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1. Inquadramento storico della problematica

La questione concernente la sorte del contratto d’appalto già stipulato a fronte del sopravvenuto annullamento giurisdizionale della relativa aggiudicazione ha rappresentato un tema lungamente dibattuto in seno alla dottrina ed alla giurisprudenza, che è stato soltanto parzialmente, come vedremo, risolto dall’intervento del legislatore.

La problematica che si pone è molto delicata poiché investe il cruciale passaggio dalla fase pubblicistica ed evidenza pubblica e la fase contrattuale vera e propria in cui entrambe le parti contraenti, sia quella privata che quella pubblica, operano in regime di diritto privato in una dialettica di sostanziale parità, per cui si tratterebbe di stabilire in che termini gli atti amministrativi relativi al procedimento di evidenza pubblica siano in grado di condizionare validità ed efficacia dell’accordo contrattuale medio tempore raggiunto. Se da un lato, infatti, è necessario tutelare la posizione del soggetto che abbia vittoriosamente proposto ricorso avverso l’atto di gara, dall’altro occorre garantire tutela all’aggiudicatario, vittima di illegittimità spesso verificatesi nel corso della procedura di evidenza pubblica e addebitabili alla Stazione appaltante.

Secondo la dottrina più tradizionale, dall’annullamento dell’aggiudicazione discendeva l’annullabilità relativa del contratto stipulato medio tempore, ai sensi dell’art. 1441 c.c., tale ricostruzione traeva spunto dalla considerazione che la procedura ad evidenza pubblica era essenzialmente finalizzata a garantire la scelta del miglior contraente tra tutti i partecipanti, a tutela esclusiva degli interessi pubblici. Sulla scorta del menzionato orientamento dottrinario, la Corte di Cassazione inquadrava il fenomeno descritto nella tematica del vizio della legittimazione a contrarre da parte dell’organo che aveva espresso la volontà dell’ente (Cfr. Cassazione civile, Sez. II, 21.2.1995 n. 1885 e 8.5.1996, n. 4269). Da allora, e per lungo tempo, la tesi dell’annullabilità relativa del contratto ex art. 1441 c.c. ha caratterizzato la giurisprudenza del giudice ordinario, trovando significativi riscontri anche nella giurisprudenza amministrativa (CdS., Sez. VI, 1.2.2002, n. 570). La tesi muoveva dal presupposto che gli atti amministrativi adottati nella procedura di evidenza pubblica, i quali precedono la stipulazione del contratto iure privatorum, rappresentano mezzi di integrazione della capacità e della volontà dell’ente pubblico; con la conseguenza che i loro vizi, traducendosi in un difetto di capacità della P.A., sono deducibili, in via di azione o di eccezione, soltanto dalla Stazione appaltante, al fine di ottenere l’annullabilità del contratto. Siffatta posizione, oltretutto, era quella che meglio si attagliava ad assicurare la certezza dei rapporti giuridici; atteso che, diversamente opinando, aderendo cioè all’orientamento della nullità assoluta, qualunque terzo escluso dall’aggiudicazione poteva far valere, anche a distanza di tempo, l’invalidità radicale del contratto, travolgendone perciò gli effetti.

Secondo la dottrina più tradizionale, dall’annullamento dell’aggiudicazione discendeva l’annullabilità relativa del contratto stipulato medio tempore, ai sensi dell’art. 1441 c.c., a tutela esclusiva degli interessi pubblici. Secondo una differente interpretazione (Cfr., ex plurimis, CdS, Sez. IV, ordinanza n. 3355/2004), l’annullamento dell’aggiudicazione comportava la nullità del contratto di appalto, sulla base della riscontrata contrarietà alle norme imperative disciplinanti la gara d’appalto

