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La disciplina inerente al meccanismo di rilascio e/o di proroga delle concessioni da parte della pubblica amministrazione è ormai da tempo al centro delle riflessioni dei più autorevoli studiosi del diritto.
La materia de qua ha assunto nell’ultimo periodo ancora più centralità in considerazione delle criticità emerse con riguardo alla normativa nazionale concernente le procedure di affidamento delle concessioni demaniali con finalità turistico ricreative.
La succitata normativa, infatti, è stata oggetto nel tempo di frequenti e disorganici interventi di riforma, mossi dall’urgente ed impellente necessità di rendere la legislazione italiana in materia, conforme ai dettami ed ai fondamentali principii comunitari, quali la libera concorrenza e l’indiscriminato accesso al mercato[1].
Il rilascio della concessione non comporta in alcun modo il riconoscimento in capo all’operatore di un diritto “perenne” e “intangibile” di esclusiva “sine die” per l’esercizio e lo sfruttamento del bene affidato in concessione. Bensì è un rapporto negoziale[2], il quale si caratterizza per alcune peculiarità, riconducibili alla funzione collettiva che la prestazione oggetto del contratto svolge.
I principii sin qui enunciati hanno evidentemente una valenza generale e devono ritenersi applicabili a qualsivoglia tipologia di atto concessorio di un bene pubblico, compreso quello che nel presente contributo si andrà ad analizzare, ossia quello preordinato all’affidamento di aree pubbliche per l’esercizio di attività commerciali.
Con riferimento alle concessioni demaniali marittime, il quadro sembra divenuto più chiaro all’esito dell’approvazione del decreto-legge 16 settembre 2024, n. 131 (“DL Salva Infrazioni”), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 14 novembre 2024, n. 166, il quale, all’art. 1, rubricato “Disposizioni urgenti in materia di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative e sportive – Procedura di infrazione n. 2020/4118” ha introdotto un’ultima proroga delle concessioni in essere fino al 30 settembre 2027, con obbligo inderogabile, però, di indire gare entro il 30 giugno dello stesso anno. Peraltro, in presenza di ragioni oggettive, come la pendenza di un contenzioso o «difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura stessa», la scadenza delle concessioni potrà essere posticipata fino al 31 marzo 2028.
Relativamente, invece, alle concessioni per il commercio su aree pubbliche, come si vedrà, il quadro normativo sembra avere ancora non pochi dubbi ed incertezze.
La rilevanza di un’analisi della suddetta disciplina è evidente, per diversi motivi.
Non solo per le primarie considerazioni giuridiche che la materia introduce nel dibattito, ma anche e soprattutto per i notevoli impatti che quotidianamente riproduce nei confronti degli operatori di settore, i quali devono elaborare politiche di sviluppo e programmi economici di investimento senza, tuttavia, conoscere con chiarezza quali saranno le sorti dei rispettivi atti concessori.
Le attività commerciali su aree pubbliche, poi, in particolare, rappresentano una realtà consolidata e particolarmente presente del nostro Paese dove si contano oltre 162.000 attività[3].
1. Il procedimento di rilascio e rinnovo delle concessioni per lo svolgimento di attività commerciali su aree pubbliche. Alcuni cenni storici della disciplina[4].
Il primo provvedimento di regolazione del commercio ambulante su aree pubbliche in Italia risale al 1934, ed in particolare si rinviene nella Legge 5 febbraio 1934, n. 327 e regolamento di attuazione, R.D. 29 dicembre 1939, n. 2255. Con la succitata Legge, per la prima volta, il Legislatore ha introdotto quali requisiti per lo svolgimento di tale peculiare attività commerciale, l’obbligo di iscrizione in apposito registro e il possesso di specifica licenza. Successivamente, nel 1976 è stata approvata la Legge n. 398 che ha sostanzialmente parificato il commercio ambulante con le altre forme di commercio, dettagliandone meglio le caratteristiche e i procedimenti autorizzativi.
