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( vote)- Premessa. Le nozioni (evolute) di “gara” e “pubblica amministrazione”
Sono tre le fattispecie di reato previste dal codice penale – nell’ambito dei delitti contro la pubblica amministrazione, costituenti il titolo II del libro secondo – dedicate alla fase di selezione del contraente di un affidamento pubblico: Turbata liberta degli incanti, Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente ed Astensione dagli incanti (rispettivamente, disciplinati dagli articoli 353, 353 bis e 354, all’interno del capo II dell’anzidetto titolo II, relativo più in particolare ai delitti dei privati contro la p.a.). Ad esse seguono quelle, relative alla successiva fase di esecuzione del contratto pubblico, di Inadempimento di contratti di pubbliche forniture e di Frode nelle pubbliche forniture, di cui, rispettivamente, agli artt. 355 e 356.
Va premesso che le ipotesi originarie, ed in particolare la prima e la terza (in quanto quella prevista dall’art. 353 bis c.p. è stata introdotta per la prima volta dalla l. 13 agosto 2010, n. 136, art. 10) non hanno subito nel corso degli anni – ad eccezione di talune modificazioni apportate al solo trattamento sanzionatorio – alterazioni nella struttura dell’illecito. Permangono quindi gli stessi termini utilizzati dal legislatore del 1930 che, specie dopo la normazione comunitaria prima ed euro unitaria poi (e le conseguenti ricadute sulla disciplina nazionale), appaiono a dir poco desueti. Si pensi al riferimento ai “pubblici incanti” ed alle “licitazioni private” (quest’ultime financo “per conto di privati”), senza contare il richiamo operato alle procedure da svolgersi per conto di “pubbliche amministrazioni”; locuzione quest’ultima che oggi finirebbe per circoscrivere la punizione penale delle sole condotte poste in essere dai rappresentanti delle figure soggettive strettamente ricadenti nella nozione, per l’appunto di pubbliche amministrazioni, di cui all’art. 1, comma 2 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (recante Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).
Tuttavia, la giurisprudenza, specie della Corte suprema di cassazione, ha costantemente operato una interpretazione tendenzialmente evolutiva delle norme penali in commento che, senza ovviamente rinnegare i principi, anche costituzionali (art. 25 cost.; art. 1 c.p.), di legalità e di tassatività della fattispecie incriminatrice, ha permesso di conformare la condotta punibile al progressivamente mutato scenario normativo e fattuale, nella salvezza comunque della configurazione sostanziale di questi illeciti.
Con particolare riferimento al lemma “gara” (vero nucleo centrale del profilo oggettivo dei reati in commento), i giudici di legittimità (tra le varie, Cass. pen., sez. VI, sent. n. 15758/24) – secondo un approccio “sostanzialista” che valorizza i caratteri essenziali della procedura adottata, a prescindere dunque dal nomen iuris adottato – ritengono integrato l’elemento obiettivo del reato di cd. turbativa d’asta (e dunque inevitabilmente delle ulteriori due fattispecie, sebbene entrambe non richiamino espressamente il termine) ogni qual volta si attui una procedura selettiva, anche minima, che comunque presupponga una valutazione comparativa tra offerenti operata mediante criteri predeterminati, indipendentemente dalla denominazione assunta e da formalità specifiche. Dunque, il raggio di azione finisce per ricomprendere anche tutte quelle procedure informali/esplorative, nelle quali comunque sussista un auto-vincolo da parte della stazione appaltante ad un – pur minimo – raffronto tra offerte, secondo parametri prefissati. Questa ricostruzione – rileva la Corte suprema – non costituisce violazione del divieto di cd. analogia in malam partem ma interpretazione estensiva con finalità adeguatrice al tempo, dunque consentita.