Secondo una differente interpretazione (Cfr., ex plurimis, CdS, Sez. IV, ordinanza n. 3355/2004), l’annullamento dell’aggiudicazione comportava la nullità del contratto di appalto, sulla base della riscontrata contrarietà alle norme imperative disciplinanti la gara d’appalto. Le disposizioni che disciplinano le modalità di scelta del contraente esprimerebbero in tal caso un implicito divieto di stipulare con soggetti che non siano risultati legittimi vincitori della gara configurandosi la fase pubblicistica dell’evidenza pubblica come una fattispecie complessa (Cfr. CdS, sez. V, 13.11.2002) in cui convergono meri atti, operazioni materiali e provvedimenti, della quale la stipulazione del contratto rappresenta solo l’effetto finale. Ne seguiva che l’invalidità degli atti procedimentali, facendo venir meno ex tunc il provvedimento di aggiudicazione, impediva alla suddetta fattispecie di conseguire il proprio perfezionamento giuridico, ed in primo luogo di determinare l’idem consensus (ovvero l’accordo) che costituisce elemento essenziale di ogni contratto. E’ noto, infatti, che il vizio radicale del consenso, nel senso del suo difetto genetico originario, produce la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418 co. 2 c.c. (Cfr. TAR Puglia, Bari, 23.10.2002, n. 394; Cass. Civ. 9.1.2002, n. 193).

La terza tesi è quella dell’inefficacia, che vede la caducazione, in sede sia giurisdizionale che amministrativa, degli atti della fase della formazione della volontà dell’amministrazione di concludere un contratto, quale momento in cui l’amministrazione stessa viene privata, ex tunc, della legittimazione a negoziare. In base alla menzionata ricostruzione, è come se la P.A., in caso di annullamento dell’aggiudicazione, avesse negoziato pur essendo priva della legittimazione a farlo. Di conseguenza, secondo il descritto orientamento, il contratto diventa ab origine inefficacie, se uno degli atti del procedimento viene meno per qualsiasi causa.

Secondo un’ultima ricostruzione giurisprudenziale (Cfr. CdS Sez. VI, n. 2992/2003 e n. 244/2000), l’annullamento dell’aggiudicazione comportava la caducazione automatica degli effetti della stipulazione. Secondo tale orientamento, infatti, l’annullamento dell’aggiudicazione poneva nel nulla l’intero effetto-vicenda da esso derivato, a cominciare dal contratto di appalto, il quale non aveva una propria autonomia ma si limitava a riprodurre formalmente quanto già stabilito nell’atto di aggiudicazione. Detto indirizzo traeva fondamento dall’art. 16, co. 4 R.D. 2440/23, ai sensi del quale “(…) i verbali di aggiudicazione definitiva, in seguito ad incanti pubblici o a private licitazioni, equivalgono per ogni effetto legale al contratto“. La tesi fu però oggetto di pesanti critiche: la norma sopra richiamata avrebbe valore dispositivo più che precettivo, con la conseguenza che la P.A. risulterebbe libera non solo di meglio definire l’oggetto dell’accordo all’atto della stipulazione del contratto (sia pur senza mutarne nella sostanza il contenuto), ma finanche, ove ragioni oggettive lo impediscano, di non addivenire ad alcuna stipulazione. Nella prassi, inoltre, sempre più spesso accadeva che gli enti locali inserissero nei disciplinari di gara deroghe espresse all’art. 16 R.D. 2440/23. I giudici amministrativi furono quindi costretti a rivisitare tale ricostruzione interpretativa, statuendo che l’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione comportava la caducazione automatica del contratto stipulato, in quanto il negozio pienamente efficace al momento della stipula diviene inefficace per il sopravvenire di una inidoneità funzionale incompatibile con l’interesse negoziale stesso (Cfr. CdS n. 5201/2007).

La tesi è stata però superata dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione, la quale ha espressamente statuito nel senso che “la decisa caducazione degli effetti dei contratti (…) determina l’eccesso dei limiti esterni del potere giurisdizionale, non potendo il giudice amministrativo sostituirsi nelle determinazioni dell’amministrazione in ordine agli effetti del contratto stipulato in base ad una gara illegittimamente espletata e dovendo su tali effetti decidere solo il giudice ordinario”  (Cfr. Cass. civ. Sez. Un., n. 10443/2008).

