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( votes)APPALTI PUBBLICI DI FORNITURE E NEI SERVIZI
1 INTRODUZIONE. NOZIONE GENERALE.
L’appalto e’ un contratto commutativo. L’entita’ oggettiva delle prestazioni delle Parti e’ sempre determinata o, comunque, determinabile sulla base di elementi certi.
Altra caratteristica dell’appalto e’ quella di essere di norma un contratto ad esecuzione prolungata. Questa peculiarita’ comporta che prima che l’esecuzione venga ultimata, possono presentarsi difficolta’ o sopraggiungere eventi che non erano stati previsti al momento genetico, tali da rendere potenzialmente piu’ onerosa la prestazione a carico dell’appaltatore.
La circostanza che sia connaturata all’appalto una certa alea economica, non deve farlo confondere con la categoria dei contratti aleatori che si caratterizzano perche’ nel momento della loro conclusione, e’ incerto se sara’ dovuta la prestazione di una delle Parti o, quantomeno, la sua entita’ oggettiva.
Entro certi limiti, infatti, il rischio di un maggior o minor costo della prestazione resta definitivamente a carico della Parte che l’abbia subito.
Tuttavia, superati determinati limiti che siano imprevedibili al momento genetico del rapporto, l’ordinamento interviene riequilibrando le prestazioni a carico dell’appaltatore, tramite l’istituto della “revisione prezzi”.
L’istituto della revisione prezzi presenta pero’ caratteristiche molto diverse a seconda che si tratti di un appalto pubblico o privato.
Nell’ambito degli appalti pubblici, occorre poi distInguere a secondo che si tratti di un appalto pubblico di forniture e servizi o di un appalto di lavori.
In questa prima parte del presente lavoro, premessa la regola posta dal codice civile a disciplina dell’appalto in generale, per ragioni di spazio, ci occuperemo unicamente della revisione prezzi negli appalti di servizi e forniture, rinviando al prossimo numero della Rivista l’approfondimento in materia di revisione prezzi nei lavori pubblici.
2 LA REGOLA CODICISTICA.
Secondo la regola generale posta dal codice civile (art. 1664, 1 comma) il diritto alla revisione del prezzo dell’appalto sorge qualora si verifichi una variazione del costo della mano d’opera o dei materiali, che abbia carattere di imprevedibilita’ e superi il decimo del prezzo complessivo convenuto.
In altre parole, come detto sopra, l’ordinamento pone a carico delle Parti un’alea economica che resti nei limiti anzidetti. Questo “rischio” non e’ tuttavia tale da modificare la natura dell’appalto che e’ -e resta- un contratto commutativo.
La norma, analogamente alla previsione dell’art. 1467 del codice civile (che regola l’ipotesi della eccessiva onerosita’ sopravvenuta nei contratti a prestazioni corrispettive), vuole disciplinare il fenomeno della “sopravvenienza” che caratterizza i contratti di durata, ad esecuzione differita o prolungata.
Secondo questa impostazione, tutti gli eventi che al momento genetico dell’obbligazione contrattuale, sono ragionevolmente prevedibili e possono incidere sull’economia del contratto, restano a carico della Parte che ne subisce le conseguenze.
E’, infatti, solo l’evento che al momento della stipulazione del contratto era imprevedibile secondo la diligenza dell’appaltatore medio, che puo’ dare titolo al riconoscimento alla revisione dei prezzi.
Il comma secondo del richiamato art. 1664, discipina poi la c.d. “sorpresa geologica”. Quando, nel corso dell’esecuzione dell’appalto, si manifestino difficolta’ di esecuzione non previste originariamente dalle Parti, derivanti da difficolta’ geologiche, idriche o simili, e tali impedimenti rendano notevolmente piu’ onerosa la prestazione dell’appaltatore, quest’ultimo ha diritto ad un equo compenso.
