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Il D. lgs. n. 36/2023 (d’ora in avanti “Codice”) prescrive all’ art. 41, co. 15 che all’ “allegato I.13 sono stabilite le modalità di determinazione dei corrispettivi per le fasi progettuali da porre a base degli affidamenti dei servizi di ingegneria e architettura”.
Detti corrispettivi, secondo il dato di legge, sono commisurati al livello qualitativo delle prestazioni e delle attività indicate, svolte dai professionisti in favore della Pubblica Amministrazione: e, per quanto rileva in particolare in questa sede, essi “sono utilizzati dalle stazioni appaltanti e dagli enti concedenti ai fini dell’individuazione dell’importo da porre a base di gara”.
A sua volta, il richiamato allegato I.13 rimanda espressamente, poi, per la loro specifica determinazione, al decreto del Ministro della giustizia 17 giugno 2016, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 174 del 27 luglio 2016 (di seguito “decreto ministeriale”) ed in particolare al quadro tariffario della tabella Z-2 ivi indicata.
In tale contesto, come ampiamente noto, sin dalle prime applicazioni della disciplina, si è posta all’attenzione degli interpreti e degli operatori la questione circa la ribassabilità dei valori così individuati in fase di gara e, più latamente, la questione relativa alla compatibilità della disciplina prevista in materia di ‘equo compenso’ – di cui alla L. n. 49/2023 – con quella di recepimento delle direttive comunitarie in materia di commesse pubbliche, da ultimo confluita nel nuovo Codice.
Il fervente dibattito che ne è sorto ha visto contrapporsi almeno due opposte linee interpretative che, ancora di recente, hanno impegnato la giurisprudenza amministrativa.
Di ciò si cercherà di dare conto nel proseguo del presente contributo, soffermando l’attenzione su un interessante pronunciamento del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Sezione Autonoma di Bolzano[1], che, oltre a prendere posizione sul punto e a proporre un’utile ricognizione degli argomenti spesi dalle due diverse impostazioni di fondo, si confronta anche col tema – tutt’altro che secondario – relativo alla legittimazione degli Organi professionali territoriali ad impugnare quelle clausole della lex specialis eventualmente ritenute in contrasto col dato normativo in punto di ‘equo compenso’.
Tali riflessioni assumono ancora più interesse se confrontate con la proposta di ‘correttivo’ al Codice approvato dall’Esecutivo che, recentissimamente, sembrano[2] segnare una direzione chiara, in linea, nei suoi tratti essenziali, con una soluzione mediana rispetto alla decisione assunta dal Tribunale bolzanino.
- La tesi favorevole all’applicazione della L. n. 49/2023 (anche) al settore delle commesse pubbliche
Nell’ambito di una procedura di gara sopra soglia per l’affidamento dei servizi di progettazione, direzione lavori e coordinamento della sicurezza in fase esecutiva per la costruzione di un plesso ospedaliero, nella sentenza poc’anzi richiamata, il giudice amministrativo, come detto, si è pronunciato sulla possibilità di sottoporre (o meno) a ribasso i ‘compensi’ professionali, quale corrispettivo dovuto per l’adempimento delle particolari prestazioni dovute.
L’occasione portata alla attenzione del giudicante, a fronte di un’impugnativa promossa da vari Ordini professionali avverso gli atti di gara, si è rivelata quindi particolarmente utile per (ri)proporre uno spaccato completo (ed esaustivo) circa lo stato dell’arte degli argomenti spesi dalla più avvertita giurisprudenza amministrativa che, nel corso di questi mesi, si è imbattuta in tale criticità.
Così, nel ‘far proprie’ le riflessioni sostenute da altre significative decisioni[3], è stato anzitutto oggetto di analisi il primo dei due (citati) orientamenti che, da far suo, patrocina la piena complementarità della normativa prevista dal Codice con quella di cui alla L. n. 49/2023, e che afferma, pertanto, la piena “operatività delle previsioni dettate dalla prima anche nel campo dell’evidenza pubblica”.