Nel 1991, legge 29 marzo 1991, n. 112 (attuata con il regolamento di esecuzione di cui al D.M. 4 giugno 1993, n. 248) è tornati ad incidere sulla normativa, adoperando, oltre a mere precisazioni terminologiche[5], anche modifiche sul profilo procedimentale autorizzatorio: vennero infatti introdotte tre diverse autorizzazioni, di tipo “A”, “B” e “C”. La prima, rilasciata dal comune di residenza, riguardava l’attività da svolgersi in un mercato di durata settimanale o per almeno cinque giorni la settimana. La seconda, rilasciata dalla Regione, consentiva ai soggetti in possesso dell’autorizzazione di tipo “A” di svolgere l’attività di vendita nei posteggi mercatali oggetto di concessione pluriennale. La terza ed ultima autorizzazione, di tipo “C”, sempre rilasciata dalla Regione, concerneva lo svolgimento dell’attività in forma itinerante.
Seguirono poi rapide e numerose modifiche, sino ad arrivare, nel 1998, all’approvazione della riforma cd. “Bersani”, decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, il quale rimetteva alle Regione il compito di disciplinare più dettagliatamente la materia, lasciando, tuttavia, inalterato il ruolo del Comune di rilasciare le autorizzazioni per lo svolgimento dell’attività. Venne, inoltre, ridotto a due, il numero di autorizzazioni per lo svolgimento dell’attività commerciale: una per ciascun posteggio mercatale, l’altra per commercio in forma itinerante.
Nel 2010, con il decreto legislativo n. 59 si assiste per la prima volta alla sottoposizione della disciplina sul rilascio delle concessioni per lo svolgimento di attività commerciale su aree pubbliche alla direttiva 2006/123/CE cd. Bolkestein[6], con conseguente obbligo per le amministrazioni di procedere all’assegnazione degli spazi pubblici tramite procedura ad evidenza pubblica. In particolare, l’art. 70, rubricato “Commercio al dettaglio sulle aree pubbliche” prevedeva che, con intesa in sede di Conferenza unificata, fossero “individuati, senza discriminazioni basate sulla forma giuridica dell’impresa, i criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l’esercizio del commercio su aree pubbliche e le disposizioni transitorie da applicare, con le decorrenze previste, anche alle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto ed a quelle prorogate durante il periodo intercorrente fino all’applicazione di tali disposizioni transitorie.”.
La norma, invero, ebbe una storia travagliata, della quale se ne colgono in maniera evidente ancora oggi i tratti nell’attuale discussione concernente le modalità di rilascio e proroga di tali tipologie di concessioni.
La disposizione, infatti, venne abrogata dall’art. 1, comma 686, lett. c), L. 30 dicembre 2018, n. 145, a decorrere dal 1° gennaio 2019. In particolare, il succitato intervento normativo del 2018, contestualmente, oltre ad abrogare la predetta previsione, introdusse il comma 4-bis dell’art. 16 al decreto legislativo 59/2010, prevedendo che le regole sulla selezione concorrenziale degli operatori non si applicassero al commercio sulle aree pubbliche.
Tale esclusione, a sua volta, è stata abrogata recentemente, dall’art. 11, comma 7, lett. a), L. 30 dicembre 2023, n. 214 (cd. Legge concorrenza per il 2022) (“Legge sulla concorrenza”), a decorrere dal 31 dicembre 2023, ai sensi di quanto disposto dall’art. 22, comma 1, della medesima Legge concorrenza. La materia non è stata poi nuovamente toccata dalla Legge 16 dicembre 2024 n. 193 (cd. Legge concorrenza per il 2023)[7].
2. Nuove modalità di assegnazione delle concessioni per il commercio su aree pubbliche: le criticità delle disposizioni introdotte dalla Legge sulla concorrenza.
La Legge sulla concorrenza ha abrogato le norme che escludevano l’attività di commercio su aree pubbliche dall’ambito di applicazione della direttiva Blockestein.
Nel dettaglio oggi l’art. 11 della Legge sulla concorrenza, rubricato “Modalità di assegnazione delle concessioni per il commercio su aree pubbliche” prevede che le concessioni di posteggio per l’esercizio del commercio su aree pubbliche devono essere rilasciate, per una durata di dieci anni, sulla base di procedure selettive, nel rispetto dei princìpi di imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza e pubblicità, secondo linee guida adottate dal Ministero delle imprese e del made in Italy, previa intesa in sede di Conferenza unificata.
