’adesione da parte degli enti locali agli enti di governo degli ambiti, il cui mancato rispetto è seguito, nei successivi 30 giorni, da una diffida ad adempiere e quindi dall’esercizio del potere sostitutivo da parte della Regione interessata.
Vengono in considerazione, in questo senso, le modifiche apportate dall’art. 43 al comma 1-bis dell’art. 3-bis (che nella versione vigente così dispone: «Le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all’utenza per quanto di competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo sono esercitate unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati ai sensi del comma 1 del presente articolo. »).
Il nuovo comma 1-bis – arricchito di contenuti dal DDL Stabilità – prevede invece[6]:
- l’obbligo per gli enti locali di partecipare agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali entro il 1.3.2015 oppure, qualora la costituzione dell’ente sia avvenuta ai sensi dell’art. 13, comma 2, D.L. 150/2013, entro 60 giorni dall’istituzione, pena l’esercizio di poteri sostitutivi da parte del Presidente della regione, fermo restando quanto previsto dall’art. 1, comma 90, L. 56/14 relativamente alla assunzione di funzioni da parte delle province[7]; un analogo obbligo è stato previsto per il servizio idrico integrato dall’art. 7 del Decreto Sblocca Italia;
- l’obbligo per gli enti di governo di adottare, con propria autonoma deliberazione, la relazione prescritta dall’art. 34, comma 20, D.L. n. 179/12, contenente le ragioni che giustificano, alla luce delle norme europee e degli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, le modalità di affidamento dei servizi prescelte, senza necessità di ulteriori deliberazioni, preventive o successive, da parte degli organi degli enti locali;
- l’obbligo di inserire nella predetta relazione – non solo in caso di affidamento in house – un piano economico finanziario asseverato che, «contenga anche la proiezione, per il periodo di durata dell’affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti”, con la specificazione, in caso di in house, “dell’assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio investito e dell’ammontare dell’indebitamento da aggiornare ogni triennio».
Tali previsioni, oltre a chiarire il rapporto ente di governo/ente locale partecipante, tendono – positivamente – a sottoporre l’ente affidante ad un controllo più stringente, soprattutto in caso di affidamento in house.
Alla riduzione delle società in house poco efficienti è diretta inoltre la previsione dell’obbligo per gli enti locali (in caso di deliberazione, per l’appunto, di affidamento in house) di accantonare pro quota, nel primo bilancio utile e successivamente ogni triennio, contestualmente all’affidamento, una somma pari all’impegno finanziario corrispondente al capitale proprio previsto per il triennio, nonché di redigere il bilancio consolidato con il soggetto affidatario in house.
Tale obiettivo era, del resto, posto correttamente alla base del Piano Cottarelli, che intendeva «limitare ulteriormente, anche al di là della disciplina comunitaria, la possibilità di affidamento in house».
2.2. La “spinta” verso l’aggregazione dei gestori
Il successivo n. 2 dell’art. 43 introduce un nuovo comma 2-bis all’art. 3-bis cit., ai sensi del quale «L’operatore economico succeduto al concessionario iniziale, in via universale o parziale, a seguito di operazioni societarie effettuate con procedure trasparenti, comprese fusioni o acquisizioni, fermo restando il rispetto dei criteri qualitativi stabiliti inizialmente, prosegue nella gestione dei servizi fino alle scadenze previste. In tale ipotesi, anche su istanza motivata del gestore, il soggetto competente accerta la persistenza dei criteri qualitativi e la permanenza delle condizioni di equilibrio economico-finanziario al fine di procedere, ove necessario, alla loro rideterminazione, anche tramite l’aggiornamento del termine di scadenza di tutte o alcune delle concessioni in essere, previa verifica ai sensi dell’articolo 143, comma 8, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, effettuata dall’Autorità di regolazione competente ove istituita, da effettuarsi anche con riferimento al programma degli interventi definito a livello di ambito territoriale ottimale sulla base della normativa e della regolazione di settore.».
La disposizione, dal costrutto complesso e di difficile coordinamento, tenta di dotare il settore in esame di una norma che disciplini il subentro di nuovo gestore nell’affidamento, a seguito di processi di trasformazione societaria; aspetto, questo, regolato dal Codice dei contratti pubblici e – il più delle volte – dalle leggi regionali di settore. L’art. 43, in particolare, si riferisce al soggetto risultante dall’aggregazione societaria che subentra all’esistente “concessionario”, inducendo a ritenere che la norma si applichi esclusivamente alle concessioni di servizio e non anche agli appalti.