Pertanto, le fattispecie non operano nei casi di indagine di mercato, procedura negoziata senza gara ed affidamento diretto, tutte ipotesi in cui la stazione appaltante od il concedentenon svolgono una comparazione tra più aspiranti regolata da parametri, seppur minimali, prestabiliti: in tali casi, difatti, non sussistono quei doveri (parità trattamento; non fornire informazioni destinate ad avvantaggiare qualcuno a danno di altro/i) propri di una «gara» (anche se non rituale) e dunque non si concreta quell’esigenza di protezione insita nelle norme del codice penale.
Parimenti evolutiva è, poi, l’interpretazione dell’anzidetta locuzione di “pubbliche amministrazioni”, nel senso di ricomprendervi – secondo la nozione “sostanziale” di matrice sovranazionale ed ormai consolidatasi anche nel nostro sistema normativo – ogni ente che, a prescindere dalla formale veste giuridica rivestita (pubblica o privata che sia), risulti istituzionalmente preposto alla tutela ed alla cura di un pubblico interesse.
Sarebbe pertanto irragionevole ipotizzare un differente regime tra affidamenti indetti da pubbliche amministrazioni in senso stretto rispetto a soggetti tout court privati ma nondimeno tenuti allo statuto della contrattualistica pubblica (l’ampio spettro costituito, tra gli altri, da organismi di diritto pubblico, società miste, privati realizzatori di lavori a scomputi degli oneri di urbanizzazione, etc.), fondandolo sulla bipartizione operata dall’art. 353 c.p. tra licitazione privata “per conto di pubbliche amministrazioni” (ipotesi base) e licitazione privata svolta “per conto di privati, dirette da un pubblico ufficiale” (l’ipotesi prevista dal secondo capoverso, con pene più miti perché ridotte alla metà).
Ogni tipo di affidamento, qualunque sia la stazione appaltante, è destinato a ricadere dunque nella prima delle due, ossia quella generale, laddove la seconda fattispecie anzidetta resta confinata a quella – ben circoscritta – ipotesi cui, secondo i lavori preparatori al codice, era originariamente dedicata la norma, ossia la vendita dei beni per il pagamento dei debiti ereditari di cui all’art. 719, capoverso del codice civile (fattispecie che ovviamente esula dal nostro recinto di valutazione).
BOX: la cd. turbativa d’asta può concretarsi in ogni procedura selettiva che presupponga una valutazione comparativa tra offerenti con criteri predeterminati, a prescindere dalla denominazione; sono dunque esclusi in quelle (indagine di mercato, negoziata senza gara, affidamento diretto) che non presentino un seppure minimo raffronto tra candidature secondo parametri prefissati.
- La condotta punibile
Tratto comune agli artt. 353 e 353 bis c.p. è costituito dall’elemento oggettivo delle due fattispecie.
La condotta punibile in entrambe consiste anzitutto in “violenza o minaccia”, ossia, rispettivamente: qualunque esercizio fisico o morale in grado di coartare l’altrui volontà; la prospettazione di un male ingiusto e notevole quale sanzione per un comportamento che non intenda conformarsi al dettato del minacciante.
In entrambi in casi, essa è mirata a condizionare la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo, costretto così a tenere il comportamento “gradito” al soggetto agente.
Ad esse si aggiungono le ulteriori condotte – per così dire – manipolative ed avvolgenti la psiche umana, di seguito illustrate.
In particolare, i “doni” sono costituiti da qualunque offerta di utilità apprezzabile, anche priva di specifico valore patrimoniale.
Le “promesse” si identificano in qualunque futuro vantaggio, purché – stavolta sì – avente consistenza economica.
Integrano “collusioni” quelle intese clandestine, sia tra i partecipanti tra loro sia tra partecipante o partecipanti, da un lato, e soggetti preposti alla procedura selettiva, dall’altro, finalizzate a minare l’ordinario e regolare svolgimento dell’iter che conduce all’aggiudicazione.
