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1. Premesse

Tra i motivi di incertezza per gli operatori del settore in materia di procedure autorizzative di impianti alimentati da fonti rinnovabili da realizzare nel nostro Paese è da ricomprendere la poca chiarezza circa le modalità di autorizzazione delle varianti relative ad impianti in corso di realizzazione. Infatti, fino a poco tempo fa, la normativa di riferimento non identificava precisamente una disciplina specifica per consentire varianti sostanziali rispetto al progetto originariamente autorizzato.

La questione delle varianti si è rivelata di particolare importanza per gli operatori di settore in quanto la prassi ha dimostrato che difficilmente il parco realizzato – eolico, fotovoltaico o alimentato da altra fonte rinnovabile – risulta essere assolutamente identico al progetto originariamente autorizzato dall’autorità competente.

Non è infrequente infatti che, in corso di costruzione, emergano esigenze pratico-realizzative che comportano l’introduzione da parte del soggetto responsabile di varianti progettuali, come ad esempio nei casi in cui – ad esito dei primi scavi – si dovesse riscontrare la necessità di spostare di qualche metro le fondamenta dell’impianto in ragione delle caratteristiche specifiche del suolo. Si è verificato spesso altresì che, nel lasso di tempo intercorso tra l’originaria procedura autorizzativa e la costruzione del parco, siano intervenute evoluzioni tecnologiche in ragione delle quali il progetto iniziale è stato aggiornato per ottimizzare i rendimenti dell’impianto, con conseguente riduzione dello spazio occupato dalle apparecchiature installate e modifiche del layout dell’opera. In seguito a tali eventi modificativi, i soggetti responsabili degli impianti si sono ritrovati a dover ricercare nell’intricato meandro normativo le modalità di approvazione delle diverse tipologie di varianti, e spesso – in assenza di una soluzione tempestiva – si sono visti costretti ad apportare le varianti senza autorizzazione preventiva, con il conseguente rischio di contestazioni da parte delle autorità competenti in relazione alle differenze tra quanto realizzato e quanto originariamente autorizzato.

1.1  Definizione delle tipologie di varianti e procedura di autorizzazione delle stesse

I dubbi sollevati in questi ultimi anni hanno riguardato sia il complesso di regole e tempistiche per autorizzare preventivamente le modifiche ai progetti approvati, sia le modalità per rendere legittime eventuali variazioni apportate agli impianti in assenza del previo assenso dell’autorità competente.

Soltanto mediante il c.d. Decreto Romani – D.Lgs. n. 28 del 3 Marzo 2011 – il legislatore nazionale, dando attuazione alla Direttiva 2009/28/CE, ha definito e razionalizzato il quadro normativo in materia di autorizzazioni alla costruzione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, chiarendo in particolare, all’articolo 5 comma primo, che:

“la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti, nonché le modifiche sostanziali degli impianti stessi, sono soggetti all’autorizzazione unica”.

Il Decreto Romani ha specificato inoltre al terzo comma del medesimo articolo, che:

“non sono considerati sostanziali e sono sottoposti alla [procedura abilitativa semplificata] di cui all’articolo 6 gli interventi da realizzare sugli impianti […] esistenti, a prescindere dalla potenza nominale, che non comportano variazioni delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della volumetria delle strutture e dell’area destinata ad ospitare gli impianti stessi, ne’ delle opere connesse”.

L’articolo 6 del Decreto Romani stabilisce inoltre che la Procedura Abilitativa Semplificata si applica con riferimento alle “attività di costruzione ed esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili di cui ai paragrafi 11 e 12 delle linee guida”, tra le quali sono espressamente elencate (al punti 11.5 delle linee guida) “le opere di rifacimento realizzate sugli impianti fotovoltaici ed eolici esistenti che non comportano variazioni delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della volumetria delle strutture e dell’area destinata ad ospitare gli impianti stessi, e delle opere connesse”.

Per effetto di tali norme, il legislatore ha introdotto una procedura autorizzativa più snella e semplificata rispetto all’Autorizzazione Unica (i.e. la Procedura Abilitativa Semplificata) soltanto per le modifiche progettuali non sostanziali, mentre per quelle che esulano da tale definizione il soggetto responsabile resta tenuto a riattivare la procedura di Autorizzazione Unica per sottoporre le varianti sostanziali ad una nuova valutazione della conferenza dei servizi.

Pertanto, qualora nel corso della realizzazione di un impianto il soggetto responsabile ed i suoi consulenti tecnici dovessero riscontrare la necessità di apportare modifiche al progetto originariamente approvato, dovranno in primis accertarsi circa la qualificazione di tale intervento (i.e. se si tratta di una variante “sostanziale” ovvero “non-sostanziale”) e in secundis attivare la corretta procedura autorizzativa secondo le tempistiche più appropriate.

