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( vote)1) La partecipazione alle gare pubbliche di società partecipate dall’ente appaltante
Il tema del potenziale conflitto di interessi (e della tutela della trasparenza e par condicio) nel caso in cui l’ente appaltante debba valutare un’offerta proveniente da un soggetto di cui la stessa stazione appaltante detenga una partecipazione azionaria qualificata o di controllo, si è posto sovente all’attenzione dei giudici amministrativi.
Due recenti casi giurisprudenziali offrono lo spunto per un confronto tra orientamenti più o meno restrittivi, sul crinale tra la tutela della concorrenza da un lato e quella della trasparenza, dall’altro, che ha trovato chiara espressione normativa anche nel nuovo codice dei contratti pubblici, nel criterio del conflitto di interessi, che assurge a valore fondativo della legislazione nazionale sulla contrattualistica pubblica, tanto quanto quello della concorrenza lo è a livello comunitario.
La sentenza n. 524, emessa dalla I Sezione del TAR Campania (Salerno) il 6 aprile 2018 traccia un parallelo fra la partecipazione di una società in house alla gara indetta dall’ente controllante ed il “conflitto di interesse” di cui all’art. 42 D.Lgs. n. 50/2016, per determinare l’esclusione dalla gara ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. d) del medesimo Codice dei Contratti.
Il collegamento fra il “conflitto di interesse” e l’esclusione dalla gara discende da un’interpretazione estensiva dell’art. 42 del codice dei contratti pubblici recante, appunto, la nozione di “conflitto di interesse”, in senso pro-concorrenziale.
Secondo l’art. 42 D.lgs. n. 50/2016 “Le stazioni appaltanti prevedono misure adeguate per contrastare le frodi e la corruzione nonché per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni, in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici.”
Il secondo comma dell’art. 42 qualifica la nozione di “conflitto di interesse“, individuando tale fattispecie “quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione previste dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62”.
Infine il codice dei contratti pubblici sanziona espressamente il conflitto di interesse con l’esclusione dalla gara, giacché l’art. 80, comma 5, stabilisce che: “Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, … qualora: … d) la partecipazione dell’operatore economico determini una situazione di conflitto di interesse ai sensi dell’articolo 42, comma 2, non diversamente risolvibile; …”.
Nel caso concreto, il TAR campano ravvisa un conflitto di interessi quando la stazione appaltante ha collegamenti societari con uno dei concorrenti alla gara pubblica, specificando che si tratta di “elementi rilevabili nella partecipazione (diretta o indiretta) alla società che partecipa alla procedura pubblica, così come nella capacità dell’ente locale appaltante di influenzare le decisioni strategiche della società con direttive impartite agli amministratori”.
In particolare, nel caso esaminato, il conflitto di interesse ravvisato dal TAR sarebbe da considerarsi “non risolvibile” – secondo la definizione data dall’art. 80, comma 5 D.lgs. n. 50/2016, giacché non è stato menzionato nelle dichiarazioni dei partecipanti/concorrenti, concludendo che la stazione appaltante ha il dovere di escludere il concorrente dalla procedura di gara.
Si tratta – è doveroso rammentarlo – di una sentenza per la quale risulta essere stato interposto appello e, quindi, il presente commento si concentrerà sulla linea interpretativa seguita dai giudici di merito, per ipotizzare possibili scenari nel caso in cui l’interpretazione del TAR dovesse riflettersi in altre pronunce di simile oggetto.
Altro pregio della sentenza è proprio quello di aver focalizzato l’attenzione su una problematica di ampia portata, collazionando e sintetizzando un’ampia pagina giurisprudenziale in materia.
2) La questione esaminata dal TAR Campania
La gara oggetto di scrutinio da parte del TAR era un accordo quadro, di durata triennale, per l’installazione e smontaggio di illuminazioni artistiche per una rassegna cittadina da svolgersi a Salerno.
Alla gara aveva partecipato – e vinto – anche un RTI costituendo, del quale faceva parte una società interamente posseduta da altra società holding, che, a sua volta, detiene una partecipazione in joint venture con altra società partecipata indirettamente dal Comune stazione appaltante nella gara di che trattasi.
