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1. Premessa

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 16 del 30 luglio 2014, è tornata ad occuparsi delle modalità e dei contenuti delle dichiarazioni rese dai concorrenti ai sensi dell’art. 38 del D. Lgs. 163/2006 e s.m.i.. La sentenza, oltre a risolvere specifiche questioni di diritto, si occupa per la prima volta di svolgere alcune valutazioni in relazione alle modifiche introdotte recentemente dal D.L. 90/2014, poi, convertito in L. 114/2014.

2. La questione sottoposta all’Adunanza Plenaria

Il bando e il disciplinare di gara richiedevano, a pena di esclusione, il possesso dei requisiti prescritti dall’art.38 d.lgs. 163/2006, ammettendo esplicitamente la possibilità di attestarli tramite dichiarazione sostituiva di atto di notorietà ai sensi dell’art. 47 D.P.R. 28 dicembre 2000, n.445 e indicando la formulazione della dichiarazione nei seguenti termini: “di non trovarsi in nessuna delle condizioni di esclusione dalla partecipazione alle gare ai sensi dell’art.38 del d.lgs. n.163/2006…”.

Un concorrente in RTI produceva una dichiarazione di un procuratore ad negotia formulata nei termini indicati nel disciplinare ma senza l’indicazione nominativa dei due legali rappresentanti della società, mentre l’amministratore delegato dell’impresa riunita ometteva la specifica menzione del presidente del consiglio di amministrazione, ancorché (anch’egli) dotato di poteri di rappresentanza legale dell’impresa.

In particolare, le due dichiarazioni contenevano l’esplicita e specifica attestazione “che non sussistono a carico di coloro i quali rivestono la legale rappresentanza dell’impresa condanne irrogate con sentenze passate in giudicato o con sentenze di applicazione della pena a richiesta ai sensi dell’art.444 c.p.p. per qualsiasi reato che incida sulla moralità professionale o per delitti finanziari” e la più generica attestazione, testualmente conforme al lessico del disciplinare, “di non trovarsi in nessuna delle condizioni di esclusione dalla partecipazione alle gare ai sensi dell’art.38 del d.lgs. n.163/2006 e successive modificazioni”.

A conclusione della procedura di gara, l’Amministrazione, espletate tutte le predette verifiche, accertava, con l’acquisizione di merito di tutta la necessaria documentazione, che entrambe le società costituenti il predetto RTI, nonché tutti i suoi rappresentanti, risultavano pienamente in regola con tutti gli obblighi posti dalla normativa vigente in materia”.

I giudici di primo grado, pur riconoscendo in capo a una persona munita dei relativi poteri rappresentativi la legittimazione a presentare le dichiarazioni prescritte per conto della società e dei suoi legali rappresentanti, hanno rilevato la carenza, in entrambe le dichiarazioni depositate dalle due società che costituivano il RTI, di alcune informazioni essenziali, giudicando, quindi, doverosa l’esclusione del RTI inadempiente e, quindi, illegittima l’aggiudicazione in suo favore dell’appalto.

Il TAR, in particolare, ritenendo mancanti le attestazioni specificamente riferite a tutti i soggetti muniti di poteri di rappresentanza delle due imprese, sia per la genericità delle dichiarazioni prodotte, sia per l’omessa identificazione delle suddette persone, ha, quindi, ritenuto inapplicabile, a fronte della predetta, insanabile carenza, la regola del c.d. soccorso istruttorio e ha, pertanto, giudicato illegittima l’omessa esclusione di RTI e l’aggiudicazione in suo favore dell’appalto.

La terza sezione del Consiglio di Stato, non condividendo le conclusioni raggiunte dai primi giudici, rilevando un’incertezza giurisprudenziale sulla suddetta questione e reputando, quindi, necessario un chiarimento, con valenza nomofilattica, da parte dell’Adunanza Plenaria, ha rimesso a quest’ultima la delibazione del problema, prospettando, quale soluzione preferibile, l’affermazione del principio della mancanza di necessità che la dichiarazione sull’assenza delle cause ostative dettagliate all’art.38 d.lgs. cit. contenga l’indicazione nominativa di tutti i soggetti per i quali dev’essere attestato il possesso dei relativi requisiti morali.