Seppure ad una prima analisi del summenzionato Decreto Romani il legislatore sembra aver colmato la lacuna relativa alle procedure autorizzative delle varianti progettuali, ad un attento operatore del settore – chiamato ad applicare in concreto tale normativa – non sfugge il fatto che non è stata fornita una chiara definizione di modifica “sostanziale”, né una netta qualificazione delle tipologie di modifiche di carattere “non sostanziale”.

La norma infatti – riferendosi in generale ad ogni tipo di modifica che comporti una variazione delle “dimensioni fisiche degli apparecchi, della volumetria delle strutture e dell’area destinata ad ospitare gli impianti stessi, e delle opere connesse” – non si preoccupa di distinguere i casi di modifiche ampliative da quelli di variazioni in riduzione delle dimensioni degli impianti, ingenerando così forti dubbi sia ai soggetti responsabili che alle amministrazioni chiamate a pronunciarsi sulla natura di tali interventi, causando spesso l’utilizzo da parte dei primi della più complessa procedura dell’Autorizzazione Unica – anche nel caso di interventi in riduzione – per evitare il pericolo di vedersi revocata l’autorizzazione originariamente concessa.

A questa lacuna normativa, come spesso accade, soccorre la prassi di settore, dall’analisi della quale è emerso che l’iter autorizzativo più complesso della Autorizzazione Unica (con relativa attivazione della conferenza dei servizi e conferma dei pareri resi nel corso della prima autorizzazione del progetto) viene generalmente richiesto dalle autorità competenti non con riferimento a qualsiasi modifica delle dimensioni fisiche degli apparecchi, ma bensì soltanto in caso di ampliamento degli impianti. Qualora invece la modifica progettuale sia dovuta al progresso tecnologico – con conseguente decisione del soggetto responsabile di utilizzare macchinari più efficienti aventi la medesima potenza di quelli previsti ma con dimensioni inferiori – la variante è stata generalmente inquadrata dalle autorità competenti come “non sostanziale” e sottoposta alla mera procedura di Procedura Abilitativa Semplificata.

Una ulteriore mancanza di chiarezza del legislatore riguarda poi i casi di variazione della potenza dei progetti. Invero, fatta eccezione per centrali alimentate da biomasse, bioliquidi e biogas, in relazione alle quali il legislatore, all’articolo 5 comma terzo ultimo periodo del Decreto Romani, espressamente stabilisce che “non sono considerati sostanziali i rifacimenti parziali e quelli totali che non modifichino la potenza termica installata”, nessuna indicazione viene data dalla normativa circa le ipotesi di aumento o diminuzione della potenza autorizzata degli impianti. Talvolta infatti alcuni titolari di permessi per la costruzione di centrali alimentate da fonti rinnovabili – pur in assenza di variazioni alle dimensioni dell’impianto, posizionamento e dimensioni delle singole apparecchiature o volumi dell’impianto – decidono di utilizzare macchinari molto più performanti, aumentando così la potenza installata senza modificare il layout autorizzato. L’esperienza ha evidenziato che in questi casi le autorità preposte alla valutazione degli interventi in variante, hanno frequentemente reputato la modifica come “sostanziale” richiedendo agli operatori di procedere con la procedura di autorizzazione più complessa della Autorizzazione Unica con conferenza dei servizi.

Pur offrendo valide soluzioni interpretative, la prassi non può però sempre sopperire a tale mancanza di chiarezza e precisione della normativa e, pertanto, l’auspicio degli operatori del settore è quello di un nuovo intervento del legislatore per completare le disposizioni del Decreto Romani.

1.2  Definizione di variante sostanziale ai sensi della normativa ambientale

In materia di autorizzazioni ambientali (Autorizzazione Integrata Ambientale – “AIA” e Valutazione di Impatto Ambientale – “VIA“) il concetto di varianti sostanziali è generalmente stato trattato in modo più preciso, in quanto è sempre stato riconosciuto dal legislatore che l’introduzione di modifiche sostanziali a progetti autorizzati potrebbe avere un impatto concreto anche sui permessi rilasciati ai sensi della normativa ambientale.

Il Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 n. 152 (“Codice Ambientale“) definisce la “modifica sostanziale di un progetto, opera o impianto” come “la variazione delle caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento dell’impianto, dell’opera o dell’infrastruttura o del progetto che, secondo l’autorità competente, producano effetti negativi e significativi sull’ambiente […]”, e prevede, all’articolo 20, che:

(i) “se il progetto non ha impatti negativi e significativi sull’ambiente, l’autorità compente dispone l’esclusione dalla procedura di valutazione ambientale e, se del caso, impartisce le necessarie prescrizioni”, mentre

(ii) se il progetto ha possibili impatti negativi e significativi sull’ambiente” si applicano le disposizioni relative alla procedura di impatto ambientale previsti dai seguenti articoli da 21 a 28 del Codice dell’Ambiente.