A tale soggetto si riconosce non solo il diritto a subentrare automaticamente nella titolarità del contratto di servizio e quindi a continuare nella gestione in essere «fino alle scadenze previste» (diritto già sancito in linea generale dal codice civile e dall’art. 116 del Codice dei contratti in virtù dei noti principi di successione e continuità connessi a tali processi societari), bensì l’ulteriore diritto, ricorrendo determinate circostanze specificate nella norma, ad ottenere sostanzialmente una rideterminazione delle condizioni di equilibrio economico-finanziario, anche mediante una proroga della durata contrattuale. La verifica relativa alla effettiva incidenza sul PEF dell’operazione societaria avviene ai sensi del comma 8 dell’art. 143 del Codice dei Contratti Pubblici, come modificato di recente dal “Decreto Fare”, espressamente richiamato dall’art. 43: il menzionato comma 8 riguarda esclusivamente le concessioni di lavori pubblici ed è volto a tutelare sostanzialmente la pubblica amministrazione[8]. Alla luce di tale esplicito richiamo normativo pare doversi quindi rivedere la giurisprudenza che riteneva non applicabile alla concessione di servizi il comma 8 dell’art. 143, non contemplato dall’art. 30 del Codice dei Contratti Pubblici, che invero si limita a richiamare il solo comma 7 dell’art. 143, in tema di revisione periodica del prezzo[9].
L’applicazione della norma inoltre potrebbe comportare difficoltà di coordinamento con la disciplina di settore che, ad esempio, nel caso del trasporto pubblico locale (Reg. CE 1370/2007), pone stringenti limiti alla proroga della durata dei contratti, collegando ragionevolmente la stessa alla presenza di nuovi investimenti e delle connesse esigenze di ammortamento (non già al mero subentro di un nuovo soggetto).
L’art. 43 del DDL Stabilità disciplina il subentro di nuovo soggetto nell’affidamento in essere, a seguito di fenomeni di trasformazione societaria, prevedendo la facoltà dell’ente affidante di procedere alla revisione delle condizioni contrattuali, anche tramite aggiornamento del termine di scadenza di tutte o alcune delle concessioni in essere, previa verifica ai sensi dell’art. 143 del D.Lgs. 163/2006 da parte dell’Autorità di regolazione di settore
La previsione di incentivi all’aggregazione non è nuova al settore: l’art. 25, comma 1, n. 6, D.L. 1/2012 (cd “Decreto Liberalizzazioni”) aveva integrato l’art. 4, comma 32, del D.L. 138/2011, dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza 199/2012, prevedendo la salvaguardia degli affidamenti non conformi laddove i diversi gestori si fossero aggregati in maniera tale da configurare un unico gestore in house del servizio a livello di ambito o di bacino territoriale ottimale ai sensi dell’art. 3-bis cit. Il meccanismo previsto dall’art. 43 appare in parte analogo: l’aggregazione in cambio di una (assai prevedibile) proroga del contratto. Esso però non è rivolto esclusivamente agli incumbents affidatari diretti, avendo una valenza assai più generale.
Una ulteriore spinta verso l’aggregazione societaria si rinviene nelle disposizioni dell’art. 43 disciplinanti le risorse da destinare al settore: l’art. 43 sostituisce, in questa parte, integralmente il comma 4 dell’art. 3-bis. A differenza del testo precedente[10], che non ricollegava il rilascio di finanziamenti all’attuazione di piani di investimento, né attribuiva rilevanza a fenomeni di aggregazione societaria, il più articolato comma 4 prevede che:
- i finanziamenti destinati al settore siano consentiti solo in quanto aggiuntivi ovvero posti a garanzia della realizzazione di appositi piani di investimento che siano preventivamente approvati dai menzionati enti di governo («Fatti salvi i finanziamenti già assegnati anche con risorse derivanti da fondi europei, i finanziamenti a qualsiasi titolo concessi a valere su risorse pubbliche statali ai sensi dell’articolo 119, quinto comma, della Costituzione relativi ai servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, sono attribuiti agli enti di governo degli ambiti o dei bacini territoriali ottimali ovvero ai relativi gestori del servizio a condizione che dette risorse siano aggiuntive o garanzia a sostegno dei piani di investimento approvati dai menzionati enti di governo…»);
– le risorse vengano assegnate con priorità e direttamente (ossia senza il filtro dell’ente d’ambito) in favore dei gestori che, alternativamente, i) siano affidatari con gara o, comunque, rispettino i parametri di efficienza e qualità dei servizi come attestati dalla Autorità di regolazione/ente di governo; ovvero ii) che abbiano deliberato operazioni di aggregazione societaria («Le relative risorse sono prioritariamente assegnate ai gestori selezionati tramite procedura di gara ad evidenza pubblica o di cui comunque l’Autorità di regolazione competente, o l’ente di governo dell’ambito nei settori in cui l’Autorità di regolazione non sia stata istituita, attesti l’efficienza gestionale e la qualità del servizio reso sulla base dei parametri stabiliti dall’Autorità stessa o dall’ente di governo dell’ambito, ovvero che abbiano deliberato operazioni di aggregazione societaria.»).
