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( votes)1. Premesse
E’ entrato in vigore lo scorso 20 ottobre il D.L. n. 179/2012, recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese” (G.U. del 19 ottobre u.s. n. 245 – S.O. n. 194).
Il provvedimento, meglio noto come “Decreto Sviluppo–bis”, si inserisce nell’ambito del percorso a sostegno della crescita avviato dal Governo con il primo “Decreto sviluppo” (D.L. n. 83/2012).
Le novità riguardanti il settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (di seguito “SPL”), oggetto del presente contributo, rappresentano solo un aspetto del più vasto corpus normativo introdotto dal decreto in esame, composto da 39 articoli, raccolti in 10 sezioni, delle quali, in particolare:
– le prime 6 sezioni prevedono interventi volti alla “digitalizzazione” della P.A. nei settori dell’istruzione,della sanità e della giustizia, nonché l’utilizzo della “moneta elettronica”, apportando a tal fine modifiche, tra l’altro, al D.Lgs. n. 82/2005, recante “Codice dell’amministrazione digitale”; sono previsti inoltre sistemi di bigliettazione elettronica ed integrata nel settore del trasporto pubblico locale[1];
- la sezione VII contiene misure di promozione per la ricerca, l’innovazione e le cd. “comunità intelligenti”, integrando, per quanto attiene alle funzioni dell’”Agenzia per l’Italia Digitale”, il primo Decreto Sviluppo (art. 19[2]);
- la sezione VIII reca diversi interventi in campo assicurativo e, in particolare, in tema di responsabilità civile auto (RCA), con l’obiettivo di contrastare le frodi assicurative, garantire una maggiore concorrenza e ridurre il costo delle polizze;
- la sezione IX contiene un’organica disciplina delle imprese innovative, cd. “start-up”, attraverso, tra l’altro, specifiche disposizioni in tema di rapporti di lavoro a tempo determinato;
- la sezione X, infine, introduce ulteriori misure per la crescita del Paese, tra le quali un nuovo intervento in tema di affidamento dei SPL (art. 34, commi 13-18), già incisi dalle conseguenze della sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012, come meglio si esporrà nel prosieguo.
2. La gestione dei SPL dopo la sentenza costituzionale
Fino al recente intervento della Corte Costituzionale, la materia dell’affidamento e gestione dei SPL era ampiamente disciplinata dall’art. 4 D.L. 138/2011, che introduceva al riguardo diverse misure sostanzialmente finalizzate alla riduzione del ricorso alle modalità di affidamento diretto e alla liberalizzazione del mercato.
Tale disciplina è stata travolta, insieme a tutte le modifiche successivamente apportate alla stessa, per effetto sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012 in quanto in larga parte riproduttiva delle norme di cui al precedente art. 23-bis D.L. 112/2008 s.m.i., caducato a seguito del referendum popolare del 12-13 giugno 2011[3].
Stante l’efficacia retroattiva della pronuncia di illegittimità costituzionale, secondo giurisprudenza consolidata, i provvedimenti emanati sulla base dell’art. 4 cit. che siano oggi al vaglio del Giudice amministrativo devono essere annullati, anche in assenza di specifica eccezione di parte.
Il venire meno della disciplina statale generale (art. 4 cit.) comporta la piena applicazione, nell’ambito dell’ordinamento nazionale, della disciplina comunitaria relativa alle regole concorrenziali “minime” in tema di affidamento della gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica[4]. Si tratta dunque dell’interpretazione ed applicazione degli artt. 14, 106, e 345 del Trattato dell’UE.
Si “riespande”, inoltre, la preesistente normativa comunitaria, nazionale e regionale di settore[5].
Le modalità di gestione consentite sono pertanto la gestione diretta e quella semidiretta (in house) alle condizioni individuate dalla giurisprudenza comunitaria, nonché l’affidamento con gara in favore di un gestore terzo o di un gestore socio.