Secondo il TAR, “il Comune di Salerno (Stazione appaltante) e la Iren S.p.A. (unica proprietaria della aggiudicataria Iren Energia S.p.A.) – attraverso società interamente possedute (la Salerno Energia Holding S.p.A. e la Iren Mercato S.p.A.) – sono soci, rispettivamente per il 48,82% e per il 50%, nella Salerno Energia Vendite S.p.A. Dai “Patti parasociali tra Salerno Energia Holding S.p.A. e Iren Mercato S.p.A. relativi a Salerno Energia Vendite S.p.A.” – versati in atti dalla ricorrente – emerge, tra l’altro, che “le Parti, ciascuna per quanto di propria competenza, faranno sì che: (a) la Società sia amministrata da un Consiglio di Amministrazione composto da cinque membri, di cui due (fra cui sarà scelto il Presidente) nominati su designazione di SEH ed i restanti tre (fra cui l’Amministratore Delegato…) nominati su designazione di IME …; (b) il Consiglio di Amministrazione della Società nomini, su indicazione di IME, un Amministratore Delegato munito di pieni poteri di gestione ad eccezione dei poteri riservati dallo Statuto alla competenza esclusiva del Consiglio di Amministrazione …; (c) la Società assuma un Direttore … nominato dal Consiglio di Amministrazione su indicazione del suo Presidente nominato su designazione di SEH”.
Inoltre, esaminando le visure camerali ed i patti parasociali emergono – secondo il TAR – altri indizi di una cointeressenza di fatto – non dichiarata in sede di domanda di partecipazione [nel D.G.U.E. la Iren Energia ha dichiarato di non essere «a conoscenza di qualsiasi conflitto di interessi legato alla sua partecipazione alla procedura di appalto (articolo 80, comma 5, lett. d del Codice)»], e comunque non “risolvibile” ai fini di cui al richiamato art. 80, co. 5, c.c.p. – tra il Comune appaltante e la (unica proprietaria della) Società aggiudicataria, che avrebbe dovuto determinarne l’esclusione, non potendosi in astratto escludere il rischio di distorsioni nell’azione amministrativa svolta e nei poteri esercitati.
Tali elementi consistono nel rafforzamento del controllo della capogruppo, sulle sue controllate, attraverso la nomina degli Amministratori e la formulazione degli indirizzi sulle politiche di mercato.
L’autonomia patrimoniale delle società controllate, secondo il TAR “nulla ha a che vedere con il profilo sostanziale – e affatto distinto – del possibile vulnus alla imparzialità dell’Amministrazione nella duplice veste di socio (di minoranza) della società proprietaria dell’aggiudicataria e di Stazione appaltante. … Qualora ricorrano dette condizioni, la concorrente deve dichiarare la cointeressenza di fatto, condizione che deve essere dichiarata dalla concorrente medesima e che attiva la causa di esclusione prevista dall’art. 80, comma 5, lett. d), d. lgs. n. 50/20162.
Ne consegue che “il complesso quadro sopra delineato – sia quanto agli assetti proprietari, sia sotto il profilo del concreto atteggiarsi dei poteri nell’ambito delle società interessate – fa dunque ritenere inverata la situazione di potenziale conflitto tra gli interessi di cui l’Amministrazione è portatrice nello svolgimento delle funzioni di Stazione appaltante e quelli che deve esprimere nella qualità di socio; conflitto al quale il diritto interno e quello eurounitario fanno corrispondere la sanzione espulsiva, in una prospettiva schiettamente proconcorrenziale”.
3) La portata dell’interpretazione estensiva dell’art. 80, comma 5 e dell’art. 42 del codice dei contratti pubblici
Il giudice amministrativo ha optato, nel caso di specie, per una lettura estensiva delle norme evocate dalla sentenza, qualificando come “conflitto di interessi” una compartecipazione dei soggetti controllanti in una terza società, seppure indifferente e non concorrente alla gara di che trattasi. Allo stesso tempo, l’interpretazione dell’aspetto sanzionatorio è risultata alquanto rigida, non considerando l’inciso – pur presente nel codice – della “risolvibilità” del potenziale conflitto.
