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  1. Premessa

Con il presente contributo intendiamo ricostruire le numerose ipotesi di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione ad una procedura di appalto (o di concessione, o di altro contratto pubblico regolato dal vigente codice dei contratti pubblici) connesse a vicende giudiziarie, in corso o definite, di natura penale.  

Il riferimento normativo è costituito essenzialmente – all’interno del Titolo IV, capo II della parte V dedicata allo svolgimento delle procedure selettive – dagli artt. 94-98 del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, in uno con le discipline generali (il codice penale ed il codice di procedura penale) e particolari (la normativa antimafia e tutte le plurime leggi penali speciali ivi richiamate) presupposte. 

Il nuovo codice propone una distinzione tra (i) cause di esclusione automatica e (ii) cause per le quale l’effetto espulsivo passa per una autonoma e specifica valutazione da parte della stazione appaltante.

Vale rammentare – ciò che non costituisce oggetto di approfondimento e che dunque è dato per acquisito – che gli illeciti presi in considerazione come cause escludenti debbono riguardare i soggetti indicati all’art. 94, co. 3 e 4 del codice dei contratti pubblici, ivi compresa l’innovativa figura – nata nell’ambito dei reati fallimentari ed estesa al comparto “appaltistico”, onde colpire soggetti che, pur astrattamente non ricadenti nel novero soggettivo anzidetto, sono comunque idonei di fatto a condizionare l’operatività dell’impresa di cui sono titolari effettivi e sostanziali – dell’”amministratore di fatto”.

  • Cause a rilievo penale di esclusione automatica

L’art. 94, primo comma, del codice prevede come cause di esclusione automatica dalla procedura la sentenza definitiva di condanna, o l’intervenuta emissione di decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, per un catalogo assai nutrito di reati, a partire da quelli di cui alla lett. a), di seguito enunciati:

  • delitti di cui agli artt. 416 (associazione per delinquere), 416 bis del codice penale (associazioni di tipo mafioso anche straniere), o commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416bis oppure al fine di agevolare l’attività delle associazioni criminali ivi normate;
  • delitti previsti dall’art. 74 t.u. stupefacenti (d.P.R. n. 309/90), ossia le varie figure di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope;
  • delitto di cui all’art. 291 quater t.u. dogane (d.P.R. n. 43/73), vale a dire l’associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri;
  • delitto di cui all’art. 452 quaterdieces c.p. (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti).

Per tutte le fattispecie anzidette – comunque in quanto riconducibili alla partecipazione ad un’organizzazione criminale come definita dalla decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio dell’Unione europea, del 24 ottobre 2008, ossia quella “associazione strutturata di più di due persone, stabilita da tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere reati punibili con una pena privativa  della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà non inferiore a quattro anni o con una pena più grave per ricavarne, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale” – l’esclusione opera anche per le relative ipotesi di tentativo, che – come noto – ricorre in presenza di atti idonei ed univoci a commettere un delitto, purché l’azione non si compia o l’evento costituente l’illecito non si verifichi: art. 56 c.p.

Inoltre, rilevano (lett. b):

  • delitti di cui agli artt. 317 (concussione), 318 (corruzione per l’esercizio della funzione), 319 (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio), 319 ter (corruzione in atti giudiziari), 319 quater (induzione indebita a dare o promettere utilità), 320 (corruzione di persona incaricata di pubblico servizio), 321 (previsione che applica al corruttore le pene previste negli articoli precedenti relativi alla corruzione), 322 (istigazione alla corruzione), 322 bis (che estende le sanzioni, tra gli altri, dei reati di corruzione anzidetti a membri di Corti internazionali, di organi di comunità europee o di assemblee parlamentari internazionali o di organizzazioni internazionali, nonché a funzionari di Comunità europee e di stati esteri), 346 bis (traffico di influenze illecite), 353 (turbata libertà degli incanti), 353 bis (turbata libertà del procedimento di scelta del contraente), 354 (astensione dagli incanti), 355 (inadempimento di contratti di pubbliche forniture) e 356 c.p. (frode nelle pubbliche forniture);
  • delitto di cui all’art. 2635 del codice civile (infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità).