Le stesse riflessioni, a differenza di quelle vaticinate dal secondo orientamento – che pure saranno oggetto d’analisi nel prossimo paragrafo – devono esser parse più persuasive al giudice bolzanino che, nel caso di specie, le ha assunte a fondamento della propria decisione, dichiarando l’illegittimità delle clausole che consentivano il ribasso di tutte le voci del corrispettivo (indistintamente) e disposto per quanto di competenza in favore dei ricorrenti.
Ad ogni modo, e venendo al cuore della questione, secondo questa impostazione i ribassi offerti in fase di gara da parte degli operatori economici incontrano necessariamente un limite alla luce della normativa dettata dalla L. n. 49/2023.
L’assunto da cui muove questo approccio valorizza la previsione contenuta nell’art. 8 del Codice, nella parte in cui prevede espressamente, in via generale e quindi anche per le pubbliche amministrazioni, “di garantire […] l’applicazione del principio dell’equo compenso” nel campo delle commesse pubbliche.
La lettura piana del dato testuale non lascerebbe adito a dubbi e confermerebbe, in questa direzione, la tesi di quanti sostengono che, nel remunerare le prestazioni rese dai professionisti in favore delle Pubbliche Amministrazioni, il limite minimo del valore costituente l’“equo compenso” non possa essere affatto oggetto di sconto in gara.
Argomentare diversamente, del resto, renderebbe “privo di reale efficacia” l’intendimento veicolato proprio per il tramite dell’art. 8 a tutela dei professionisti impegnati nell’esecuzione degli accordi stretti con l’Amministrazione, poiché “i rapporti contrattuali tra i professionisti e la Pubblica Amministrazione nel mercato del lavoro attuale [rappresentano] una percentuale preponderante del totale dei rapporti contrattuali conclusi per le prestazioni di tale tipologia”.
Non scardina l’impostazione proposta, tra l’altro, l’assunto contrario di quanti vedrebbero “una compromissione della libera contrattazione, del confronto competitivo tra operatori economici e dei principi comunitari in materia di libertà di circolazione, di stabilimento e di prestazione di servizi” nella asserita impossibilità di porre a ribasso i prezzi tabellari del decreto ministeriale.
Ed infatti, come diffusamente si legge in sentenza “il compenso del professionista costitui[sce] soltanto una delle componenti del “prezzo” determinato dall’Amministrazione come importo a base di gara” poiché ad esso si affiancano altre voci, quali quelle “relative in particolare alle “spese ed oneri accessori””.
Da ciò si ricava, allora, che la sola voce del “compenso”, nella valutazione complessiva del “prezzo” posto a base di gara, assume rilevanza ai fini della notazione di “equo compenso” ai sensi della L. n. 49/2023 e, ancora, che resta salva la possibilità per l’operatore economico “di formulare la propria offerta economica ribassando le voci [ad esso] estranee […] [del]le spese e [del]gli oneri accessori”.
In tal modo, in risposta alle osservazioni di segno contrario, verrebbero quindi ampiamente garantiti i principi presidiati dal Codice, insieme all’operatività del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa nella logica di ‘premiare’ i ribassi più ‘importanti’ sul piano economico (anche se solo per una parte del prezzo).
Lungi dal produrre effetti anticoncorrenziali o in contrasto con la disciplina dell’Unione Europea, in particolare, tale conclusione tutela i professionisti “a prescindere dalla loro nazionalità” e consente loro, al contrario, “di conseguire un corrispettivo equo e proporzionato anche da un contraente forte quale è la Pubblica Amministrazione e anche in misura superiore a quella che sarebbero stati disposti ad accettare per conseguire l’appalto”.
In più, si osserva, per quegli operatori capaci in ragione della propria organizzazione di proporre ribassi sulla componente delle spese e degli accessori, la corretta dinamica competitiva viene comunque garantita dal “dovere dell’Amministrazione di sottoporre a controllo di anomalia […] [le] offerte non serie o che, per la consistenza del ribasso offerto su componenti accessorie del prezzo, potranno apparire in buona sostanza abusive, ossia volte ad ottenere un vantaggio indebito traslando su voci accessorie il ribasso economico che, in mancanza della legge n. 49/2023, sarebbe stato offerto sui compensi”.