2. Disciplina normativa

Come abbiamo visto, prima dell’introduzione del d.lgs. 104/2010 (codice del processo amministrativo), il panorama relativo alla sorte del contratto in esito all’annullamento dell’aggiudicazione risultava quantomai variegato ed incerto.

Il legislatore, avvertita evidentemente l’esigenza di fare un minimo di chiarezza, ha fatto sì che la disciplina introdotta dal codice del processo amministrativo risultasse invece caratterizzata da una maggiore semplificazione e dalla concentrazione in un unico processo di più azioni volte a garantire l’effettività della tutela, prevedendo il potere del giudice amministrativo di pronunciarsi in ordine all’inefficacia del contratto.

La maggiore difficoltà in specie è – come abbiamo visto al paragrafo che precede – la presenza di interessi contrapposti e non sempre di facile contemperamento, quali l’interesse pubblico di cui è portatrice la stazione appaltante, il diritto del non aggiudicatario vittorioso in sede giurisdizionale ad una tutela piena ed effettiva, nonché l’affidamento dell’aggiudicatario illegittimo. Proprio ai fini di un bilanciamento tra tali interessi contrapposti, il codice del processo amministrativo dedica al rapporto tra annullamento dell’aggiudicazione e poteri giudice sul contratto una serie di disposizioni specifiche.

La disciplina introdotta dal codice del processo amministrativo è caratterizzata da una maggiore semplificazione e della concentrazione in un unico processo di più azioni volte a garantire l’effettività della tutela, prevedendo il potere del giudice amministrativo di pronunciarsi in ordine all’inefficacia del contratto

In via preliminare, l’art.133 comma 1 lettera e), del codice assegna al giudice amministrativo in sede esclusiva le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici, ivi incluse quelle risarcitorie “e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative”. Vi è quindi una deroga alla generale regola secondo la quale la stipulazione del contratto segna lo spartiacque tra giurisdizione amministrativa ed ordinaria, poiché laddove l’annullamento dell’aggiudicazione intervenga a contratto già stipulato, il legislatore, per esigenze di concentrazione, devolve al giudice amministrativo anche le controversie sulla dichiarazione di inefficacia del contratto e sulle sanzioni alternative.

Rilevante è anche l’art. 124 codice, che prevede espressamente la dichiarazione di inefficacia del contratto nel disciplinare il risarcimento in forma specifica a favore del non aggiudicatario vittorioso in sede giurisdizionale. Tale forma di tutela, infatti, consistente nel subentro nel contratto stipulato tra aggiudicatario illegittimo e stazione appaltante, viene subordinata alla “doppia pregiudiziale”, nel senso che la possibilità di subentrare nel contratto è subordinata sia all’annullamento dell’aggiudicazione sia alla dichiarazione di inefficacia del contratto. Inoltre, la domanda di subentro è un onere per il ricorrente e non una semplice facoltà, in quanto l’art. 124 citato specifica che la condotta della parte che non ha presentato la domanda o non si è resa disponibile al subentro, è valutata dal giudice ai sensi dell’art. 1227 c.c. Infine, lo stesso art. 124, primo comma secondo periodo, specifica che se il giudice non dichiara l’inefficacia del contratto dispone il risarcimento per equivalente del danno subito e provato.

Quanto alle ipotesi di caducazione del contratto, l’art. 121 del codice del processo amministrativo ha chiarito che il giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva dichiara l’inefficacia del contratto, precisando in funzione delle deduzioni delle parti e della valutazione della gravità della condotta della stazione appaltante e della situazione di fatto, se la declaratoria di inefficacia è limitata alle prestazioni ancora da eseguire alla data della pubblicazione del dispositivo o opera in via retroattiva.