Anche per tali fattispecie è espressamente inclusa quella tentata. 

Proseguendo con le lett. c) e d), si hanno:

  • delitti di false comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2622 c.c.);
  • frode (che lede gli interessi finanziari delle comunità europee) ai sensi dell’art. 1 della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, del 26 luglio 1995.

Per le anzidette tre fattispecie non è prevista eguale previsione per la relativa ipotesi tentata.

Alla lett. e) compaiono i:

  • delitti – consumati o tentati – commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, e di eversione dell’ordine costituzionale, reati terroristici o reati connessi alle attività terroristiche.

La macrocategoria sembra includere non soltanto delitti strettamente connotati, già sotto il profilo fisionomico, dalle finalità terroristiche o eversive (si pensi agli artt. 280, 280 bis e 280 ter c.p.), ma ogni altra fattispecie illecita che, pur comune, includa o presupponga tali profili, ad es. nella previsione di circostanze aggravanti.        

Si prevedono ancora (lett. f), anche qui senza prevedersi il tentativo:

  • i delitti di cui agli artt. 648 bis (riciclaggio), 648 ter (impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) e 648 ter.1 (autoriciclaggio) c.p., nonché il riciclaggio di proventi di attività criminose o finanziamento del terrorismo, quali definiti all’art. 1 del d.lgs. 22 giugno 2007, n. 109.

Quanto a quest’ultima fattispecie, a rigore l’art. 1 del d.lgs. n. 109 cit. (recante “Misure per prevenire, contrastare  e reprimere il finanziamento del terrorismo e l’attività dei Paesi che  minacciano la pace e la sicurezza internazionale, in attuazione della direttiva  2005/60/CE”) definisce espressamente solo il ”finanziamento del terrorismo”, come (art. 1, lett. d) “qualsiasi attività diretta, con ogni mezzo, alla fornitura, alla raccolta, alla provvista, all’intermediazione, al deposito, alla custodia o all’erogazione di fondi e risorse economiche, in qualunque modo realizzata, destinati ad essere, direttamente o indirettamente, in tutto o in parte, utilizzati per il compimento di una o più condotte con finalità di terrorismo, secondo quanto previsto dalle leggi penali, ciò indipendentemente dall’effettivo utilizzo dei fondi e delle risorse economiche per la commissione delle condotte anzidette”. Non usa mai, invece, il termine “provento”, per cui il richiamo più prossimo potrebbe essere al “fondo” (quale “attività ed utilità finanziarie di qualsiasi natura, possedute anche per interposta persona fisica o giuridica etc.”) e/o alle “risorse economiche” (ossia “le attività di qualsiasi tipo, materiali o immateriali e i beni, mobili o immobili, ivi compresi gli accessori, le pertinenze e i frutti, che non sono fondi ma che possono essere utilizzate per ottenere fondi, beni o servizi, possedute, detenute o controllate, anche parzialmente, direttamente o indirettamente, ovvero per interposta persona fisica o giuridica, da parte di soggetti designati, ovvero da parte di persone fisiche o giuridiche che agiscono per conto o sotto la direzione di questi ultimi”).

La fattispecie della lett. g) desta perplessità:

  • sfruttamento del lavoro minorile e altre forme di tratta di esseri umani definite con il d.lgs  4 marzo 2014, n. 24.

Difatti, all’interno del d.lgs. n. 24 cit. le uniche due fattispecie di reato coinvolte – perché il relativo testo è stato da tale normativa modificato – sono gli artt. 600 e 601 c.p., delle quali solo la seconda (tratta di persone) sarebbe pertinente, perché la prima punisce la riduzione o il mantenimento in schiavitù o in servitù, che costituisce una fattispecie ben più ampia del solo “sfruttamento del lavoro minorile”.