3. La decisione dell’Adunanza Plenaria

Così chiariti i termini della questione controversa, si rileva che essa comporta due distinti accertamenti uno in ordine alla genericità della dichiarazione relativa all’assenza delle condizioni preclusive previste dall’art.38 d.lgs. cit. (e, cioè, l’omessa indicazione delle singole cause ostative) e l’altro, in ordine alla mancata indicazione nominativa dei legali rappresentanti ai quali si riferiscono i requisiti di moralità personali.

In ordine alla genericità della dichiarazione relativa all’assenza delle condizioni preclusive previste dall’art. 38 d.lgs. cit., l’Adunanza ha statuito che la necessità di indicare puntualmente l’assenza di tutte le condizioni ostative dettagliate all’art.38 d.lgs. cit. dev’essere esclusa sia perché gli stessi atti di gara suggerivano la formulazione testuale della dichiarazione in termini omnicomprensivi (ingenerando, in tal modo, un affidamento meritevole di tutela sulla sua correttezza), sia perché, ai fini dell’attestazione (con la valenza assegnata alle dichiarazioni sostitutive dal d.P.R. n.445/2000) dei requisiti di moralità in questione, il richiamo generico (ma esaustivo) alla disposizione legislativa che li contempla si rivela del tutto sufficiente (nella fase di gara a cui si riferisce il deposito della dichiarazione) a fornire all’Amministrazione quell’impegno (assistito dalla sanzione penale per le dichiarazioni false) sull’insussistenza delle condizioni ostative nel quale si risolve l’acquisizione delle attestazioni ai sensi dell’art.47 d.P.R. cit.

La dichiarazione sostitutiva relativa all’assenza delle condizioni preclusive previste dall’art. 38 d.lgs. cit. può essere legittimamente riferita in via generale ai requisiti previsti dalla norma e non deve necessariamente indicare in modo puntuale le singole situazioni ostative previste dalla predetta disposizione

L’attestazione omnicomprensiva sull’insussistenza delle condizioni ostative previste dall’art. 38 d.lgs. cit. dev’essere intesa come riferita, quanto ai requisiti relativi ai legali rappresentanti della società (e non alla persona giuridica), alle singole persone fisiche che rivestono la qualifica di legali rappresentanti. Il che in altri termini significa che la specifica menzione dell’assenza di cause preclusive non è necessaria nemmeno per i requisiti di moralità riferite alle persone munite di poteri rappresentativi dell’impresa.

Secondo il Collegio, un’interpretazione delle dichiarazioni de quibus coerente con i principi di ragionevolezza, di buona fede e di conservazione degli effetti giuridici, impone infatti di riferire, di volta in volta, il contenuto delle stesse alla persona giuridica concorrente o alle persone fisiche munite, nell’ambito della compagine societaria, di poteri rappresentativi, a seconda del referente soggettivo all’uopo preso in considerazione nelle varie fattispecie di cui al paradigma normativo citato.

La pronuncia, pertanto, risolve un interrogativo frequente tra gli operatori del diritto: i quali, d’ora in poi, nel predisporre la predetta dichiarazione sostitutiva, potranno limitarsi ad un generico riferimento ai requisiti previsti dall’articolo 38, senza dover necessariamente specificare le singole situazioni ostative previste dalla disposizione.

In ordine all’altra questione e, cioè, alla mancata indicazione nominativa dei legali rappresentanti ai quali si riferiscono i requisiti di moralità personali, si sono fin’ora offerte tre soluzioni interpretative:

  1. la dichiarazione che omette la menzione nominativa delle persone fisiche dotate di poteri rappresentativi e che si limita ad attestare l’assenza delle condizioni ostative previste dall’art. 38 d.lgs. cit. è completa e non necessita di alcuna integrazione;
  2. una siffatta dichiarazione impone all’amministrazione l’uso dei poteri di soccorso istruttorio e non autorizza, di per sé, l’esclusione dell’impresa che l’ha prodotta;
  3. una dichiarazione siffatta dev’essere considerata mancante di elementi essenziali, non consente l’integrazione e (anzi) impone l’esclusione dell’impresa che l’ha prodotta.

