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( votes)Il Codice Penale contempla la disciplina del reato di corruzione con gli articoli che vanno dal 318 al 322 – (Corruzione per un atto d’ufficio – Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio – Corruzione in atti giudiziari – Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio – Pene per il corruttore – Istigazione alla corruzione) – e tale argomento risulta di particolare attualità proprio in virtù delle più recenti norme introdotte dalla Legge n. 190/12, dal D.lgs. 159/11, cosiddetto Codice Antimafia e dal successivo D.lgs. 218/12.
Esaminiamo preliminarmente, e in linea generale, l’istituto del delitto in argomento, così come delineato dal codice penale sostanziale.
La lettura coordinata delle norme di riferimento ci dice che la corruzione è l’accordo tra un pubblico funzionario e un privato, in forza del quale il primo accetta dal secondo, per un atto relativo all’esercizio delle sue attribuzioni, un compenso che non gli è dovuto.
L’oggetto della tutela penale è l’interesse della Pubblica Amministrazione e tale assunto trova conferma nel principio espresso dalla Corte di Legittimità con la sentenza n. 7259 del 24.05.1990: “Il bene giuridico tutelato dall’art. 319 c.p. è costituito dai principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione indicati nell’art. 97, comma primo, della Costituzione.”
Ma ancora.
Il reato di corruzione è un reato plurisoggettivo e a concorso necessario, ossia configurabile solo se commesso da più di una persona. Al fine di rendere più chiaro il principio esposto è necessario evidenziare che il funzionario che si fa corrompere e il privato che lo corrompe sono compartecipi dello stesso reato. Sul punto, benché datata, è chiarificatrice la sentenza scritta dai Giudici di Cassazione, nella quale si stabilisce che “il delitto di corruzione è reato plurisoggettivo, nel quale l’elemento materiale è costituito dalle condotte convergenti del corruttore e del corrotto, e solo se entrambe sussistono il reato è configurabile.” (Cass. Pen., Sez. VI, 14.04.1983, n. 3007).
Risulta, poi, fondamentale la distinzione tra corruzione propria e corruzione impropria; la prima ha per oggetto un atto contrario ai doveri di ufficio, la seconda, invece, un atto di ufficio.
In ultimo, con riferimento al momento in cui il pubblico impiegato riceve la retribuzione non dovuta, cioè prima o dopo il compimento dell’atto del suo ufficio o contrario a questo, si può operare l’ulteriore distinzione tra corruzione antecedente e corruzione susseguente.
Ciò posto, è opportuno evidenziare che la normativa del codice penale innanzi esaminata trova un’esplicita, moderna correlazione con le attuali leggi, emanate proprio al fine di combattere segnatamente i fenomeni della corruzione e della infiltrazione mafiosa.
Al fine di comprendere appieno la sostanziale evoluzione della normativa in materia di contrasto alla criminalità che si è avuta negli anni, prendiamo le mosse dalla Legge 190/12 e sul percorso che il disegno di legge, a tutti noto come ddl anti-corruzione, ha compiuto prima di diventare legge.
Il testo del ddl anti-corruzione ha una lunga storia parlamentare alle spalle; il provvedimento in argomento è nato sotto il Governo Berlusconi e i primi firmatari del ddl sono stati Alfano, Maroni, Bossi, Calderoli e Brunetta; successivamente, con l’avvento del Governo Monti, c’è stata una sostanziale riscrittura dello stesso.
Entriamo nello specifico.
Il ddl è stato discusso, per la prima volta, in Commissione Parlamentare nel maggio del 2010 ed è stato approvato in prima lettura dal Senato più di un anno dopo e precisamente il 15 giugno 2011. La Camera, successivamente, lo ha modificato, ampliandolo non poco. In data 17 ottobre 2012, il ddl è stato approvato in Senato e il 31 ottobre 2012, con il voto alla Camera, è stato definitivamente approvato.