Andrebbero incluse quantomeno anche le figure di cui agli artt. 600 octies (Impiego di minori nell’accattonaggio), ed intermediazione illecita e sfruttamento al lavoro di cui all’art. 603 bis, nell’ipotesi specifica aggravata del minore reclutato.

Infine, rileva (lett. h):

  • ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria, l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.

L’incapacità di contrattare con la p.a. è una delle pene accessorie previste dal codice penale, ed importa il divieto di concludere contratti con la medesima, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio. Essa scatta per ogni condanna per i delitti previsti dall’art. 32 quater c.p., che risultino commessi in danno o a vantaggio di un’attività imprenditoriale, o comunque in relazione ad essa.

Riportando qui le fattispecie al netto di quelle già previste nel codice, e dunque integrative del catalogo finora illustrato, abbiamo i reati di cui agli artt. 314, primo comma (peculato, nella sua ipotesi base); 316 bis (malversazione di erogazioni pubbliche); 316 ter (indebita percezione di erogazioni pubbliche); 319 bis (aggravante di cui all’art. 319, già previsto in precedenza); 437 (rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro); 452 bis (inquinamento ambientale); 452 quater (disastro ambientale); 452 sexies (traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività); 452 septies (impedimento del controllo ambientale e di sicurezza sul lavoro); 452 quaterdecies (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti); 501 (rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio); 501 bis (manovre speculative su merci); 640, secondo comma, n. 1 (truffa aggravata a danno dello Stato o di altro ente pubblico o dell’UE o con il pretesto di far esonerare qualcuno dal servizio militare); 640 bis (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche); 644 (usura).

Di regola l’incapacità ha una durata non inferiore ad un anno e non superiore a cinque anni (art. 32 ter, capoverso, c.p.). Tuttavia l’art. 317 bis c.p. stabilisce che, per alcuni dei reati surricordati (segnatamente, artt. 314, 317, 318, 319, 319 bis, 319 ter, 319 quater, primo comma, 320, 321, 322, 322 bis e 346 bis c.p.), essa sia in perpetuo, tranne che sia inflitta la pena della reclusione per un tempo non superiore a due anni o se ricorra la circostanza attenuante di cui all’art. 323 bis, primo comma (“fatti di particolare tenuità”) perché in tali casi, il divieto torna temporaneo per una durata non inferiore a cinque anni e non superiore a sette; infine, i limiti edittali scendono, rispettivamente, ad uno e cinque anni al ricorrere dell’attenuante del secondo comma dell’art. 323 bis cit. (ossia l’essersi “efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili o per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite”).

Il co. 8 dell’art. 94 dispone che se la sentenza penale di condanna definitiva non fissa la durata della pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, la condanna produce effetto escludente dalle procedure d’appalto:

a) in perpetuo, nei casi in cui alla condanna consegue di diritto la pena accessoria perpetua ex art. 317 bis, primo co., primo periodo, c.p. (salvo che la pena sia dichiarata estinta ai sensi dell’art. 179, settimo co., c.p.);

b) per un periodo pari a sette anni nei casi previsti dall’art. 317 bis, primo co., secondo periodo, c.p. (salvo che sia intervenuta riabilitazione);

c) per un periodo pari a cinque anni, nei casi diversi da quelli anzidetti (anche qui, salvo riabilitazione).

Se poi la pena principale ha una durata inferiore, rispettivamente, a sette e cinque anni di reclusione, l’effetto escludente che ne deriva si produce per un periodo avente durata pari alla durata della pena principale.

