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( vote)Il ruolo e la figura del Responsabile Unico del Procedimento nei contratti pubblici è caratterizzata da forti elementi di originalità rispetto al Responsabile del Procedimento di cui alla legge 241/1990, sebbene quest’ultima rappresenti comunque la normativa di riferimento in forza del richiamo contenuto nell’art. 2 comma 3 del D.lgs. 163/06 smi, di seguito denominato Codice.
Del resto elementi di originalità risiedono nello stesso procedimento ad evidenza pubblica, che si differenzia da un “comune” procedimento amministrativo soprattutto per il carattere concorsuale, di cui è espressione il principio della par condicio tra i concorrenti e per il rispetto di molti principi di rilevanza comunitaria.
Proprio il rispetto della par condicio ovvero della massima partecipazione alle gare, strettamente collegato nell’effetto al principio di parità di trattamento e di non discriminazione, stride con il c.d. dovere di soccorso.
Infatti, mentre il principio di parità di trattamento consiste nella garanzia che i concorrenti siano valutati in modo uguale in presenza di situazioni eguali ed in modo diverso in presenza di fatti che differenziano la posizione dei medesimi ed il principio di non discriminazione si esplica nel divieto di operare irragionevoli restrizioni all’accesso alle procedure di gara ovvero irragionevoli penalizzazioni che rendano difficile la predisposizione delle offerte ovvero ne impediscano la corretta valutazione, il dovere di soccorso, obbligo la cui concreta attuazione è rimessa proprio all’iniziativa del responsabile del procedimento, invece, si esplica nel dovere di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett.b) della legge n. 241/1990, di chiedere “il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete”, sollecitando il privato a porre rimedio ad eventuali dimenticanze o errori oppure, ai sensi dell’art. 18, comma 3, “di accertare d’ufficio i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta ad accertare”.
Si ritiene comunemente, pertanto, che il c.d. dovere di soccorso e l’obbligo dell’acquisizione d’ufficio di fatti, stati e qualità potrebbe alterare la par condicio ed incidere sul divieto di disapplicazione della lex specialis contenuta nel bando.
Da qui la tradizionale affermazione giurisprudenziale secondo cui nelle procedure di gara è preclusa qualsiasi forma di integrazione documentale, attesa la natura decadenziale dei termini cui è soggetta la procedura ad evidenza pubblica con riguardo alla presentazione delle offerte di gara, pena la violazione non solo del canone di imparzialità e di buon andamento dell’azione della p.a., ma anche dei principi di non discriminazione e della par condicio di tutti i concorrenti[1].
Non deve ingannare l’applicabilità dei principi generalidi buona fede e collaborazione, che, per un verso, impongono innanzitutto alle stazioni appaltanti di privilegiare, nei limiti del possibile, una lettura ed una interpretazione non rigida e formalistica delle regole della lexspecialis, onde assicurare la più ampia partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica o, per altro verso, la disposizione dell’art. 46 del Codice, che si concretizza in un vero e proprio obbligo per l’amministrazione di cooperare con i concorrenti, invitandoli specialmente a completare la documentazione ovvero a fornire chiarimenti in ordine a certificati, documenti e dichiarazioni presentati. Infatti, il ricordato c.d. dovere di soccorso deve in ogni caso intendersi limitato a consentire la “sanatoria” di difformità e carenze di carattere meramente formale e facilmente riconoscibili, come tali inidonee a violare gli altrettanto fondamentali principi di parità di trattamento dei concorrenti e di non discriminazione[2], non potendo pertanto con esso supplirsi a sostanziali carenze dell’offerta presentata, integrandola o rielaborandola, così superando decadenze o situazioni di inammissibilità già verificatesi.