Le linee guida, invero, stante la loro importanza, avrebbero dovuto essere adottate entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, tuttavia, ancora non risultano allo stato approvate.
Alle amministrazioni competenti, il comma 3 dell’art. 11, affida il compito di procedere ad una ricognizione annuale delle aree destinate all’esercizio del commercio su aree pubbliche e, verificata la disponibilità di aree concedibili, ad indire procedure selettive con cadenza annuale nel rispetto delle già menzionate linee guida.
Sono, invece, fatte salve le concessioni in essere, non ancora scadute, che continuano ad avere efficacia fino al termine previsto nel relativo titolo. Con particolare riferimento a tale tipologia di concessioni, è interessante notare che la norma fa riferimento alle concessioni già assegnate prima dell’entrata in vigore della legge e alle concessioni prorogate in attuazione dei commi 4-bis e 4 ter dell’art. 181 del Decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con Legge 17 luglio 2020, n. 77.
La previsione è peculiare perché fa salve le concessioni prorogate in attuazione di una disposizione “eccezionale” introdotta durante il periodo emergenziale per via della pandemia da Covid-19.
Infatti, il predetto comma 4-bis disponeva, a suo tempo, il rinnovo per la durata di dodici anni per le concessioni in scadenza al 31 dicembre 2020, mentre il comma 4-ter prevedeva la facoltà delle Regioni di disporre che i comuni potessero assegnare, su richiesta degli aventi titolo, in via prioritaria e in deroga ad ogni altro criterio, concessioni per posteggi liberi, vacanti o di nuova istituzione, ove necessario, agli operatori in possesso dei requisiti prescritti, che fossero rimasti esclusi dai procedimenti di selezione previsti dalla vigente normativa ovvero che, all’esito dei procedimenti stessi, non avessero conseguito la riassegnazione della concessione.
La disposizione, infatti, è stata aspramente criticata, poiché si lasciano in vigore quelle concessioni che sono state prorogate esclusivamente per via di una situazione assolutamente imprevedibile ed eccezionale, in presenza della quale non era possibile procedere all’assegnazione per mezzo di una procedura ad evidenza pubblica.
L’art. 11, comma 5 della Legge sulla concorrenza prevede che i procedimenti di rinnovo dei titoli concessori aventi scadenza entro il 31 dicembre 2020, non già riassegnati, e che alla data di entrata in vigore delle Legge sulla concorrenza non sono ancora conclusi, proseguono e si chiudono, entro sei mesi, secondo le modalità di cui all’art. 181, Decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34. Qualora, invece, l’amministrazione non concluda il procedimento nel termine predetto, le concessioni si intendono comunque rinnovate, salva rinuncia dell’avente titolo e salvo il potere di adottare determinazioni in autotutela ai sensi dell’articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, in caso di successivo accertamento dell’originaria mancanza dei requisiti di onorabilità e professionalità e degli altri requisiti prescritti.
Ad ogni modo, precisa il comma 6, le concessioni non interessate dai procedimenti di rinnovo, descritte al comma 5, conservano la loro validità sino al 31 dicembre 2025 anche in deroga al termine previsto nel titolo concessorio e ferma restando l’eventuale maggiore durata prevista.
Le disposizioni appena citate, invero, presentano non poche criticità.
Non si comprende la ratio della scelta legislativa che, così, permette il rinnovo del titolo concessorio anche in caso di mancata conclusione del procedimento a ciò preordinato (!). Neppure si comprende la ragione per cui i titoli concessori non interessati dai procedimenti di rinnovo dovrebbero continuare a rimanere in piedi fino al 31 dicembre 2025, indipendentemente dalle previsioni contenute all’interno del negozio.
Vi è il rischio più che concreto che tali criticità conducano ad un’applicazione non omogenea della legge, oltre che a condizioni di evidente disparità tra gli operatori del settore. L’insieme delle circostanze illustrate, può seriamente contribuire ad un accesissimo contenzioso nel settore de qua oltre che ad ipotizzare dubbi di costituzionalità della norma.