  • In particolare, le cd. interdizioni antimafia

Al su riportato novero di illeciti – che curiosamente non include una fattispecie che egualmente, se non con anche maggiore virulenza, importa una cesura significativa del rapporto fiduciario con l’amministrazione (il delitto di subappalto non autorizzato di cui all’art. 21 del d.l. n. 646/82 conv. in l. n. 726 del 1982, per il quale è assegnata alla stazione appaltante, in caso di affermata responsabilità penale, la facoltà di risolvere il contratto con l’affidatario) – si aggiungono (co. 2 dello stesso art. 94) la sussistenza di ragioni di decadenza, sospensione o divieto previste dall’art. 67 del d.lgs. n. 159/11 (cd. Codice antimafia) o di tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all’art. 84, co. 4, del medesimo testo.

Per quanto riguarda le prime (ragioni di decadenza, sospensione o divieto), esse sono costituite anzitutto dall’intervenuta applicazione, con provvedimento definitivo, di una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II dello stesso d.lgs. n. 159 (ossia le misure di prevenzione personali applicate dall’autorità giudiziaria: sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, cui può aggiungersi il divieto di soggiorno in uno o più comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale, o in una o più regioni; l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale).

Difatti, stabilisce il co. 2 dell’art. 67 del codice antimafia che “il provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione determina … il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera. Le licenze, le autorizzazioni e le concessioni sono ritirate e le iscrizioni sono cancellate ed è disposta la decadenza delle attestazioni a cura degli organi competenti”.

Peraltro – prevede il successivo co. 3 – nel corso del procedimento di prevenzione, il tribunale, ricorrendo motivi di particolare gravità, può disporre in via provvisoria i divieti anzidetti (provvedimento revocabile in qualunque momento dal giudice procedente e destinato a perdere efficacia ove non confermato con il decreto che applica la misura di prevenzione).

Salvo per provvedimenti di rinnovo, attuativi o comunque conseguenti a provvedimenti già disposti, ovvero di contratti derivati da altri già stipulati dalla p.a, la conclusione di contratti o subcontratti indicati nel co. 2 (contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera) non può essere consentita a favore di persone nei cui confronti è in corso il procedimento di prevenzione senza che sia data preventiva comunicazione al giudice competente, il quale può disporre – ricorrendone i presupposti – i divieti e le sospensioni (in  tal caso, i relativi procedimenti amministrativi restano sospesi fino a quando il giudice non provvede e, comunque, per un periodo non superiore a venti giorni dalla data in cui la p.a. ha proceduto alla comunicazione).

Ai sensi del co. 4, “Il tribunale … dispone che i divieti e le decadenze previsti dai commi 1 e 2 operino anche nei confronti di chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di prevenzione nonché nei confronti di imprese, associazioni, società e consorzi di cui la persona sottoposta a misura di prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi. In tal caso i divieti sono efficaci per un periodo di cinque anni”.

Una ulteriore ipotesi di “ragioni di decadenza, sospensione o divieto” è costituita – art. 67, co. 8 – dalle persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all’art 51, co. 3-bis c.p.p. (quelli per i quali le funzioni requirenti sono svolte dalla Procura distrettuale antimafia), nonché per i reati di cui all’art. 640 (truffa), secondo co., n 1) c.p., commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico, e all’art. 640-bis del c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche).

Venendo ora ai “tentativi di infiltrazione mafiosa”, essi si desumono, ai fini che qui rilevano:

  • da provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna, anche non definitiva, per taluni dei delitti di cui agli artt. 353 (turbata libertà degli incanti), 353 bis (turbata libertà del procedimento di scelta del contraente), 603 bis (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro), 629 (estorsione), 640 bis (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche),  644 (usura), 648 bis (riciclaggio), 648 ter (impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita), dei delitti di cui all’art. 51, co. 3 bis c.p.p. (cognizione della Procura distrettuale antimafia) e di cui all’art. 12 quinquies del d.l. n.306/92 conv in l. n. 356/92 (trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori), nonché dei delitti di cui agli artt. 2, 3 e 8 del d.lgs. n. 74/00 (rispettivamente, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, ed emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti);
  • dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione;
  • salvo che ricorra l’esimente di cui all’art. 4 l. n. 689/81 (adempimento di un dovere, esercizio di facoltà legittima, stato di necessità o legittima difesa), dall’omessa denuncia all’autorità giudiziaria dei reati di cui agli artt. 317 (concussione) e 629 (estorsione) c.p. aggravati ai sensi dell’art 416 bis.1 c.p., da parte di soggetti nei cui confronti sia pendente l’applicazione di un procedimento di prevenzione o di una delle cause ostative di cui al cessato art. 10, l. n. 575/65 (attuale art. 67 citato del codice antimafia), anche in assenza nei loro confronti di un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione o di una causa ostativa ivi previste. Tale circostanza deve emergere dagli indizi a base della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell’imputato, e deve essere comunicata – unitamente alle generalità del soggetto che ha omesso la predetta denuncia – dal Procuratore della Repubblica procedente alla Prefettura della Provincia in cui i soggetti richiedenti di cui all’art. 83, co. 1 e 2 (rispettivamente, pubbliche amministrazioni e assimilate, nonché contraenti generali), hanno sede, ovvero in cui hanno residenza o sede le persone fisiche, le imprese, le associazioni, le società o i consorzi interessati ai contratti e subcontratti di cui all’art. 91, co. 1, lett. a) e c) (rispettivamente, soglia europea per i contratti; euro 150 mila per subcontratti, cessioni e cottimi), o che siano destinatari degli atti di concessione o erogazione di cui alla lettera b) dello stesso comma (concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali).

Peraltro le cause di esclusione legate alla ricorrenza di “tentativi di infiltrazione mafiosa” non operano se, entro la data dell’aggiudicazione, l’impresa sia stata ammessa al controllo giudiziario adottato dal Tribunale ex art. 34-bis del medesimo codice antimafia.

  • Le cause di esclusione non automatiche

Veniamo ora alle cause di esclusione non automatiche, ovviamente – ai fini della presente trattazione – limitatamente alle vicende giudiziarie penali.

Reca il primo co. dell’art. 95 del d.lgs. n 36/23 che la stazione appaltante esclude dalla partecipazione alla procedura un operatore economico qualora accerti, tra l’altro, che l’offerente abbia commesso un illecito professionale grave, tale da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità, dimostrato dalla stazione appaltante con mezzi adeguati, nell’enunciazione tassativa dell’uno e degli altri fornita dall’art. 98.

A tal riguardo il terzo co. di tale ultima previsione dispone che l’illecito professionale è desumibile al verificarsi di almeno uno dei seguenti elementi (tra quelli qui di interesse):

  • omessa denuncia all’autorità giudiziaria da parte dell’operatore economico persona offesa dei reati previsti e puniti dagli artt. 317 e 629 del codice penale, aggravati ex art. 416-bis.1 del medesimo codice (salvo ricorrenza dei casi previsti dall’art. 4, primo co. l. n. 689/81) (lett. f);
  • contestata commissione di taluno dei già ricordati reati, consumati o tentati, di cui al co. 1 dell’art. 94 (lett. g);
  • contestata o accertata commissione di taluno dei seguenti reati consumati (lett. h):
  • abusivo esercizio di una professione (art. 348 c.p.);
  • bancarotta semplice, bancarotta fraudolenta, omessa dichiarazione di beni da comprendere nell’inventario fallimentare o ricorso abusivo al credito (artt. 216, 217, 218 e 220 r.d. 16 marzo 1942, n. 267);
  • reati tributari di cui al d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74;
  • delitti societari di cui agli artt. 2621 e ss. c.c.
  • delitti contro l’industria e il commercio (artt. 513-517 c.p.);
  • reati urbanistici di cui all’art. 44, co. 1, lett. b) (esecuzione di lavori in totale difformità o assenza del permesso o prosecuzione degli stessi nonostante l’ordine di sospensione) e c) (lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio), t.u. edilizia (d.P.R. n. 380/01), con riferimento agli affidamenti aventi ad oggetto lavori o servizi di architettura e ingegneria;
  • reati previsti dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.