Pertanto, il doveroso bilanciamento tra il dovere di provvedere alla regolarizzazione dei documenti presentati dal candidato ed il principio della par condicio tra i partecipanti, va ricercato nella distinzione tra il concetto di “regolarizzazione” e quello di “integrazione” documentale. Quest’ultima (l’integrazione) non sarebbe consentita, risolvendosi in un effettivo vulnus del principio di parità di trattamento; sarebbe consentita invece la mera regolarizzazione, che attiene a circostanze o elementi estrinseci al contenuto della documentazione, cui è tenuta l’amministrazione in virtù del principio generale desumibile dall’art. 6 comma 1, lett. b), l. n. 241 del 1990. [3]
Ma abbandoniamo l’analisi delle differenze tra un “comune” procedimento amministrativo e quello ad evidenza pubblica ed affrontiamo, invece, le peculiarità del Responsabile Unico del Procedimento in argomento, partendo dalla diversa portata del principio di “unicità del Responsabile”.
Nella legge n. 241 del 1990, il principio della unicità viene riferito al singolo procedimento, nel senso che per ciascun procedimento è previsto l’obbligo dell’amministrazione di individuare un unico responsabile, da intendersi sia come unità organizzativa, sia come funzionario-persona fisica, al quale, all’interno dell’ufficio, sono poi concretamente attribuite le funzioni proprie del responsabile.
Il d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, invece, non solo ha mantenuto per il lavori pubblici la figura del RUP, disciplinata dall’abrogata legge 11 febbraio 1994, n. 109, che nel richiamare i principi di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, prevedeva la nomina di un Responsabile Unico del Procedimento (RUP) per l’attuazione delle fasi della progettazione, dell’affidamento e dell’esecuzione riguardanti ogni singolo intervento previsto dal programma triennale dei lavori pubblici, ma addirittura l’ha estesa anche agli appalti di forniture e servizi, disponendo,all’articolo 10 comma 1, che “per ogni singolo intervento da realizzarsi mediante un contratto pubblico, le amministrazioni aggiudicatrici nominano, ai sensi della legge 7 agosto1990, n. 241, un responsabile del procedimento, unico per le fasi della progettazione,dell’affidamento, dell’esecuzione”.
Le norme del Codice, quindi, definiscono il RUP come “unico” e inscindibile per le distinte fasi del procedimento, quali la progettazione, l’affidamento e l’esecuzione, differenziandolo dalresponsabile della l. 241/1990.
Una deroga a tale unicità è prevista dall’articolo 10, comma 9, del Codice per le “stazioni appaltanti che non sono pubbliche amministrazioni e enti pubblici” e dall’articolo 196, comma 4, limitatamente agli appalti pubblici di lavori nel settore della difesa, “in considerazione della struttura gerarchica dei propri organi tecnici”, possa nominare in luogo di un unico responsabile del procedimento, un responsabile del procedimento per ogni singola fase di svolgimento del processo attuativo: progettazione, affidamento ed esecuzione. Viene, altresì, specificato che il responsabile unico del procedimento, ovvero i responsabili di ogni singola fase, sono tecnici individuati nell’ambito del Ministero della difesa e che il responsabile per la fase di affidamento può essere un dipendente specializzato in materie giuridico-amministrative.
Al RUP dell’articolo 10 del Codice, compete un insieme variegato e articolato di funzioni e compiti di carattere amministrativo-operativo, riguardanti la definizione di ogni modalità tecnica inerente alla produzione di atti connessi alla emanazione, da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, di tutti i numerosi provvedimenti che intervengono nell’ambito di un affidamento di un contratto di appalto. Invece, il responsabile del procedimento della l. 241/1990 cura l’istruttoria del procedimento amministrativo preoccupandosi dell’organizzazione di tutte le attività preliminari, nonché di tutte le attività amministrative funzionali all’emanazione del provvedimento amministrativo.
In buona sostanza, se il responsabile del procedimento ex l. 241/1990 può definirsi colui cui compete la definizione di compiti istruttori, il RUP del Codice costituisce il centro di imputazione di compiti, anche di carattere pratico, che sono riferiti direttamente alla qualificazione degli interventi posti in essere dall’amministrazione.