L’inefficacia viene dichiarata nei seguenti casi:

a)  se l’aggiudicazione definitiva è avvenuta senza previa pubblicazione del bando o avviso con cui si indice una gara nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea o nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, quando tale pubblicazione è prescritta dal codice appalti;

b)  se l’aggiudicazione definitiva è avvenuta con procedura negoziata senza bando o con affidamento in economia fuori dai casi consentiti e questo abbia determinato l’omissione della pubblicità del bando o avviso con cui si indice una gara nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea o nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, quando tale pubblicazione è prescritta dal codice appalti;

c)  se il contratto è stato stipulato senza rispettare il termine dilatorio stabilito dal codice degli appalti per la stipula del contratto, qualora tale violazione abbia privato il ricorrente della possibilità di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto e sempre che tale violazione, aggiungendosi a vizi propri dell’aggiudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l’affidamento;

d)  se il contratto è stato stipulato senza rispettare la sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l’aggiudicazione definitiva, qualora tale violazione, aggiungendosi a vizi propri dell’aggiudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l’affidamento.

Al contrario, il contratto resta invece efficace, anche in presenza delle violazioni di cui sopra qualora venga accertato che il rispetto di esigenze imperative connesse ad un interesse generale imponga che i suoi effetti siano mantenuti. Tra queste rientrano, fra l’altro, quelle imprescindibili di carattere tecnico o di altro tipo, tali da rendere evidente che i residui obblighi contrattuali possono essere rispettati solo dall’esecutore attuale. Gli interessi economici possono essere presi in considerazione come esigenze imperative solo in circostanze eccezionali in cui l’inefficacia del contratto conduce a conseguenze sproporzionate, avuto anche riguardo all’eventuale mancata proposizione della domanda di subentro nel contratto nei casi in cui il vizio dell’aggiudicazione non comporta l’obbligo di rinnovare la gara. Non costituiscono esigenze imperative gli interessi economici legati direttamente al contratto, che comprendono fra l’altro i costi derivanti dal ritardo nell’esecuzione del contratto stesso, dalla necessità di indire una nuova procedura di aggiudicazione, dal cambio dell’operatore economico e dagli obblighi di legge risultanti dalla dichiarazione di inefficacia.

Maggiore discrezionalità viene invece riconosciuta al giudice amministrativo nelle ipotesi di violazioni non gravi. Infatti, l’art. 122 del codice affida al giudice amministrativo la facoltà di caducare il contratto, fissandone la decorrenza, tenendo conto, in particolare, degli interessi delle parti, della possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione nonostante i vizi, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentro, nei casi in cui il vizio dell’aggiudicazione non comporti l’obbligo di rinnovo e la domanda di subentro sia stata proposta. Come si evince, in questo caso il potere valutativo del giudice è più ampio, in quanto gli indici di riferimento offerti dall’art. 122 sono meno obiettivi rispetto a quelli delineati dall’art. 121, in quanto non connessi ad interessi generali bensì agli interessi individuali delle parti. Comunque sia, anche in tale ipotesi il potere del giudice dovrebbe essere esercitato in modo prudente ed equilibrato, contemperando gli interessi contrapposti e dando atto dell’esito in motivazione.

Quanto all’art. 123, esso disciplina le sanzioni alternative, offrendo ulteriori chiarimenti sui poteri del giudice amministrativo sugli effetti del contratto, individuando le sanzioni da applicarsi alternativamente o cumulativamente e consistenti in una sanzione pecuniaria nei confronti della stazione appaltante e nella riduzione della durata del contratto. Le sanzioni, ai sensi del secondo comma, devono essere effettive, dissuasive e proporzionate al valore del contratto, alla gravità della condotta della stazione appaltante e all’opera da essa svolta per eliminare o attenuare le conseguenze della violazione

In relazione ai presupposti, tali sanzioni vengono comminate innanzitutto nelle ipotesi di cui all’art. 123, terzo comma, ossia in presenza della violazione dei termini ex art. 121, primo comma lettere a) e b), quando la violazione non ha influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l’appalto. E’ evidente dunque che tale sanzione non è “alternativa” ad un’altra pronuncia, ma ha una propria valenza autonoma, in quanto viene comminata per la sola violazione dei termini stabiliti ex lege, a prescindere dal vizio dell’aggiudicazione e dunque in assenza dell’astratta possibilità di dichiarare inefficace il contratto.