- La tesi contraria all’applicazione (del limite) del compenso ‘equo’ alla materia degli appalti pubblici.
Pur aderendo alla tesi che sostiene la non ribassabilità del corrispettivo professionale, e prima di
addivenire alla propria determinazione, come anticipato, il Tribunale bolzanino non manca di riportare quella giurisprudenza[4] che in più di un’occasione ha invece sostenuto, con altre argomentazioni, la perfetta impermeabilità del sistema degli appalti pubblici alla novità introdotta con la più volte menzionata L. n. 49/2023.
Si è detto, al riguardo, in risposta all’altro orientamento, che “la predicata eterointegrazione della disciplina di gara con quella sull’equo compenso professionale sconterebbe […] i limiti intrinseci ed estrinseci di compatibilità o sovrapponibilità dei due impianti normativi (d.lgs. 36/2023 e l. n. 49/2023), che incidono [invece] su campi di materie e rispondono a finalità tra loro non perfettamente coincidenti ed omogenee”.
In questa prospettiva, infatti, sarebbe inconcepibile l’idea di non consentire in sede di offerta un ribasso sulla componente del corrispettivo, nei contratti aventi ad oggetto servizi di ingegneria ed architettura, senza frustrare allo stesso tempo “la sostanza proconcorrenziale di derivazione euro-unitaria” che permea l’intero impianto del Codice.
Ciò vale, a maggior ragione, se si considera pure che il Codice dei contratti pubblici appresta validi strumenti volti proprio ad evitare che eccessivi ribassi finiscano per svilire il lavoro (ed il ruolo) del professionista, al contempo consentendo all’ Amministrazione, però, nell’ottica del pubblico interesse, di affidare le commesse a prezzi comunque più convenienti e competiti.
Ci si riferisce, in particolare, a tutti quegli “specifici meccanismi volti a scongiurare la presentazione di offerte eccessivamente basse e, quindi, non sostenibili”: quali, “la disciplina sull’anomalia dell’offerta, la possibilità di prevedere un’appropriata ponderazione tra punteggio qualitativo ed economico, la possibilità di utilizzare formule per il punteggio economico che disincentivino eccessivi ribassi”.
A questi argomenti, per così dire di sistema, se ne affianca poi un altro di diretta derivazione ‘positiva’.
Il Codice, invero, prevede espressamente all’art. 227 che “ogni intervento normativo incidente sulle disposizioni del codice e dei suoi allegati, o sulle materie dagli stessi disciplinate, è attuato mediante esplicita modifica, integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni in essi contenute”.
La L. n. 49/2023, entrata in vigore il 20 maggio 2023 e, quindi, dopo la data di entrata in vigore dello stesso Codice, “non risulta [però] aver derogato espressamente allo stesso”.
Secondo la tesi in argomento, allora, da tale stato di cose, si desumerebbe “un indice testuale particolarmente pregnante nel senso della relativa inapplicabilità [della stessa legge] al settore degli appalti pubblici”.
Ad ulteriore conferma della bontà della propria tesi, questa lettura reca con sé anche almeno altri due ordini di argomentazioni di cui occorre dare conto, in chiusura.
E così, in linea con l’incedere che valorizza il dato testuale ex art. 227, si sottolinea anzitutto – nella medesima ottica di valutazione del dato positivo/testuale delle disposizioni a vario titolo interessate dalla questione de qua – che la legge n. 49/2023 sarebbe applicabile ai soli rapporti professionali aventi ad oggetto “prestazioni d’opera intellettuale di cui all’art. 2230 (contratto d’opera caratterizzato dall’elemento personale nell’ambito di un lavoro autonomo)” e, più in generale, “a tutti quei rapporti contrattuali caratterizzati dalla posizione dominante del committente, in cui è necessario ripristinare l’equilibrio sinallagmatico”: pertanto, in considerazione di tale assunto, la stessa legge sull’equo compenso pare non poter trovare affatto applicazione nel diverso campo degli appalti pubblici là dove, i contratti aventi ad oggetto la prestazioni di servizi di ingegneria e architettura sarebbero “normalmente [e di contro] riconducibili ai [diversi] contratti di appalto ex art. 1655 c.c., con cui una parte assume l’organizzazione dei mezzi necessari e la gestione a proprio rischio”.
