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1. Premesse

Il Consiglio di Stato, Sez. III, con sentenza del 5 maggio 2014, n. 2289, ha ritenuto legittima la condotta della stazione appaltante che, a seguito di verifica a mezzo del casellario informatico delle imprese, ha escluso dalla gara la società aggiudicataria, revocando l’aggiudicazione definitiva, in quanto la medesima società aveva omesso di dichiarare, in sede di attestazione dei requisiti di partecipazione alla gara di cui all’art. 38, comma 1, lett. f) del D.Lgs. 163/2006 (“Codice”), la risoluzione per gravi inadempimenti contrattuali di un precedente contratto pubblico di appalto, sottoscritto con altra Amministrazione.

Secondo il Consiglio di Stato la suddetta dichiarazione sarebbe stata necessaria quand’anche riguardante un contratto sottoscritto con una diversa stazione appaltante, costituendo la stessa un elemento “sintomatico” idoneo a fornire, nelle successive gare cui il concorrente prende parte, elementi oggettivi utili ai fini delle determinazioni da effettuarsi da parte del nuovo Ente pubblico affidante.

La decisione in esame offre pertanto significativi spunti di riflessione in merito:

i) alla individuazione dell’esatto ambito applicativo della causa di esclusione di cui alla lett. f) del citato art. 38 del Codice e del correlativo obbligo dichiarativo;

ii) all’ampia discrezionalità riconosciuta alle stazioni appaltanti in sede di valutazione della gravità o meno dell’inadempimento rilevante e idoneo a configurare la causa di esclusione in parola.

2. Il quadro di riferimento

L’art. 38 del Codice, nell’elencare le cause in presenza delle quali il concorrente è escluso dalle procedure di gara, dispone che:

“1. Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: …

f) che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante;”.

Tale requisito di partecipazione va quindi dichiarato in sede di gara, al pari degli altri, onde consentire alla stazione appaltante il controllo sulla moralità e l’affidabilità professionale del concorrente ad assumere le obbligazioni conseguenti all’eventuale aggiudicazione della gara.

Sul punto la giurisprudenza consolidata ha sancito che le valutazioni incidenti sulla moralità professionale spettano alla stazione appaltante e non al concorrente, il quale non può quindi operare alcun proprio “filtro” in sede di domanda di partecipazione e quindi di dichiarazione in proposito omettendo la menzione di alcune di esse sulla base di una selezione compiuta secondo criteri personali (Consiglio di Stato del 3.2.2011 n. 782).

Coerentemente con quanto sopra, la fattispecie della mancata dichiarazione è specificamente sanzionata dal Codice (v. artt. 46 c. 1, 38 c. 2, e 49 c. 3), nonché dall’art. 45, c. 2 lett. d) della Direttiva CE n. 18/2004.

Tuttavia, posto che l’ampiezza dell’obbligo dichiarativo dipende strettamente dalla esatta individuazione della fattispecie/oggetto cui lo stesso si riferisce (ossia il requisito ex art. 38, lett. f, cit.), per poter accertare la sanzionabilità o meno del concorrente per omessa dichiarazione è indispensabile individuare l’ambito applicativo di tale requisito.

Ciò tanto più quando – come nel caso di specie – la sanzione in questione non è automatica, essendo rimessi, in tal caso, unicamente alla stazione appaltante ogni accertamento probatorio e ogni conseguente valutazione(v. art. 38, lett. f), cit.: “… secondo motivata valutazione della stazione appaltante”).

Ebbene, l’art. 38, lett. f, non presenta al riguardo una formulazione univoca. Mentre il tenore letterale della prima parte della norma sembra ricollegare l’esclusione dalla partecipazione alla gara al presupposto che l’inadempimento (ossia “la grave negligenza o malafede”) riguardi prestazioni commissionate e svolte per conto della stazione appaltante che bandisce la gara (“nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara”); la seconda parte della lett. f) in esame riguarda genericamente i concorrenti che abbiamo commesso “un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale”.