Il nuovo art. 3-bis D.L. 138/2011 riconosce priorità nell’attribuzione di finanziamenti nel settore dei servizi pubblici locali ai gestori – anche se non selezionati con gara – che abbiano deliberato operazioni di aggregazione societaria, a prescindere dalla verifica del rispetto dei parametri di efficienza stabiliti dalla Autorità.
L’evidente favor verso l’aggregazione tra gestori si rinviene ancora nel nuovo comma 4-bis dell’art. 3-bis, introdotto dall’art. 43 in esame, ai sensi del quale le spese effettuate con i proventi derivanti da operazioni di dismissione di partecipazioni e i proventi stessi sono escluse dal Patto di stabilità interno[11].
3. Il disegno di legge per il riordino dei servizi pubblici locali
Strettamente connesse alla disciplina sopra richiamata sono le disposizioni del recente disegno di legge n. 1577/2014, in corso di esame al Senato, recante “Riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche”.
In particolare, l’art. 14 prevede una delega legislativa per il riordino della disciplina delle partecipazioni azionarie delle amministrazioni pubbliche – da esercitare entro 1 anno dalla data di entrata in vigore del presente testo normativo – «al fine di semplificare e rendere trasparente la partecipazione delle pubbliche amministrazioni nelle società»[12]. L’elenco dei principi e criteri direttivi cui dovrà ispirarsi l’attività del legislatore delegato risente certamente delle indicazioni del Piano Cottarelli: meritevole di apprezzamento è l’obiettivo volto a rafforzare l’efficienza, l’efficacia ed economicità degli organismi partecipati (v. art. 14, lett. d) e la necessità di prevedere adeguati sistemi sanzionatori; al contempo, tuttavia, appare singolare che il disegno di legge escluda le s.r.l. dall’ambito applicativo di tale previsione, avendo riguardo esclusivamente alle “partecipazioni azionarie”.
Come condivisibilmente osservato dal giudice contabile, pare che i principi e criteri direttivi dettati dalle norme citate – peraltro già rinvenibili nella normativa vigente – siano eccessivamente generici e indeterminati,così da prospettare il rischio di una censura per eccesso di delega dei futuri decreti delegati[13].
Non del tutto chiari risultano inoltre, i criteri di applicazione del principio di “proporzionalità” delle deroghe alla disciplina privatistica. Secondo la Corte dei Conti, che non nega certo le peculiarità pubblicistiche di tali organismi partecipati, le deroghe alla disciplina privatistica andrebbero ridotte allo stretto necessario «in relazione alle attività svolte e agli interessi pubblici di riferimento».
L’art. 15 ha, invece, specifico riguardo al riordino della disciplina dei servizi pubblici locali, dettando i criteri direttivi cui dovrà ispirarsi il futuro disegno di legge per il riordino: si conferma quindi il persistente intento legislativo di dettare una disciplina statale, generale e unitaria, per il settore (nonostante la sussistenza, allo stato, di una disciplina comunitaria generale e di discipline settoriali – comunitarie, statali e regionali – specifiche)[14].