Come si vede, a parte la ripetizione della fattispecie dell’omessa denuncia dei particolarmente gravi reati connotati dall’aggravante mafiosa (che già costituisce di per sé elemento da cui desumere – come già ricordato – i “tentativi di infiltrazione mafiosa”, e dunque causa di esclusione automatica), rilevano tutte le ipotesi di reato che determinano l’esclusione automatica, con la differenza che qui (i) emergono tutte le fattispecie dell’art. 94, comprese quelle tentate che secondo tale disposizione non rilevavano, e (ii) risulta indicata anche la sola contestazione.

Segue, infine, l’anzidetto elenco – pure qui rilevando anche le sole contestazioni di illecito – che per molti ambiti (es. i reati tributari ed i delitti societari) è costruito in modo da ricomprendere tutte le relative fattispecie, laddove solo una o più di esse costituisce cause di esclusione automatica. La caratteristica è che in ogni caso debba trattarsi di reati solo consumati, con esclusione dunque del tentativo.

Il richiamo, poi al d.lgs. n. 231 cit. (responsabilità amministrativa da reato) determina, stante la notevole ampiezza dei reati presupposto ivi previsti, o la mera duplicazione di fattispecie previste già tra le cause di esclusione non automatica (es. i reati tributari), o l’inserimento di ipotesi di reato non considerate (si pensi all’abuso d’ufficio), tra le quali spiccano i reati ambientali, nonché l’omicidio colposo o le lesioni colpose con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro (ipotesi che comunque rientrerebbero nelle “gravi infrazioni … alle norme in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, nonché agli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro etc.”, di cui all’art. 95, co. 1, lett. a).           

La valutazione di gravità – dispone il co. 4 dell’art. 98 – deve tenere conto (i) del bene giuridico leso dalla norma penale, (ii) dell’entità della lesione inferta dalla condotta materiale del reato e (iii) del tempo trascorso dalla violazione, anche in relazione a modifiche intervenute nel frattempo nell’organizzazione dell’impresa (inciso quest’ultimo che consente di valorizzare gli eventualmente mutati assetti aziendali e dunque le “prese di distanza” da condotte di precedenti amministratori o direttori tecnici responsabili dei fatti illeciti).

Quanto ai mezzi di prova adeguati (art 98, co. 6), essi – sempre nei limiti di interesse del presente contributo – sono costituiti:

  • per la fattispecie di cui alla lett. f) (omessa denuncia), dagli elementi ivi indicati;
  • per le fattispecie di cui alla lett. g) (reati consumati o tentati, anche solo contestati, che soltanto se definitivamente accertati, determinerebbero l’esclusione automatica), gli atti di cui all’art. 407-bis, co. 1, del codice di procedura penale (la formulazione dell’imputazione operata dal pubblico ministero con la richiesta di rinvio a giudizio innanzi al Giudice per l’udienza preliminare, o con il decreto che dispone il giudizio innanzi al Tribunale in composizione monocratica, o infine le altre ipotesi di formulazione dell’imputazione nei riti alternativi), il decreto che dispone il giudizio, eventuali provvedimenti cautelari reali o personali, la sentenza di condanna non definitiva, il decreto penale di condanna non irrevocabile, la sentenza non irrevocabile di applicazione della pena su richiesta ex art 444 c.p.p. (cd. patteggiamento);
  • per le fattispecie di cui alla lett. h) (catalogo dei reati specificatamente indicati sopra), parimenti la sentenza di condanna definitiva, il decreto penale di condanna irrevocabile, la condanna non definitiva, i provvedimenti cautelari reali o personali del giudice penale.