La ratio della norma è chiaramente individuata dalla giurisprudenza: “… è il sistema normativo a conferire alla stazione appaltante il potere di escludere un concorrente che risulta “sfiduciato” perché ha commesso pregressi inadempimenti, a prescindere dall’accertamento giudiziale definitivo degli stessi. Diversamente ragionando, la stazione appaltante sarebbe “obbligata” nelle more dell’accertamento giudiziale di pregressi inadempimenti, a contrarre con soggetti nei cui confronti non nutre più fiducia. Si tratterebbe di un risultato paradossale, perché l’evidenza pubblica che connota le gare di appalto non si spinge al punto di elidere qualsiasi discrezionalità e fiduciarietà dell’appalto, ma lascia alla stazione appaltante, come a qualsiasi contraente dell’ordinamento, il potere di non trattare e di non contrarre con soggetti con i quali si è intaccato il rapporto fiduciario”[1].

Il sueposto quadro normativo apre, tuttavia, la strada a soluzioni ermeneutiche potenzialmente opposte circa la questione se la previsione dell’art. 38 – e, quindi, l’obbligo della dichiarazione – si riferisca unicamente alle violazioni riguardanti le prestazioni da eseguire per la stessa stazione appaltante ovvero interessi anche qualsivoglia prestazione che sia stata in precedenza espletata per conto di stazioni appaltanti diverse da quella che, nel caso concreto, sia chiamata a valutare la moralità professionale del concorrente onde deciderne o meno l’esclusione.

La questione è chiarita dal Consiglio di Stato con la sentenza in esame[2].

3. L’orientamento del Consiglio di Stato

Con la sentenza in commento il Collegio, aderendo alla tesi sostenuta dal giudice di primo grado, rigetta il ricorso proposto dalla società ex aggiudicataria, statuendo che l’art. 38, c. 1, lett. f) del Codice impone, a pena di esclusione, che il concorrente dichiari le pregresse risoluzioni contrattuali anche se comminate da parte di stazioni appaltanti diverse da quella che bandisce l’appalto all’esame.

Secondo il Collegio, invero, la dichiarazione di cui all’art. 38 lett. f) cit., costituisce una “dichiarazione/prescrizione essenziale che prescinde dalla stazione appaltante, la stessa o altra, perché attiene ai principi di lealtà e affidabilità contrattuale e professionale che presiedono agli appalti e ai rapporti con la stazione stessa, né si rilevano validi motivi per non effettuare tale dichiarazione, posto che spetta comunque all’Amministrazione la valutazione dell’errore grave che può essere accertato con qualsiasi mezzo di prova.”.

Il fatto di aver tenuto una condotta inadempiente verso altre stazioni appaltanti assume quindi il carattere di “elemento sintomatico” della negligenza professionale del concorrente, in ogni caso meritevole di apprezzamento in sede di gara.

Ne viene che le precedenti esperienze “negative” con altre amministrazioni appaltanti devono formare oggetto di dichiarazione ai sensi dell’art. 38[3].

Ciò, tuttavia, non comporta automaticamente l’esclusione del concorrente il quale abbia subito precedenti risoluzioni contrattuali per iniziativa di altre amministrazioni.

La pronuncia in esame riguarda, infatti, come precisato dallo stesso Consiglio di Stato, solo la fattispecie della mancata dichiarazione e non anche “la fase successiva della valutazione della stazione appaltante circa pregressi rapporti contrattuali anche con diverse Amministrazioni”.

L’omessa dichiarazione è quindi di per sé sanzionata dal legislatore in quanto lesiva dei generali principi di trasparenza, di lealtà e affidabilità contrattuale e professionale alla cui tutela è preposta la attestazione dei requisiti di partecipazione prevista dall’art. 38 cit..

Posto il suddetto obbligo dichiarativo, l’Amministrazione ben può, poi, in una seconda fase, ritenere non gravi i pregressi inadempimenti del concorrente verso altre stazioni appaltanti, decidendo quindi di non escludere lo stesso dalla gara[4].

Al riguardo, la suprema giurisprudenza, sia amministrativa che civile, è concorde nel ritenere che la determinazione della stazione appaltante di escludere l’impresa ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f) ha natura discrezionale ed è soggetta al sindacato di legittimità nei soli limiti della manifesta illogicità, irrazionalità o errore sui fatti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 25 maggio 2012 n. 3078)[5].

L’accertamento del grave errore professionale può avvenire quindi con qualsiasi mezzo di prova ed è rimesso al giudizio insindacabile dell’amministrazione, salvo il limite della abnormità (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 2010, n. 1500)[6].

4. Considerazioni conclusive

L’orientamento adottato dal Consiglio di Stato appare ingiustificatamente restrittivo in danno del concorrente nonché delle stesse stazioni appaltanti, tenute ad un controllo tanto generico quanto generalizzato avente di mira l’intero “pregresso” delle imprese partecipanti.