L’Adunanza Plenaria, dopo aver incidentalmente affermato che la suddetta questione è oggi risolta dall’art. 38, co. 2 bis del d.lgs. 163/2006 (come modificato dal recente D.L. 90/2014, convertito in L. 114/2014), ha comunque escluso la diretta ed immediata applicabilità di detta norma alla fattispecie controverse offrendo una attenta descrizione del sistema di regole vigente al momento dell’aggiudicazione della procedura in questione. E in estrema sintesi è stato osservato che:

  • le questioni attinenti alla portata escludente delle omissioni o delle carenze nelle dichiarazioni relative all’assenza delle condizioni ostative dettagliate all’art. 38 cit., ai rapporti, a questi fini, tra la normativa primaria e la lex specialis di gara e agli ambiti entro i quali può reputarsi legittimo o, addirittura, doveroso l’esercizio dei poteri di cui all’art. 46, comma 1, d.lgs. cit. sono state decifrate e risolte con indirizzi giurisprudenziali incerti;
  • l’esegesi delle predette disposizioni è stata, infatti, condotta sia con l’uso di canoni interpretativi formalistici, che hanno fondato l’affermazione che ogni mancanza nelle dichiarazioni comporta la sanzione dell’esclusione e non ammette il c.d. soccorso istruttorio, che si risolverebbe in una lesione della par condicio[1], sia mediante parametri più sostanzialistici, che, valorizzando una lettura teleologica delle disposizioni interpretate, hanno fondato la diversa e contraria affermazione che, nelle ipotesi in cui difetti un’espressa comminatoria di esclusione nel bando, solo la mancanza oggettiva del requisito di moralità, e non anche la sua omessa dichiarazione, giustifica l’esclusione[2] e che, in tali fattispecie, il soccorso istruttorio costituisce il doveroso strumento amministrativo per garantire il favor partecipationis ed evitare misure espulsive inappropriate e formalistiche[3];
  • non solo, ma anche sui rapporti tra normativa primaria e atti di gara, quanto alla portata escludente delle violazioni delle prescrizioni relative alle dichiarazioni sostitutive, possono registrarsi soluzioni giurisprudenziali differenti (anche se la recente decisione dell’Adunanza Plenaria 25 febbraio 2014, n.9 ha offerto univoci canoni risolutivi della questione): da quelle[4] che annettono valenza preminente e cogente al principio di tassatività espresso dall’art.46, comma 1-bis, d.lgs. cit. e che concludono nel senso che le omissioni in questione comportano la sanzione dell’esclusione anche se non prevista dal bando (o se prevista solo come conseguenza del possesso oggettivo del requisito) a quelle[5] che, invece, riconoscono portata prevalente alla lex specialis (là dove prevede l’esclusione come conseguenza della sola esistenza oggettiva di una causa ostativa e non anche della sua mancata attestazione) e all’art.38, comma 1, d.lgs. cit. e che, quindi, ammettono l’esclusione quale conseguenza del solo accertamento della mancanza in fatto del requisito di moralità (riconoscendo valenza recessiva al disposto dell’art. 46, comma 1-bis);
  • é stato, al riguardo, già chiarito (Ad. Plen. 16 ottobre 2013, n.23, 7 giugno 2012, n.21 e, da ultimo, n.9/2014) che la costruzione della disposizione contenuta nell’art.46, comma 1-bis, d.lgs. n.163/2006, che ha codificato il principio di tassatività delle cause di esclusione, impone una sua esegesi ed applicazione nel senso che la sanzione dell’esclusione dev’essere ritenuta operativa non solo nei casi in cui sia stata espressamente prevista dallo stesso codice dei contratti pubblici, ma anche quale conseguenza dell’inosservanza di adempimenti doverosi stabiliti dallo stesso codice, ancorché non espressamente a pena di esclusione;
  • un ulteriore corollario di tale principio dev’essere individuato nell’inserzione automatica, ai sensi dell’art.1339 c.c., della clausola espulsiva nel bando, là dove questo ometta di prevedere espressamente l’esclusione quale conseguenza dell’inosservanza di prescrizioni previste dal codice (Ad. Plen., n.9/2014).