Si rammenta che secondo l’art. 42, comma 2 D.lgs. n. 50/2016, non tutte le “cointeressenze” tra concorrente e stazione appaltante costituiscono ex se “conflitto di interesse”, ma solo quelle in cui “il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione previste dall’art. 7 del Decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62”.
Allorché si verifichino tali casi, secondo l’art. 42, comma 3 “il personale … è tenuto a darne comunicazione alla stazione appaltante, ad astenersi dal partecipare alla procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni. …”
Quanto ai casi di astensione obbligatoria, ex art. 7 D.P.R. n. 62/2013, “il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza.”
In altre parole, al di là dei possibili casi di interazione fra “personale” (o, meglio, “personale con potere decisionale”) della stazione appaltante e della società concorrente, lo stesso codice dei contratti pubblici tende ad applicare con estrema cautela le norme sul “conflitto di interessi”, giungendo a prevedere – da un lato – in modo assai analitico i casi in cui si ravvede un indice di conflittualità e – dall’altro lato – una possibile way out attraverso l’astensione del “personale” in situazione di conflitto.
A tale interpretazione, del resto, sembra accedere anche l’art. 7 D.P.R. n. 62/2013, allorché prevede la stessa possibilità di astensione negli altri casi di conflitto di interessi da essa disciplinati.
Nello stesso senso, poi, dovrebbe essere letta la norma in esame, anche alla luce di un criterio interpretativo finalistico: la ratio dell’art. 42, infatti, è quella di tutelare la concorrenza. Nel fare ciò, si prevede l’uscita dalla gara di tutte le persone i cui interessi potrebbero confliggere con il principio di concorrenzialità ed ampia partecipazione: ma se la norma venisse applicata in maniera indiscriminata, arrivando ad escludere qualsiasi concorrente che si trovi in una situazione di potenziale conflitto, probabilmente si otterrebbe il risultato opposto rispetto alle finalità pro-concorrenziali propugnate dal medesimo art. 42 D.lgs. n. 50/2016.
Dal canto suo, l’art. 80, comma 5, lett. d) D.lgs. n. 50/2016, nel medesimo solco interpretativo, non commina automaticamente la sanzione espulsiva all’operatore economico che si trovi in una situazione di conflitto di interesse (ai sensi del citato art. 42); l’esclusione, infatti, si applica solo nei casi in cui la situazione “non è diversamente risolvibile”.
Cosa intenda, in concreto, l’art. 80 non è di immediata evidenza, essendo rimesso all’interprete: esso certamente postula un subprocedimento di accertamento “in concreto” del potenziale conflitto e l’apertura ad eventuali “soluzioni” che il concorrente potrà adottare (rectius, dimostrare di aver adottato), per non compromettere il buon esito del confronto competitivo; tra esse, evidentemente, anche l’astensione dei soggetti in posizione conflittuale, così come definita dall’art. 42.