Tra le finalità del ddl anti-corruzione vi è, senza dubbio, quella di allineare l’Italia agli standard europei, intensificando l’efficacia e la praticità delle misure di opposizione al fenomeno della corruzione e rendendo l’ordinamento conforme alle indicazioni recepite da strumenti sovranazionali di contrasto alla corruzione già ratificati dall’Italia, quali la Convenzione Onu di Merida e la Convenzione penale sulla corruzione di Strasburgo.
Poste tali basi, è necessario chiedersi e capire cosa il disegno di legge sia chiamato a contrastare e quali siano state le ragioni più profonde che hanno portato alla sua scrittura.
Il punto di partenza non può che essere di portata generale, giacché riguarda la preoccupante crisi che interessa i Paesi di tutto il Mondo. Sono molteplici le cause che hanno generato la situazione economica che si sta vivendo, ma, nel nostro Paese, si inserisce a pieno titolo il fenomeno corruttivo.
Quanto appena detto trova conferma nei dati resi noti da Transparency International, quell’organizzazione internazionale non governativa che si occupa della corruzione, i quali indicano l’Italia come uno dei paesi più colpiti dalla corruzione ed in fondo alla classifica della trasparenza.
Un diffuso fenomeno corruttivo, purtroppo, limita la competitività del sistema economico nazionale e, di conseguenza, ne rallenta la crescita.
In un Paese come l’Italia, dove, addirittura, quotidianamente chiudono numerose aziende, anche di grande nome e tradizione, a causa dei problemi economici e finanziari, la corruzione, spesso legata anche alla burocrazia, rappresenta un ostacolo insormontabile all’entrata di nuove imprese nel mercato.
La corruzione porta a maggiori costi per gli acquisti, rende difficoltosa la partecipazione alle gare di appalto e incide maggiormente sulle imprese più piccole e più giovani.
Gli ultimi vent’anni hanno visto una trasformazione quantitativa e qualitativa del reato di cui si tratta e tale mutazione ha reso necessario il rafforzamento degli strumenti di tipo repressivo e preventivo, volti ad incidere in modo razionale e specifico su tutti i fattori che favoriscono la diffusione della corruzione.
Il solo strumento penale, che oggi viene rafforzato dalla “190”, si è, purtroppo, rivelato insufficiente ad aggredire la corruzione. Dunque, lo scopo delle nuove misure di lotta al fenomeno è proprio quello di creare e potenziare, ove già esistenti, gli strumenti che facciano emergere il reato.
Scopo ultimo del legislatore, quindi, è ridurre in Italia la grande differenza tra corruzione praticata e corruzione denunciata.
La nuova legge è composta da due soli articoli (la prima stesura del ddl ne prevedeva ventisette); il primo, costituente il vero e proprio corpo del provvedimento, contiene ben ottantatre commi; il secondo contiene, invece, la sola “clausola di invarianza”, la quale detta testualmente che “dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni competenti provvedono allo svolgimento delle attività previste dalla presente legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”.
Ma concentriamo la nostra attenzione sui profili del provvedimento che interessano la prevenzione e la repressione della corruzione nella Pubblica Amministrazione.
Con la Legge n. 190 del 2012 sono dettate specifiche misure le quali hanno a oggetto la trasparenza dell’attività amministrativa, compresa l’attività relativa agli appalti pubblici e il ricorso agli arbitri; l’attribuzione di posizioni dirigenziali; l’assolvimento di obblighi informativi ai cittadini da parte delle Pubbliche Amministrazioni.
Il Provvedimento in argomento detta una disciplina più rigorosa in materia di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi di dipendenti pubblici e affida al Governo la definizione di un “codice di comportamento” dei pubblici dipendenti e degli illeciti e delle sanzioni disciplinari relative ai termini dei procedimenti amministrativi.
Il Governo, poi, è delegato all’adozione, entro un anno, di un Testo unico in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo a seguito di condanne definitive per delitti non colposi.
La nuova Legge prevede la tutela del pubblico dipendente che denuncia o riferisce condotte illecite apprese in ragione del suo rapporto di lavoro e, inoltre, offre una elencazione delle attività d’impresa particolarmente esposte al rischio di infiltrazione mafiosa, imponendo che, presso ogni Prefettura, sia istituita una “white list”, cioè un elenco di fornitori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa.
