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Uno sguardo al recente panorama Giurisprudenziale sul tema del possesso dei requisiti di ordine morale in capo ai soggetti che partecipano ad una gara pubblica, ci consente qualche riflessione sugli orientamenti relativi alla questione.

Balza agli occhi la sentenza del Consiglio di Stato n. 3251 del 27/06/2014 in tema di affidamento in concessione di servizi (nel caso di specie trattavasi di concessione dell’esercizio del servizio di vendita di alimenti e bevande tramite distributori automatici), affidamento sottratto per sua natura e per disposizione normativa ex art. 30 del Codice degli appalti, all’applicazione di gran parte delle regole del decreto legislativo 163/2006, ed in particolare  dell’art. 38 che tanta attenzione dedica al tema delle dichiarazioni a rendersi da parte dei partecipanti circa il possesso dei requisiti morali propedeutici all’affidamento per cui è gara.

Il Consiglio di Stato ha ribadito – richiamandosi altresì ad una sua precedente pronuncia del maggio 2013 (la numero 2725) – la valenza di principio generale della regola insita nell’art. 38, cioè alla necessità di possedere quei requisiti di ordine morale necessari per essere in primo luogo partecipanti attendibili e successivamente affidatari rispettabili e credibili; tanto che come noto il possesso dei requisiti ex art. 38, deve permanere lungo tutta la “vita” del contratto in essere, legittimando proprio l’Amministrazione, alla puntuale verifica del contraente esecutore.

Tale regola trasversale è perciò valida per ogni tipologia di affidamento, prescindendo dalla natura dell’oggetto e prescindendo dalla forma giuridica data al rapporto (sia esso concessione, sia esso appalto).

La Giurisprudenza però aggiunge un tassello essenziale a tale assunto, precisando che all’obbligo sostanziale, connesso al  possesso del requisito di ordine generale, non sussiste un corrispondente obbligo alla dichiarazione di assenza delle circostanze tipizzate all’art. 38, non potendo evidentemente tale adempimento dichiarativo, assurgere al medesimo ruolo di principio generale di ordine pubblico economico dato al possesso vero e proprio dell’idoneità “morale” alla partecipazione dell’operatore economico. Viene nella sostanza scisso il profilo sostanzialistico dal profilo dichiarativo formale.

Tuttavia tale distinzione – si affretta a statuire la pronuncia innanzi richiamata – non attenua né affievolisce l’attenzione dell’Amministrazione, sulla quale permane l’onere di accertare comunque la sussistenza in capo ai concorrenti dei requisiti morali, nonostante abbia avuto a monte la possibilità di prediligere, in fase di predisposizione della lex di gara, il profilo sostanzialista in luogo del profilo formale, esonerando i concorrenti dall’obbligo della dichiarazione ex art. 38 o semplificando la dichiarazione.

Altra interessante pronuncia è la n. 3198 del 24 giugno del Consiglio di Stato, più in linea con quanto riviene dalla Giurisprudenza recente (non univoca per la verità[1]), ove si legge della legittimità di escludere un concorrente in gara che abbia omesso la dichiarazione circa l’indicazione delle condanne subite, stante l’impossibilità per lo stesso di valutare autonomamente in sede di domanda di partecipazione cosa dichiarare e cosa omettere, ma soprattutto, stante l’assenza della possibilità di ricorrere al soccorso istruttorio che certo non può operare nel caso di omissione completa della dichiarazione. In tale circostanza – a differenza della questione trattata innanzi per la concessione – l’orientamento sostanzialista viene assolutamente superato dall’ineludibile obbligo imposto dalla norma.

Diversa invece l’indicazione resa dal Tar Puglia Lecce nella sentenza n. 1338 del 30 maggio, ove si delinea il principio per il quale, tra i requisiti di ordine generale necessari per la partecipazione ad una procedura per l’affidamento di concessioni e appalti di lavori, servizi e forniture, non devono e non possono ex art. 38 del Codice, sussistere sentenze di condanna passate in giudicato, decreti penali di condanna divenuti irrevocabili o sentenze di patteggiamento per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità incidenti sulla moralità professionale, derivando da tutto ciò un obbligo dichiarativo vero e proprio. Da tale obbligo dichiarativo, deriverebbe poi in negativo, la conseguenza dell’esclusione nel caso di omissione, essendo evidentemente la richiesta dichiarazione, necessaria per soppesare fin dalle prime fasi, l’affidabilità complessiva dell’operatore che evidentemente passa anche attraverso la produzione completa e corretta delle dovute dichiarazioni.

La stessa pronuncia poi, nel prosieguo, si riallinea al sopra richiamato orientamento tendenzialmente univoco, nella parte in cui va ad evidenziare che è preclusa ogni valutazione al concorrente circa la gravità o meno del reato, o circa la capacità di quest’ultimo di incidere sulla moralità professionale. Infatti l’operatore non può decidere motu proprio se far conoscere alla S.A. la circostanza di aver riportato una condanna, dovendo invece essere la stessa Amministrazione a valutare la gravità del fatto. Da ciò deriverebbe l’obbligo dichiarativo in capo al concorrente, rivenendo da questo il successivo onere valutativo dell’Amministrazione.


[1] Infatti l’orientamento è biunivoco (si veda l’interessante distinzione di cui alla sentenza Tar Puglia Lecce n. 1278/2014): un primo filone ritiene l’onere di dichiarare tutti i precedenti penali come discendente dalla legge, essendo la valutazione di gravità delle condanne affidata all’Amministrazione. Dall’altro lato, un secondo filone che va a distinguere tra il caso in cui il bando richieda genericamente una dichiarazione d’insussistenza delle cause di esclusione e quello in cui il bando non si limiti a tale pretesa, ma specifichi che vanno dichiarate tutte le condanne penali.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Giuseppe Croce
Avvocato specializzato in materia di diritto civile e amministrativo, esperto in materia di appalti pubblici
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