A questo si aggiunge, in aperta antitesi con l’orientamento supra riportato dell’opposta tesi, che la sola concorrenza sul prezzo rapportata ad “ogni sua componente” – e, quindi, non solo al valore del “corrispettivo”- costituisce il dato realmente insormontabile per garantire “il corretto dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali della gare pubbliche”; dacché, in caso contrario, e tra l’altro, “l’eventuale limitazione alle sole spese generali o all’elemento qualitativo rischierebbe di introdurre di fatto una barriera all’ingresso per gli operatori, più giovani, meno strutturati e di minore esperienze”.
- La legittimazione (anche) degli Enti esponenziali territoriali ad impugnare clausole asseritamente escludenti in punto di equo compenso.
Strettamente correlata alla questione della ribassabilità (o meno) del corrispettivo professionale è la diversa, e preliminare, valutazione in ordine alla effettiva legittimazione ad agire dei soggetti interessati a contestare l’eventuale documentazione di gara – come nel caso affrontato dal giudice nella sentenza qui in commento – che dovesse effettivamente consentire la possibilità di applicare uno sconto a tale voce economica.
Non residuano dubbi circa la generale possibilità degli Ordini professionali di ricorrere avverso la documentazione di gara, se ritenuta immediatamente lesiva dell’interesse ‘istituzionalizzato’ di cui l’Ordine stesso si fa portatore.
Al riguardo, la giurisprudenza amministrativa ha affermato, infatti, che “gli ordini professionali sono legittimati ad agire per la tutela di posizioni soggettive proprie o di interessi unitari della collettività da loro istituzionalmente espressa”[5].
Tanto vale, anche per quelle peculiare ipotesi in cui l’interesse proprio della categoria si dimostri contrario rispetto a quello dei singoli professionisti che ne facciano parte: difatti, è sempre bene tener presente che è proprio la stessa ‘istituzionalizzazione’ del primo, e la sua naturale collocazione in capo all’ente esponenziale, a farne ontologicamente cosa distinta rispetto ai vari interessi puntuali che, in ipotesi, dovessero palesarsi nella situazione considerata.
Inoltre, come per la questione affrontata dal Tribunale Regionale qui d’interesse, “[in considerazione] di ordini professionali individuati su base territoriale, [si rammenta che] la legittimazione al ricorso va [anche] ricondotta all’ambito territoriale nel quale il provvedimento impugnato è destinato a produrre effetti”[6].
Ciò detto, nella panoramica della L. n. 49/2023, quest’ultima acquisizione potrebbe apparire contraddetta dal disposto di cui all’art. 5, co. 4, della stessa legge, in forza del quale “i Consigli nazionali degli ordini o collegi professionali sono legittimati ad adire l’autorità giudiziaria competente qualora ravvisino violazioni delle disposizioni vigenti in materia di equo compenso”.
Dalla lettura della disposizione, infatti, pare evincersi che solo i soggetti di caratura ‘nazionale’ possano dirsi legittimati ad agire giudizialmente per la tutela delle prerogative dei professionisti variamente rappresentati dai propri ‘ordini o collegi’.
Tale lettura – ed in questo la pronuncia in commento propone un’interessante innovazione – è tuttavia smentita nella misura in cui, lo stesso giudicante, in aderenza con quanto sostenuto dalle difese di parte ricorrente, ha definitivamente chiosato nel senso che “la tutela di cui all’art. 5, comma 4, de[bba] intendersi quale tutela aggiuntiva [ch]e non può, in mancanza di un’esplicita previsione normativa, intendersi come derogatoria del potere degli Ordini professionali territoriali di impugnare avanti al Giudice Amministrativo clausole di un bando di gara, lesive della disciplina in materia di equo compenso”.