Infine, il codice utilizza una formula di chiusura (“altri mezzi fraudolenti”),tesa a far ricomprendere nel novero ogni tipologia di artifizio, raggiro, menzogna, etc. o comunque condotta di natura fraudolenta non espressamente ricompresa nelle singole tipologie su richiamate.
Più delimitata è invece la condotta punibile prevista dall’art. 354 c.p. (astensione dagli incanti), che persegue penalmente chi si astiene dalla procedura per conseguenza di denaro od altra utilità (intesa come qualsiasi vantaggio recato al patrimonio o alla personalità) dati o semplicemente promessi, a sé stessi o ad altri.
La norma – peraltro di scarsissima applicazione giurisprudenziale (i precedenti specifici in sede di legittimità sono davvero esigui) – sanziona l’astensione in sé e per sé considerata, ovvero, come autorevole letteratura (F. Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte speciale, vol. II, Torino, 1991, 397) rimarca, il mancato compimento di tutti od alcuni degli atti richiesti perché l’offerta possa essere presa in considerazione.
Laddove, invece, la condotta si esprimesse in una più ampia e concertata azione/omissione di turbata libertà della gara, l’autore risponderebbe di concorso in tale ultimo e più grave reato (art. 353 c.p.) per aver, in tal modo, preso parte all’accordo illecito finalizzato ad impedire od alterare la gara ovvero ad allontanare o far desistere gli offerenti (Cass. pen., sez. VI, sent. n. 18125/19).
- Effetti sulla partecipazione alle procedure selettive
- Esclusione automatica
Tutti i reati in esame rientrano nel novero dei reati per i quali una condanna definitiva (o un decreto penale di condanna irrevocabile) costituisce causa di esclusione automatica dalle procedure di affidamento (art. 94, co. 1, lett. b) del d.lgs. n. 36/23 e ss.mm.ii.).
L’effetto espulsivo opera anche per le corrispondenti fattispecie tentate.
Peraltro, l’art. 353 c.p. (unico dei tre delitti) ha come possibile conseguenza la pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione prevista dall’art. 32 quater c.p. ove si accerti – in conformità a tale ultima previsione – che il delitto sia stato commesso a danno o a vantaggio di un’attività imprenditoriale, o comunque in relazione ad essa. L’art. 94, co.1, lett. h) del codice dei contratti pubblici include poi, tra le cause di esclusione automatica proprio i delitti da cui derivi tale specifica comminatoria.
Rileva, infine, l’ulteriore previsione del d.lgs. n. 36/23 cit. (art. 94, co. 2), secondo la quale è causa di esclusione automatica dalla procedura la ricorrenza di un “tentativo di infiltrazione mafiosa” ai sensi dell’art. 84, co. 4 del d.lgs. n. 159 del 2011, cd. codice antimafia.
Difatti, tale ultima previsione fa rientrare (alla lett. a) i due reati di turbativa (e non anche quello di astensione di cui all’art. 354 c.p.) tra quelli che costituiscono – ove ricorrano una sentenza di condanna, anche non definitiva, ovvero un provvedimento che disponga una misura cautelare o il giudizio – elementi da cui poter desumere l’anzidetto tentativo di infiltrazione.
- Esclusione non automatica
La contestata commissione degli illeciti in commento (ed a fortiori l’accertata commissione degli stessi con sentenza di condanna definitiva) costituisce, poi, una delle molteplici cause di esclusione non automatica dalla procedura di gara: difatti, la sola formulazione dell’imputazione, o anche la sola applicazione di una misura cautelare costituiscono – ai sensi dell’art. 98, co. 3, lett. g) del codice – elementi al cui verificarsi è possibile desumere l’illecito professionale rilevante ai fini dell’esclusione.
Come noto, per essere tale ed assurgere così allo sbocco espulsivo, l’errore professionale deve essere – oltre che idoneo ad incidere sull’affidabilità ed integrità dell’operatore economico – (i) grave, ed (ii) attestato dagli adeguati mezzi di prova di cui al co. 6 dell’art. 98 del codice.