Alla luce di tale normativa è possibile ritenere che, almeno per quanto concerne gli obblighi di screening VIA o di espletamento della procedura di VIA, solamente in presenza di potenziali effetti di alterazione dell’ecosistema o dei principali fattori ambientali – che devono però presentare entrambi i requisiti di significatività e negatività dell’effetto prodotto sull’ambiente – scatta l’obbligo di richiedere nuovamente la valutazione di impatto ambientale.

Sebbene la norma appare chiara nella sua formulazione, occorre tuttavia rilevare come in questo settore la giurisprudenza costante abbia affermato che, al fine di evitare l’elusione del giudizio di compatibilità ambientale, è necessario ricorrere ad una nuova valutazione ambientale (screening VIA o VIA) qualora il progetto presenti modifiche sensibili rispetto al precedente progetto. Inoltre non si può nascondere che le valutazioni circa la “sensibilità” delle modifiche e relative al “possibile impatto ambientale” che avranno sull’ambiente sono soggette all’ampio potere discrezionale[1] della Pubblica Amministrazione – potere difficilmente contestabile – con conseguente utilizzo precauzionale da parte degli operatori di questo settore delle procedure amministrative più complesse al fine di evitare di incorrere nella decadenza delle autorizzazioni e della applicazione delle relative sanzioni.

Alla luce di quanto sopra, data la forte discrezionalità della Pubblica Amministrazione in materia ambientale, anche in questo settore si auspica una maggiore e più completa definizione del concetto di “modifica sostanziale” al fine di semplificare gli iter autorizzativi, sgravare gli operatori da passaggi burocratici spesso superflui e garantire una maggiore certezza delle procedure da seguire per l’approvazione delle varianti progettuali.

1.3  Impatto delle varianti sulla procedura di incentivazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili

Nonostante i summenzionati tentativi del legislatore e della prassi di definire e circoscrivere le casistiche di modifica “sostanziale” e “non-sostanziale”, le incertezze nella corretta individuazione della fattispecie riverberano i loro effetti anche in relazione alle procedure di incentivazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, di competenza del Gestore dei Servizi Energetici (“GSE“).

Il GSE infatti, ai sensi dell’art. 42 del Decreto Romani, è chiamato a valutare la corrispondenza tra la documentazione di progetto inviata dai soggetti responsabili ai fini dell’ottenimento degli incentivi e l’impianto effettivamente realizzato. Qualora poi, ad esito di tale analisi, dovesse riscontrare difformità, il GSE è tenuto a chiedere chiarimenti al soggetto responsabile ed in caso di gravi ed ingiustificate divergenze potrebbe revocare l’incentivo all’impianto esaminato e richiedere altresì la restituzione di qualsiasi somma già percepita a titolo di incentivo.

Consapevole delle difficoltà degli operatori del settore e dovendo lo stesso GSE procedere con la valutazione dei progetti, quest’ultimo ha pubblicato un documento esplicativo delle procedure per l’ottenimento degli incentivi – con riferimento agli impianti alimentati da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico – denominato “Le procedure applicative del Decreto Ministeriale 6 luglio 2012” (il c.d. Decreto FER – datato 24 Agosto 2012), nel quale, al fine di chiarire agli operatori quali variazioni della configurazione degli impianti realizzati sono considerate accettabili ha previsto che:

“le varianti sono ammissibili se rispettano entrambi i seguenti criteri:

  1. criterio di non sostanzialità: la modifica deve essere espressamente valutata come “non sostanziale” dall’ente competente al rilascio dell’autorizzazione. Qualora la modifica sia, invece, sostanziale e, in quanto tale, oggetto di un’autorizzazione in variante, il titolo autorizzativo precedente deve ritenersi decaduto o, comunque, incompleto e, pertanto, inidoneo a soddisfare i requisiti di accesso agli incentivi previsti dal Decreto. L’autorizzazione in variante determinerebbe, inoltre, una posticipazione della data di rilascio del titolo autorizzativo che costituisce un criterio di priorità nella formazione della graduatoria. Una modifica sostanziale, anche se autorizzata, intervenuta successivamente alla data di presentazione della domanda di accesso agli incentivi determina la decadenza della domanda stessa;
  2. criterio del vantaggio: la modifica non deve determinare un vantaggio per il proponente, né in termini di meccanismo di accesso o priorità nella graduatoria, né in termini di tariffa.”

Tuttavia, benché questo chiarimento sia utile e dia ulteriori elementi di certezza agli operatori, il GSE – non potendo legiferare in materia – per qualificare la variazione è costretto a rinviare alla valutazione di “non sostanzialità” del Decreto Romani, ai sensi del quale la relativa competenza spetta all’autorità preposta al rilascio della autorizzazione.