Il Codice quindi, delinea una figura di responsabile unico per le fasi della progettazione, affidamento ed esecuzione, che al contrario del responsabile della l. 241/1990, non esaurisce la sua funzione con l’emanazione del provvedimento finale.
Il RUP del Codice costituisce un vero e proprio dominus dell’intero procedimento e il suo ruolo non è surrogabile né sostituibile da parte di nessuno. La sua è una competenza direttamente funzionale al raggiungimento di scopi che sono quelli propri dell’amministrazione aggiudicatrice[4].
Ulteriore elemento di differenziazione sta nel fatto che mentre la l. n. 241 del 1990 si occupa del responsabile del procedimento nella duplice accezione di unità organizzativa e di persona fisica che nell’ambito dell’unità organizzativa è poi individuato come responsabile del procedimento (art. 5), il Codice sembra preoccuparsi esclusivamente del responsabile del procedimento inteso come persona fisica e non come ufficio.
Il comma 1 dell’art. 10 si riferisce, infatti, alla “nomina” del responsabile, che riguarda la persona fisica, e non l’ufficio; i commi 2, 3 e 4 individuano i poteri del funzionario, non dell’ufficio; i commi 5, 6 e 7 disciplinano i requisiti di professionalità e competenza richiesti al funzionario affinché possa essere nominato responsabile del procedimento; il comma 8 prevede l’obbligatoria pubblicazione del “nominativo” del responsabile del procedimento nel bando o avviso con cui si indice la gara ovvero, per le procedure senza bando o avviso, nell’invito a presente l’offerta; il comma 9 per le stazioni appaltanti che non sono pubbliche amministrazioni o enti pubblici prevede l’obbligo di individuare uno o più soggetti (e non uffici) cui affidare i compiti propri del responsabile del procedimento.
Proprio per la complessità delle procedure d’appalto e la necessaria specificità delle competenze richieste, tutta la normativa di settore vuole che il delicato compito di coordinamento e di impulso di tali procedimenti sia svolto più che da una determinata un’unità organizzativa, da una persona fisica dotata di adeguati titoli di studio e competenze professionali.
L’art. 10, comma 4, richiede soltanto che il responsabile venga scelto tra i dipendenti di ruolo o, in caso di accertata carenza di dipendenti di ruolo in possesso di professionalità adeguate, tra i dipendenti in servizio.
La norma, inoltre, non distingue il livello del dipendente, ma nel silenzio, si ritiene che la scelta ricada su funzionari titolari di posizioni di elevata responsabilità muniti di poteri organizzativi, di direzione o coordinamento di risorse umane. Questa interpretazione è stata avvalorata anche da un parere dell’Autorità per la vigilanza la quale nel ribadire che lo scopo della norma è quello di incentrare l’organizzazione della pubblica amministrazione nel settore dei lavori pubblici sulla gestione per obiettivi, che privilegi il momento del coordinamento rispetto a quello della supremazia gerarchica, ha chiarito che la legge non prevede che le funzioni del RUP siano di tipo dirigenziale[5].
Il soggetto nominato RUP, sia esso personale di ruolo o in servizio, deve comunque soddisfare il principio dell’appartenenza all’amministrazione, dato che sembrerebbe del tutto escluso l’affidamento di siffatte funzioni a soggetti estranei all’amministrazione, compreso quindi un professionista esterno che intrattenga con l’ente un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa o da un tecnico che operi alle dipendenze di un ente pubblico diverso dalla stazione appaltante[6].
La legge n. 241 del 1990 prevede che, una volta individuata l’unità organizzativa, la persona fisica responsabile del procedimento debba essere individuata all’interno della stessa e che, se manchi tale designazione, si considera responsabile del procedimento il funzionario preposto all’unità organizzativa medesima.