Nessuna conseguenza si ha invece per quanto riguarda le discipline inerenti la distribuzione del gas ed energia elettrica, il servizio idrico integrato e la gestione delle farmacie comunali, in quanto già espressamente escluse dall’applicazione dell’art. 4 cit..
3. Nuove norme in materia di SPL
L’art. 34, comma 13 ss., del D.L. n. 179/2012 interviene sul quadro normativo sopra descritto, presentando una portata, tuttavia, assai più limitata rispetto ai precedenti provvedimenti in materia (da ultimo la riforma dei SPL di cui all’art. 4 del D.L. 138/11, sopra citato). Tale intervento legislativo appare infatti caratterizzarsi per un approccio nuovo, volto a garantire il principio di trasparenza delle decisioni amministrative in materia di affidamento dei SPL e di efficienza delle relative gestioni, piuttosto che proclamare i “classici” obiettivi di liberalizzazione del mercato in questione, nella convinzione di consentire, per questa via, il controllo sulla effettiva conformità di tali decisioni alla vigente normativa in materia[6].
Le nuove disposizione hanno, al contempo, un ambito di applicazione limitato in quanto, sebbene si applichino anche al servizio idrico integrato e al trasporto ferroviario, sono sancite espresse esclusioni[7]. Inoltre, nonostante l’assenza di una “clausola di prevalenza” sulle discipline di settore, sembra che le nuove norme operino su un piano diverso, andando ad integrare in quanto compatibili queste ultime discipline.
3.1. Nuovi adempimenti procedurali.
Il comma 13 dell’art. 34 in commento, “al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori e l’economicità della gestione dei servizi e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento”, pone a carico degli Enti competenti l’obbligo – avente portata generale – di procedere all’affidamento dei servizi in questione sulla base di una specifica relazione (di seguito “Relazione”), da pubblicare sul sito internet dell’Ente affidante, nella quale gli stessi devono motivare adeguatamente la sussistenza, caso per caso, dei requisiti previsti dall’ordinamento comunitario ai fini della legittimità della forma prescelta per l’affidamento del servizio, nonché descrivere le ragioni della scelta effettuata[8].
Nella Relazione citata l’Ente affidante è tenuto altresì a descrivere i contenuti specifici degli obblighi di servizio imposti al gestore e a indicare le eventuali corrispondenti compensazioni economiche da riconoscere allo stesso[9].
Il Decreto in commento, pertanto, introduce un onere procedurale a carico degli Enti affidanti che pare essere preliminare e propedeutico rispetto al legittimo affidamento dei SPL, senza, tuttavia, spingersi sino a prevedere, come avveniva ai sensi del previgente art. 4 D.L. n. 138/2011, limitazioni ulteriori rispetto alle modalità di affidamento consentite dal quadro normativo successivo alla sentenza della Corte Costituzionale, le quali, pertanto, restano quelle previste dall’ordinamento comunitario e specificate dall’eventuale disciplina nazionale di settore.
Si tratta dunque di un limite procedurale “neutrale”, per ciò stesso compatibile con il divieto di riproduzione della normativa abrogata per referendum, che è stato enucleato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 199/2012: a differenza della “delibera quadro”, la Relazione infatti non impone all’Ente di orientare la propria scelta in materia di affidamento secondo un rapporto di regola (“concorrenza nel mercato”) – eccezione (“concorrenza per il mercato”), non manifestandosi in questa sede più alcun favor verso un sistema di liberalizzazione piena dei servizi, né la deliberata riduzione delle ipotesi in house[10].
Sebbene l’obbligo procedurale in questione si riferisca genericamente a tutti gli affidamenti di SPL, è però ragionevole ritenere che la preoccupazione del legislatore sia rivolta in particolare agli affidamenti diretti, in primis in house. E’ infatti proprio nel caso degli affidamenti diretti che si pone il problema di garantire “la parità tra gli operatori e l’economicità della gestione dei servizi e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento” – di cui all’incipit del comma 13 in commento –, principi che lo strumento della procedura ad evidenza pubblica di per se stesso dovrebbe invece garantire, senza necessità di una apposita relazione.