Fra tutti, lo stesso Presidente della Repubblica, ripercorrendo gli orientamenti giurisprudenziali consolidatisi a riguardo e le posizioni espresse dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato sul punto, all’atto di promulgazione della Legge sulla concorrenza, ha trasmesso una lettera al Presidente delle Camere e al Presidente del Consiglio, evidenziando potenziali contrasti tra la disciplina introdotta dalla Legge sulla concorrenza e i più importanti principii in materia di concorrenza e libero accesso al mercato, sollecitando un celere intervento correttivo da parte del Legislatore che possa scongiurare il rischio di una nuova procedura di infrazione da parte della Commissione Europea nei confronti dell’Italia.
Nel dettaglio, è stato osservato come “La proroga di dodici anni prevista dalla legge in esame per le concessioni in essere appare, alla luce di questi orientamenti giurisprudenziali, eccessiva e sproporzionata.” La lettera concludeva, addirittura, affermando come “I profili di contrasto con il diritto europeo e con decisioni giurisdizionali definitive accrescono l’incertezza del quadro normativo, determinando la necessità di garantire la certezza del diritto e l’uniforme interpretazione della legge da parte di tutti i soggetti coinvolti”, rendendosi, in definitiva necessari “indispensabili, a breve, ulteriori iniziative di Governo e Parlamento”.[8]
3. Lo scenario attuale: sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 19 novembre 2024, n. 9266
Ad oggi, quindi, permane un’incertezza sconfortante e preoccupante nella disciplina dell’affidamento delle concessioni per lo svolgimento di attività commerciali su aree pubbliche. Da una parte è stato sancito l’obbligo di procedere all’assegnazione delle aree tramite procedura ad evidenza pubblica, dall’altra, però, le disposizioni introdotte, comunque, appaiono critiche per i diversi profili detti. In secondo luogo, poi, non sono state ancora adottate le linee guida che definiscano le modalità con le quali tali procedure debbano avere luogo (!). Nel frattempo, alcune amministrazioni stanno procedendo alla ricognizione delle aree di competenza, dando atto, tuttavia, dell’assenza delle citate linee guida[9].
Un oceano di incertezze così ampio, come detto, non pone solamente dubbi di natura giuridica e di compatibilità costituzionale dell’intera disciplina, ma coinvolge direttamente numerose realtà imprenditoriali del nostro Paese, chiamate ad operare in un quadro di totale instabilità. Infatti, potrebbe anche realisticamente verificarsi che talune amministrazioni regionali o locali decidano di procedere ad una ricognizione delle aree concedibili, ed altre no, in attesa dell’approvazione delle linee guida ministeriali di regolamentazione della materia, creando un’immane ingiustizia sociale ed economica nel tessuto del nostro Paese. Ancora, conseguentemente, non è non è assurdo ipotizzare, come peraltro accaduto con riferimento alle concessioni demaniali marittime, che talune amministrazioni decidano, nel quadro di assoluta incertezza normativa, di prorogare le concessioni in scadenza, nell’attesa dell’approvazione delle linee guida ministeriali che definiscano come procedere all’aggiudicazione delle aree (!).
In questo caso, come avvenuto per le concessioni demaniali marittime, interviene la giurisprudenza a fornire alcuni chiarimenti. A tal proposito è il caso di analizzare la recente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 19 novembre 2024, n. 9266[10].
La decisione trae origine dal ricorso promosso da diversi lavoratori, concessionari dei posteggi a rotazione nel territorio di Roma Capitale, avverso la determinazione dirigenziale con cui veniva annullata una precedente determinazione, a loro favorevole, di avvio della procedura per il rinnovo della concessione di ‘posteggi a rotazione’ per l’esercizio del commercio su aree pubbliche, aventi la scadenza del 31 dicembre 2020.
I ricorrenti denunciavano, in particolare, l’agire dell’amministrazione capitolina, per aver disapplicato la normativa nazionale, la quale, seppure contrastante con il diritto comunitario, avrebbe dovuto prevalere. A detta dei concessionari, peraltro, il settore del commercio su aree pubbliche non avrebbe neppure dovuto considerarsi rientrante nell’ambito applicativo della Direttiva ‘Bolkestein’ .