In merito alla portata di tale previsione, la Cassazione (sez. I, sent. n. 387 del 26-01-1985), ha chiarito che il disposto dell’art. 1664, secondo comma, cod. civ. “si riferisce solo a difficoltà di esecuzione sopravvenute, derivanti da cause geologiche, idriche e simili, che rendano più onerosa la prestazione dell’appaltatore, quindi tale norma […] non può trovare applicazione per quelle provocate da sopravvenienze oggettive di tipo diverso, sebbene produttive di effetti identici o analoghi, come il fatto del terzo ed il “factum principis” o mere lungaggini burocratiche”.
La revisione del prezzo si ritiene applicabile tanto all’appalto di lavori che a quello di fornitura e servizi. In particolare, per quanto riguarda i servizi, il diritto alla revisione del prezzo matura contrattualmente in ragione del corrispondente incremento del costo dei servizi appaltati. La domanda di revisione del costo dei servizi appaltati, varra’ anche ai fini del riconoscimento dell’aumento che si sia verificato anteriormente alla richiesta di revisione medesima.
3 GLI APPALTI PUBBLICI.
Negli appalti pubblici, la revisione prezzi e’ sempre stata caratterizzata da una disciplina di carattere speciale e, quindi, derogatoria rispetto a quella, generale, del codice civile.
In generale, si puo’ dire che, a differenza della disciplina codicistica, la revisione prezzi quale e’ disciplinata dalla normativa speciale, si applica a prescindere dalla prevedibilita’ o meno delle circostanze che hanno determinato le variazioni dei fattori di produzione.
Dunque: come abbiamo detto al paragrafo che precede, la disciplina ordinaria tende a disciplinare la “sopravvenienza” dell’aumento o della diminuzione dei costi della mano d’opera o dei materiali nella misura in cui tale variazione sia superiore al decimo del corrispettivo previsto o, al piu’, nei limiti della c.d. “sorpresa geologica” che abbia determinato un aumento di “notevole” entita’. Entro questi limiti, si ha una alea economica che resta a carico della Parte che la subisce.
Invece, la ratio della normativa speciale dettata per gli appalti pubblici e’ quella di operare i dovuti riconoscimenti economici in favore dell’appaltatore a prescindere da una loro prevedibilita’ al momento genetico dell’obbligazione contrattuale. Cio’ al fine di evitare che un eccessivo sacrificio dell’appaltatore, possa riflettersi in un ritardo nel compimento dell’opera.
Insomma: l’intento del legislatore degli appalti e’ tradizionalmente quello di privilegiare la tempestiva realizzazione dell’opera a prescindere dalla prevedibilita’ o meno della variazione dei fattori della produzione e dalla loro entita’.
4 IN PARTICOLARE: LA REVISIONE PREZZI NEI SERVIZI E NELLE FORNITURE. LA DISCIPLINA SPECIALE.
A) La disciplina previgente al Codice dei Contratti Pubblici.
A differenza del settore dei lavori pubblici – che e’ da sempre disciplinato da numerose fonti speciali -, il settore delle forniture e dei servizi e’ stato per decenni privo di una disciplina unitaria.
B) La ricognizione delle leggi speciali/1. il R.D.L. 13 giugno 1940 n. 901.
Operando una rassegna della legislazione speciale in ambito forniture e servizi, e’ necessario ricordare il R.D.L. 13 giugno 1940 n. 901 che disciplinava la “revisione dei prezzi nei contratti di pubbliche forniture”.
L’articolo 1, prevedeva la facolta’, in capo alle amministrazioni dello Stato, di rivedere e di modificare i prezzi dei contratti stipulati precedentemente alla entrata in vigore del RDL in commento, per forniture di durata superiore a sei mesi, quando si fossero verificate variazioni maggiori del 10 per cento nel prezzo complessivo della fornitura (salvo maggiori percentuali eventualmente previste nei contratti), a condizione che nei relativi contratti fosse prevista la possibilita’ di procedere alla revisione prezzi.
C) La ricognizione delle leggi speciali /2. L’art. 33 comma 5 della legge 28 febbraio 1986 n. 41
Il legislatore interveniva poi nella materia con l’art. 33 comma 5 della legge 28 febbraio 1986 n. 41 che estendeva le disposizioni previste per i lavori anche al settore delle forniture e dei servizi.