La sanzione è, invece, realmente alternativa nelle ipotesi di cui agli artt. 121, quarto comma, e 123, primo comma, ossia qualora il contratto venga mantenuto in vita o caducato solo ex nunc, atteggiandosi, quindi, la misura, alternativa alla caducazione tout court o alla caducazione in via retroattiva. Atteso tale rapporto di alternatività, se ne trae che il potere attribuito al giudice amministrativo di caducare il contratto in caso di vizi gravi è già esso stesso un potere sanzionatorio, tant’è che quando esso non viene esercitato deve comunque trovare applicazione una misura afflittiva “alternativa”.

3. Tesi a confronto

Va detto che, nonostante gli sforzi del legislatore di disciplinare i poteri del giudice amministrativo sulla sorte del contratto a seguito dell’annullamento degli atti di gara nel modo più completo possibile, emergono comunque questioni controverse e dibattute, alcune delle quali non ancora risolte completamente.

In via preliminare, è dibattuta la natura della sentenza con la quale il giudice amministrativo dichiara inefficace il contratto. Una tesi minoritaria ne sostiene la natura dichiarativa, in coerenza con il tenore letterale della norma, ritenendo che lo stesso giudice si limiti ad accertare il venir meno del contratto a seguito della caducazione dell’aggiudicazione, senza effetti innovativi sulla realtà. Tale lettura pare tuttavia in contrasto con quanto sopra asserito in materia di poteri del giudice amministrativo sul contratto poiché, come si è visto, nelle ipotesi di cui all’art. 122 ma anche in presenza di gravi violazioni ex art. 121, esso non emana una sentenza dichiarativa/di accertamento bensì costitutiva, con effetti innovativi sulla realtà fattuale e sui rapporti giuridici.

Inoltre, controversi appaiono i poteri del giudice amministrativo in presenza di un annullamento dell’aggiudicazione disposto d’ufficio dalla stazione appaltante. In via preliminare, occorre chiarire che l’opinione attualmente dominante, nonostante contrasti iniziali, ritiene che anche in tale ipotesi eventuali controversie debbano radicarsi innanzi al giudice amministrativo in sede esclusiva, atteso il tenore ampio dell’art. 133 del codice del processo amministrativo nel menzionare “l’annullamento dell’aggiudicazione”, senza distinzione tra annullamento in autotutela e in sede giurisdizionale. Ancora, pur sussistendo il potere della pubblica amministrazione di annullare l’aggiudicazione, esso non si estende alla possibilità di dichiarare inefficace il contratto né l’inefficacia può considerarsi un effetto automatico, poiché è un potere riservato dalla legge al giudice amministrativo. Sarebbe tuttavia ragionevole affermare che, in tale ipotesi, la dichiarazione di inefficacia del contratto sia per il giudice amministrativo quasi un atto dovuto, poiché la caducazione dell’aggiudicazione in via di autotutela contiene già l’esito valutativo della ponderazione tra l’interesse pubblico e l’affidamento del privato. Pertanto, sembrerebbe che il giudice amministrativo davvero non possa servirsi dei poteri di cui agli artt. 121 e 122 del codice del processo amministrativo per mantenere il contratto in presenza dell’autotutela pubblicistica.

Mentre è pacifico che il subingresso del non aggiudicatario necessiti della apposita domanda di subentro nel contratto, è invece controverso se, di fronte ad una domanda rivolta esclusivamente all’annullamento dell’aggiudicazione oppure alla caducazione congiuntamente al risarcimento per equivalente, il giudice amministrativo possa dichiarare d’ufficio l’inefficacia del contratto, anche in difetto della domanda di subentro

Ed invero, la questione ancora oggi maggiormente dibattuta concerne i poteri officiosi del giudice amministrativo sulla sorte del contratto. Mentre è pacifico che il subingresso del non aggiudicatario necessiti della apposita domanda di subentro nel contratto, è invece controverso se, di fronte ad una domanda rivolta esclusivamente all’annullamento dell’aggiudicazione oppure alla caducazione congiuntamente al risarcimento per equivalente, il giudice amministrativo possa dichiarare d’ufficio l’inefficacia del contratto, anche in difetto della domanda di subentro. In relazione alle gravi violazioni di cui all’art. 121, la risposta all’interrogativo è senz’altro positiva. In prima battuta, si è già sottolineata la natura sanzionatoria di tale potere, pertanto pienamente esercitabile d’ufficio, inoltre, ai sensi dell’art. 121 secondo comma, la mancata domanda di subentro è soltanto uno degli indici valutativi che può precludere il potere di dichiarare l’inefficacia del contratto, elemento, tra l’altro, da contemperare con le esigenze di interesse generale. Pertanto, la gravità del vizio legittima la dichiarazione di inefficacia del contratto d’ufficio, anche senza domanda di subentro.