A fronte dei principi di diritto già enunciati dall’Adunanza Plenaria n. 9 del 2014, è stato ribadito, nella decisione in commento, che:

a)   la formulazione letterale dell’art. 46, comma 1-bis, impone di applicare la sanzione dell’esclusione alla violazione della prescrizione del codice (contenuta nell’art. 38, comma 2) relativa alla presentazione delle dichiarazioni attestanti l’assenza delle relative condizioni ostative (quand’anche queste fossero in concreto inesistenti);

b)   la sanzione espulsiva dev’essere applicata anche nelle ipotesi in cui la lex specialis di gara la preveda come conseguenza della sola assenza oggettiva dei requisiti di moralità (e non anche della loro omessa attestazione);

c)   in presenza di dichiarazioni radicalmente mancanti resta precluso all’Amministrazione l’uso del soccorso istruttorio (che si risolverebbe in una lesione del principio della par condicio).

Alla stregua delle suddette considerazioni svolte, è stato dunque rilevato che – per quanto ci si sforzi di offrire una lettura delle suddette disposizioni che legittimi la sanzione dell’esclusione per i soli casi di difetto oggettivo dei requisiti di moralità prescritti dall’art. 38 d.lgs. 163/2006 (e non anche per le ipotesi di carenze nelle relative dichiarazioni sostitutive) – l’esegesi dell’art. 46, comma 1-bis d.lgs. cit. impone la diversa interpretazione della doverosità dell’esclusione nei casi di inosservanza dell’obbligo, codificato all’art. 38, comma 2, d.lgs. cit., di produrre le dichiarazioni sostitutive.

La portata univoca e generale del richiamo al “mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice”, quale violazione che impone l’esclusione dei concorrenti inadempienti, non ammette, infatti, alcuna interpretazione riduttiva e vincola, anzi, l’interprete ad assegnare alla disposizione la più ampia latitudine precettiva, con la conseguenza che l’inosservanza dell’obbligo di attestazione previsto dal secondo comma dell’art. 38 impone all’Amministrazione l’esclusione del concorrente che lo ha violato (secondo, si ripete, il regime normativo vigente al momento della definizione della procedura qui controversa).

Pertanto, la questione concernente la verifica della necessità o meno della identificazione delle altre persone munite di poteri di rappresentanza legale in ordine ai quali viene resa la dichiarazione ex art. 38 cit. “per quanto a conoscenza” è stata risolta tramite l’esegesi dell’art. 47, comma 2, d.P.R. n.445/2000 e, segnatamente, della locuzione “altri soggetti”, trattandosi di verificare se tale disposizione, là dove ammette l’attestazione di stati, qualità personali e fatti relativi a persone diverse dal dichiarante, imponga anche (ed a quali condizioni) la relativa identificazione nel corpo della dichiarazione[6].

Ebbene, posto che la dichiarazione deve contenere tutte le informazioni di cui necessita l’Amministrazione per verificarne d’ufficio la correttezza e la veridicità, anche ai sensi dell’art. 43 d.P.R. cit.[7], ritiene l’Adunanza che, mentre deve escludersi l’ammissibilità di dichiarazioni riferite a persone non identificate e non identificabili, deve, al contrario, giudicarsi consentita, anche in applicazione dei principi civilistici in punto di determinabilità del contenuto degli atti giuridici mediante rinvii ob relationem di semplice decifrazione, la presentazione di dichiarazioni riferite a persone (benché non identificate) agevolmente identificabili mediante la consultazione di registri pubblici o di banche dati ufficiali.

Nel primo caso (dichiarazioni riferite a persone non identificate e non identificabili), la finalità della disposizione, agevolmente identificabile nella semplificazione dell’attività dichiarativa[8] resterebbe irrimediabilmente frustrata (precludendo qualsivoglia accertamento d’ufficio circa la veridicità delle dichiarazioni), nella seconda ipotesi (dichiarazioni riferite a persone ancorché non identificate agevolmente identificabili) l’interesse pubblico sotteso alla disposizione resterebbe integro e compiutamente realizzato.