Attraverso l’istituzione della white list è stato radicalmente modificato il sistema relativo all’informazione antimafia.
In particolare la disciplina è contenuta nell’art. 1, dal comma 52 al 56, il quale, come appena detto, prevede l’istituzione, presso ciascuna prefettura della provincia in cui l’impresa ha sede, di una apposita lista dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa. L’iscrizione in tali elenchi dovrebbe soddisfare i requisiti dell’informazione antimafia necessaria per l’esercizio della relativa attività.
La Prefettura effettua, infatti, verifiche periodiche circa la perdurante insussistenza dei suddetti rischi e, in caso di esito negativo, dispone la cancellazione dell’impresa dall’elenco.
La ratio della white list è quella di garantire che l’eventuale controparte contrattuale del soggetto pubblico sia affidabile e moralmente integra, ciò al fine di prevenire o arginare manipolazioni del procedimento e garantire la corretta esecuzione delle opere, dei servizi e delle forniture.
Non a caso, si ritrova una prima origine dell’istituto della white list nell’art. 176 c. 3, lett. e) del Codice degli appalti, il quale impone l’adozione di protocolli di legalità, attuativi delle linee guida emanate dal Comitato di alta sorveglianza sulle grandi opere previsto dall’art. 180 del Codice, nel quale, al secondo comma, si specifica che con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro delle infrastrutture, sono individuate le procedure per il monitoraggio delle infrastrutture e insediamenti industriali per la prevenzione e repressione di tentativi di infiltrazione mafiosa.
La “documentazione antimafia”, che sostituisce le c.d. “informative prefettizie”, necessaria per effettuare le verifiche preliminari per la redazione e l’inserimento nella white list è quella prevista dall’art. 84 del D.lgs. 159/11.
La 190/2012, rispondendo sempre all’intenzione di prevenire e reprimere la corruzione, amplia il catalogo dei reati alla cui condanna consegue, per l’appaltatore, la risoluzione del contratto con una Pubblica Amministrazione e rende più incisivo il giudizio di responsabilità amministrativa nei confronti del dipendente pubblico che ha causato un danno all’immagine della Pubblica Amministrazione. Inoltre, la nuova Legge detta nuove cause ostative alle candidature negli Enti Locali e nuovi casi di decadenza o sospensione dalla carica; prevede misure organizzative da parte delle Amministrazioni in caso di rinvio a giudizio di un dipendente per concussione per induzione e modifica il procedimento di revoca dei Segretari comunali.
Occupiamoci ora delle modifiche che interessano più da vicino gli appalti e quindi il Codice dei contratti (D.lgs. n. 163/06), specificamente, gli articoli 241 e 135.
L’art. 241 del “Codice dei contratti”, il quale disciplina l’arbitrato in materia di controversie sui diritti soggettivi, derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell’accordo bonario, viene integralmente sostituito con il comma 19 della Legge 190.
Il nuovo testo specifica che l’arbitrato deve essere previamente e motivatamente autorizzato dall’Organo di governo dell’Amministrazione e si aggiunge che sono nulli, se non autorizzati con anticipo, l’inclusione della clausola compromissoria nel bando o nell’avviso con cui è indetta la gara ovvero, per le procedure senza bando, nell’invito o il ricorso all’arbitrato.
Il comma 20 estende l’applicabilità delle disposizioni relative al ricorso ad arbitri, di cui al citato art. 241, comma 1, alle controversie relative a concessioni e appalti pubblici di opere, servizi e forniture in cui sia parte una Società a partecipazione pubblica o che comunque abbiano ad oggetto opere o forniture finanziate con risorse a carico dei bilanci pubblici.
Il comma 21, invece, prevede che la nomina degli arbitri per la risoluzione delle controversie nelle quali è parte una Pubblica Amministrazione avviene nel rispetto dei principi di pubblicità e di rotazione, oltre che delle disposizioni del citato “Codice dei contratti” in quanto applicabili.