In primo grado, il T.A.R. Lazio, respingeva il ricorso, concludendo che ‘la correttezza della impostazione di Roma Capitale (per la quale l’Amministrazione ben può disapplicare una legge contrastante con il diritto europeo) risulta corroborata proprio dalle sentenze nn. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, le quali hanno chiarito, ben oltre il perimetro della singola fattispecie trattata, che le disposizioni sul rinnovo automatico (in quel caso, delle concessioni marittime con finalità turistico – ricreative) contrastano con l’art. 49 del TFUE e con l’art. 12 della direttiva n. 123 del 2006’.
I concessionari, soccombenti in primo grado, proponevano allora appello al Consiglio di Stato, lamentando, questa volta, ex multis l’erroneità della decisione del giudice di prime cure, per aver travisato i fatti e non considerato la non applicabilità della direttiva Bolkestein’ al caso di specie.
Il Consiglio di Stato rigetta per intero l’appello proposto, seguendo un iter logico argomentativo utile ai fini della presente analisi e soprattutto, si ritiene, di illuminante portata ermeneutica ai fini dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale che seguirà nel prossimo futuro.
Secondo i giudici di Palazzo Spada, in particolare, la decisione del Comune di Roma di disapplicare la normativa nazionale in ragione dell’applicazione nel nostro ordinamento dei principi del sovraordinato diritto dell’Unione Europea, è da ritenersi legittima. Infatti, la Direttiva Bolkestein è chiaramente self executing, poiché, possiede “un livello di dettaglio sufficiente a determinare la non applicazione della disciplina nazionale e ad imporre, di conseguenza, una gara rispettosa dei principi di trasparenza, pubblicità, imparzialità, non discriminazione, mutuo riconoscimento e proporzionalità.”
Inoltre, come già precisato anche dalla Corte di Giustizia[11], la Direttiva Bolkestein “si applica ‘non solo al prestatore che intende stabilirsi in un altro Stato membro, ma anche a quello che intende stabilirsi nel proprio Stato’.”.
Il Collegio, poi, indaga le caratteristiche e le modalità attraverso le quali l’attività di commercio su aree pubbliche viene erogata, al fine di comprendere se possa o meno essere soggetta alla disciplina comunitaria. La decisione, nel dettaglio, qualifica “il commercio ambulante o il commercio su area pubblica”, come “una attività di vendita di merci al dettaglio, effettuata su aree di proprietà pubblica, ovvero su piazzole o posteggi assegnati, oppure in forma itinerante”, “una attività economica non salariata, fornita normalmente dietro retribuzione secondo la definizione fornita dall’art. 57 TFUE” pertanto, in quanto tale, rientrante “senza alcun dubbio nella nozione di servizi di cui alla Direttiva 2006/123”[12].
L’originaria scelta, sopra descritta, del Legislatore di escludere dall’ambito di applicazione della Direttiva ‘Bolkestein’ , la disciplina delle concessioni per il commercio sulle aree pubbliche si poneva in evidente contrasto con il diritto comunitario e, per questa ragione, deve essere disapplicata.
A questo proposito, precisa bene il Consiglio di Stato, “gli Stati membri non hanno, quindi, alcun margine di discrezionalità nel prevedere ulteriori ipotesi di esclusione dall’ambito di applicazione della Direttiva, e ogni questione sulle modalità di applicazione delle disposizioni della Direttiva Servizi si pone logicamente dopo la corretta definizione del suo ambito di applicazione.”
Valgono, quindi, anche nel settore del commercio su aree pubbliche, i medesimi principii e le medesime regole fissate dal Supremo Consesso Amministrativo[13] con riferimento alle concessioni demaniali marittime. In particolare, afferma la sentenza, “gli spazi commerciali sono assimilabili alle spiagge: infatti, il rilascio della concessione di un ‘parcheggio a rotazione’ non può non tenere conto che sul bene, o attraverso il medesimo, il concessionario andrà a svolgere una attività lucrativa.”
Peraltro, come osservato dal Presidente della Repubblica, anche la Corte costituzionale[14] ha chiarito che la disciplina delle concessioni delle aree pubbliche per commercio rientra nell’ambito di applicazione della direttiva Bolkestein’ , la quale è “autoapplicativa”, con la conseguente necessità della disapplicazione delle norme interne incompatibili, con l’obbligo di una procedura di selezione “qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili”, escludendo procedure di rinnovo automatico.