Diversamente opinando, invero, si perverrebbe alla paradossale e inaccettabile conseguenza di ritenere inammissibile (con il probabile corollario della necessità dell’esclusione dell’impresa che l’ha prodotta) una dichiarazione che l’Amministrazione ha potuto agevolmente verificare, sia in ordine all’identità dei soggetti ai quali si riferisce (mediante l’accesso a una banca dati ufficiale), sia in ordine alla corrispondenza al vero delle attestazioni che li riguardano.

La dichiarazione sostituiva relativa all’insussistenza delle condizioni ostative previste dall’art.38 d.lgs. n. 163 del 2006 non deve contenere la menzione nominativa di tutti i soggetti muniti di poteri rappresentativi dell’impresa, quando questi ultimi possano essere agevolmente identificati mediante l’accesso a banche dati ufficiali o a registri pubblici

Per quanto, invece, attiene alla configurabilità della responsabilità penale in capo al soggetto che dichiari falsamente qualità personali, stati o fatti di altri soggetti – che costituisce il più forte ed efficace presidio dell’affidabilità del sistema delle dichiarazioni sostitutive-, sebbene non menzionati nominativamente nella dichiarazione, l’Adunanza ha rilevato che la già riscontrata agevole identificabilità – mediante l’accesso al registro delle imprese – delle persone a cui si riferisce la dichiarazione e la presupposta loro conoscenza da parte del dichiarante implicano la sicura individuazione nella fattispecie considerata degli estremi (soggettivi ed oggettivi) del reato di falso.

L’Adunanza, rigettando una lettura distorta della nuova direttiva europea sugli appalti pubblici in data 26 febbraio 2014, n.24[9], ha osservato che la direttiva configura un nuovo sistema di attestazione dell’insussistenza di situazioni ostative (art.59), che si fonda (anch’esso) su un’autodichiarazione (quale prova preliminare sostitutiva di certificati), a sua volta cristallizzata nel documento di gara unico europeo (DGUE), e su una coerente, diversa disciplina dei poteri di controllo e di soccorso istruttorio riservati alle amministrazioni aggiudicatrici.

Ora, anche prescindendo dall’inutilità del richiamo della suddetta previsione (attesa l’inoperatività del sistema ivi configurato, sia perché il modello del DGUE dev’essere previamente approvato dalla Commissione, sia perché la direttiva dev’essere ancora recepita nel nostro ordinamento), si può rilevare che il relativo regime dell’autodichiarazione e dei successivi controlli non appare, ai fini che qui rilevano, molto dissimile da quello vigente e non contiene, comunque, principi o regole idonei a smentire le conclusioni appena raggiunte.

Né vale, ancora, richiamare il disposto dell’art. 57, comma 4, lett. h), per dimostrare la doverosità dell’esclusione nella fattispecie in esame, perché tale previsione sancisce una mera facoltà (e non un obbligo) di escludere gli operatori economici che si trovano nelle condizioni ivi dettagliate.

L’Adunanza affrontando la medesima questione, sotto un diverso angolo prospettico, ha altresì evidenziato che la presentazione di una dichiarazione dal tenore letterale identico a quello riportato negli atti di gara (tra i quali non v’era un modello dichiarativo) impone la tutela della buona fede in ordine alla sua correttezza ed impedisce, in ogni caso, qualsivoglia sanzione espulsiva del concorrente che l’ha presentata.

Si tratta, in altri termini, di una fattispecie nella quale la conformità della dichiarazione presentata alle espressioni lessicali contenute nella lex specialis impone di accordare una tutela più pregnante all’affidamento ingenerato nell’impresa concorrente (che eviti, in sostanza, interpretazioni preclusive del suo accesso alla gara) e di perseguire contestualmente l’interesse pubblico alla più ampia partecipazione alle procedure (sulla valenza del principio del favor partecipationis cfr. ex multis Cons. St., sez. V, 8 aprile 2014, n.1648).