Il comma 22 prevede che, qualora la controversia si svolga tra due Pubbliche Amministrazioni, gli arbitri di parte sono individuati esclusivamente tra Dirigenti pubblici, mentre il comma 23 dispone che, qualora la controversia abbia luogo tra una Pubblica Amministrazione e un privato, l’arbitro individuato dalla Pubblica Amministrazione è scelto preferibilmente tra i Dirigenti pubblici.
Il comma 24 prescrive che la Pubblica Amministrazione stabilisce, a pena di nullità della nomina, l’importo massimo spettante al Dirigente pubblico per l’attività arbitrale. La eventuale differenza tra l’importo spettante agli arbitri nominati e l’importo massimo stabilito per il Dirigente è acquisita al bilancio della Pubblica Amministrazione che ha indetto la gara.
Il comma 25 esclude l’applicabilità delle disposizioni in materia di arbitrato agli arbitrati conferiti o autorizzati prima della data di entrata in vigore della presente Legge n. 190/12.
Il Provvedimento in analisi, quindi, mette dei paletti ed indica chiare linee guida al ricorso agli arbitrati nelle controversie.
Altro articolo del “Codice dei contratti” che subisce modifiche con l’entrata in vigore della Legge n. 190 del 2012 è il n. 135, il cui titolo è “Risoluzione del contratto per reati accertati e per decadenza dell’attestazione di qualificazione”.
La norma in argomento (art. 135, Codice degli Appalti) stabilisce, al primo comma, che qualora nei confronti dell’appaltatore sia intervenuta l’emanazione di un provvedimento definitivo che dispone l’applicazione di una o più misure di prevenzione di cui all’articolo 3, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità) ed agli articoli 2 e seguenti della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere), ovvero sia intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato per reati di usura, riciclaggio nonché per frodi nei riguardi della stazione appaltante, di subappaltatori, di fornitori, di lavoratori o di altri soggetti comunque interessati ai lavori, nonché per violazione degli obblighi attinenti alla sicurezza sul lavoro, il responsabile del procedimento propone alla stazione appaltante, in relazione allo stato dei lavori e alle eventuali conseguenze nei riguardi delle finalità dell’intervento, di procedere alla risoluzione del contratto.
Prosegue, la norma, al comma successivo stabilendo che, se nei confronti dell’appaltatore sia intervenuta la decadenza dell’attestazione di qualificazione, per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci, risultante dal casellario informatico, la stazione appaltante procede alla risoluzione del contratto.
E, infine, conclude prevedendo che nel caso di risoluzione, l’appaltatore ha diritto soltanto al pagamento dei lavori regolarmente eseguiti, decurtato degli oneri aggiuntivi derivanti dallo scioglimento del contratto.
Il testo della nuova Legge che, come detto, rivisita l’articolo 135 risiede nel comma 58 e aggiunge alle cause di risoluzione del contratto con l’appaltatore anche la Sentenza definitiva di condanna nei confronti di quest’ultimo per i gravi reati di cui all’art. 51, commi 3-bis (ad esempio, associazione mafiosa, sequestro di persona a scopo di estorsione, tratta di persone, riduzione in schiavitù) e 3-quater (delitti con finalità di terrorismo) del codice di procedura penale, per il reato di peculato, peculato mediante profitto dell’errore altrui, malversazione a danno dello Stato, concussione, corruzione per l’esercizio della funzione e per atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione in atti giudiziari e corruzione di incaricato di un pubblico servizio.
L’ampliamento e l’integrazione delle clausole di risoluzione del contratto con l’appaltatore, quindi l’aggiunta dei nuovi reati di cui si è appena detto, sono un ulteriore chiaro segnale della volontà del legislatore di approntare una forte strategia di opposizione alle condotte illecite che possono recare grave danno al mondo degli appalti.
Quanto si qui esposto evidenzia come il nuovo Provvedimento introduca numerosi cambiamenti nel mondo degli appalti pubblici, cambiamenti finalizzati, come già detto, a prevenire e a reprimere la corruzione e a frenare le infiltrazioni mafiose nella Pubblica Amministrazione.