La stazione appaltante è tenuta a valutare – ai sensi del co. 7 dell’art. 98 – tali provvedimenti sanzionatori e giurisdizionali, motivando in particolare sulla loro ritenuta idoneità ad incidere sull’affidabilità e sull’integrità dell’offerente, soffermando l’attenzione anche sull’eventuale impugnazione dei medesimi. Fermo restando che l’onere di motivazione (co. 8) deve necessariamente connotare tutti e tre gli elementi indicati al co. 2 per approdarsi all’esclusione (dunque gli elementi sufficienti ad integrare il grave illecito professionale; sua idoneità ad incidere su affidabilità/integrità dell’operatore; adeguatezza dei mezzi di prova).

Le cause di esclusione non automatiche rilevano (art. 96, co. 10)  – salvo che ricorra la condotta di cui al co. 3, lett. b), dell’art. 98 (ossia, la condotta dell’operatore economico che abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a proprio vantaggio o che abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni su esclusione, selezione o aggiudicazione) – per tre anni, decorrenti dalla data di emissione di uno degli atti di esercizio dell’azione penale, oppure di eventuali provvedimenti cautelari personali o reali del giudice penale, se antecedenti all’esercizio dell’azione penale ove la situazione escludente consista in un illecito penale rientrante tra quelli valutabili ai sensi del co. 1 dell’art.  94 oppure ai sensi del co. 3, lett. h), dell’art.  98 (contestata o accertata commissione di taluno dei reati consumati ivi previsti). In tutti gli altri casi (qui di interesse) dalla commissione del fatto.

L’eventuale impugnazione di taluno dei provvedimenti suindicati – precisa il co. 11 dell’art. 96 – non rileva ai fini della decorrenza del triennio.

  • Previsioni comuni
    • Circostanze “riabilitanti”

Per tutte le fattispecie espulsive (automatiche e no), l’esclusione non è disposta e il divieto di aggiudicare non si applica – artt. 94, co.7; 95, co. 3 – quando (i) il reato è stato depenalizzato, (ii) è intervenuta la riabilitazione, (iii) nei casi di condanna a una pena accessoria perpetua, questa è stata dichiarata estinta ai sensi dell’art. 179, co. 7 c.p., (iii) il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna, e (iv) la condanna è stata revocata.

La depenalizzazione di un reato non crea problemi interpretativi: si ha quando il legislatore si determina a privare una fattispecie incriminatrice di quel disvalore intrinseco che la colloca nel sistema penale, per “retrocederla” a sanzione amministrativa o illecito civile. A maggior ragione, la previsione vale se il comportamento in precedenza illecito non è più coperto da alcuna sanzione, ma questa ipotesi – come pure l’intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma (penale), pronuncia che determina, ex art. 136 Cost., la disapplicazione di essa a decorrere dal giorno successivo alla sua pubblicazione – rientra più correttamente nella revocabilità della sentenza (art 673, primo co., c.p.p.).

La riabilitazione è una causa di estinzione della pena, che determina di regola l’estinzione anche delle pene accessorie e di ogni altro effetto penale della condanna (art. 178 c.p.). Essa non produce effetti sulle pene accessorie perpetue; tuttavia, decorsi sette anni dalla riabilitazione, anche tale pena specifica è dichiarata estinta, purché il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta (art. 179, co 7 c.p., richiamato per l’appunto dalla previsione del d.lgs. n.36/23)

Anche l’intervenuta declaratoria di estinzione del reato dopo la condanna – per le varie ipotesi previste dal codice penale (amnistia, remissione di querela per i reati che presuppongano tale procedibilità, prescrizione, oblazione nei reati contravvenzionali, condotte riparatorie ex art. 162 ter, decorso del periodo di sospensione condizionale della pena, favorevole messa alla prova ex art. 168 bis, perdono giudiziale in caso di minori) – preclude l’operatività delle clausole di esclusione.

Resta, da ultimo, l’ipotesi di revoca di una condanna, che – al netto di quanto già anticipato – si configura o per il decreto penale sul quale è formulata opposizione o per revisione (art. 630 c.p.p.)      