Come avveniva nel caso della “delibera quadro” prevista dal previgente art. 4 D.L. 138/2011, pertanto, si ha l’impressione che la predetta Relazione trovi ragione principale nell’esigenza pratica di giustificare e “monitorare” il mancato ricorso da parte dell’Ente alla procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento del servizio e quindi la scelta dell’in house.
Il testo in commento è, tuttavia, lacunoso laddove non indica quali siano le sanzioni per l’Amministrazione in conseguenza della mancata adozione della Relazione. Trattandosi di un obbligo di legge e tenendo conto della ratio ad esso sottesa, sembra ragionevole ritenere che la Relazione costituisca un requisito di legittimità dello stesso affidamento.
Ciò che con certezza può affermarsi comunque è che la Relazione non è sottoposta al vaglio di autorità terze (come previsto in passato circa il parere dell’AGCM[11]) e che, avendo la stessa carattere decisionale (poiché inerisce alla scelta di una data forma di affidamento), si configura quale provvedimento amministrativo impugnabile dai contro interessati.
Il nuovo decreto all’art. 34, comma 13, pone a carico degli Enti competenti l’obbligo di affidare i servizi pubblici locali sulla base di una specifica relazione, nella quale gli stessi devono motivare la sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento comunitario ai fini della legittimità della forma di affidamento prescelta, nonché descrivere le ragioni della scelta effettuata.
3.2. Regime degli affidamenti in essere
Il successivo comma 14 dell’articolo in commento reca una disciplina specifica riguardante gli affidamenti dei SPL in essere alla data di entrata in vigore del decreto (20/10/2012), prevedendo, relativamente a tali affidamenti, a carico degli Enti affidanti:
i) l’obbligo di predisporre e pubblicare, entro il 31.12.2013, la Relazione descritta al paragrafo che precede, che in tal caso avrà, però, la funzione di motivare il mantenimento dell’affidamento in essere (e non la scelta di un nuovo affidamento);
ii) l’obbligo di inserire, entro il 31.12.2013, nei contratti di servizio o, comunque, negli atti che regolano il rapporto con i gestori, un termine di scadenza dell’affidamento, qualora lo stesso non sia già stato previsto, pena la cessazione dell’affidamento alla data del 31.12.2013.
La nuova disposizione pare voler porre rimedio alla notevole incertezza normativa ingenerata dalle molteplici riforme in materia di SPL varate nell’ultimo quadriennio e dalla disciplina transitoria ivi prevista, poi travolte dal referendum e dalla sentenza costituzionale sopra menzionata. In tale ottica, la funzione della Relazione è dunque quella di un riesame dei rapporti in corso nell’ottica della trasparenza e a beneficio della certezza dei rapporti giuridici.
Il continuo restyling normativo ha indotto, infatti, in molti casi – in particolare nel settore del TPL – gli Enti pubblici affidanti a disporre proroghe degli affidamenti in essere. Tali proroghe hanno assunto le forme più svariate: si è trattato di proroghe cd. “tecniche”, aventi durata limitata (annuale, semestrale o, addirittura, mensile) ovvero di ordinanze contingibili e urgenti (è il caso del settore dei rifiuti) o, ancora, di proroghe “tacite” (dovute alla prosecuzione in via di fatto del servizio), giustificate dall’esigenza di non interrompere l’erogazione dei servizi nelle more della predispone degli adempimenti previsti dalle leggi vigenti (si pensi alle incertezze relative al contenuto della “delibera quadro” e del parere dell’AGCM) e dell’espletamento della gara o, comunque, dell’individuazione del nuovo gestore[12].
