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L’art. 21 – octies della legge 241/90 dispone che sia annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. I primi due vizi indicano la difformità dell’atto rispetto alla relativa disciplina normativa. L’eccesso di potere  indica, in parte, l’ipotesi di superamento dei limiti del potere che la legge riconosce all’Amministrazione. Tale definizione è quella originaria connessa all’adozione della legge del 31 marzo 1889, n. 5992 istituiva della IV Sezione del Consiglio di Stato, alla quale fu attribuita una competenza generale per le controversie tra privati e Autorità.

Il giudice amministrativo ne ha individuato, nel tempo, la fattispecie, nella contrarietà allo spirito della legge (cfr.  decisione del 7 gennaio 1892, n. 3), ossia nello sviamento del potere, ovvero, nella difformità tra lo scopo legale e lo scopo reale del provvedimento. Successivamente, nel XX secolo, l’eccesso di potere è stato connesso al vizio della volontà, al difetto di formazione del volere dell’amministrazione, al difetto rispetto allo scopo di interesse pubblico a cui dovrebbe tendere. L’eccesso di potere si può qualificare come vizio della funzione e quindi come uso non corretto del potere discrezionale dell’Amministrazione.

Dottrina e giurisprudenza hanno redatto classificazioni al fine di identificare le figure sintomatiche dell’eccesso di potere, le medesime, nel tempo, sono state ridimensionate e l’eccesso di potere si è trasformato in una violazione di principi generali tanto da non più intendersi come un vizio a cognizione indiretta.

L’eccesso di potere consiste nella violazione di quel complesso di norme da cui è possibile ricavare i limiti del potere dell’amministrazione ed è la figura più importante tra i vizi di legittimità in quanto è un vizio relativo al potere esercitato dall’attività dell’amministrazione (definita come l’attività mediante la quale gli organi della P.A. provvedono alla cura degli interessi pubblici ad essi affidati).

A questo punto occorre introdurre l’articolo 1 della legge 241/90 che afferma: “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario” e l’articolo 2 del Dlgs. 163/2006 che recita: L’affidamento e l’esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l’affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice”:

La figura della irragionevolezza  – figura di eccesso di potere –  è connessa ad un  vizio del provvedimento mediante il quale il giudice riesce a valutare le scelte discrezionali dell’amministrazione presumendo  l’inopportunità delle medesime.  La figura della irragionevolezza esprime un esercizio non funzionale e congruo del potere amministrativo.  Da tale figura generale discendono altre fattispecie: contraddittorietà tra motivazione e dispositivo – con conseguente  procedimento non corretto di formazione della volontà; contraddittorietà con un precedente provvedimento – mancando una linea di continuità costituita dal complesso di atti attraverso cui si svolge la funzione; travisamento di un fatto che si assume erroneamente esistente quale presupposto del provvedimento – con conseguente sviamento dal fine pubblico; insufficienza della motivazione; disparità di trattamento – mancanza di imparzialità; ingiustizia grave e manifesta; mancanza di idonei parametri di riferimento.

Alcuni esempi di sindacato del giudice sotto il profilo della ragionevolezza in materia di appalti.

Il giudice amministrativo ben può sindacare le valutazioni compiute dalla pubblica amministrazione sotto il profilo della logicità, della ragionevolezza e della congruità dell’istruttoria al fine di verificare la presenza delle relative figure sintomatiche di eccesso di potere. Il Consiglio di Stato con sentenza 27/06/2011 n. 3862 si è espresso, trattando l’analisi del procedimento sull’anomalia, come segue:  “Il giudice può anche considerare i singoli elementi o voci dell’offerta, ma non già al fine di valutarne l’eventuale anomalia, bensì solo come elementi concreti suffraganti la verifica della suddetta sussistenza dei profili di completezza dell’istruttoria, nonché di ragionevolezza e logicità della valutazione effettuata dalla pubblica amministrazione”.