Anche i recentissimi chiarimenti sul punto pubblicati dal GSE sul proprio sito il 23 ottobre scorso ribadiscono piuttosto tautologicamente che:

“Una modifica che comporti la variazione della configurazione dell’impianto rispetto a quella per la quale è stata richiesta l’iscrizione al registro o la partecipazione alla procedura d’asta può ritenersi “non sostanziale” qualora sia espressamente valutata come “non sostanziale” dall’ente competente al rilascio dell’autorizzazione.”

Il GSE ha poi ulteriormente precisato che “il requisito di “non sostanzialità” deve essere documentato mediante esplicita dichiarazione di non sostanzialità delle modifiche apportate al progetto da parte dell’autorità competente al rilascio del titolo autorizzativo originario. Qualora la variante sia stata oggetto di specifico titolo autorizzativo, la non sostanzialità deve essere espressamente dichiarata nel testo del medesimo titolo”, aggravando ulteriormente l’onere di qualificazione della variante.

Quanto invece agli impianti fotovoltaici, il Decreto 5 Luglio 2012 (Quinto Conto Energia) prevede un criterio più stringente in relazione alle varianti in quanto non consente, successivamente alla chiusura dei registri per l’ottenimento degli incentivi, l’integrazione e/o la modifica dei documenti e/o delle informazioni contenute nella richiesta di iscrizione, non risultando dunque prevista, né consentita l’eventuale istanza del Soggetto Responsabile volta a rettificare o completare la richiesta già presentata. Come specificato anche nelle “Regole applicative per l’iscrizione ai registri e per l’accesso alle tariffe incentivanti” pubblicate il 7 Agosto 2012, il GSE “non terrà […] in considerazione eventuali integrazioni e/o modifiche pervenute successivamente alla chiusura del Registro, qualunque sia il canale di comunicazione utilizzato” e pertanto sembrano espressamente escluse tutte le modifiche agli impianti fotovoltaici intervenute in seguito alla fine della procedura di registro, pena la decadenza dal beneficio agli incentivi.

Vi è tuttavia un’ipotesi particolare contemplata dal GSE relativa ai soli casi di riduzione di potenza degli impianti con riferimento ai quali le suddette regole applicative prevedono che il “Soggetto Responsabile che realizzi un impianto di potenza inferiore a quella iscritta ed ammessa al Registro è tenuto a darne comunicazione al GSE prima dell’entrata in esercizio e si intende rinunciatario della quota parte di potenza non installata, purché da tale riduzione di potenza non derivi una variante sostanziale tale da richiedere la modifica del titolo autorizzativo originario che comporta la decadenza dall’iscrizione.”

1.4  Conclusioni

Alla luce di quanto sopra appare inevitabile per gli operatori di settore procedere – in tutti i casi di variazioni rispetto al progetto originariamente approvato – con una richiesta espressa all’ente competente circa la qualificazione della modifica da apportare al progetto e contestuale corretta individuazione del corrispondente iter autorizzativo.

Infatti, in attesa di un chiarimento normativo che non lasci adito a dubbi, la scelta prudenziale di sottoporre al vaglio dell’autorità competente le varianti prospettate sembra l’unica via perseguibile al fine di minimizzare il rischio di vedersi revocare l’autorizzazione concessa o l’incentivo erogato.


[1] Si vedano sul punto: Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 31.5.2012, n. 3254 dove si afferma: “Non può sostenersi pertanto che la valutazione di impatto ambientale sia un mero atto (tecnico) di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, rientrante come tale nelle attribuzioni proprie dei dirigenti, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico – amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) interessi, pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico – sociale) e privati, che su di esso insistono, come tale correttamente affidata all’organo di governo, nel caso di specie la Giunta Regionale”; C.d.S. sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4246; C.d.S. Sez V, 22 giugno 2009 n. 4206; C.d.S. VI, 17 maggio 2006, n. 2851, C.d.S., sez. V, 21 novembre 2007, n. 5910, e C.d.S., sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4245, cit., con la quale è stato evidenziato che “la natura schiettamente discrezionale della decisione finale (e della preliminare verifica di assoggettabilità), sul versante tecnico ed anche amministrativo, rende allora fisiologico ed obbediente alla ratio su evidenziata che si pervenga ad una soluzione negativa ove l’intervento proposto cagioni un sacrificio ambientale superiore a quello necessario per il soddisfacimento dell’interesse diverso sotteso all’iniziativa; da qui la possibilità di bocciare progetti che arrechino vulnus non giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di venir meno, per il tramite di soluzioni meno impattanti in conformità al criterio dello sviluppo sostenibile e alla logica della proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività che deve governare il bilanciamento di istanze antagoniste (cfr. Cons. St., sez. VI, 22 febbraio 2007, n. 933)”.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Elena Macchi
Avvocato esperto in diritto amministrativo
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