Il Consiglio di Stato (Sez. I, par. n. 583 del 13-04-1988, Presidenza del Consiglio dei Ministri), aveva interpretato la nuova disciplina prevista dall’art. 33 della legge 28 febbraio 1986 n. 41, nel senso che “il legislatore non ha inteso modificare il principio applicabile ai contratti di fornitura, secondo cui può procedersi alla revisione soltanto nel caso che tali contratti contengano la relativa clausola di revisione dei prezzi”.
D) La ricognizione delle leggi speciali /3. L’art. 33 comma 5 della legge 28 febbraio 1986 n. 41
Il legislatore tuttavia interveniva nuovamente, negando, stavolta, ogni possibilita’ di applicazione della revisione prezzi.
Infatti, in virtu’ delle modifiche apportate al citato articolo 33 comma 2 ad opera dell’articolo 3 del decreto legge 11 luglio 1992 n. 333 (convertito, con modificazioni, in legge 8 agosto 1992 n. 359), il legislatore manifestava la propria contrarieta’ alla revisione prezzi disponendo espressamente che “per i lavori relativi ad opere pubbliche da appaltarsi, da concedersi o da affidarsi dalle Amministrazioni e dalle Aziende dello Stato, anche con ordinamento autonomo, dagli enti locali o da altri enti pubblici, non e’ ammessa la facolta’ di procedere alla revisione dei prezzi”. Come detto, in virtu’ del comma 5 dell’art. 33 (che restava immutato), la disciplina stabilita per i lavori veniva parimenti traslata anche al settore delle forniture e dei servizi.
E) La ricognizione delle leggi speciali /4. Il comma 4 dell’articolo 6 della legge 24 dicembre 1993 n. 537.
Successivamente, il legislatore nazionale mutava nuovamente la propria volonta’ normativa ed apriva un’altra volta alla revisione prezzi.
Relativamente alle forniture ed ai servizi, il comma 4 dell’articolo 6 della legge 24 dicembre 1993 n. 537 (“interventi correttivi di finanza pubblica”) disponeva, infatti, espressamente che: “tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili della acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui al comma 6 (ossia i dati evincibili da ricerche effettuate dall’ISTAT anche avvalendosi delle Camere di Commercio, Industria, artigianato ed agricoltura, Ndr)”.
F) La portata dell’applicazione della revisione prezzi. A quali soggetti si applica?
In virtu’ del disposto del comma 1 del richiamato art. 6, la norma trovava applicazione nei confronti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2 del D. Lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 (“razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego”).
A sua volta, il comma 2 del citato articolo 1, stabilisce che “per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale”.
In merito alla portata della norma, la giurisprudenza costante ne ha affermato l’imperativita’ e la non derogabilita’ da parte dei privati.
Ad esempio Cons. di Stato Sez. V, 20 agosto 2008 n. 3994, ha affermato: “ l’art. 6 della legge n. 537/1993 è considerato dalla unanime giurisprudenza norma imperativa, non suscettibile di essere derogato pattiziamente. La sua finalità primaria è quella di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non possano col tempo subire una diminuzione qualitativa a causa della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte.
Quindi, va condivisa l’affermazione secondo cui le disposizioni negoziali contrastanti con la disposizione legislativa non solo sono colpite dalla nullità ai sensi dell’art. 1419 cod. civ., ma sostituite de iure, ex art. 1339 cod. civ., dalla disciplina imperativa di legge.
[…] La pretesa dell’appaltatore alla revisione presenta le caratteristiche tipiche del diritto soggettivo. Pertanto, non è configurabile l’acquiescenza, riguardante l’accettazione degli effetti di provvedimenti amministrativi sfavorevoli. Né risulta che l’impresa interessata abbia mai manifestato la volontà di rinunciare al proprio diritto alla revisione.
Non costituisce indice di questa volontà la circostanza che l’interessata abbia incassato, senza riserve, le somme offerte dall’amministrazione in asserita applicazione della clausola revisionale.
È appena il caso di aggiungere, poi, che l’eccepita acquiescenza non potrebbe derivare nemmeno dalla circostanza che la richiesta di revisione sia stata formulata dalla parte interessata solo dopo la scadenza del contratto”.