Con riferimento alla prescritta valutazione di gravità, vengono in rilievo i tre profili enunciati dal co. 4 dello stesso art. 98, ossia: il bene giuridico, la entità della lesione inferta dalla condotta, ed infine il tempo trascorso dalla violazione (anche in relazione alle modifiche eventualmente intervenute nel frattempo nell’organizzazione dell’impresa).
Laddove quest’ultimo profilo non sembra qui richiedere un particolare approfondimento, sui primi due occorre seppur brevemente soffermarsi per la non univoca valenza significativa dei due parametri.
Con riferimento al primo (bene giuridico), difatti, considerando che ad ogni reato corrisponde sempre e per definizione un determinato bene giuridico, inteso come interesse tutelato dalla norma penale e leso con la violazione della medesima, difficilmente il richiamo alla tutela della libertà e della libera concorrenza nell’espletamento degli incanti (per l’appunto, il bene leso dai delitti di cui agli artt. 353-354 del codice) potrebbe guidare, in modo concreto ed operativo, la stazione appaltante nella conduzione della prescritta valutazione.
Peraltro, va considerato che sovente la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto al delitto di cd. turbativa d’asta natura plurioffensiva, individuando così il bene giuridico leso non solo nella corretta conduzione delle procedure di selezione e dunque di tutela dei principi di trasparenza e concorrenzialità ma anche nella tutela dell’interesse del privato partecipante risultato escluso o comunque sfavorito: Cfr. Cass. pen., sez. VI, 27 marzo 2007, n. 20631, secondo cui “il delitto di turbata libertà degli incanti (…) ha natura plurioffensiva, in quanto oggetto della tutela penale non è solo la libertà di partecipare alle gare nei pubblici incanti, ma anche la libertà di chi vi partecipa di influenzarne l’esito, secondo la libera concorrenza ed il gioco della maggiorazione delle offerte” (tuttavia, di contro, Cass. pen., sez. VI, 10 maggio 2017, n. 28266: “nel delitto di turbata libertà degli incanti unico soggetto passivo titolare dell’interesse protetto è la P.A., atteso che il bene giuridico tutelato va individuato nel solo interesse di quest’ultima al regolare svolgimento delle procedure di gara secondo regole concorrenziali”).
Da ciò consegue che potrà costituire utile argomento di valutazione la circostanza concreta, ove emergente dagli atti a disposizione della stazione appaltante, della eventuale partecipazione alla data procedura, in cui si è consumata o tentata la condotta illecita, di uno o più altro/i concorrente/i. Se, in altre parole, l’interessato è stato accusato di aver condizionato l’iter selettivo caratterizzato, per l’appunto, dalla presenza di altri aspiranti l’affidamento, va da sé che la di lui condotta avrà determinato una doppia lesione: dell’interesse all’ordinaria e lineare conduzione della gara, nonché di quello di ogni altro partecipante munito di condizioni e requisiti tecnico-professionali ed economico-finanziari idonei a far conseguire astrattamente l’aggiudicazione. Diversamente, in presenza di un affidamento diretto tout court, l’interesse degli altri potenziali affidatari sarebbe non esistente, o comunque affievolito, per il semplice fatto che la stazione appaltante aveva comunque prescelto esattamente quel determinato operatore economico cui affidare il contratto.
Venendo al secondo degli elementi – l’entità della lesione inferta – su cui poter/dover fondare la valutazione di illecito professionale grave, preme evidenziare la non ineccepibile formulazione adoperata, sia perché fa riferimento ad un dato oggettivo (l’entità) di difficile quantificazione sia perché richiama la “lesione” (termine utilizzato nel codice penale per identificare una delle tipiche aggressioni all’incolumità psico-fisica della persona). Sarebbe stato preferibile un richiamo, più propriamente, al danno o al pericolo, elementi che contribuiscono, ai sensi dell’art. 133, n. 2 del c.p., a fondare la valutazione di gravità del reato.