E che le cause di esclusione previste dall’art. 80 – con riferimento ai conflitti di interesse e, più in generale, alle situazioni lesive della concorrenza – debbano essere esaminate e valutate “in concreto” lo ha ricordato recentemente la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza della Sez. VI, 8 febbraio 2018, nella causa C-144/17, ove afferma (in relazione all’esclusione, prevista dall’art. 38 D.lgs. n. 163/2006 in caso di collegamento societario fra concorrenti) che “occorre ricordare che la Corte ha già rilevato che i raggruppamenti di imprese possono presentare forme e obiettivi variabili, e non escludono necessariamente che le imprese controllate godano di una certa autonomia nella gestione della loro politica commerciale e delle loro attività economiche, in particolare nel settore della partecipazione a pubblici incanti. I rapporti tra imprese di un medesimo gruppo, infatti, possono essere disciplinati da disposizioni particolari atte a garantire tanto l’indipendenza quanto la segretezza in sede di elaborazione di offerte che vengano presentate contemporaneamente dalle imprese in questione nell’ambito di una medesima gara d’appalto (sentenza del 19 maggio 2009, Assitur, C-538/07, EU:C:2009:317, punto 31). Il rispetto del principio di proporzionalità richiede quindi che l’amministrazione aggiudicatrice sia tenuta a esaminare e valutare i fatti, al fine di accertare se il rapporto sussistente tra due entità abbia esercitato un’influenza concreta sul rispettivo contenuto delle offerte depositate nell’ambito di una medesima procedura di aggiudicazione pubblica, e la constatazione di una simile influenza, in qualunque forma, è sufficiente affinché le suddette imprese possano essere escluse dalla procedura (v., in tal senso, sentenza del 19 maggio 2009, Assitur, C-538/07, EU:C:2009:317, punto 32). Ne risulta, nella fattispecie, che il mero fatto che delle offerte come quelle di cui al procedimento principale siano state sottoscritte dalla stessa persona, … non può giustificare la loro esclusione automatica dall’appalto pubblico in questione. … Pertanto, il diritto dell’Unione osta a che i sindacati … siano automaticamente esclusi dalla gara d’appalto di cui al procedimento principale per il solo motivo che le loro rispettive offerte sono state sottoscritte dal procuratore speciale del rappresentante generale per l’Italia … Spetta, tuttavia, al giudice del rinvio assicurarsi che le offerte in questione siano state presentate in maniera indipendente da ciascuno …”.
3) Il vulnus pregiudiziale sull’“autonomia” della P.A.
La vicenda in commento, al di là del caso concreto, rappresenta una situazione emblematica che suscita interesse, ove comparata ai frequenti casi di partecipazione delle società miste a gare indette dalla stazione appaltante, controllante della parte pubblica.
Tale scenario non è contraddetto, ma anzi è incentivato dall’art. 5 del Codice dei contratti pubblici – soprattutto se letto come endiadi, insieme all’art. 4 D.lgs. n. 175/2016 – allorché prevede che solo gli affidamenti in house costituiscano un’eccezione al principio generale di affidamento dei contratti pubblici attraverso confronti competitivi.
L’art. 5 del Codice non vieta alle società miste, che non possiedano i requisiti normativi per essere qualificate in house, di partecipare alle gare indette dall’ente controllante; tale partecipazione, dunque, deve ritenersi ammessa.
Per altro verso, l’art. 4 comma 4 del D.lgs. 175/2016 (testo unico sulle società partecipate) obbliga esclusivamente le società in house a prestare le loro attività a favore dell’ente controllante (e non le società costituite in forma di partenariato pubblico privato, di cui alla lettera c) del medesimo art. 4 comma 2), come si desume dal riferimento alle attività di cui alle lettere a), b), d) ed e) del comma 2 (“4. Le società in house hanno come oggetto sociale esclusivo una o più delle attività di cui alle lettere a), b), d) ed e) del comma 2. Salvo quanto previsto dall’articolo 16, tali società operano in via prevalente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti”).
La normativa in esame tutela dunque il principio costituzionale della trasparenza e del buon andamento, in giusto contemperamento con i principi di autonomia della P.A., richiedendo una verifica attenta e puntuale delle situazioni che possono determinare un conflitto di interessi in concreto “irrisolvibile”, al fine di precludere la partecipazione alla gara della società coinvolta.
Per quanto concerne il caso esaminato dalla sentenza, dalla ricostruzione in fatto non è dato evincere se sia stata effettuata una indagine volta a verificare in concreto l’esistenza del conflitto di interesse – o le misure adottate per rimuoverlo -, ovvero la effettiva compromissione dell’interesse pubblico. Né è dato desumere se la compartecipazione di “terzo livello” (cioè, della controllante della concorrente in una società terza, unitamente alla stazione appaltante che – a sua volta – agiva mediante una società controllata) possa effettivamente aver creato un vulnus al principio di libera concorrenza, influenzando la procedura di aggiudicazione.