Dunque, anche le aree pubbliche per il commercio, in questo caso parcheggi a rotazione, costituiscono un bene “scarso”[15] che, in quanto tale, deve essere assegnato per lo svolgimento di un’attività commerciale solo previo esperimento di una procedura ad evidenza pubblica che rispetti i principii di matrice comunitaria ispirati a libero accesso al mercato[16]. Nel caso interessato dalla sentenza in commento, poi, quanto detto vale ancora di più in considerazione dei seguenti aspetti (i) il carattere territoriale del Comune concedente, (ii) l’attuale assenza di concorrenzialità del settore e (iii) l’elevata attrattività che rivestono per gli operatori tali attività, specie nel contesto caratterizzato da profili di unicità e assoluta particolarità quale è quello di Roma.
La Sentenza, in ultimo, conclude affermando come il Legislatore, ha seguito la strada dell’apertura al mercato, provvedendo al riordino del settore con la legge 30.12.2023, n. 214, stabilendo che le concessioni di posteggio per l’esercizio del commercio su aree pubbliche sono rilasciate, per una durata di dieci anni, sulla base di procedure selettive, nel rispetto dei principi di imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza e pubblicità.
4. Conclusioni
Rimane evidentemente da capire cosa potrà succedere nelle more dell’approvazione delle Linee guida ministeriali. Nell’attesa, le coordinate ermeneutiche viste escludono inderogabilmente che si possa procedere ad una proroga delle concessioni in essere.
Nel frattempo, il rischio di una nuova procedura di infrazione, oltre che di una nuova mole di contenzioso sul punto, è quanto mai reale e sconfortante, visti i costanti richiami da parte dell’Unione Europea e le evidenti mancanze da parte del Legislatore a una compiuta regolamentazione anche della disciplina di cui si discute.
Per evitare dunque che si crei nella materia lo stesso grottesco contenzioso emerso con riguardo alle concessioni delle aree demaniali con finalità turistico ricreative è bene che le amministrazioni si uniformino ai principii sanciti dalla giurisprudenza, evitando di procedere all’assegnazione delle suddette aree in assenza di criteri concorrenziali.
Il rischio è quanto mai reale e possibile. Le linee guida non sono un mero atto presupposto, ma sono chiamate a colmare la lacuna normativa sul settore che deve quanto prima essere colmata.
[1] Ex multis, sulla disciplina e le criticità del meccanismo di proroga e/o affidamento delle concessioni demaniali marittime, si veda R. Chieppa, R. Giovagnoli, Le concessioni demaniali con finalità turistico ricreativa e l’obbligo fi evidenza pubblico imposto dal diritto U.E.: le sentenze dell’Ad. Plen. N. 17 e 18 del 2021 in Manuale di Diritto Amministrativo, p.463 ss, Giuffrè 2022; C. Benetazzo, Il regime giuridico delle concessioni demaniali marittime tra vincoli U.E. ed esigenze di tutela dell’affidamento, 2016, www.federalismi.it; V. Lopilato, Concessioni demaniali marittime, in Manuale di diritto amministrativo, G. Giappichelli Editore, 2021, 905 ss.; M. Gargano, La giurisprudenza costituzionale sulle concessioni demaniali marittime tra tutela dell’affidamento, certezza del diritto e principio di concorrenza, Ratio Iuris, 2019; G. Bellitti, La direttiva Blokenstein e le concessioni demaniali marittime, lacuali e flauviali, in Giorn. Dir. Amm., 2017, 60 ss.
[2] Sulla natura del contratto di concessione, si veda, ex multis, C. Cacciavillani, A. Police, N. Paolantonio, A. Police, La nozione di appalto e di concessione e la rilevanza del valore ai fini della determinazione della disciplina applicabile, in Diritto Amministrativo, (a cura di Franco Gaetano Scoca), VII Edizione, Giappichelli, 2021; E. Casetta, Contratti di concessione e appalti nei settori speciali, in Manuale di Diritto Amministrativo, XXVI edizione, Giuffrè, 2024 p. 555 ss.
[3] Dati riferibili al 2022 riportati da ANVA – Associazione nazionale commercio su aree pubbliche nel dossier “Commercio su aree pubbliche: i mercati appesi a un filo”, consultabile al seguente link: https://www.confesercenti.it/wp-content/uploads/2023/06/Anva-DEF.pdf.