G) La disciplina vigente: l’articolo 115 del Codice degli Appalti. L’interpretazione costante della giurisprudenza amministrativa quale norma imperativa insuscettibile di deroga pattizia.
Il disposto del comma 1 dell’articolo 6 della legge 537 del 1993 e’ stato recepito dall’articolo 115 del D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (d’ora innanzi “Codice degli Appalti Pubblici” od anche semplicemente “Codice”).
L’art. 115 citato prevede testualmente che “tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e srvizi sulla base dei dati di cui all’art. 7, comma 4, lettera c) e comma 5”.
Sulla base dei principi gia’ affermati dalla giurisprudenza nell’ambito dell’articolo 6 della legge 537/1993, il Cons. di Stato Sez. V, 2 novembre 2011 n. 6709, relativamente all’articolo 115 del Codice, ha recentemente ribadito come “lo scopo primario della norma, confermata dall’art. 115 del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, è chiaramente quello di tutelare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni o servizi da parte degli appaltatori delle amministrazioni pubbliche non subiscano col tempo una diminuzione qualitativa a causa degli aumenti dei prezzi dei fattori della produzione, incidenti sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta, con conseguente incapacità del fornitore di far fronte compiutamente alle stesse prestazioni. Inoltre, come anche in tal caso la Sezione ha già avuto modo osservare, il riferimento normativo alla clausola revisionale non attribuisce alle parti ampi margini di libertà negoziale, ma impone di tradurre sul piano contrattuale l’obbligo legale, definendo anche i criteri e gli essenziali momenti procedimentali per il corretto adeguamento del corrispettivo (cfr. la cit. dec. n. 3994 del 2008). In quest’ottica, è evidente la non conformità alla previsione legislativa della cadenza biennale della revisione, nonché del porre a carico dell’appaltatore le variazioni dei prezzi per il secondo anno contrattuale e quelle ricadenti entro la pattuita alea contrattuale del 10%”.
In senso conforme, anche C.G.A.S., 18 novembre 2009 n. 1106 che testualmente cosi’ afferma: “devesi, innanzi tutto rilevare che dalla documentazione agli atti […] si evince agevolmente che il contratto di servizio de quo è stato stipulato il 22 agosto 2006 e registrato il successivo 1 settembre 2006, cioè successivamente all’entrata in vigore del codice dei contratti (1 settembre 2006), il cui art. 115 – norma di carattere imperativo, di tipo cogente e di natura inderogabile – fissa, appunto, l’obbligo di inserimento della clausola di revisione periodica dei prezzi in tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture. Ne consegue che la contraria previsione pattizia, inserita nell’art. 4 del contratto, secondo cui “la revisione dei prezzi non è ammessa in conformità della legislazione vigente”, deve ritenersi come non apposta, in quanto nulla per contrasto con norma imperativa.
Invero, come correttamente affermato dai primi giudici, nella specie si applicano i principi civilistici degli artt. 1339 c.c.(“inserzione automatica di clausole”) e 1419 c.c. (“nullità parziale” e “utile per inutile non vitiatur”)”.
Tuttavia, sono sorte da ultimo questioni interpretative in ordine alla portata soggettiva della disposizione.
In particolare, il TAR Lazio, 13 aprile 2010 n. 6655, ha negato l’applicabilita’ dell’articolo 6 della legge 537 del 1993 e dell’art. 115 a Poste Italiane SpA.
Osserva infatti il TAR Lazio nella citata sentenza che “a mente del comma 1 dello stesso articolo (6 comma 4 della legge 537/1993, Ndr), si applica unicamente alle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e integrazioni”. Sulla base di questo presupposto, il TAR giunge alla conclusione che trattandosi di “impresa pubblica” ovvero di “societa’ per azioni a totale partecipazione pubblica”, P.I. non rientrerebbe tra i soggetti destinatari della citata norma in materia di revisione prezzi.