A questa situazione di incertezza il legislatore ha quindi ritenuto opportuno porre rimedio senza, tuttavia, incidere nuovamente sulla disciplina transitoria, imponendo nuove scadenze, bensì richiedendo agli Enti affidanti di provvedere “una volta per tutte” ad integrare il provvedimento amministrativo di affidamento o il contratto di servizio in essere o, comunque, a “regolarizzare” la prosecuzione in via di fatto del servizio mediante la previsione espressa di un termine di durata, ove mancante, decorso il quale l’affidamento deve dirsi naturalmente cessato.
La mancata indicazione di un termine di durata è sanzionata dal comma 14 con la cessazione ex lege dell’affidamento alla data del 31.12.2013[13].
Le nuove norme non consentono, tuttavia, agli Enti affidanti di gestire ad libitum il termine di cessazione degli affidamenti di competenza, dovendo gli stessi uniformarsi a quanto eventualmente previsto dalle norme comunitarie e nazionali vigenti disciplinanti il regime transitorio.
Nel caso delle concessioni di servizi di TPL, ad esempio, la “data di scadenza” che dovrà essere prevista dall’Ente ai sensi delle nuove norme non potrà superare i limiti temporali al riguardo fissati dal Regolamento CE 1370/2012 che all’art. 8 è chiaro nel sancire il termine ultimo della fase transitoria al 3/12/2019[14].
Inoltre, occorre tenere presente che la consolidata giurisprudenza comunitaria e nazionale è assai restrittiva nell’ammettere la possibilità di rinnovo automatico o proroga degli affidamenti diretti. Anche in caso di concessione di servizi il Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. n. 163/2006) dispone che la scelta del concessionario debba avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato dell’Unione Europea, quali quelli di trasparenza, pubblicità, non discriminazione[15].
Per gli affidamenti in essere, il nuovo Decreto stabilisce l’obbligo per gli Enti affidanti:
a) di predisporre e pubblicare la relazione entro il 31.12.2013;
b) di inserire, entro il 31.12.2013, nei contratti di servizio e/o negli altri atti regolanti il rapporto con il gestore, un termine di scadenza dell’affidamento, qualora non previsto, pena la cessazione dell’affidamento stesso alla data del 31.12.2013.
3.2.1 Previsioni specifiche per le società quotate
Anche nel nuovo decreto le società quotate sono meritevoli di un regime differenziato, in ragione delle esigenze connesse alla tutela del risparmio e alla considerazione delle garanzie di trasparenza proprie di tali mercati.
In particolare il comma 15 dell’art. 34 in esame riguarda gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1°/10/2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e alle società da queste controllate[16].
In tali casi la cessazione dell’affidamento è stabilita nella data di scadenza prevista nel contratto di servizio, sulla base evidentemente di esigenze di tutela degli azionisti, ovvero, nel caso in cui non sia prevista una data di scadenza espressa, nella data del 31/12/2020. Anche in tal caso la cessazione ha chiara funzione sanzionatoria come sopra meglio precisato.
Gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1/10/2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e alle relative società controllate cessano alla data di scadenza prevista nel contratto di servizio ovvero, nel caso in cui non sia prevista una data di scadenza espressa, al 31/12/2020.
4. L’organizzazione dei servizi a rete in bacini ottimali
Il Decreto in commento, all’art. 34, comma 16, interviene sull’art. 3-bis del D.L. n. 138/11 in materia di organizzazione dei SPL a rete in bacini o ambiti ottimali. Ai sensi dell’art. 3-bis citato, le regioni e le Province autonome organizzano lo svolgimento di tali servizi “definendo il perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio e istituendo o designando gli enti di governo degli stessi“. La dimensione dei bacini deve essere “di norma non inferiore almeno a quella del territorio provinciale”. L’art. 3-bis fa comunque salva la possibilità per le regioni di individuare ambiti diversi, d’accordo con i comuni interessati, nonché l’organizzazione dei servizi in ambiti o bacini territoriali ottimali che sia già prevista dalle discipline di settore vigenti[17].