[4] Per un approfondimento del tema si veda il dossier ANVA, “Il commercio su aree pubbliche in Italia”, 27 maggio 2018, consultabile al seguente link: https://www.confesercenti.it/wp-content/uploads/2018/07/IL-COMMERCIO-SU-AREE-PUBBLICHE-IN-ITALIA.pdf.
[5] Il commercio ambulante viene “denominato” come “commercio su aree pubbliche”.
[6] Si veda, ex multis, sent. Corte Costituzionale n. 291 del 2012 che ha affermato come la disciplina del commercio su aree pubbliche rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno (cd. “direttiva servizi”), escludendo procedure di rinnovo automatico.
[7] Per quanto qui di interesse, è opportuno precisare che la legge non interviene sulla ordinaria disciplina prevista per il rilascio di concessioni per lo svolgimento di attività commerciale su aree pubbliche, bensì, comunque, sulla disciplina della concessione di spazi e aree pubblici di interesse culturale o paesaggistico alle imprese di pubblico esercizio per l’installazione di strutture amovibili funzionali all’attività esercitata, sul cui approfondimento ci si soffermerà in separata sede, viste le numerose riflessioni ed implicazioni che tale normativa suggerisce.
[8] Comunicato Stampa della Presidenza della Repubblica, 2 gennaio 2024, consultabile al link: https://www.quirinale.it/elementi/103918.
[9] Alcune Regioni hanno provveduto ad una ricognizione delle aree destinate all’esercizio del commercio su aree pubbliche. Tra queste si veda l’Emilia-Romagna che in data 27 settembre 2024 ha approvato la delibera n. 299, recante “Disciplina del commercio su aree pubbliche. Ricognizione, ai sensi dell’articolo 11, comma 3, della Legge 30 dicembre 2023, n. 214 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2022), delle aree destinate all’esercizio del commercio su aree pubbliche che risultano concedibili”. La succitata delibera, peraltro, da atto che “nonostante sia ampiamente scaduto il termine stabilito all’articolo 11, comma 1, della legge n. 214/2023, non è stata sancita l’intesa in sede di Conferenza unificata, né sono state adottate le linee guida ministeriali” e “che la norma statale non stabilisce disposizioni transitorie in ordine al rilascio delle concessioni di posteggio per l’esercizio del commercio su aree pubbliche nelle more dell’adozione delle linee guida da parte del Ministero competente e che quest’ultimo non ha fornito indicazioni al riguardo”.
[10] Per un’ulteriore analisi della sentenza in commento, si veda R. Felato, Commercio su aree pubbliche: il divieto di proroga automatica delle concessioni tra indergabilità del diritto unionale e disapplicazione della normativa domestica, in ItaliAppalti.it, 7 gennaio 2025.
[11] Corte di giustizia UE con la sentenza 30 gennaio 2018 (C- 360/15 e C- 31/16).
[12] Cfr. ibidem.
[13] Ad. Plen. Consiglio di Stato, n. 17 e 18 del 2021. Secondo le due importanti pronunce, con riferimento alla disciplina dell’affidamento delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico – ricreative, che le norme legislative nazionali che hanno disposto (o che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico – ricreative – compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid 19 dall’art. 182, comma 2, D.L. n. 34 del 2020, convertito in legge n. 77 del 2020 – sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE; tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione.
In entrambe le sentenze si è affermato il principio di diritto secondo cui il dovere di non applicazione della norma nazionale illegittima per violazione del diritto europeo si estende, oltre agli organi giudiziari, a tutte le articolazioni dello Stato, compresi gli enti territoriali e gli enti pubblici in generale anche in caso di direttiva self executing.
[14] Sentenza n. 291 del 2012.
[15] È bene precisare che la nozione di scarsità non presenta connotati assoluti, bensì relativi. In particolare, la Corte di giustizia UE ha chiarito il concetto di ‘scarsità’ con la sentenza del 20.4.2023, nella causa C- 348/22 del 20.04.2023, affermando che ‘…risulta dallo stesso tenore letterale dell’art. 12, paragrafo I, della direttiva 2006/123 che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturale, gli Stati membri devono applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”.
[16] Cfr. Cons. St., Sez.VII, 19 ottobre 2023, n. 9104.
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