Da essa consegue necessariamente un non agevole accertamento del grave illecito professionale, nel quale potrà avere rilievo, significativo ma non decisivo, l’eventuale costituzione di parte civile da parte del danneggiato da reato nel processo a carico del presunto responsabile dei reati in commento, ed in particolare la tipologia e l’eventuale quantificazione del danno, materiale o morale, vantato, con tale costituzione, all’interno del processo penale. Si potrà/dovrà, cioè, aver riguardo al nocumento che eventuale o eventuali danneggiato/i (la stazione appaltante stessa, altro o altri partecipanti alla selezione) avranno fondatamente richiesto ed eventualmente ottenuto con la sentenza di condanna.
Restano, infine, da menzionare i mezzi di prova adeguati necessari alla valutazione di gravità.
L’art. 98, co. 6, lett. g) del codice li identifica negli atti di cui all’art 407-bis, co. 1, c.p.p. (ossia quelli con cui il pubblico ministero, nel rito ordinario ovvero in quelli speciali, esercita l’azione penale), nel decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 429 c.p.p., negli eventuali provvedimenti cautelari reali o personali emessi dal giudice penale, nella sentenza di condanna non definitiva, nel decreto penale di condanna non irrevocabile, e nella sentenza non irrevocabile di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p. (cd. patteggiamento).
Da tale ampio corredo di atti/provvedimenti, ed in particolare dal riferimento ai “soli” provvedimenti cautelari (a prescindere dagli altri), emerge che la contestazione dell’illecito che costituisce causa di esclusione non automatica possa scattare anche indipendentemente dall’avvio della pretesa punitiva da parte del pubblico ministero e dunque anche nella fase delle indagini preliminari, luogo statisticamente “elettivo” per il sorgere di misure cautelari di natura personale o reale.
Non da ultimo – per completezza ed uscendo dal recinto di rilievo penalistico – va ricordato che anche comportamenti non tali da assurgere al disvalore tipico delle fattispecie incriminatrici qui in esame ma in ogni caso sintomatici dell’intenzione di falsare il regolare andamento di una procedura selettiva possono egualmente integrare l’illecito professionale: si fa riferimento, in particolare, all’ipotesi di cui all’art. 98, co. 3, lett. b) del codice, ossia il caso dell’operatore economico che abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a proprio vantaggio oppure che abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione.
BOX: nella valutazione di gravità dell’errore professionale determinato da fattispecie anche solo contestate (quindi non di esclusione automatica) ha un peso incisivo l’eventuale costituzione di parte civile nel processo nonché l’entità/tipologia dei danni vantati
- La causa di non punibilità prevista dall’art. 323 ter c.p.
Proseguendo nella disamina dei tratti identificativi comuni/analoghi, dispone l’art. 323 ter c.p. – tra le altre fattispecie ivi previste – per tutte le tre ipotesi qui in disamina che non è punibile chi ha commesso taluno dei fatti previsti, per l’appunto, dagli artt. 353, 353 bis e 354 c.p. se, se prima di avere notizia dello svolgimento di indagini a proprio carico e, comunque, entro quattro mesi dalla commissione del fatto, lo denuncia volontariamente e fornisce indicazioni utili e concrete per assicurare la prova del reato e individuare gli altri responsabili. La disposizione è stata inserita nel codice penale dall’art. 1, co. 1, lett. r) della l. 9 gennaio 2019, n. 3 ed è stata successivamente modificata dall’art. 1, co. 1, lett. d) della l. 9 agosto 2024, n. 114.
La non punibilità del denunciante – art. 323 ter, co. 2 – è peraltro condizionata alla messa a disposizione dell’utilità dallo stesso percepita o, in caso di impossibilità, di una somma di denaro di valore equivalente, ovvero all’indicazione di elementi utili e concreti per individuarne il beneficiario effettivo, entro l’anzidetto termine (prima della notizia di indagini a carico e comunque nel quadrimestre dalla commissione dell’illecito).