Anche in tal caso si tratta di parametri sostanzialmente rinvenibili nelle norme vigenti, il cui coordinamento reciproco non è peraltro scevro da qualche difficoltà: non è chiaro, in particolare, se la lettera d) dell’art. 15, relativa alla definizione degli ambiti territoriali ottimali per lo svolgimento dei servizi, abbia un contenuto innovativo rispetto alla disciplina vigente (di cui all’art. 3-bis del D.L. 138/2011 e all’art. 13 del D.L. 150/2013).
In tema di modalità di affidamento dei servizi, la disposizione in esame non compie una vera e propria scelta di campo in favore della procedura ad evidenza pubblica, limitandosi a rinviare alle modalità consentite dalla disciplina europea (art. 15, lett. h); al contempo, si sposa il concetto di premialità previsto dal DDL Stabilità (con il nuovo comma 4 dell’art. 3-bis D.L. 138/11), in favore degli enti locali che ricorrano alle gare e favoriscano l’aggregazione degli ambiti gestionali secondo criteri di economicità ed efficienza (art. 15, lett. l).
Un’ulteriore considerazione riguarda la lettera m), secondo cui il decreto delegato deve contenere la disciplina dei regimi di proprietà e di gestione delle reti: come correttamente osservato dal giudice contabile «sembra qui alludersi al criterio cosiddetto dell’unbundling, con la connessa separazione fra proprietà o gestione della rete e fornitura del servizio. Ma, così come è formulato, il criterio di delega non pare sufficientemente esplicito nell’indirizzare il legislatore delegato verso tale direzione.»[15].
Il DDL 1577/2014, in corso di esame al Senato, enuncia i principi e criteri direttivi sulla cui base saranno adottati i nuovi decreti legislativi in materia di partecipazioni azionarie delle amministrazioni pubbliche nonché di servizi pubblici locali incentivando gli enti al ricorso alle gare e all’aggregazione dei gestori.
4. Conclusioni
I recenti interventi statali sembrano far propria l’idea secondo cui la razionalizzazione delle società partecipate locali non può prescindere dalla sottoposizione delle stesse al rispetto di parametri di efficienza e di economicità. La garanzia di parametri di efficienza – conseguibile specie tramite la metodologia dei costi standard – renderebbe quindi “neutrale” il ricorso ad una modalità di affidamento piuttosto che ad un’altra, conformemente, del resto, allo spirito comunitario.
Le novità introdotte dall’art. 43, in particolare l’obbligo per l’ente di governo di predisporre un Piano economico e finanziario a sostegno della propria decisione di affidamento del servizio alla società partecipata pubblica, sembrano muoversi in questa direzione, ma lasciano fuori l’intero universo delle società strumentali. Inoltre richiedono, ai fini di una loro concreta attuazione, competenze altamente tecniche che presumibilmente dovranno essere reperite all’esterno.
Rispetto agli obiettivi di aggregazione societaria sottesi alle previsioni qui analizzate, invece, si riterrebbe maggiormente corretto rapportare gli incentivi a criteri di valutazione oggettivi, che tengano conto del valore anche economico dei risultati raggiunti, e non al mero fatto della aggregazione societaria in sé, che, come si legge nel Piano Cottarelli, non rappresenta una soluzione in senso assoluto, ma da valutare caso per caso, specie in riferimento ad alcuni settori, quali quello del trasporto pubblico locale, in cui i vantaggi in termini di crescita dimensionale si esauriscono ad un livello relativamente contenuto.
Non irrilevante è al riguardo il rischio che l’incentivo all’aggregazione si traduca in incentivo alla creazione di monopoli, derivanti dalla concentrazione di più gestori pubblici in vista della acquisizione di bacini unici regionali. I termini stringenti introdotti dalla nuova normativa, unitamente alla complessità ed all’intreccio delle disposizioni da un lato ed alla scarsità di risorse finanziarie dall’altro, rendono il compito assai arduo ed urgente per gli enti pubblici proprietari e per le stesse società partecipate.
[1] «Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le [amministrazioni pubbliche] non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. E’ sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di committenza o di centrali di committenza a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici … e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte [di amministrazioni pubbliche], nell’ambito dei rispettivi livelli di competenza.”. V. art. 1 cit., secondo cui “il termine di trentasei mesi fissato dal comma 29 dell’articolo 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, [31 dicembre 2010] è prorogato di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge [al 31 dicembre 2014], decorsi i quali la partecipazione non alienata mediante procedura di evidenza pubblica cessa ad ogni effetto; entro dodici mesi successivi alla cessazione la società liquida in denaro il valore della quota del socio cessato in base ai criteri stabiliti all’articolo 2437-ter, secondo comma, del codice civile».