La sentenza della Corte sopra citata, pur non investendo direttamente l’art. 3-bis in questione, sembrava averne sminuito la portata concreta: le misure dirette ad incentivare l’organizzazione dei SPL in ambiti o bacini territoriali ottimali erano infatti funzionalmente e temporalmente connesse al percorso di liberalizzazione dei servizi disciplinato dall’ormai decaduto art. 4 D.L. n. 138/2011.
Il legislatore, invece, con il D.L. 179/2012 ribadisce la portata vincolante dell’art. 3-bis aggiungendovi un nuovo comma (1-bis) secondo cui le procedure per il conferimento della gestione dei servizi “sono effettuate unicamente per ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei dagli enti di governo istituiti o designati”[18].
Tale precisazione appare volta ad evidenziare che l’organizzazione dei bacini o ambiti ottimali di cui all’art. 3-bis cit., lungi dal riguardare unicamente l’ambito della programmazione del servizi, viene ad incidere direttamente sulla concreta definizione delle procedure di affidamento degli stessi con le seguenti conseguenze:
- sul piano oggettivo, oggetto dell’affidamento devono obbligatoriamente essere gli ambiti o bacini territoriali, come definiti ai sensi del comma 1 dell’art. 3-bis cit., precludendo, pertanto, la possibilità di esperire procedure diverse per servizi che risultino essere organizzati entro il medesimo bacino, nonché precludendo – pare – la possibilità stessa di esperire le procedure di affidamento prima della definizione dei bacini ottimali, le quali si configurerebbero in quest’ottica come propedeutiche all’affidamento del servizio;
- sul piano soggettivo, le procedure di affidamento dei servizi devono essere esperite dagli enti di governo dei bacini a tal fine istituiti o designati[19].
Inoltre, dal combinato disposto del comma 13 sopra descritto e del comma 16 dell’art. 34 in oggetto è desumibile che il soggetto chiamato a predisporre la Relazione sia proprio l’Ente d’ambito o di bacino.
La norma sopra descritta pare incidere anche sulla concreta definizione dei lotti di gara, laddove, ad esempio, sussistano bacini definiti su base provinciale e si intenda esperire una procedura di affidamento dei servizi su base regionale.
Il D.L. n. 179/2012 ribadisce la portata vincolante dell’art. 3-bis D.L. 138/2011, aggiungendovi un nuovo comma (1-bis) secondo cui le procedure per il conferimento della gestione dei servizi “sono effettuate unicamente per ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei dagli enti di governo istituiti o designati”.
5. Ulteriori novità per il settore del trasporto pubblico locale
Il nuovo Decreto, all’art. 34, comma 17, infine, abroga l’art. 53-bis, comma 1, lett. b) del D.L. n. 83/2012 (“Decreto Sviluppo”), norma che introduceva l’obbligo per gli Enti affidanti, nel determinare le compensazioni dovute alle aziende che erogano i servizi di trasporto pubblico regionale e locale su gomma a fronte degli obblighi di servizio assolti, di tenere “in adeguata considerazione l’ammortamento degli investimenti effettuati, che dovrà essere osservato dagli enti affidanti anche nella quantificazione dei corrispettivi da porre a base d’asta previsti nel bando di gara o nella lettera d’invito“.
L’abrogazione espressa della norma sembra doversi ricondurre alla sopravvenuta illegittimità costituzionale della riforma dei servizi pubblici locali di cui all’art. 4 D.L. 138/2012, nel cui ambito la norma stessa si collocava.
[1] Gli obiettivi dell’intervento governativo sono esplicitati all’art. 1, comma 1, del decreto, ai sensi del quale “Lo Stato promuove lo sviluppo dell’economia e della cultura digitali, definisce politiche di incentivo alla domanda di servizi digitali e favorisce l’alfabetizzazione informatica, nonché la ricerca e l’innovazione tecnologiche, quali fattori essenziali di progresso e opportunità di arricchimento economico, culturale e civile.”.