La causa di non punibilità non trova peraltro applicazione se: (i) la denuncia volontaria è preordinata rispetto alla commissione del reato denunciato e (ii) in favore dell’agente sotto copertura che ha agito in violazione delle disposizioni dell’art. 9 l. 16 marzo 2006, n. 146 (regolatrice di simili operazioni).
- La differenza sostanziale tra le ipotesi degli artt. 353-353 bis c.p.
Esaurita l’illustrazione dei principali elementi comuni, non mancano tuttavia significative difformità tra i due reati di turbata libertà (incanti e procedimento), che disvelano la ragione stessa dell’introduzione (come anzidetto, nel 2010) del secondo delitto di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente: quella di presidiare le fasi propedeutiche e preparatorie alla «gara», perseguendo azioni od omissioni idonee a ledere la trasparenza e lineare regolarità della stessa, o comunque comprimere i diritti degli altri offerenti. Si è inteso in tal modo colmare un sostanziale vuoto normativo, cui aveva di fatto contribuito la stessa Corte di cassazione, nel ritenere in passato esclusa l’applicazione dell’art. 353 c.p. a tutte le condotte anteriori all’espletamento della procedura selettiva, salvo ritenerle punite al più nella forma del reato tentato (ossia come iniziative preparatorie e strumentali, idonee ed univocamente dirette alla commissione del reato, peraltro non consumatosi).
Difatti, laddove il delitto di turbata libertà degli incanti esige, per la sua integrazione, il verificarsi anche di uno solo degli eventi di (i) turbamento della gara (ossia, qualsiasi alterazione nel funzionamento, anche senza pervenire ad una modificazione dei relativi risultati: Cass. pen., sez. IV, sent. n. 28970/13), (ii) impedimento di essa (vale a dire la stasi, anche solo temporanea, dell’iter procedimentale che conduce alla selezione dell’affidatario), o (iii) allontanamento degli offerenti (consistente nel rendere non praticabile la partecipazione degli offerenti), l’evento del delitto ex art. 353 bis c.p. è, invece, costituito dal turbamento del “procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o altro atto equipollente”.
Due i tratti salienti della fattispecie di cui all’art. 353 bis c.p., che emergono (anche) dal raffronto con la precedente.
In primo luogo, non necessariamente la condotta posta in essere (in qualsiasi momento dell’iter procedurale, anche nelle fasi iniziali e preparatorie di programmazione o di progettazione) può condurre all’avvio della gara o comunque all’affidamento: difatti – vale ribadirlo – qui l’esigenza è quella di colpire il turbamento in sé, isolatamente considerato, di uno qualsiasi dei segmenti del percorso complessivo che conduce, oppure non conduce, all’attivazione della procedura selettiva.
Al riguardo, la Corte suprema (sez. VI, sent. 28 marzo 2018, n. 30730), ha chiarito che non vi è un rapporto «cronologico» tra le due ipotesi di reato, con l’ipotetico spartiacque temporale costituito dal bando o dall’invito ad offrire: non si può, in altri termini, sostenere che mentre l’art. 353 c.p. punisca tutto ciò che avviene successivamente all’avvio della procedura, l’art. 353 bis c.p. colpisca le azioni/omissioni della fase precedente. Ciò – secondo i giudici di legittimità – per almeno tre motivi: (i) anche prima del 2010 venivano punite le condotte preparatorie poi seguite dalla gara; (ii) la presenza nell’art. 353 bis di una “clausola di salvezza» iniziale (costituita dalla proposizione “salvo che il fatto costituisca più grave reato”) e (iii) la stessa collocazione della nuova norma, all’interno del codice penale, dopo l’art. 353 c.p. e non prima.