[2] L’elenco in oggetto comprende, tra gli altri, i Servizi pubblici di rilevanza economica a rete (servizio idrico integrato, gas, energia elettrica, rifiuti, trasporto pubblico locale, l’illuminazione pubblica i Servizi Amministrativi (esclusivamente per uso interno delle amministrazioni controllanti). La lista delle attività e servizi da indicare nella Tabella dovrebbe essere oggetto di periodico aggiornamento «sulla base della evoluzione della capacità da parte del settore privato di offrire certi beni e servizi» (v. pag. 14 del Piano).
[3] In particolare, per lo svolgimento di servizi diversi da quelli elencati nella citata tabella, il Piano prevede che il controllo dell’Antitrust riguardi varie fasi:
– la costituzione della nuova società;
– al termine del contratto di servizio ove esistente;
– entro 6 -12 mesi dalla approvazione della normativa negli altri casi.
In ogni caso la “ Certificazione” dovrebbe essere rilasciata dall’Antitrust entro la fine del 2017 (v. pag. 14 del Piano).
[4]«Le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all’utenza per quanto di competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo… ».
[5] Senza qui dilungarsi sul testo iniziale dell’art. 43, oggi superato, ci si limita a rammentare che a tali soggetti veniva richiesto quanto segue:
a) dal 1° gennaio 2015 l’avvio di un processo di razionalizzazione delle partecipazioni societarie dirette e indirette a cura degli Enti locali soci, in modo da conseguire una riduzione strutturale degli asset entro il 31 dicembre 2015, tenendo conto dei criteri individuati dal Piano Cottarelli;
b) entro il 31 marzo 2015 l’approvazione, da parte degli organi consiliari dei rispettivi Enti, di un piano operativo di razionalizzazione delle partecipazioni suddette; tale piano, corredato da un’apposita relazione tecnica, avrebbe dovuto definire in concreto le modalità e i tempi di attuazione degli interventi programmati ed essere trasmesso alla Corte dei Conti;
c) entro il 31 marzo 2016 la trasmissione alla Corte dei conti di una relazione per illustrare i risultati conseguiti, da pubblicare sul relativo sito web.
[6] V. n. 1 dell’art. 43 cit., secondo cui «Al fine di promuovere processi di aggregazione e di rafforzare la gestione industriale dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, all’articolo 3-bis del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, sono apportate le seguenti modificazioni:
1) al comma 1-bis sono aggiunte, in fine, le seguenti parole:
“cui gli enti locali partecipano obbligatoriamente, fermo restando quanto previsto dall’articolo 1, comma 90, della legge 7 aprile 2014, n. 56. Qualora gli enti locali non aderiscano ai predetti enti di governo entro il 1 marzo 2015 oppure entro sessanta giorni dall’istituzione o designazione dell’ente di governo dell’ambito territoriale ottimale ai sensi del comma 2, articolo 13, decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15, il Presidente della regione esercita, previa diffida all’ente locale ad adempiere entro il termine di trenta giorni, i poteri sostitutivi.
Gli enti di governo di cui al comma 1 devono effettuare la relazione prescritta dall’articolo 34, comma 20, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e le loro deliberazioni sono validamente assunte nei competenti organi degli stessi senza necessità di ulteriori deliberazioni, preventive o successive, da parte degli organi degli enti locali. Nella menzionata relazione, gli enti di governo danno conto della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e ne motivano le ragioni con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio. Al fine di assicurare la realizzazione degli interventi infrastrutturali necessari da parte del soggetto affidatario, la relazione deve comprendere un piano economico finanziario che, fatte salve le disposizioni di settore, contenga anche la proiezione, per il periodo di durata dell’affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti, con la specificazione, nell’ipotesi di affidamento in house, dell’assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio investito e dell’ammontare dell’indebitamento da aggiornare ogni triennio. Il piano economico-finanziario dovrà essere asseverato da un istituto di credito o da società di servizi costituite dall’istituto di credito stesso ed iscritte nell’elenco generale degli intermediari finanziari, ai sensi dell’articolo 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, o da una società di revisione ai sensi dell’articolo 1 della legge 23 novembre 1939, n. 1966. Nel caso di affidamento in house, gli enti locali proprietari procedono, contestualmente all’affidamento, ad accantonare pro quota nel primo bilancio utile, e successivamente ogni triennio, una somma pari all’impegno finanziario corrispondente al capitale proprio previsto per il triennio nonché a redigere il bilancio consolidato con il soggetto affidatario in house;».