Non è un caso che il Legislatore offra innumerevoli strumenti indirizzati a frenare gli episodi corruttivi sempre più presenti negli uffici della Pubblica Amministrazione del nostro Paese.
Tra le novità introdotte, ancora, riveste significativa importanza l’adozione dei piani di prevenzione. L’intento del Legislatore, infatti, con l’introduzione di tali piani triennali, i quali devono essere redatti dall’organo di indirizzo politico di ciascuna Pubblica Amministrazione, è quello di creare un collegamento tra la formulazione delle strategie nazionali di prevenzione e l’attuazione delle stesse nelle singole amministrazioni. I risultati che saranno ottenuti dalle singole amministrazioni risulteranno, successivamente, utilissimi a livello nazionale al fine di individuare le aree maggiormente interessate dal fenomeno e rappresenteranno le linee guida sulle quali orientarsi e creare le strategie più opportune per arginare sempre più la corruzione, fino ad eliminarla. Il monitoraggio e la valutazione dei singoli sistemi amministrativi risulteranno, quindi, fondamentali per il Governo, il quale potrà così programmare al meglio gli interventi futuri.
In ultimo, ma questione da non sottovalutare assolutamente, vi è da ricordare che, con la Legge 190/2012 la Pubblica Amministrazione, per la prima volta, ha a sua disposizione un articolato strumento di contrasto alla corruzione e, ancora per la prima volta, affronta le difficoltà che l’attuazione dello stesso strumento comporta.
Proprio in previsione di tali difficoltà, il Legislatore prevede alla lettera b) del comma 5 dell’articolo 1 del provvedimento che le Pubbliche Amministrazioni centrali definiscono e trasmettono al Dipartimento della funzione pubblica “procedure appropriate per selezionare e formare, in collaborazione con la Scuola superiore della pubblica amministrazione, i dipendenti chiamati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione, prevedendo, negli stessi settori, la rotazione di dirigenti e funzionari”.
La norma di cui sopra riveste un’importanza fondamentale in quanto solo attraverso una corretta e puntuale formazione degli operatori del settore si eviterà il rischio che la nuova Legge venga applicata acriticamente e che non raggiunga i risultati sperati, comportando, altresì, ingenti costi.
Per concludere, benché l’entrata in vigore della Legge n. 190, con la sua forte strategia di opposizione alle condotte illecite, non può dirsi risolutiva quanto alla lotta contro la corruzione, certamente rappresenta un’ottima base dalla quale partire per dare efficace attuazione alle misure di prevenzione e repressione previste nella Legge stessa, con l’ovvio impegno che dovrà provenire sia dalla politica sia dalla amministrazione.
Il Legislatore nella battaglia alla criminalità si è particolarmente impegnato nell’azione di contrasto alla mafia e, su questo specifico piano, ha introdotto nuove norme.
Focalizziamo, dunque, l’attenzione sul D.lgs 159/11, il cui titolo è “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136”, il quale è indirizzato a combattere il fenomeno mafioso e la sua diffusione in ogni regione, anche in quelle che, in passato, erano meno esposte a manifestazioni di questo genere.
Successivamente, il decreto di cui si tratta è stato integrato e corretto dal D.lgs. n. 218 del 15 novembre 2012, entrato in vigore il 28.12.2012.
Il D.lgs. 159/2011 ha introdotto una sistemazione organica della disciplina delle misure di prevenzione personali e patrimoniali e ha innovato, in maniera sensibile, il sistema della documentazione antimafia, aspetto, quest’ultimo, di grande interesse per chiunque operi nel settore della Pubblica Amministrazione.
Nel Libro I ritroviamo l’articolo 67, il quale riveste grandissimo interesse, in quanto è relativo agli effetti delle misure di prevenzione applicate dalla autorità giudiziaria. La norma sancisce, a carico di coloro ai quali sia stata applicata la misura di prevenzione con provvedimento definitivo, il divieto di ottenere licenze, autorizzazioni di polizia e di commercio, concessioni demaniali e di lavori pubblici, attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici, contributi, mutui ed altre erogazioni, nonché il divieto di concludere i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e relativi subcontratti.