Questa modalità di designazione automatica del responsabile del procedimento risulta incompatibile con la disciplina del codice, in base al quale, la nomina della persona fisica responsabile del procedimento è necessariamente intuitus personae, nel senso che non può prescindere dalla previa verifica e valutazione dell’esistenza di una professionalità adeguata in capo alla persona che si intende nominare.
Altro elemento di rottura con la disciplina contenuta nella legge n. 241/1990 è quello relativo alla individuazione dei compiti e dei poteri del RUP.
Nella legge n. 241 del 1990, il responsabile del procedimento ha soprattutto funzioni istruttorie, che sono quelle indicate nell’art. 6.
I compiti decisori sono eventuali e possono essere esercitati soltanto nel caso in cui, in base alla ripartizione di competenze interne all’Amministrazione, il responsabile del procedimento abbia anche il potere di adottare il provvedimento finale (il che accadrà nell’ipotesi in cui il responsabile del procedimento sia il dirigente preposto all’unità organizzativa, come tale legittimato a manifestare all’esterno la volontà provvedimentale dell’ente).
L’art. 6, lett.e) prevede, infatti, che il responsabile del procedimento adotti il provvedimento finale solo ove ne abbia la competenza e che, in mancanza, trasmetta gli atti all’organo competente per l’adozione.
I compiti del responsabile unico del procedimento sono disciplinati in maniera piuttosto diversa; i suoi compiti, infatti, non sono soltanto istruttori o propositivi, risultando espressamente investito anche di poteri decisionali.
A questo punto viene in evidenza il ruolo di forte autonomia che riveste il RUP rispetto al dirigente, qualora le due figure non coincidessero, il particolare rapporto tra questa disciplina e il principio che emerge dall’art. 6, lett.e) legge n. 241 del 1990, secondo cui la nomina a responsabile del procedimento non incide sull’assetto delle competenze interne all’Amministrazione, tanto che, nelle ipotesi in cui il responsabile del procedimento non sia anche responsabile del provvedimento, la competenza di quest’ultimo rimane ferma e il primo deve limitarsi a svolgere una funzione propositiva.
La questione controversa è, dunque, se, in materia di appalti, l’atto di designazione del RUP sia tale da incidere sull’ordine interno delle competenze, nel senso che, il soggetto designato come RUP diventa, per ciò solo, l’organo competente ad esercitare tutti i poteri decisionali spettanti alla stazione appaltante che non siano espressamente attribuiti ad altri organi, e se possa farlo a prescindere dalla sua collocazione e dalla sua qualifica nell’ambito dell’ordinamento interno dell’Amministrazione[7].
Secondo parte della dottrina, l’individuazione di responsabilità del RUP, collegata alla sua unicità, determina una indipendenza rispetto al dirigente, tanto da ritenere che gli eventuali ordini superiori impartiti in merito alla gestione, degraderebbero a meri consigli non vincolanti o, nel caso, legittimamente disattendibili ove non condivisi dal RUP stesso.
Per le procedure di affidamento e di realizzazione degli appalti pubblici, quindi, vi sarebbe una deroga all’ordine legale delle competenze, nel senso che tutti i poteri decisionali spettanti alla stazione appaltante non espressamente conferiti ad altri soggetti sarebbero esercitati dal RUP, a prescindere dal fatto che egli sia o meno dirigente.
Per altra dottrina invece, il rapporto tra RUP e dirigente resterebbe di carattere gerarchico, così che l’adempimento di un ordine che non sia macroscopicamente illegittimo, solleverebbe il RUP da eventuali responsabilità che ricadrebbero inevitabilmente sul dirigente. L’incarico di RUP potrebbe, quindi, essere attribuito ad un soggetto non dirigente, con la conseguenza però, che in questo caso il RUP deve limitarsi all’esercizio di funzioni istruttorie o propulsive, non potendo esercitare poteri decisionali, rimessi sempre al soggetto titolare del potere provvedimentale.