[7] Il richiamato art. 1, comma 90, prevede che, in caso di norme statali e regionali di settore che attribuiscano competenza in materia di servizi pubblici locali ad enti o agenzie di ambito provinciale o sub-provinciale, con DPCM ovvero con legge statale o regionale deve essere disposta la soppressione di tali enti e l’attribuzione delle funzioni in questione alle province. Il citato DPCM è stato emanato (DPCM 11/9/2014) senza tuttavia disporre alcunché sul tema in questione.
[8] V. art. 143, comma 8, cit.:«La stazione appaltante, al fine di assicurare il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario degli investimenti del concessionario, può stabilire che la concessione abbia una durata superiore a trenta anni, tenendo conto del rendimento della concessione, della percentuale del prezzo di cui ai commi 4 e 5 rispetto all’importo totale dei lavori, e dei rischi connessi alle modifiche delle condizioni di mercato. I presupposti e le condizioni di base che determinano l’equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione, da richiamare nelle premesse del contratto, ne costituiscono parte integrante. Le variazioni apportate dalla stazione appaltante a detti presupposti o condizioni di base, nonché le norme legislative e regolamentari che stabiliscano nuovi meccanismi tariffari o che comunque incidono sull’equilibrio del piano economico-finanziario, previa verifica del CIPE sentito il Nucleo di consulenza per l’attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità (NARS), comportano la sua necessaria revisione, da attuare mediante rideterminazione delle nuove condizioni di equilibrio, anche tramite la proroga del termine di scadenza delle concessioni. In mancanza della predetta revisione il concessionario può recedere dal contratto. Nel caso in cui le variazioni apportate o le nuove condizioni introdotte risultino più favorevoli delle precedenti per il concessionario, la revisione del piano dovrà essere effettuata a favore del concedente. Al fine di assicurare il rientro del capitale investito e l’equilibrio economico-finanziario del Piano Economico Finanziario, per le nuove concessioni di importo superiore ad un miliardo di euro, la durata può essere stabilita fino a cinquanta anni». Il D.L. 69/2013 ha modificato l’art. 143 cit., prevedendo la possibilità della revisione del piano economico-finanziario anche in caso di novità legislative o regolamentari (e non solo in caso di modifiche unilaterali della stazione appaltante).
[9] Ai sensi dell’art. 30 cit., comma 7, «Si applicano le disposizioni della parte IV. Si applica, inoltre, in quanto compatibile l’articolo 143, comma 7». Anche sulla applicabilità della revisione periodica del prezzo alle concessioni, tuttavia, si riscontrano orientamenti contrapposti: v. TAR Toscana 1380/2013, secondo cui, ai sensi dell’articolo 30 del d.lgs. 163/2006, alle concessioni di servizi non si applicano le disposizioni del Codice dei contratti pubblici, ad eccezione delle disposizioni in tema di contenzioso nonché, se compatibile, dell’art. 143, comma 7 (relativo al piano-economico finanziario di copertura degli investimenti e della connessa gestione da presentare in sede di offerta).
[10] Nella versione precedente si prevedeva che: «Fatti salvi i finanziamenti ai progetti relativi ai servizi pubblici locali di rilevanza economica cofinanziati con fondi europei, i finanziamenti a qualsiasi titolo concessi a valere su risorse pubbliche statali ai sensi dell’articolo 119, quinto comma, della Costituzione sono prioritariamente attribuiti agli enti di governo degli ambiti o dei bacini territoriali ottimali ovvero ai relativi gestori del servizio selezionati tramite procedura ad evidenza pubblica o di cui comunque l’Autorità di regolazione competente abbia verificato l’efficienza gestionale e la qualità del servizio reso sulla base dei parametri stabiliti dall’Autorità stessa.».
[11] “Le spese in conto capitale, ad eccezione delle spese per acquisto di partecipazioni, effettuate dagli enti locali con i proventi derivanti dalla dismissione totale o parziale, anche a seguito di quotazione, di partecipazioni in società, individuati nei codici SIOPE E4121 e E4122, e i predetti proventi, sono esclusi dai vincoli del patto di stabilità interno”.