Ciò che balza all’immediata evidenza è proprio la conseguenza, per le società partecipate, di un’eventuale espansione del principio contenuto nella sentenza che – per la sua articolazione sillogistica – è suscettibile di essere applicato ad ampio raggio, in tutti i casi in cui – ad esempio – una stazione appaltante, che è anche controllante di una società mista pubblico-privata, mette in gara attività che, astrattamente, potrebbero essere svolte anche da una propria società partecipata, o da una società partecipata controllata di “secondo livello”. In tali casi, infatti, il soggetto pubblico-stazione appaltante dovrebbe “sdoppiare” il suo ruolo, bilanciando (tramite opportune scelte di astensione) la sua qualità di committente e quella di socio controllante o socio partecipante.
5) Il diverso orientamento del TAR Toscana
In conclusione, si vuole dare voce anche ad un’interpretazione giurisprudenziale di merito, difforme rispetto da quella data dal TAR Campania.
La sentenza del TAR Toscana, Sez. I, n. 328 del 28 febbraio 2018, infatti, in un caso che presenta molte analogie con quello campano – ma esamina una fattispecie che, per molti versi, potrebbe apparire più delicata in termini di conflitto di interessi – giunge a conclusioni opposte a quelle della sentenza in commento.
Il caso deciso dal TAR Toscana riguarda una procedura di project financing a proposta spontanea, per l’efficientamento energetico di un sistema di illuminazione pubblica comunale; il TAR, anche sulla base della giurisprudenza comunitaria, non ravvede alcun conflitto di interesse nella partecipazione alla procedura, di un’impresa controllata di “secondo livello”: tutto dipende dal caso concreto, cioè se si manifesta una concreta compromissione dell’interesse pubblico all’ordinato (e trasparente) svolgimento della gara.
L’interpretazione del TAR Toscana offre, dunque, una visione diversa del problema, salvaguardando l’identità stessa (oltre all’interesse) delle società partecipate che, altrimenti, si ritroverebbero irrimediabilmente compresse negli stretti margini del Testo Unico sulle partecipate.
Il caso appare più esposto al conflitto di interessi in quanto la caratteristica distintiva di una proposta spontanea di project financing è proprio quella che la prima parte della procedura – dedicata alla valutazione del “pubblico interesse” della proposta – si svolge attraverso un dialogo che intercorre solo fra offerente e stazione appaltante, senza che si possa aprire tale fase anche alla partecipazione di terzi.
Ebbene, in tale contesto aveva assunto il ruolo di proponente del progetto una società partecipata indirettamente dal Comune-stazione appaltante attraverso una holding.
Secondo un’altra impresa del settore, che aveva proposto ricorso avverso l’approvazione del progetto presentato dal proponente, la procedura era da annullare, in quanto viziata da conflitto di interessi, a causa della situazione di controllo con la stazione appaltante.
Infatti, “con il quarto motivo, si afferma che la scelta di un promotore controllato dalla stessa stazione appaltante sarebbe illegittima anche alla luce del principio generale dettato dall’art. 42 co. 2 d.lgs. n. 50/2016, secondo cui vanno evitare le situazioni che possano far sorgere potenziali conflitti di interesse. La circostanza che la controinteressata T.E.G. sia interamente controllata da Toscana Energia, società partecipata (anche) dal Comune di Massarosa e già affidataria in house del servizio di distribuzione del gas naturale, determinerebbe una situazione inconciliabile con il rispetto dei principi di par condicio e imparzialità nell’affidamento, imponendo l’esclusione della controinteressata dalla procedura a norma dell’art. 80 co. 5 lett. d) del più volte citato d.lgs. n. 50/2016”.