E’, tuttavia, certamente possibile una diversa interpretazione che, proprio valorizzando la specificità della figura del RUP rispetto alla figura generale di cui alla legge n. 241/1990, porta invece alla conclusione secondo cui il RUP, per il fatto solo di essere nominato, diviene un organo volitivo dell’Amministrazione, legittimato, quindi, ad esercitare i poteri decisionali che gli sono conferiti, a prescindere dal fatto che sia o meno un dirigente.
A sostegno di questa tesi depone la particolare attenzione che il legislatore dedica ai requisiti soggettivi di professionalità, che, sono appunto richiesti, a differenza di quanto prevede la legge n. 241 del 1990 (che non insiste sui requisiti di professionalità del responsabile), perché la nomina a RUP in materia di appalti implica l’attribuzione di ampi poteri decisionali che presuppongono necessariamente un’attenta verifica delle attitudini. Verifica delle attitudini che, al contrario, non sarebbe pienamente giustificata se il RUP dovesse limitarsi a compiti meramente istruttori e propositivi e poi i poteri decisionali spettassero ad altro soggetto privo di quelle attitudini.
Oltre all’espressa attribuzione di specifici compiti decisionali, deve, poi, ulteriormente evidenziarsi che, ai sensi dell’art. 10, comma 2, il responsabile unico del procedimento beneficia di una competenza residuale, per espressa previsione legislativa, infatti, egli svolge tutti i compiti relativi alle procedure di affidamento previste dal codice, ivi compresi gli affidamenti in economia, e alla vigilanza sulla corretta esecuzione dei contratti, che non siano specificamente attribuiti ad altri organi o soggetti.
Anche da questa espressa previsione di competenza residuale emerge una differenza con la disciplina della legge n. 241/1990. Infatti, nell’art. 6 della legge n. 241, i compiti del responsabile del procedimento sembrano essere tassativi; ai sensi all’art. 10 del codice, i compiti del RUP sono invece residuali e, quindi, necessariamente “atipici” (esercita tutti i poteri, anche quelli non menzionati espressamente, che non sono attribuiti ad altri). Ciò trova conferma anche nel comma 3 dell’art. 10 che elenca alcuni compiti specificamente attributi al RUP solo in via esemplificativa come emerge dall’utilizzo dell’espressione “in particolare”, il che, appunto, non esclude che il RUP possa esercitare, oltre a quelli menzionati, anche altri poteri che sebbene non espressamente “nominati” possono comunque ritenersi a lui attribuiti in forza della clausola generale di cui al comma 2.
Quanto al rapporto tra il RUP e la Commissione di gara, l’art. 84 del Codice individua le incompatibilità in cui possono trovarsi i componenti di una Commissione di gara.
A tale riguardo il comma 4, così recita: <<I Commissari diversi dal Presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta>>.
La norma alluderebbe alla particolare posizione del RUP, che in quanto soggetto che propone e redige gli atti di gara amministrativi e tecnici, se non coincide con il dirigente responsabile del servizio non potrebbe far parte della commissione di gara, perché privo della necessaria posizione di terzietà, ma anzi portatore di un posizione precostituita che potrebbe condizionare gli altri commissari.
Una differente soluzione della problematica sembra discendere dal recente parere espresso dall’AVCP n. 46 del 2012 col quale si afferma che l’incompatibilità di un soggetto non sia nell’aver prestato il proprio lavoro per gli atti dell’appalto, ma nell’essere portatore di un interesse proprio o altrui in grado di condizionare il procedimento di affidamento. [8]
Inoltre, in una gara con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, tutte le operazioni di gara con carattere valutativo, debbano essere compiute dall’apposita commissione giudicatrice[9] .
Più controverso è stabilire se nelle gare d’appalto da aggiudicare col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è legittima la verifica di anomalia dell’offerta eseguita, anziché dalla commissione aggiudicatrice, direttamente dal responsabile unico del procedimento avvalendosi degli uffici e organismi tecnici della stazione appaltante[10].
Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, infatti, nelle gare da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa la verifica in ordine all’anomalia dell’offerta presentata dall’impresa partecipante alla gara d’appalto non rientra nella competenza del responsabile del procedimento, ma della commissione di gara, la quale non può limitarsi a prendere atto della relazione tecnica redatta da detto responsabile, ma deve procedere ad una autonoma valutazione dell’offerta e degli specifici contenuti della stessa, in quanto, in forza di quanto previsto dall’art. 84 d.lgs. n. 163/2006, in siffatto tipo di gara tutte le operazioni a carattere valutativo (compresa l’attività di verifica delle eventuali anomalie dell’offerta) devono essere compiute dalla apposita commissione giudicatrice.
Si è precisato, infatti, che il RUP può dare pareri d’ordine tecnico, ragguagli ed altri elementi utili alla valutazione delle offerte presentate in sede di gara con aggiudicazione all’offerta piùvantaggiosa, ma non può procedere a rilasciare il giudizio definitivo sulla congruità delle offerte che spetta alla apposita Commissione valutatrice, specificamente deputata a valutare i contenuti delle offerte. Attraverso la valutazione dell’anomalia, infatti, viene posta in essere una concreta attività valutativa dei contenuti dell’offerta che non è di carattere comparativo ma è pur sempre preordinata ad indagare sugli specifici contenuti dell’offerta, sulla sua affidabilità e sulla piena rispondenza, a questo stesso fine, delle giustificazioni addotte originariamente o di quelle integrative eventualmente richieste[11].
In sostanza, secondo tale orientamento, solo nelle procedure in cui il criterio selettivo è quello del prezzo più basso il responsabile del procedimento può escludere completamente la commissione dal procedimento di verifica delle offerte, e non anche nell’altra tipologia di gara.
Di tutt’altro avviso l’orientamento giurisprudenziale più recente, in base al quale il responsabile del procedimento nell’attuale sistema, alla luce di una combinata lettura degli artt. 86, 88 del d. lgs. 163/2006 e 121 del d.p.r. 207/2010, costituisce il “motore” del subprocedimento di valutazione di congruità delle offerte sospette di anomalia, sicché deve escludersi un vizio di incompetenza con riferimento all’attività da questi compiuta nella fase di valutazione della congruità dell’offerta [12].
Relativamente
al caso sotto esame, l’Adunanza Plenaria con la sentenza in commento, tenendo
conto dell’orientamento sopra richiamato, ha rilevato come l’articolo 121 del
d.p.r. 207/2010 (Regolamento attuativo del Codice dei Contratti), attribuisce
al responsabile del procedimento la facoltà di scegliere, a seconda delle
specifiche esigenze di approfondimento richieste dalla verifica, se procedere
personalmente ovvero affidare le relative valutazioni alla commissione
aggiudicatrice[13].
[1]Roberto Giovagnoli – Consigliere di Stato
[2]C.d.S., sez. VI, 13 febbraio 2013, n. 889; sez. V, 23 ottobre 2012, n. 5408; 30 agosto 2012, n. 4654; 31 marzo 2012, n. 1896
[3]Roberto Giovagnoli – Consigliere di Stato
[4]Dott.ssa Raffaella Benvenuti
[5]AVCP deliberazione 12 gennaio 2001, n. 264
[6]Dott.ssa Raffaella Benvenuti
[7]Roberto Giovagnoli – Consigliere di Stato
[8]Stefano Usai
[9]Consiglio di Stato sez. III, 15 luglio 2011, n. 4331
[10] Questo il principio ribadito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 36 del 29 novembre 2012
[11]Cons. Stato, sez. V, sent. 4772/2012; Cons. Stato, sez. III, sent. 4332/2012; Cons. Stato, sez. VI, sent. 4584/2010
[12]Cons. Stato, sez. III, sent. 1467/2012
[13]Manuela Ricoveri