Resta interessante, da ultimo, anche il passaggio successivo in cui si chiarisce che è inibita ai singoli partecipanti all’Ordine di impugnare la documentazione di gara; e ciò, in coerenza con quanto detto sin ora, per la semplice constatazione che – al netto di clausole immediatamente escludenti, che ne limitino la partecipazione ‘in partenza’ – difetta in capo al singolo quella lesione diretta, concreta ed attuale che ne giustific(herebbe) l’azione avanti al giudice, e che si pales(erebbe) – invece – solo a seguito dell’adozione di un provvedimento puntuale che, di quella stessa documentazione, è invece la naturale conseguenza.
- La soluzione adottata dallo schema preliminare di ‘correttivo’ in materia di equo compenso.
Al netto delle osservazioni in punto di legittimazione ad agire degli Organi territoriali di cui si è appena detto, valevoli in linea generale in considerazione delle peculiarità proprie della materia amministrativa, è appena il caso di evidenziare, come anticipato in premessa, che gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza sulla compatibilità tra la disciplina dell’ ‘equo compenso’ e quella dei contratti pubblici paiono, oggi, destinate ad essere superate tenuto conto delle novità introdotte dallo schema preliminare – già approvato – di decreto c.d. ‘correttivo’ al Codice.
Nondimeno, come detto, le riflessioni proposte in questo primo anno di vigenza del Codice continuano a rivestire carattere dirimente, almeno, si intende, al fine di comprendere le ragioni che si pongono alla base della (futura) scelta normativa.
La soluzione all’annosa questione, difatti, si pone in una linea mediana tra i due orientamenti considerati in questa sede e, tra l’altro, ovvia all’inconveniente – di cui si è detto – scaturente dalla lettura dell’art. 227 del Codice, nella misura in cui concepisce un intervento espresso e puntuale che modifichi la disciplina originaria del D. lgs. n. 36/2023.
In questo senso, pertanto, e più in particolare, va’ letta in prospettiva l’intenzione di introdurre due meccanismi per garantire i principi dell’equo compenso al settore dei contratti pubblici.
Due meccanismi, quelli indicati dall’art. 9 del ‘correttivo’ di modifica all’ art. 41 del Codice[7], tali che per gli affidamenti diretti, sia garantito un minimo dell’80% del corrispettivo previsto, al netto del ribasso che diventa (ora) però espressamente possibile; là dove, invece, per le procedure di gara in generale, l’equo compenso viene tutelato mediante la previsione di meccanismi di calmierazione del peso dei ribassi che possono essere formulati, anche in questo caso, sul 35% del corrispettivo (solo) per un valore percentuale previamente definito dalla legge[8].
Le opinioni espresse nel presente lavoro sono strettamente personali e non impegnano in alcun modo l’Istituzione di appartenenza.
[1] T.R.G.A., sez. aut. Bolzano, 9.10.2024, n. 231.
[2] In attesa della sua definitiva adozione.
[3] In sentenza si riporta la parte motiva di T.A.R. Calabria, sez. Reggio Calabria, 25.07.2024, n. 483 che, a sua volta, rimanda a T.A.R. Veneto, sez. III, 03.04.2024, n. 632; T.A.R. Lazio, sez. V-ter, 30.04.2024, n. 8580.
[4] Per tutte, T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 16.07.2024, n. 1494.
[5] Per tutte, Cons. St., Ad. Plen., 03.06.2011, n. 10.
[6] Tra alter, cfr. Cons. St. Sez. V., 28.03.2017, n. 1418.
[7] Si rimanda a “Schema di Decreto Legislativo recante “Disposizioni integrative e correttive al Decreto Legislativo 31 marzo 2023, n. 36””, reperibile online, ed in particolare all’art. 9, co.1, lett. h).
[8] Per cui si rimanda direttamente a: https://www.mit.gov.it/comunicazione/news/cdm-ok-allaggiornamento-del-codice-dei-contratti-pubblici.