Se è vero che la pronuncia in oggetto si riferisce – come precisato dal Consiglio di Stato – solo alla fattispecie dell’obbligo dichiarativo (e non all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione sulla valutazione della gravità delle pregresse risoluzioni contrattuali), è parimenti vero che l’estensione di siffatto obbligo dichiarativo – operata dal giudice amministrativo – anche ad eventi che interessano precedenti rapporti contrattuali con diverse amministrazioni (e per giunta potenzialmente riguardanti anche settori diversi da quello interessato dalla gara in corso) non può non riflettersi sull’ampiezza del potere discrezionale riconosciuto alla stazione appaltante.

La circostanza che il concorrente abbia subito la risoluzione di un precedente contratto pubblico, anche in settore diverso da quello oggetto della gara in corso, diviene infatti rilevante per la stazione appaltante, tenuta a valutare tale dato al pari di quanto avviene per le altre cause di esclusione previste dall’art. 38 cit. (si pensi all’esclusione disposta ex art. 38, lett. c, per i soggetti per cui “sia stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta…”). Non solo.

Ad ampliare notevolmente il potere discrezionale rimesso alla stazione appaltante contribuisce l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la motivazione del provvedimento di esclusione del concorrente può essere costituita anche dal semplice riferimento all’episodio contestato, in base ad un’attività di mero riscontro della fattispecie concreta con quella astratta[7].

Una diversa interpretazione avrebbe realizzato, forse, un miglior contemperamento degli interessi in gioco, pur mantenendo piena coerenza con il quadro normativo esposto e con la ratio ad esso sottesa: si sarebbe, ad esempio, potuto attribuire rilevanza “sintomatica”, ai fini dell’esclusione, e quindi riferire l’obbligo dichiarativo, al più, ai soli inadempimenti contrattuali riguardanti il settore o l’ambito di attività coinvolto dall’appalto per cui si concorre e non a qualsivoglia pregressa risoluzione disposta da qualsivoglia stazione appaltante, come lascia intendere la sentenza in esame.

Sul piano soggettivo, per contro, un limite al potere discrezionale dell’amministrazione appaltante si potrebbe rinvenire nella necessaria valutazione anche dell’elemento psicologico, circoscrivendo la rilevanza degli adempimenti idonei a comportare l’esclusione ai soli casi di dolo o colpa grave del concorrente[8].

Il quadro normativo e giurisprudenziale attuale, invece, puo’ apparire per certi aspetti eccessivamente severo nella misura in cui consente che la presenza anche di un solo provvedimento di risoluzione unilaterale determini “a catena” l’esclusione del concorrente dai futuri appalti: il che evidentemente attribuisce alla stazione appaltante il potere di adottare un provvedimento non soggetto ad alcun vaglio giurisdizionale.

L’interpretazione giurisprudenziale, alla luce di quanto detto, rischia pertanto di attribuire un connotato “sanzionatorio” alla prevista esclusione di cui all’art. 38, lett. f), che un simile carattere in origine non ha, in quanto volta, come sopra esposto, al diverso fine di tutelare l’elemento fiduciario che deve improntare i rapporti contrattuali di appalto pubblico (e non a costituire una ulteriore sanzione per l’operatore economico che sia incorso in un precedente inadempimento contrattuale).


[1] Cfr. Consiglio di Stato del 15 maggio 2012 n. 2761.

[2] La pronuncia in esame si conforma alla giurisprudenza e alla prassi prevalenti (cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, sent. 29 aprile 2013, n. 414; Cons. Stato, Sez. V, sent. 15 marzo 2010, n. 1500; Determinazione AVCP n. 1/2010): secondo il prevalente orientamento, infatti, la vicenda relativa alla grave inadempienza con soggetto diverso dall’amministrazione che ha bandito la gara rientra nella seconda parte dell’art. 38 cit., che consente la valutazione dei precedenti professionali delle imprese concorrenti anche in rapporti contrattuali intercorsi con amministrazioni diverse da cui desumere, eventualmente, l’affidabilità dell’impresa che concorre nella fattispecie attenzionata.

[3]L’orientamento in esame è da tempo sostenuto dall’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (v. da ultimo Parere di Precontenzioso n. 208 del 18/12/2013: “L’art. 38, comma 1, lett. f) del D. Lgs. n. 163 del 2006, nello stabilire che sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti i soggetti che “secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara, o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualunque mezzo di prova dalla stazione appaltante”, include le due ipotesi delle prestazioni affidate dalla stessa amministrazione che ha bandito l’appalto e della negligenza professionale anche in precorsi rapporti con altre amministrazioni.”).