La conseguenza finale è, in definitiva, che:
- le condotte che – seppur precedenti alla pubblicazione del bando – viziano il bando sono ancora punibili, eventualmente come tentativo, come cd. turbativa d’asta (art. 353 c.p.);
- saranno punite ex art. 353 bis c.p. (turbata libertà del procedimento) le condotte non seguite dalla gara o che non abbiano influenzato il bando e/o l’invito a formulare offerta.
In secondo luogo, l’azione od omissione deve annidarsi nei contenuti del bando “o altro atto equipollente”.
Con tale locuzione il legislatore pare alludere non solo all’avviso di gara, all’invito ad offrire o al disciplinare esplicativo del bando ma anche a tutti quei documenti che comunque concorrono a regolare la procedura, e sui quali potenzialmente può allocarsi il vulnus alla regolare conduzione della stessa: es. la determina a contrarre, oppure lo schema di contratto od il capitolato speciale di appalto, che quali componenti il progetto esecutivo posto a base di gara, potrebbero eventualmente stabilire previsioni destinate a condizionare la procedura, ad es. distogliendo un concorrente dalla partecipazione perché non in possesso dello specifico requisito richiesto, o “spaventato” da una clausola particolarmente iniqua in tema di penali da ritardo, varianti, risoluzione etc.
Infine, le due fattispecie differiscono sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato (costituito in ogni caso dal dolo, non essendo previste corrispondenti fattispecie colpose): mentre nel reato ex art. 353 c.p. il dolo è generico, consistente nella determinazione cosciente e volontaria di porre in essere quelle condotte, intimidatorie e/o fraudolente, surricordate, ed attraverso le stesse, cagionare uno dei risultati di impedimento, turbamento od allontanamento; in quello di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353 bis c.p.), invece, occorre provare che si è agito od omesso di agire “al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione” (dunque, si tratta di dolo specifico).
BOX: la turbata libertà del procedimento di gara (art. 353 bis c.p.) può integrarsi anche in documenti “equipollenti” al bando, come la determina a contrarre, il capitolato speciale o lo schema di contratto.
- Il trattamento sanzionatorio. L’incapacità di contrattare con la p.a. (rinvio).
Se lieve è il trattamento sanzionatorio dell’astensione dagli incanti (art. 354) – reclusione sino a sei mesi o multa fino a 516 euro, pene tra le più miti nell’ambito delle figure delittuose della legislazione penale, generale e speciale – ben altra consistenza assumono le conseguenze dell’accertamento di uno dei reati di turbativa: ad opera dell’”allineamento” determinato dalla stessa legge introduttiva dell’art. 353 bis c.p., entrambi prevedono, in caso di violazione, la reclusione da sei mesi a cinque anni e la multa da 103 a 1.032 euro.
Per la sola cd. turbativa d’asta (art. 353 c.p.), il fatto che ad essere colpevole sia proprio la persona preposta alla procedura di gara, determina un inasprimento sia del minimo edittale (che passa ad un anno) sia della sanzione pecuniaria, in quanto la multa sarà (con un significativo aumento nel minimo, quintuplicato) da 516 a 2065 euro.
Per il reato di cui all’art. 353 bis c.p., invece, opererà al più, sulla pena base, l’aumento di essa determinato dalla circostanza aggravante comune ex art. 61, n. 9 c.p. (abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti la pubblica funzione o il pubblico servizio).
Le ridette sanzioni, esclusa l’applicabilità del fermo di indiziati di delitto (ossia la misura pre cautelare fondata sul pericolo di fuga), consentono l’arresto facoltativo in flagranza (tranne, per l’art, 353 c.p., l’ipotesi sopra ricordata – “licitazione privata per conto di privati” – del secondo capoverso) e misure cautelari personali, pure custodiali (con la stessa eccezione anzidetta, perché in tal caso potrà al più scattare il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali).
Infine, va ricordato – come già in precedenza rilevato, sotto il profilo dell’esclusione automatica da una procedura selettiva – che solo per l’art. 353 c.p. è prevista la pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32 quater c.p.)
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