La sentenza e’ stata appellata. In attesa del pronunciamento del Consiglio di Stato, si puo’ per il momento commentare dicendo che la sentenza citata non convince. Se, infatti, la revisione prezzi e’ (come afferma la giurisprudenza costante e sopra sinteticamente riportata) a presidio della stessa amministrazione che, altrimenti, potrebbe veder pregiudicato il proprio interesse alla realizzazione dell’opera, il diritto al suo riconoscimento dipendera’ non dalla natura del soggetto appaltante, quanto dal contratto d’appalto posto in essere e sottoscritto dalle Parti.
Se in Consiglio di Stato prevarra’ un’interpretazione sostanziale, basata sulla natura del contratto e sulla ratio della revisione prezzi in ambito appalti pubblici, non c’e’ dubbio che l’istituto in commento trovera’ applicazione a tutti i contratti di appalto, a prescindere dalla natura della stazione appaltante.
H) La determinazione del compenso revisionale
Circa la quantificazione della revisione prezzi, la legge (sia nel testo attuale dell’articolo 115 del Codice dei Contratti pubblici che nella precedente previsione dell’articolo 6, comma 4 della legge n. 537 del 1993) prevede che il riconoscimento e’ frutto di una verifica che deve essere operata dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi.
L’art. 115 del Codice prevede che tale verifica debba essere condotta sulla base dei dati di cui all’articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5.
La verifica e’ rimessa all’Osservatorio che, anche avvalendosi delle sezioni regionali, determina annualmente costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura in relazione a specifiche aree territoriali, “facendone oggetto di una specifica pubblicazione, avvalendosi dei dati forniti dall’ISTAT, e tenendo conto dei parametri qualità – prezzo di cui alle convenzioni stipulate dalla CONSIP, ai sensi dell’articolo 26, legge 23 dicembre 1999, n. 488”.
Il comma 5 prevede poi che per determinare i “costi standardizzati” di cui sopra, l’ISTAT, avvalendosi, ove necessario, delle Camere di commercio, “cura la rilevazione e la elaborazione dei prezzi di mercato dei principali beni e servizi acquisiti dalle amministrazioni aggiudicatrici, provvedendo alla comparazione, su base statistica, tra questi ultimi e i prezzi di mercato. Gli elenchi dei prezzi rilevati sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, con cadenza almeno semestrale, entro il 30 giugno e il 31 dicembre”.
Con riferimento ai prodotti e servizi informatici, laddove la natura delle prestazioni consenta la rilevazione di prezzi di mercato, dette rilevazioni sono operate dall’ISTAT di concerto con il Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione di cui al decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39.
La giurisprudenza del Giudice amministrativo in tali casi fa rinvio all’indice FOI, ossia all’indice di variazione dei prezzi per le famiglie di operai e di impiegati.
Infatti, poiche’ il meccanismo previsto dalla legge non ha ancora trovato piena applicazione, la giurisprudenza fa ricorso all’indice FOI per la determinazione della variazione prezzi. A tale riguardo, basti ad esempio citare da ultimo T.A.R. Campania Napoli Sez. I, 22 febbraio 2012, n. 925, nella cui parte motiva e’ dato infatti leggere: “secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (ex ceteris, Consiglio di Stato, Sez. V, 9 giugno 2008, n. 2786; 14 dicembre 2006, n. 7461; 16 giugno 2003, n. 3373; 8 maggio 2002, n. 2461), cui anche questa Sezione ha aderito (TAR Campania, Sez. I, 21 dicembre 2011, n. 6002) e dal quale non vi sono motivi per discostarsi, poiché la disciplina legale dettata dall’articolo 6, commi 4 e 6, della L. n. 537 del 1993, non è mai stata attuata nella parte in cui prevede l’elaborazione, da parte dell’I.S.T.A.T., di particolari indici concernenti il miglior prezzo di mercato desunto dal complesso delle aggiudicazioni di appalti di beni e servizi, rilevate su base semestrale, la lacuna può essere colmata mediante il ricorso all’indice F.O.I.: parametro quest’ultimo che non esime la stazione appaltante dal dovere d’istruire il procedimento (tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, al fine di esprimere la propria determinazione discrezionale), ma segna il limite massimo oltre il quale non può spingersi la determinazione del compenso revisionale bensì può farsi, semmai, questione di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (TAR Campania, Napoli, sez. I, 6002/11 cit.).