[2] L’art. 19, in particolare, disciplina le procedure di aggiudicazione che l’Agenzia deve osservare, con riguardo alle diverse tipologie di progetti, prevedendo, ad esempio, che per i progetti aventi ad oggetto le attività di ricerca finalizzate allo sviluppo di un servizio o di un prodotto innovativo l’Agenzia provveda mediante appalti precommerciali, aggiudicati dall’Agenzia ai sensi dell’art. 3, comma 34, D.Lgs. n. 163/2006, quale centrale di committenza della regione o della diversa amministrazione pubblica competente alla relativa gestione.
[3] Tra i diversi motivi di impugnativa proposti dalle Regioni, il motivo più ricorrente, poi condiviso dalla Consulta, risiede nella riproposizione delle norme oggetto dell’abrogazione referendaria e delle relative disposizioni attuative, in violazione del divieto di riproposizione desumibile dall’art. 75 della Costituzione (recante la disciplina del referendum popolare abrogativo) e con conseguente lesione indiretta delle competenze costituzionali attribuite alle Regioni in materia di servizi pubblici locali.
[4] Era, del resto, quanto osservato dalla Corte Costituzionale nella precedente sentenza n. 24/2011, sia pure con riguardo all’abrogazione dell’art. 23-bis D.L. 112/2012.
[5] Nel caso, ad esempio, dei rifiuti, trova applicazione l’art. 202 del Codice dell’ambiente, che è stato richiamato dall’art. 25, comma 2-bis del D.L. n. 1/2012, attraverso un “rinvio recettizio”, ai sensi del quale: “Per la gestione ed erogazione dei servizi di gestione integrata dei rifiuti urbani sono affidate ai sensi del’art. 202 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e nel rispetto della normativa europea e nazionale sull’evidenza pubblica, le seguenti attività: …”.
[6] In favore di un simile approccio si era espressa l’ANCI (Prime osservazioni sull’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica alla luce della sentenza della Corte costituzionale del 20 luglio 2012, n. 199), che osservava come “Il principio di base si identifica nel ritenere che, qualsiasi forma di gestione venga individuata, resta ferma e imprescindibile la necessità di una sana e corretta gestione economico-finanziaria, che deve garantire una qualità elevata dei servizi ed i necessari investimenti nelle reti e negli impianti” .
[7] Ai sensi del comma 18 dell’art. 34 in commento, “I commi da 13 a 15 non si applicano al servizio di distribuzione di gas naturale, di cui al decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, il servizio di distribuzione di energia elettrica, di cui al decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 e alla legge 23 agosto 2004, n. 239, nonché la gestione delle farmacie comunali, di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 475. Restano inoltre ferme le disposizioni di cui all’articolo 37 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134. [in tema di gare per distribuzione gas naturale ed energia elettrica]”
[8] Ai sensi del comma 13 citato, “Per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l’affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell’ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste.”.
[9] L’obbligo della Relazione in questione non costituisce una novità per il settore del TPL, essendo già previsto dall’art. 7 del Regolamento (CE) 1370/2007, ai cui sensi le autorità competenti all’affidamento dei servizi sono tenute a:
1) pubblicare annualmente una relazione esaustiva in merito agli obblighi di servizio pubblico, agli operatori del servizio pubblico prescelti e alle compensazioni e i diritti di esclusiva ad essi concessi a titolo di rimborso;
2) pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale della Unione Europea, almeno 1 anno prima dell’inizio della procedura di gara o dell’aggiudicazione diretta del contratto di servizio, alcune informazioni in ordine al predetto contratto, tra cui la modalità di affidamento prevista e i servizi e territori potenzialmente interessati dall’aggiudicazione;
3) pubblicare sulla GUCE, entro un anno dall’aggiudicazione diretta di servizi di trasporto ferroviario, ulteriori informazioni specifiche;
4) trasmettere, quando è richiesto da una parte interessata, la motivazione della decisione di affidare in maniera diretta i servizi.
