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( votes)Il Consiglio dei Ministri di fine ottobre ha introdotto un nuovo strumento di democrazia diretta. Oltre a referendum, iniziativa popolare legislativa e petizione popolare potremmo aggiungere la consultazione pubblica. Si applicherà nell’ambito della realizzazione delle opere di interesse strategico: i cittadini di una comunità potranno esprimere il proprio parere sull’opportunità dell’opera che interessa il proprio territorio. Tale istituto ha riscontri positivi in altri Paesi europei come la Francia dove prende il nome di “debat public”. Per una comunità significa rendersi responsabile delle opportunità di crescita e di sviluppo e l’opera pubblica così approvata ci permettiamo di definire come “opera popolare”.
“La consultazione pubblica – scrive Palazzo Chigi – permetterà di verificare preliminarmente la percorribilità di un progetto e consentirà alle popolazioni coinvolte di valutare e conoscere nel dettaglio le scelte riguardanti la realizzazione e localizzazione delle grandi opere infrastrutturali”. Nello stesso testo si annuncia che la consultazione “non sarà vincolante per il decisore pubblico”. E’ qui che sorgono i dubbi sulla totale bontà dello strumento. Si pensa al referendum con il legislatore che può a posteriori ribaltare la decisione della consultazione popolare. Viene facile pensare che anche in questi casi il tutto si possa esaurire in una formalità senza valore dove potrebbe finire per prevalere l’influenza politica.
Aspetto più tecnico riguarda il momento in cui scatterà la procedura di assegnazione dell’appalto. Nel comunicato si dice che il sistema consentirà alla popolazione di ” valutare e conoscere nel dettaglio le scelte”. Per decidere sarà necessario conoscere tutti gli aspetti del progetto, si presume dunque anche di costi, tempi, o nomi delle imprese che si propongono di eseguire i lavori. Elementi che vengono alla luce nella fase finale della gara d’appalto. Evidentemente nei bandi di gara sarà necessario introdurre una clausola “previa consultazione popolare”. Insomma il nobile tentativo di democratizzare le opere di interesse strategico potrebbe innescare situazioni che vanificherebbero il principio della semplificazione che non si riesce ad intravedere.
Nella stessa seduta del C.d.M. sono state proposte novità più concrete, a tutela delle imprese che eseguita l’opera si trovano a vivere quell’antipatica situazione che passa con il nome di “ritardi di pagamento”. Con Decreto Legislativo il Governo ha recepito la direttiva europea 2011/7.
Alle imprese, prevede il Decreto, “sono assicurati termini certi di pagamento: di norma trenta giorni, che non possono comunque superare i sessanta, consentiti solo in casi eccezionali”. In tempi di grande incertezza nei rapporti tra privati, non era possibile perpetrare una situazione che vedeva proprio le PPAA tra le parti inadempienti nei confronti di imprese che magari hanno investito tutte le proprie risorse economiche per la realizzazione di un’opera o per la prestazione di un servizio, finendo per trovarsi in condizioni di insolvibilità. Creditori e insolventi. Quando il ritardo di pagamento dovesse comunque verificarsi “il decreto prevede una maggiorazione del tasso degli interessi legali moratori, che passa dal 7% all’8% in più rispetto al tasso fissato dalla BCE per le operazioni di rifinanziamento”.
La disciplina del decreto legislativo si applicherà ai contratti conclusi a partire dal 1° gennaio 2013. A PPAA e imprese è stato concesso il tempo per adeguarsi alle nuove norme, per adottare procedure operative e contabili per prassi di pagamento rapido.
In attesa di approfondire le novità introdotte dal Governo, ci occupiamo di eccesso di potere nell’attività amministrativa contrattuale, novità in tema di servizi pubblici locali con il decreto sviluppo bis, frazionamento in lotti di gara funzionali. E tanto ancora.