In tema di ragionevolezza e logicità è utile fare riferimento ai requisiti partecipativi alla gara i quali non devono risultare sproporzionati, irragionevoli, rispetto all’oggetto del contratto, al fine di non  risolversi in una non giustificata limitazione, nell’accesso alla gara, della platea dei possibili concorrenti, con chiara violazione dell’art. 42 comma 3 del d.lgs. 163/06 – secondo cui le informazioni sulla capacità tecnica e professionale dei fornitori e dei prestatori dei servizi non possono eccedere l’oggetto dell’appalto. Il richiedere, ad esempio, l’effettiva disponibilità di una sede o di un ufficio, nel territorio alla data di presentazione della domanda, senza consentire all’impresa di organizzarsi all’esito della vittoriosa partecipazione, “equivarrebbe a riservare la gara stessa alla sole imprese che già operano nel territorio, in palese violazione delle disposizioni comunitarie” (così viene affermato dal T.A.R. Sicilia, sede Palermo, sez. III, 24 settembre 2010, n. 10824, e dal  T.A.R. Abruzzo, sede L’Aquila, 11 febbraio 2010, n. 88); analogamente, è illegittima per irragionevolezza e contrasto con i principi comunitari di massima tutela della concorrenza tra imprese, il bando che impone ai partecipanti una prescrizione che non sia utile ai fini della individuazione del miglior contraente dal momento che “si determina un indubbio favoritismo per i pochi (o unici) soggetti che già sono presenti in quel preciso ambito territoriale” (come viene precisato sul tema dal Consiglio di  Stato sez. V, 22 giugno 2010, n. 3887).

L’indicazione di uno o più criteri di valutazione (eventualmente ulteriori rispetto a quelli fissati in via esemplificativa dal codice degli appalti pubblici) rientra in ogni caso nelle scelte discrezionali delle amministrazioni appaltanti che non sono sindacabili dal giudice amministrativo se non quando il criterio sotteso a tali scelte appaia inficiato da profili di macroscopica irragionevolezza, illogicità (come viene affermato nell’ambito della pronuncia del Consiglio Stato, Sez. V, 16 giugno 2010 n. 3806 e 16 febbraio 2009 n. 837). Irragionevole è anche la scelta dell’amministrazione che escluda la partecipazione congiunta di imprese, le quali possono individualmente partecipare alla gara in considerazione della loro capacità produttiva e della loro dimensione, al fine di non incorrere in eccesso di potere (TAR Palermo, Sezione I – Sentenza 07/03/2007 n. 750).

Contraddittorietà. Alcuni esempi di sindacato del giudice in materia di appalti sotto il profilo della contraddittorietà, di difetto di motivazione, il travisamento di un fatto, ingiustizia manifesta.

Quando l’amministrazione emette un atto che è incompatibile con uno emesso precedentemente si ravvisa una contraddittorietà. Il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà sussiste in presenza di un provvedimento che presenti incongruenze rispetto a precedenti valutazioni della stessa Autorità emanante o nel caso di manifestazioni di volontà che si pongono in contrasto fra di loro.

Il Consiglio di Stato, con la decisione n. 6094 della sez. V del 6 ottobre 2009, ha avuto modo di chiarire gli elementi di distinzione tra l’eccesso di potere per contraddittorietà e l’eccesso di potere per illogicità della motivazione. La contraddittorietà postula necessariamente un contrasto tra più provvedimenti o tra più disposizioni di uno stesso provvedimento mentre, allorché si discuta della coerenza delle modalità attuative di un determinato provvedimento, si dovrà parlare di illogicità.

Il potere discrezionale della stazione appaltante di prescrivere adeguati requisiti per la partecipazione alle gare per l’affidamento di appalti pubblici, è soggetto ai limiti connaturati alla funzione affidata alle clausole del bando, volte a prescrivere i requisiti speciali. In tal senso si è espresso il TAR Lazio, Roma in data 1/6/2011 con sentenza n. 4984: “La stazione appaltante non può poi derogare, in sede di gara, al puntuale accertamento preliminare di tali requisiti, prodromici alla stessa competizione concorsuale tra le imprese aspiranti, tanto più, ove tali requisiti siano richiesti a pena di esclusione”.