Maggiormente problematica è la dichiarazione di inefficacia nei casi di cui all’art. 122, La norma subordina l’inefficacia alla valutazione di interessi privati ed individuali, tra cui “la possibilità di subentrare nel contratto” a condizione che “la domanda di subentrare sia stata proposta”. Una prima tesi ritiene che il tenore letterale della norma è univoco nel funzionalizzare la dichiarazione di inefficacia esclusivamente al subentro del ricorrente nel contratto, richiedendosi, quindi, la domanda di subentro di quest’ultimo. La mancanza di domanda osta alla sentenza di inefficacia del contratto, poiché viene meno lo scopo al quale essa è destinata. Tra l’altro, l’importanza di tale domanda si evince dall’art. 124, secondo comma che, come si è visto, prevede la domanda come onere e non come semplice facoltà. Di conseguenza, dichiarare l’inefficacia del contratto in presenza di una domanda solo demolitoria oppure demolitoria e risarcitoria potrebbe configurare un’ipotesi di violazione della corrispondenza tra chiesto è pronunciato ex art. 112 c.p.c.

Di contro, potrebbe sostenersi che il subentro nel contratto non è soltanto lo scopo ultimo della dichiarazione di inefficacia bensì, al pari dell’art. 121 secondo comma, anche uno degli elementi valutabili per la dichiarazione di inefficacia. Del resto, anche l’espressione “in particolare” contenuta nell’art. 122 sembrerebbe palesare il carattere non tassativo dell’elenco riportato. Pertanto, ciò che realmente osta alla dichiarazione d’ufficio della caducazione del contratto non è non tanto e non solo il difetto di domanda di subentro, bensì l’ipotesi in cui “il vizio dell’aggiudicazione non comporti l’obbligo di rinnovare la gara”.

Infatti, qualora non vi sia l’obbligo di rinnovo, il ricorrente potrebbe astrattamente subentrare nel contratto già stipulato, previa dichiarazione di inefficacia. Pertanto, qualora abbia presentato esclusivamente domanda demolitoria o demolitoria e risarcitoria il principio della domanda e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato osta alla dichiarazione di inefficacia d’ufficio, poiché da essa potrebbe ricavarsi un’utilità possibile ma che il ricorrente non ha richiesto, ossia il subentro.

Diversa è l’ipotesi di obbligo di rinnovo, poiché in tal caso rientra nel potere/dovere del giudice amministrativo impedire che la stazione appaltante possa giovarsi di un contratto stipulato in presenza di un vizio così grave da imporsi il rinnovo della gara. Tra l’altro, atteso l’obbligo di rinnovo, non sarebbe nemmeno potenzialmente possibile il subentro del ricorrente nel contratto per cui in tale ipotesi il giudice amministrativo potrebbe dichiararne d’ufficio l’inefficacia.

Per completezza, potrebbe dirsi che i poteri del giudice amministrativo di incidere sul contratto non siano preclusi dalle doglianze sollevate dall’aggiudicatario illegittimo. Con la precisazione che, però, nei suoi confronti non opereranno le esigenze di concentrazione che giustificano la giurisdizione esclusiva, operanti per il solo aggiudicatario pretermesso, dovendo l’affidatario illegittimo far valere le proprie censure innanzi al giudice ordinario o al giudice amministrativo in relazione all’ordinario criterio di riparto basato sulla causa petendi.