L’irrogazione della misura di prevenzione genera anche la decadenza dei provvedimenti sopra indicati, ove questi siano già stati disposti e/o rilasciati.
Il divieto e la decadenza operano, inoltre, anche nei confronti dei conviventi delle persone sottoposte a misure di prevenzione e nei confronti delle imprese di cui la persona sottoposta a misura di prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte ed indirizzi.
Il Libro II, muovendo dall’articolo 82, disciplina la documentazione antimafia e i suoi effetti, istituisce la banca dati nazionale unica della documentazione antimafia e introduce le disposizioni relative agli enti locali i cui organi sono stati sciolti.
Gli articoli successivi individuano l’ambito di applicazione e i soggetti sottoposti alla verifica antimafia.
Nel successivo articolo 83, si legge che “le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonché i concessionari di opere pubbliche, devono acquisire la documentazione antimafia di cui all’articolo 84 prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell’articolo 67”.
L’articolo 84 specifica che la “documentazione antimafia” è costituita dalla comunicazione antimafia e dall’informativa antimafia; che la “comunicazione” consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67; che l’ “informativa” consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67, nonché nell’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate.
Prosegue, la stessa norma, indicando le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia. Queste si desumono dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per una serie di reati quali la turbata libertà degli incanti e la turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, l’estorsione, la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, l’usura, il riciclaggio, l’impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, il trasferimento fraudolento di o possesso ingiustificato di valori; dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione; dall’omessa denuncia all’autorità giudiziaria dei reati di concussione ed estorsione; dagli accertamenti disposti dal prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell’interno ai sensi del decreto legge sulle misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa; dagli accertamenti da effettuarsi in altra provincia a cura dei prefetti competenti su richiesta del prefetto procedente; dalle sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, effettuate da chiunque conviva stabilmente con i soggetti destinatari dei provvedimenti.
In sintesi, l’articolo appena esaminato guida nell’individuazione delle fonti da cui possono essere tratte tutte le indicazioni di infiltrazione mafiosa.
Nella lotta alla criminalità organizzata, lo strumento della comunicazione antimafia può considerarsi tra i più tempestivi, in quanto idoneo a contrastare anche il semplice pericolo di infiltrazione mafiosa nelle imprese.
L’articolo 84, or ora esaminato, subisce una integrazione, attraverso l’aggiunta del comma 4 bis, posto dal D.lgs. 218/12. Il comma 4 bis così recita:“La circostanza di cui al comma 4, lettera c), deve emergere dagli indizi a base della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell’imputato e deve essere comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che ha omesso la predetta denuncia, dal procuratore della Repubblica procedente alla prefettura della provincia in cui i soggetti richiedenti di cui all’art. 83, commi 1 e 2, hanno sede ovvero in cui hanno residenza o sede le persone fisiche, le imprese, le associazioni, le società o i consorzi interessati ai contratti e subcontratti di cui all’art. 91, comma 1, lettere a) e c) o che siano destinatari degli atti di concessione o erogazione di cui alla lettera b) dello stesso comma 1”.
Il successivo articolo 85 sostanzia una mera elencazione di coloro i quali debbono essere sottoposti alla verifica antimafia, individuando gli specifici soggetti ai quali riferirsi a seconda che si tratti di società, associazioni, imprese, etc.
In ultima analisi, è bene considerare lo specifico profilo legislativo introdotto dall’articolo 91, comma sesto, il quale stabilisce che “il prefetto può, altresì, desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata. In tali casi, entro il termine di cui all’articolo 92, rilascia l’informazione antimafia interdittiva”.
Avendo operato una globale, ma sintetica rassegna delle norme che hanno a oggetto la lotta alla mafia, alla criminalità e alla corruzione, non vi era decisamente spazio per valutazioni ampie e profonde di carattere giuridico e giurisprudenziale, le quali saranno senz’altro trattate nelle prossime pubblicazioni.