  •  Custodia o amministrazione giudiziaria di imprese in sequestro/confisca

Stabilisce l’art. 96, co. 16 che tutte le cause di esclusione previste non si applicano a aziende o società sottoposte a sequestro o confisca ai sensi dell’art. 240-bis c.p. o degli artt. 20 e 24 del codice antimafia, e affidate ad un custode od amministratore giudiziario o finanziario, limitatamente a quelle riferite al periodo precedente al predetto affidamento.

La previsione mira evidentemente a salvaguardare l’operatività continuativa di imprese che, pur attinte da misure patrimoniali ablatorie o di sicurezza, possono continuare a svolgere la propria attività sotto la direzione di organi di diretta emanazione del Tribunale competente.

  • Misure di cd. self cleaning

Infine, per entrambe le casistiche escludenti (automatiche e no), 2, il codice (art. 96) prevede che l’operatore economico non è escluso se si sono verificate le condizioni di cui al co. 6 ed abbia adempiuto agli oneri di cui ai co. 3 o 4.  

Se la causa di esclusione si è verificata prima della presentazione dell’offerta, l’operatore economico – contestualmente ad essa – la comunica alla stazione appaltante comprovando, alternativamente, di avere adottato le misure di cui al co. 6, oppure di non averle potute adottare in precedenza, ottemperandovi successivamente. Se invece la causa si è verificata successivamente, l’operatore economico adotta e comunica le misure.

Il co. 6 illustra come le misure adottate siano da ritenersi sufficienti a dimostrarne l’affidabilità, oltre che tempestivamente adottate: occorre, in particolare, che l’o.e. dimostri (i) di aver risarcito, od essersi impegnato a risarcire, qualunque danno causato dal reato, (ii) di aver chiarito i fatti e le circostanze in modo globale, collaborando attivamente con le autorità investigative e (iii) di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati.

Le misure sono valutate considerando la gravità e le particolari circostanze del reato illecito, nonché la tempestività della loro assunzione, comunicando le motivazioni ove siano ritenute intempestive o insufficienti.

Chi risulti escluso con sentenza definitiva dalla partecipazione alle procedure di appalto o di concessione non può avvalersi del cd. self cleaning nel corso del periodo di esclusione derivante da tale sentenza.

5.4. Altre disposizioni

Reca l’art. 96, co. 12 che l’operatore economico ha l’onere di comunicare immediatamente alla stazione appaltante la sussistenza di taluno dei provvedimenti surricordati che determinano la contestazione dell’illecito (richiesta di rinvio a giudizio, provvedimenti cautelari etc.), ove non menzionati nel proprio fascicolo virtuale. Se vi contravviene, il triennio inizia a decorrere dalla data in cui la stazione appaltante ha acquisito taluno di detti provvedimenti.

Ai sensi poi del successivo co. 14, lo stesso o.e. ha l’obbligo di comunicare alla stazione appaltante la sussistenza dei fatti e dei provvedimenti che possono costituire causa di esclusione ai sensi degli articoli 94 e 95, ove non menzionati nel proprio fascicolo virtuale. L’omissione di tale comunicazione o la non veridicità della medesima, pur non costituendo di per sé causa di esclusione, può rilevare ai sensi del comma 4 dell’art. 98 (ossia nella complessiva valutazione di gravità dell’illecito professionale).

Infine, il co. 15 dell’art. 96 stabilisce che in caso di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione, nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalto, la stazione appaltante ne dà segnalazione all’ANAC che, se ritiene esser state rese con dolo o colpa grave, tenuto conto della rilevanza o della gravità dei fatti oggetto della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione, dispone l’iscrizione nel casellario informatico ai fini dell’esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto per un periodo fino a due anni, decorso il quale l’iscrizione è cancellata e perde comunque efficacia.

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Avv. Aldo Areddu
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