Si aggiunga, per altro verso, che proprio la mancata predisposizione di un modello da parte della stazione appaltante e la genericità del richiamo operato nella lex specialis alla normativa primaria, hanno prodotto l’effetto della rimessione ai concorrenti della scelta relativa alle modalità di formulazione della dichiarazione, di guisa da impedire, anche alla luce dei principi comunitari di tutela dell’affidamento legittimo e di proporzionalità, l’adozione di una sanzione espulsiva in ragione di pretese irregolarità formali che non impediscano, mediante un rinvio ob relationem a dati e informazioni agevolmente verificabili, il raggiungimento dello scopo di identificare la portata delle dichiarazioni e di controllarne la relativa veridicità.

L’Adunanza Plenaria ha affermato i seguenti principi di diritto: la dichiarazione sostitutiva relativa all’assenza delle condizioni preclusive previste dall’art. 38 d.lgs. cit. può essere legittimamente riferita in via generale ai requisiti previsti dalla norma e non deve necessariamente indicare in modo puntuale le singole situazioni ostative previste dal legislatore;la dichiarazione sostituiva relativa all’insussistenza delle condizioni ostative previste dall’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006 non deve contenere la menzione nominativa di tutti i soggetti muniti di poteri rappresentativi dell’impresa, quando questi ultimi possano essere agevolmente identificati mediante l’accesso a banche dati ufficiali o a registri pubblici;una dichiarazione sostituiva confezionata nei sensi di cui alle precedenti lettere a) e b) è completa e non necessita di integrazioni o regolarizzazioni mediante l’uso dei poteri di soccorso istruttorio.

4. Le valutazioni dell’Adunanza Plenaria in relazione alle modifiche introdotte recentemente dal D.L. 90/2014, poi, convertito in L. 114/2014

L’Adunanza Plenaria, nell’affrontare la  questione della mancata indicazione nominativa dei legali rappresentanti ai quali si riferiscono i requisiti di moralità personali, ha colto l’occasione per osservare che il problema risulta risolto de futuro dall’art. 39 del decreto legge 24 giugno 2014, n.90 – all’epoca della sentenza ancora non convertito in Legge -, che, per le sole procedure bandite dopo la sua entrata in vigore, inserisce un comma 2-bis all’art. 38 d.lgs. cit., che introduce una sanzione pecuniaria per la mancanza, l’incompletezza e ogni altra regolarità essenziale delle dichiarazioni sostitutive, obbliga la stazione appaltante ad assegnare[10] al concorrente un termine non superiore a dieci giorni per la produzione o l’integrazione delle dichiarazioni carenti e consente – anzi: impone – l’esclusione nel solo caso di inosservanza di tale ultimo adempimento. Il Collegio ha altresì osservato che: “la disposizione, poi, distingue, con un lessico infelice e foriero di incertezze interpretative ed applicative (e, quindi, anche di contenzioso), la diversa fattispecie di irregolarità non essenziali o di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, per la quale viene esclusa la necessità di regolarizzazione e, a fortiori, l’applicabilità della sanzione dell’esclusione.

Si tratta di una disposizione che, a prescindere dalle prevedibili difficoltà esegetiche sottese alla qualificazione come essenziali o meno delle irregolarità delle dichiarazioni sostitutive in questione, risulta finalizzata proprio a superare le incertezze interpretative e applicative del combinato disposto degli artt.38 e 46 d.lgs. cit., mediante la procedimentalizzazione del potere di soccorso istruttorio (che diventa doveroso per ogni ipotesi di mancanza o di irregolarità delle dichiarazioni sostitutive) e la configurazione dell’esclusione dalla procedura come sanzione unicamente legittimata dall’omessa produzione, integrazione o regolarizzazione delle dichiarazioni carenti entro il termine assegnato dalla stazione appaltante (e non più da carenze originarie).