[12] V. art. 14 cit. “Riordino della disciplina delle partecipazioni azionarie delle amministrazioni pubbliche”:
«1. Il decreto legislativo per il riordino della disciplina in materia di partecipazioni azionarie delle amministrazioni pubbliche è adottato, al fine prioritario di assicurare la chiarezza della disciplina e la semplificazione normativa, con particolare riferimento al superamento dei regimi transitori, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi, che si aggiungono a quelli di cui all’articolo 12:
a) distinzione tra tipi di società in relazione alle attività svolte e agli interessi pubblici di riferimento, e individuazione della relativa disciplina, anche in base al principio di proporzionalità delle deroghe rispetto alla disciplina privatistica;
b) per le società che gestiscono servizi strumentali e funzioni amministrative, definizione di criteri di scelta tra modello societario e modello dell’amministrazione autonoma o criteri per l’internalizzazione;
c) per le società che gestiscono servizi pubblici di interesse economico generale, definizione, in conformità con la disciplina dell’Unione europea, di criteri e strumenti di gestione volti ad assicurare il perseguimento dell’interesse pubblico ed evitare effetti distorsivi sulla concorrenza, anche attraverso la disciplina dei contratti di servizio e delle carte dei diritti degli utenti e attraverso forme di controllo sulla gestione e sulla qualità dei servizi;
d) introduzione di ulteriori misure volte a garantire il raggiungimento di obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità, intervenendo sulla disciplina dei rapporti finanziari tra ente locale e organismi da esso partecipati al fine del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, di una maggior trasparenza e della precisa definizione delle responsabilità delle amministrazioni locali partecipanti e degli amministratori degli organismi partecipati;
e) razionalizzazione e rafforzamento dei criteri pubblicistici per gli acquisti e il reclutamento del personale, per i vincoli alle assunzioni e le politiche retributive, finalizzati al contenimento dei costi;
f) eliminazione di sovrapposizioni tra regole e istituti pubblicistici e privatistici ispirati alle medesime esigenze di disciplina e controllo.». In merito si veda la Relazione tecnica in http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/798577/index.html
[13] v. Audizione della Corte dei Conti dinanzi alla Commissione Affari Costituzionali del Senato in http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/sezioni_riunite/sezioni_riunite_in_sede_di_controllo/2014/audizione_riforma_pa_riq_def.pdf
[14] V. art. 15 “Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali”:
«1. Il decreto legislativo per il riordino della disciplina in materia di servizi pubblici locali è adottato sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi, che si aggiungono a quelli di cui all’articolo 12:
a) definizione dei poteri di regolazione e controllo delle autorità indipendenti;
b) definizione dei criteri per l’individuazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica;
c) individuazione delle modalità di organizzazione e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica in coerenza con la disciplina dell’Unione europea in materia di concorrenza;
d) definizione dei criteri per la definizione degli ambiti territoriali ottimali e per l’individuazione degli enti di governo responsabili dell’organizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica;
e) definizione dei criteri per l’esercizio delle funzioni dei comuni in forma associata;
f) individuazione delle modalità di gestione del servizio pubblico e tipologie di affidamenti;
g) individuazione delle modalità e degli strumenti per assicurare la trasparenza delle procedure di affidamento;
h) individuazione dei termini e delle modalità adeguati ad assicurare la corretta e tempestiva attuazione delle norme in coerenza con la disciplina dell’unione europea anche con riferimento alla scadenza degli affidamenti;
i) coordinamento con la normativa dell’Unione europea e nazionale in materia di appalti e concessioni e di regolazione dei servizi pubblici;
l) individuazione dei meccanismi di premialità per gli enti locali che ricorrono alle procedure ad evidenza pubblica e favoriscono l’aggregazione degli ambiti gestionali secondo criteri di economicità ed efficienza;
m) disciplina dei regimi di proprietà e di gestione delle reti nel settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica;
n) individuazione degli indirizzi per la definizione dei regimi tariffari;
o) individuazione delle funzioni di governo, organizzazione, regolazione e controllo dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, delle amministrazioni pubbliche e delle autorità di regolazione che ai diversi livelli di governo presiedono alle diverse funzioni e delle regole della loro interazione.».
[15] V. nota 14.