Secondo il TAR Toscana, le censure sono infondate in quanto la situazione di conflitto di interessi non è comprovata – né altrimenti intuibile – nel caso concreto: “La controinteressata Toscana Energia Green è partecipata al 100% da Toscana Energia, società a partecipazione pubblica maggioritaria della quale il Comune di Massarosa detiene l’1,167% del capitale, a seguito della fusione per incorporazione in Toscana Energia di Sermas Gas s.p.a.. Quest’ultima era interamente posseduta dal Comune, che le aveva conferito la titolarità delle reti e del servizio di distribuzione del gas naturale, oggi esercitato nel territorio comunale da Toscana Energia in virtù, appunto, dell’affidamento in house a Sermas Gas. La ricorrente Engie Servizi assume che la posizione di controllo indiretto esercitata dal Comune di Massarosa su T.E.G., attraverso Toscana Energia, darebbe luogo a una commistione di interessi fra lo stesso Comune e il soggetto scelto come proponente del project financing, in violazione della disciplina sull’affidamento dei servizi pubblici locali e dei limiti operativi delle società a partecipazione pubblica”.
Nel caso di specie la tesi del controllo sulla proponente, ancorché indiretto, risulta contraddetta dall’esiguità della partecipazione del Comune, palesemente insufficiente a garantire un’autonoma influenza dominante sull’operato della società partecipata. Il proponente risulta essere, pertanto, la controllata di una società partecipata dal Comune stazione appaltante, situazione che la giurisprudenza nazionale, sulla scia di quella europea, ha escluso essere di per sé impeditiva della partecipazione a gare indette dallo stesso ente pubblico contitolare del capitale sociale, non potendosi presumere che dalla compartecipazione societaria dell’amministrazione aggiudicatrice alla società concorrente discenda un’automatica violazione dei principi concorrenziali e di parità di trattamento, in assenza di prova circa l’esistenza di specifiche violazioni delle regole di evidenza pubblica (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 11 luglio 2008, n. 3499, che richiama Corte Giustizia CE, 11 gennaio 2005, C-26/03 “Stadt Halle”. In termini anche Cons. Stato, sez. V, 27 settembre 2004, n. 6325; C.G.A., sez. giurisd., 24 dicembre 2002, n. 692).
Il TAR toscano aderisce dunque all’orientamento giurisprudenziale maggioritario (nazionale e comunitario) secondo il quale la cointeressenza azionaria non è di per sé prova di una situazione di conflitto ovvero di perturbazione della trasparenza delle procedure di aggiudicazione. Osserva il TAR: “Le medesime considerazioni circa l’inconfigurabilità di impedimenti pregiudiziali non possono che valere per l’ipotesi in cui la società a partecipazione pubblica si renda presentatrice di proposte di project financing, salvo verificare caso per caso che, in concreto, l’amministrazione destinataria della proposta non abbia inteso indebitamente avvantaggiare la proponente da essa partecipata. Ma, nella specie, si è visto come gli elementi addotti dalla ricorrente a comprova del presunto favor verso T.E.G. si risolvano, in realtà, nella constatazione da parte del Comune dell’obiettiva incapacità della proposta di Engie di porsi come alternativa utilmente praticabile. Del pari, va escluso che la partecipazione societaria del Comune in Toscana Energia comporti di per sé l’esistenza della situazione di conflitto di interessi sanzionata dall’art. 42 co. 2 del d.lgs. n. 50/2016 (la quale, beninteso, si riferisce al personale della stazione appaltante). Alla valutazione della proposta di T.E.G. non è di ostacolo, infine, la circostanza che la controllante Toscana Energia sia affidataria diretta, nel Comune di Massarosa, del servizio pubblico di distribuzione del gas”.
Rimane aperto il confronto tra orientamenti contrapposti: quello rigoroso e restrittivo propugnato dalla prima sentenza in commento, e quello seguito dal TAR Toscana, in linea con l’orientamento maggioritario, secondo cui la posizione di conflitto di interessi in cui si troverebbero la partecipata e la stazione appaltante, a causa del rapporto di controllo intercorrente fra le stesse, non costituisce a priori causa normativa di esclusione dalla gara, ma richiede una verifica in concreto della “superabilità” di tale conflitto, da operarsi caso per caso sulla base dei rapporti di governance tra azionista pubblico e società partecipata.