Aderendo alla tesi secondo la quale senza la domanda di subentro sia preclusa al giudice amministrativo la dichiarazione di inefficacia del contratto, occorrerebbe dunque stabilire se sia dovere della stazione appaltante, a seguito dell’annullamento degli atti di gara, attivarsi in autotutela, se essa, cioè, dopo aver bilanciato l’interesse pubblico con gli interessi privati, possa verificare l’opportunità di caducare il contratto oppure di mantenerlo in esecuzione.

4. La giurisprudenza più recente

Rispetto all’interrogativo che precede, la giurisprudenza più recente sembra aver fornito una risposta sufficientemente esaustiva. Ci si riferisce, in particolare, ad una recentissima sentenza del TAR Campania (Sez. II – sentenza 13 aprile 2023 n. 2254), in cui viene statuito che “Nel caso in cui sia stata definitivamente annullata in s.g. l’aggiudicazione di una gara di appalto, senza che il G.A. si sia pronunciato sulle sorti del contratto di appalto e senza che la gara debba essere rinnovata, e, successivamente la P.A., in conseguenza di tale annullamento, abbia adottato, solo per tale ragione, il provvedimento di dichiarazione di inefficacia del contratto, tale provvedimento deve ritenersi legittimo, in quanto la stazione appaltante non è rimasta inerte ed ha ritenuto che le ragioni dell’annullamento dell’aggiudicazione non consentissero il permanere della continuazione del rapporto contrattuale, peraltro, nella specie, stipulato in pendenza di sospensione cautelare dell’aggiudicazione. Se, da un lato, è vero che l’annullamento in sede giurisdizionale della aggiudicazione non comporta di per sé l’inefficacia del contratto per caducazione automatica, dall’altro, ciò non significa tuttavia che l’amministrazione non possa comunque incidere sul contratto già stipulato, qualora si rinvengano vizi della aggiudicazione. In questo caso, la valutazione sulla sussistenza dell’interesse pubblico al venir meno del vincolo contrattuale è fatta direttamente dalla amministrazione, senza necessità dell’intervento del giudice”.

Nella motivazione della sentenza in rassegna, è stato osservato che sul tema della sorte del contratto in caso di annullamento giudiziale dell’aggiudicazione, qualora la gara non debba essere rinnovata ma il giudice non si sia

pronunciato sulla domanda di dichiarazione di inefficacia del contratto, perché non a conoscenza dell’avvenuta stipulazione del contratto di appalto nel tempo di durata del giudizio, si registrano diversi orientamenti in relazione alla questione della sorte del contratto in seguito all’annullamento della aggiudicazione da parte del giudice. La caducazione automatica del contratto viene talvolta affermata in giurisprudenza a seguito della riforma della sentenza di primo grado, da parte del giudice di appello. Secondo questo orientamento, devono ritenersi automaticamente caducati gli atti, amministrativi e negoziali, posti in essere dall’amministrazione in esecuzione della sentenza di primo grado, in applicazione “della regola del cd. effetto espansivo esterno della sentenza di appello sancito dall’art. 336 cod. proc. civ., applicabile al processo amministrativo in virtù del rinvio contenuto nell’art. 39, comma 1, cod. proc. amm.” (in tal senso CdS, Sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4505).

Di contro, l’orientamento maggioritario della giurisprudenza sostiene che la caducazione automatica del contratto a seguito dell’annullamento giurisdizionale della aggiudicazione risulti, a seguito dell’entrata in vigore degli artt. 121 e 122 del codice del processo amministrativo, venuta meno, occorrendo comunque una pronuncia del giudice di inefficacia (CdS, Sez. V, n. 5500/2019).

In tale quadro normativo, tuttavia, la giurisprudenza tuttavia sostiene che l’amministrazione, nel caso in cui sia stata giudizialmente annullata l’aggiudicazione e il giudice non si sia pronunciato sulla efficacia del contratto, non può rimanere inerte. Si è infatti condivisibilmente affermato che “la stazione appaltante (…) è tenuta a valutare se, alla luce delle ragioni che hanno determinato l’annullamento dell’aggiudicazione, permangano o meno le condizioni per la continuazione del rapporto contrattuale in essere con l’operatore economico (illegittimo) aggiudicatario, ovvero se non risponda maggiormente all’interesse pubblico, risolvere il contratto e indire una nuova procedura di gara (in applicazione del potere riconosciuto ora dall’art. 108, comma 1, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50; cfr. Cons. Stato, sez. IV 5 maggio 2016, n. 1798).” (Consiglio di Stato sez. V, 22/11/2019, n.7976; Cons. Stato Sez. V, Sent., 29.04.2020, n. 2731 e Sent. 14.07.2022, n. 6014).