[10] La disciplina ex art. 4 D.L. n. 138/2011 è ritenuta infatti dalla Corte riproduttiva della norma abrogata in quanto “non solo contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house, al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, ma è anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dell’abrogato art. 23-bis e di molte disposizioni del regolamento attuativo” (sentenza n. 199/2012).
[11] Occorre tuttavia precisare che resta salvo il potere dell’AGCM di impugnare i provvedimenti di qualsiasi P.A. che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato, ai sensi dell’art. 21-bis L. n. 287/1990.
[13]Tale cessazione ha tuttavia chiara funzione sanzionatoria dell’inadempimento imputabile all’Ente per la mancata previsione di un termine di scadenza (naturale) dell’affidamento; e in questo senso si distingue dai precedenti regimi transitori che prevedevano al riguardo una serie di “scadenze” ravvicinate cui si ricollegava una vera e propria cessazione ex lege degli affidamenti in essere non conformi alle nuove norme, operanti a prescindere da apposita delibera degli Enti affidanti.
Anche in tal caso, dunque, la norma in esame non si spinge sino a regolare il regime transitorio degli affidamenti in essere, a differenza di quanto avvenica con l’art. 4 D.L. 138/2011 (e, in precedenza, con l’art. 23-bis D.L. n. 112/2011).
[14] Al fine di chiarire le modalità ed i termini entro cui possono essere mantenuti gli attuali affidamenti diretti sarebbe pertanto auspicabile un intervento del legislatore nazionale. Nel caso del TPL, ad esempio, il legislatore nazionale potrebbe individuare le misure di conformazione graduale alle modalità di affidamento stabilite a regime dall’art. 5 del Regolamento stesso (l’adozione di tali misure da parte di ciascuno Stato membro è peraltro espressamente disposta dall’art. 8, par. 2 del Regolamento cit.).
[15] In particolare cfr. art. 30 del Codice e Commissione europea, Comunicazione interpretativa sulle concessioni nel diritto comunitario, 2000/C 121/02, ove si legge che la durata della concessione deve essere tale da non restringere o limitare la libera concorrenza più di quanto sia necessario per ammortizzare gli investimenti e remunerare i capitali investiti in misura ragionevole, pur mantenendo sul concessionario il rischio derivante dalla gestione.
[16] Ai sensi del citato comma, “Gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data, e a quelle da esse controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto; gli affidamenti che non prevedono una data di scadenza cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante, il 31 dicembre 2020.”.
[17] Ed è noto che sia per il gas che per i servizi idrici, i rifiuti e i trasporti esistono norme statali e regionali che da tempo prescrivono l’organizzazione per ambiti o bacini.
[18] L’art. 3-bis non prevede la “prevalenza” delle disposizioni in esso contenute sulle disposizioni di settore incompatibili, ciò potrebbe condurre all’applicazione del “principio di specialità” in base al quale le norme speciali o di settore prevalgono su quelle generali, anche se posteriori. Nel caso del TPL, ad esempio, la disciplina di settore prevede che siano conferiti alle Regioni tutti i compiti di programmazione e di amministrazione, tra i quali, espressamente, quelli relativi all’individuazione della rete e dell’organizzazione dei servizi (artt. 6 e 14 del D.Lgs. n. 422/1997). Ai sensi dell’art.117, par. 4, della Costituzione, inoltre, la competenza legislativa in materia di trasporto spetta alle Regioni. Resta pertanto dubbio che l’art. 3-bis, ivi compresa la novità ora introdotta, trovi applicazione ai settori del SPL laddove esista una disciplina settoriale speciale e prevalente. Sarebbe opportuno, tuttavia, un chiarimento legislativo.
[19] Le norme qui si intrecciano con quelle che hanno soppresso gli ATO (art. 2, comma 186-bis, della legge n. 191/1999) ed quindi con le successive leggi settoriali che dettano regole per le modalità di organizzazione.