[4] Come già osservato, infatti, “ogni dissertazione sulla gravità della negligenza non può trovare ingresso in mancanza della indispensabile dichiarazione, rilevando quale motivo di esclusione dalla gara, di per sé, siffatta omessa dichiarazione” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 14 maggio 2013, n. 2610; Sez. V, sent. 13 luglio 2010, n. 4520; Sez. VI, 18 gennaio 2012, n. 178; Sez. III, 16 marzo 2012, n. 1471, Sez. V, 26 gennaio 2012, n. 334). Si è più volte evidenziato al riguardo come vi sia una “compromissione del legame di fiducia fra l’Amministrazione e la ditta istante” anche nella mera circostanza data “… dall’aver taciuto un elemento rilevante ai fini dell’accertamento della specchiata professionalità” (AVCP, Parere del 18 dicembre 2013 n. 208).     

[5] Secondo quanto sancito dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione, la decisione di esclusione per “deficit di fiducia” è frutto di una valutazione discrezionale della stazione appaltante, alla quale il legislatore riserva la individuazione del “punto di rottura dell’affidamento” nel pregresso o futuro contraente. Pertanto il controllo del giudice amministrativo su tale valutazione discrezionale deve essere svolto ab estrinseco, ed è diretto ad accertare il ricorrere di seri indici di simulazione (dissimulante una odiosa esclusione), ma non è mai sostitutivo. Il sindacato sulla motivazione del rifiuto deve, pertanto, essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto esibiti dall’appaltante come ragione di rifiuto (Cass., SS.UU., 17 febbraio 2012, nn. 2312 e 2313).

[6] Con riferimento al concetto di errore professionale il Consiglio di Stato (sentenza 21/06/2012, n. 3666) osserva che “il concetto di errore professionale abbraccia un’ampia gamma di ipotesi, riconducibili comunque alla negligenza, alla malafede o all’incapacità di assolvere alle prestazioni contrattuali e l’omessa indicazione, nella domanda di partecipazione alla gara, di tali pregresse gravi inadempienze è affetta da incompletezza potenzialmente idonea ad influire in maniera determinante sullo svolgimento della procedura concorsuale e non può essere pertanto considerata come omissione di una mera formalità “innocua” ai fini delle determinazione delle cause di esclusione dalla gara.”.

[7] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 maggio 2012 n. 2761. Conformemente l’AVCP ha evidenziato che “Si ritiene … che la valutazione operata dalla S.A. si sia svolta esclusivamente sul piano discrezionale-amministrativo, concernente il giudizio di affidabilità dell’operatore economico rispetto al costituendo rapporto contrattuale, in relazione a un determinato accadimento fattuale. Il riferimento all’errore professionale nell’adempimento richiama il solo piano oggettivo dell’inadempimento medesimo, dato dalla difformità tra assetto della prestazione dovuto ed assetto realizzato”.

[8] In quest’ottica meritano apprezzamento gli orientamenti dell’Autorità di Vigilanza che tentano di limitare la discrezionalità della stazione appaltante nella valutazione della gravità dell’errore professionale, ritenendo necessario, a che si configuri tale errore, un quid pluris dato dalla presenza di dolo o colpa grave dell’impresa: “ ai fini della configurazione della causa di esclusione di cui all’art. 38, comma 1, lett. f) D.lgs. 163/2006, non basta che le prestazioni non siano state eseguite a regola d’arte ovvero in maniera non corrispondente alle esigenze del committente, occorrendo, invece, una violazione del dovere di diligenza nell’adempimento qualificata da un atteggiamento psicologico doloso o comunque gravemente colposo dell’impresa “(v. AVCP, Parere del 25.7.2012 n.134; determinazione del 12.01.2010 n. 1). Del pari si è ritenuto che “la mera sussistenza di un contenzioso giurisdizionale con un’altra stazione appaltante non può di per sé integrare i presupposti per l’esclusione di un’impresa da una procedura di gara” (AVCP, Parere n. 42 del 25.2.2010).

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Questo articolo è stato scritto da...

Massimiliano Lombardo
Avv. Massimiliano Lombardo
Esperto e docente in materia di appalti pubblici
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