Nonostante, al momento della redazione della presente decisione, la disposizione (come già rilevato, inserita nel decreto legge n.90 del 2014) sia ancora in fase di conversione in legge, la stessa, ancorché non applicabile direttamente alla presente controversia (come chiarito dall’art.39, comma 3) offre, quale indice ermeneutico, l’argomento della chiara volontà del legislatore di evitare (nella fase del controllo delle dichiarazioni e, quindi, dell’ammissione alla gara delle offerte presentate) esclusioni dalla procedura per mere carenze documentali (ivi compresa anche la mancanza assoluta delle dichiarazioni), di imporre un’istruttoria veloce, ma preordinata ad acquisire la completezza delle dichiarazioni (prima della valutazione dell’ammissibilità della domanda), e di autorizzare la sanzione espulsiva quale conseguenza della sola inosservanza, da parte dell’impresa concorrente, all’obbligo di integrazione documentale (entro il termine perentorio accordato, a tal fine, dalla stazione appaltante).

Si tratta, quindi, di un’innovazione legislativa che, per quanto inapplicabile alla presente controversa, indica la volontà univoca del legislatore di valorizzare il potere di soccorso istruttorio al duplice fine di evitare esclusioni formalistiche e di consentire le più complete ed esaustive acquisizioni istruttorie”.

L’Adunanza ha pertanto offerto una prima interpretazione della novella legislativa, la quale, pur movendosi nell’ottica della semplificazione, lascia l’interprete in balìa dei futuri scenari che essa inevitabilmente crea. Si pensi: alla  distinzione tra irregolarità essenziali e non essenziali, tra elementi e dichiarazioni e tra dichiarazioni indispensabili e non, agli inadempimenti autoescludenti dove non pare avere un senso il soccorso istruttorio ovvero quelli che emergono sin dalle dichiarazioni originali dalle quali risultino palesi cause di esclusione o il mancato possesso dei requisiti richiesti: in questo caso pare difficile parlare di “mancanza” della dichiarazione o attribuirle il carattere di irregolarità.

V’è poi da chiedersi se il soccorso istruttorio sospenda il procedimento principale configurandosi come un sub procedimento presupposto alla prosecuzione della gara oppure sia un procedimento parallelo anche se sarà destinato a confluire nella conclusione del procedura di gara con l’espulsione dell’offerta soccorsa o con la sua conservazione.

L’Adunanza, laddove indica “la chiara volontà del legislatore di evitare (nella fase del controllo delle dichiarazioni e, quindi, dell’ammissione alla gara delle offerte presentate) esclusioni dalla procedura per mere carenze documentali”, sembra propendere per il soccorso istruttorio come sub procedimento, con la conseguenza che l’apertura delle offerte avverrà solo una volta accertata la situazione delle ammissioni ed esclusioni.

La questione è tuttavia tutt’altro che risolta trattandosi di una mera argomentazione incidentale non rimessa all’interpretazione dell’Adunanza Plenaria. Sicché, non resta che attendere le prime pronunce applicative della nuova novella legislativa. Certo è che almeno la dichiarazione di cui all’art. 38 potrà essere predisposta con il generico riferimento ai requisiti previsti dall’articolo 38 medesimo.


[1] Cons. St., sez. III, 24 giugno 2014, n.3198; sez. V, 16 ottobre 2013, n.5023; sez. III, 2 luglio 2013, n.3550.

[2] Cons. St., sez. III, 6 febbraio 2014, n.583; sez. V, 9 dicembre 2013, n.5883.

[3] Cons. St., sez. V, 8 aprile 2014, n.1648.

[4] Cons. St., sez. V, 9 settembre 2013, n.4471.

[5] Cons. St., sez. VI, 1 febbraio 2013, n.634.

[6] Come ritenuto da Cons. St., sez. III, 7 aprile 2014, n.1634; sez. III, 9 aprile 2013, n.1953; sez. IV, 16 novembre 2011, n.6053.

[7] Cons. St., sez. III, 26 settembre 2013, n.4785.

[8] Cons. St., sez. VI, 12 luglio 2011, n.4206.

[9] la direttiva in questione dev’essere ancora trasposta nel nostro ordinamento, che, quindi, risulta priva di qualsiasi efficacia direttamente precettiva e che le sue previsioni possono essere utilizzate ai soli fini ermeneutici  e, comunque, con una valenza assai limitata.

[10] I Giudici hanno evidenziato che l’uso del verbo assegnare all’indicativo presente segnala la doverosità del comportamento.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Adriana Presti
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
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