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  • Mi dica, cosa prova quando ha tra le mani quella penna?
  • Ci pensi, cosa le impedisce di utilizzarla, di scrivere il suo nome?
  • È come se diventasse esageratamente pesante. Non riesco a tenerla tra le dita. Comincio a sudare, ad avere tremori e nausea.
  • E mi saprebbe dire da quando ha cominciato ad avvertire questi sintomi?
  • Dall’articolo 28 della Costituzione o anche dall’articolo 22 del DPR n. 3 del 1957.

Il terapeuta annota qualcosa sul taccuino: Francesco Rossi, fobia della firma.

Non paura, ma fobia. La differenza risiede nell’imminenza di un pericolo nel primo caso e nel manifestarsi di stati d’ansia, anche in assenza di una reale situazione dannosa, nel secondo.

Come si cura? Sarebbe meraviglioso avere un sistema con il quale andare a correggere tali disfunzioni nel nostro cervello, prelevarle e smaltirle. Ad oggi non disponiamo di tali tecnologie.

Una procedura simile esiste solo in ambito normativo. Se c’è qualcosa che provoca un qualsiasi impedimento si modifica una legge, la si corregge, alle brutte, la si abroga.

E così, in questi giorni, torna alla ribalta un tema sul quale, a dir la verità, si questiona ormai da anni: l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio.

L’esistenza del reato sarebbe la causa della “fobia della firma”. Il ragionamento è questo: il funzionario timoroso di incorrere in giudizio per comportamento irresponsabile, decide di non prendersi la responsabilità di approvare o non approvare un documento. Il risultato è disastroso per il funzionamento delle Pubbliche Amministrazioni. In una fase storica nella quale i meccanismi decisionali dovrebbero essere più rapidi ed efficienti per accedere ai fondi del PNRR, si assiste ad un drastico rallentamento se non addirittura a una paralisi delle procedure. Così, progettazioni e appalti rischiano di restarne compromessi, di perdere la disponibilità dei fondi. È il fenomeno della “burocrazia difensiva”. I soggetti preposti allo svolgimento di funzioni decisionali tendono a omettere di adempiere ai propri doveri per preservare il proprio ufficio e la propria persona da possibili ricorsi e conseguenti procedure giudiziarie.

Per superare questo stallo, sempre più dilagante nella nostra struttura amministrativa, cosa si fa? Se ne cercano le cause e si prova a porre rimedio? No, molto più facile eliminare gli effetti: abrogare il reato di abuso d’ufficio che tanta ansia induce nei pubblici ufficiali. Ma si tratta di un palliativo. È come se stessimo somministrando al nostro signor Rossi degli ansiolitici che attenueranno i sintomi  nell’immediato ma non lo aiuteranno a risolvere il problema. Per ottenere questo risultato lo psicoterapeuta ha bisogno di intraprendere un lungo percorso di terapia, di indagare sulle cause di questa paura irrazionale.

Perché i funzionari hanno paura di finire sotto processo? È giustificata la reazione da parte di dirigenti in malafede, poco chiaro è invece se lo stesso atteggiamento è assunto da chi onestamente svolge questo lavoro. È necessario trovare un sistema che tuteli questi ultimi senza avvantaggiare i primi. Abrogare il reato di abuso d’ufficio non viaggia in questa direzione. La strada da intraprendere dovrebbe essere un’altra. Ce la suggerisce il Presidente onorario della Corte dei Conti Angelo Canale che in una relazione del 2011 affermava che “la “paralisi del fare”, che esiste e certamente va contrastata, è imputabile in larga misura alla farraginosità delle regole, alla esondazione o ipertrofia normativa, che determina uno stato di incertezza”. Ecco la parola chiave: incertezza. I documenti che spesso vengono sottoposti al veto dei funzionari pubblici sono talmente ostici che questi non riescono a comprendere cosa devono approvare o bocciare. Si parla di semplificazione da decenni, ma ogni volta che ci si fregia di aver avviato un processo di semplificazione delle leggi e della burocrazia, subito dopo avvertiamo che la realtà non è mutata. A volte, addirittura, la situazione si è ingarbugliata ulteriormente. A questo punto si può riformulare la diagnosi. L’incertezza della norma è reale, un rischio è reale, qualcosa di cui si deve avere paura.

Ci vuole una progettualità a lungo termine, condivisa e immune dagli egoismi politici, per un risultato concreto. Ci vogliono anni di lavoro e tonnellate di tomi da esaminare e riscrivere. È un’impresa che richiede sacrificio e dedizione. Archiviare la questione legata all’immobilità burocratica con l’abrogazione di una legge, risolvendo nell’immediato tale aspetto, non è risolutivo ed espone il sistema al dilagare di altre criticità. 

A dire chiaramente come cambia lo scenario all’indomani dell’abrogazione è il Presidente dell’ANAC Giuseppe Busia. Dalle colonne de La Stampa del 25 giugno scorso afferma che l’abuso d’ufficio “punisce un comportamento che è oggettivamente grave. Quello del funzionario pubblico che viola una specifica disposizione di legge e lo fa intenzionalmente. Non basta: il reato scatta solo se produce un danno o un vantaggio ingiusto nei confronti di qualcuno”. Portando l’intervento di Busia nell’alveolo del settore degli appalti pubblici, il rischio è che il funzionario di una certa amministrazione possa optare per il gestire un appalto pubblico con il sistema dell’affidamento diretto e di assegnare la commessa a un’impresa di sua conoscenza. In questo caso, non essendoci un diretto vantaggio economico a favore del pubblico ufficiale attore del favoritismo, non scatterebbe il reato di corruzione e, venendo meno quello di abuso d’ufficio, resterebbe impunito.

Questo sì che fa paura.

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Questo articolo è stato scritto da...

Dott. Enzo de Gennaro
Direttore Responsabile
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.