Il provvedimento di espulsione da una gara d’appalto costituisce atto vincolato rispetto alla clausola del bando che indica le modalità di presentazione dei documenti a pena di esclusione, in quanto in sede di aggiudicazione di contratti con la p.a., la stazione appaltante è tenuta ad applicare in modo rigoroso le clausole inserite nella lex specialis relative ai requisiti, formali e sostanziali, di partecipazione ovvero alle cause di esclusione. L’aver adottato disposizioni, inserite in un bando, poi disattese, costituisce una contraddittorietà rispetto alle precedenti valutazioni. Il principio di certezza dei rapporti giuridici deve caratterizzare ogni pubblica selezione e nella ipotesi in cui una causa di esclusione non sia espressamente contemplata nella lex specialis di gara, è precluso, in sede amministrativa o giurisdizionale, desumerla in via interpretativa. In caso di assenza di una espressa previsione e comminatoria di esclusione, infatti, non è consentito al giudice amministrativo di sovrapporre le proprie valutazioni a quelle dell’amministrazione che ha predisposto la lex specialis, dato che il cd. criterio teleologico ha un valore esclusivamente suppletivo rispetto a quello letterale” (come ha indicato il Tar Lazio, Latina, sentenza del 10 ottobre 2011, n.792).

La motivazione assunta e resa nota nel processo valutativo, ad esempio, di una proposta tecnica ha un ruolo necessario nella costituzione dell’iter logico adottato. La mera attribuzione dei punteggi non è sufficiente a far comprendere con chiarezza le ragioni per cui sia stato assegnato un punteggio maggiore a talune offerte e minore ad altre. Per assolvere correttamente – così  indicato dal C.d.S., Sez. V, 29 novembre 2005 n. 6759; Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 08.03.2012 n° 1332 – al dovere di motivazione, è necessario che, oltre al punteggio numerico, sia espresso un giudizio motivato, con il quale la commissione rende comprensibile le ragioni del punteggio attribuito. La definizione di parametri valutativi deve avvenire a monte della gara e la stesura del bando è considerata il momento unico per inquadrare tutti i criteri e i loro pesi ponderali. Ciò per tutelare anche il principio della trasparenza ed evitare il rischio che tali criteri motivazionali siano declinati secondo una valutazione a posteriori (Autorità per la vigilanza sui  contratti pubblici si è cosi espressa con parere del 18 aprile 2012, n. 65).

Infine è possibile fare un riferimento all’uso di marchi commerciali ed al processo di equivalenza ponendo lo stesso come possibile causa di eccesso di potere.

“Nel rispetto del principio della più ampia partecipazione alle gare finalizzato alla ponderata e fruttuosa scelta del miglior contraente, si esclude espressamente, tranne ove sia giustificato dal particolare oggetto dell’appalto, la possibilità di indicare marchi o tipi specifici di produzione, a meno che il riferimento ad un prodotto non sia necessario al fine di descrivere dettagliatamente le caratteristiche che il bene offerto deve possedere. In questo caso è obbligatorio fare ricorso al concetto di equivalenza, con la conseguenza che, in caso di omissione dell’inciso, il bando risulterebbe in parte illegittimo. Il principio dell’ “equivalenza” si ricava dalla lettera dell’art. 68 del codice degli appalti, ove è prescritto che i documenti del contratto, quali il bando di gara, il capitolato d’oneri o i documenti complementari, devono dettagliatamente indicare le specifiche tecniche richieste, senza però individuare una specifica fabbricazione o provenienza” (da sentenza numero 59 del 14 settembre 2011 pronunciata dal Tar Valle d’Aosta, Aosta). La stazione appaltante, in presenza di offerte equivalenti, deve pertanto verificare la sussistenza dei requisiti descritti al fine di effettuare la valutazione dell’offerta (come ha anche affermato il T.A.R. Sicilia Catania, sez. II, 06 marzo 2009, n. 486).

Il Tar Sardegna, Cagliari, sez. I, 17.02.2009, n. 197 ed il Tar Lombardia Milano, sez. I. 19.05.2009, n. 3758, si sono espressi in termini volti ad evidenziare che l’offerta di uno strumento non conforme alle prescrizioni del bando, non può essere ritenuto equivalente, senza incorrere, nel rischio di eccesso di potere. La mancata corrispondenza degli strumenti offerti rispetto a quelli richiesti nel  bando, creerebbe un ingiustificato vantaggio per la ditta che offre attrezzature di minore portata rispetto a quanto richiesto dal bando, poiché il minor costo di tali attrezzature non corrispondenti alle prescrizioni del capitolato andrebbe a influenzare il punteggio attribuito all’offerta economica più vantaggiosa, alla quale però non corrispondono le richieste caratteristiche qualitative della strumentazione richiesta.

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Questo articolo è stato scritto da...

Beatrice Corradi
Dott.ssa Beatrice Corradi
Dirigente del Servizio Provveditorato, Affari generali e Gruppi Consiliari del Consiglio regionale della Liguria
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