Il richiamo all’art. 108 del d.lgs. 50/2016, in questo contesto, da parte della citata giurisprudenza, appare dirimente, in quanto detto articolo, al comma 1, fa appunto riferimento ad ipotesi di risoluzione del contratto dovute a vizi della fase dell’evidenza pubblica o alla necessità di una rinnovazione della gara (per superamento delle soglie o modifica sostanziale del contratto), tanto che esso è stato ricondotto dalla giurisprudenza nell’ambito dell’esercizio dell’autotutela decisoria trattandosi di decisione assunta sulla base del migliore perseguimento dell’interesse pubblico, e di conseguenza nella giurisdizione amministrativa, ancorché la “risoluzione” intervenga in corso di esecuzione del contratto. (In termini, si veda CdS, 27.01.2022, n. 590).

Ed infatti, se è vero che – come si è detto – non si verifica la caducazione automatica del contratto, l’amministrazione può tuttavia esercitare i poteri attribuitile dal codice dei contratti in materia (riconducibili come si è detto nell’ambito generale dell’autotutela) ed incidere così sulla perdurante efficacia del contratto, determinandone eventualmente la “risoluzione”, con effetto ex nunc.

Va inoltre rilevato che la recente giurisprudenza amministrativa riconosce la possibilità per l’amministrazione di esercitare il potere di annullamento in autotutela dell’aggiudicazione della gara, anche dopo la stipulazione del contratto, con conseguente inefficacia di quest’ultimo, stante la stessa consequenzialità tra aggiudicazione e stipulazione del contratto. (Consiglio di Stato sez. V, 27/01/2022, n.590; T.A.R. Campania Napoli Sez. I, 22/07/2022, n. 4908). Tale interpretazione rinviene il proprio fondamento normativo dopo le riforme della legge n. 124 del 2015, anche nella previsione dell’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990, laddove esso si riferisce anche ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici, che non possono non ritenersi comprensivi anche dell’affidamento di una pubblica commessa. (cfr. in termini, anche CdS, Sez. V, 1 febbraio 2021, n. 938; 1 aprile 2019, n. 2123; 30 aprile 2018, n. 2601). Si sostiene inoltre che ciò che è precluso a seguito della stipulazione del contratto, secondo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 14 del 2014, sarebbe soltanto l’esercizio del potere di revoca, ma non anche di quello di annullamento d’ufficio, che per sua natura presuppone il riscontro di un vizio di legittimità dell’atto oggetto di annullamento.

In questo quadro, deve riconoscersi un potere dell’amministrazione, fondato sui generali principi dell’autotutela amministrativa, nonché sulla espressa previsione dell’art. 108 del codice dei contratti, di incidere unilateralmente sulla efficacia del contratto per ragioni riconducibili ai vizi della fase della evidenza pubblica.

Dunque, se è vero che l’annullamento giurisdizionale della aggiudicazione non comporta di per sé l’inefficacia del contratto per caducazione automatica, ciò non significa tuttavia che l’amministrazione non possa comunque incidere sul contratto già stipulato, qualora si rinvengano vizi della aggiudicazione.

In questo senso, si ravvisa una differente posizione tra l’amministrazione e il ricorrente privato a seguito di annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione senza declaratoria di inefficacia del contratto da parte del giudice. Ed infatti, mentre il ricorrente privato non può invocare, a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, la nullità del contratto ma, nell’inerzia dell’amministrazione, deve comunque agire, mediante il giudizio di ottemperanza, per ottenere una declaratoria di inefficacia del contratto, l’amministrazione conserva intatti i suoi poteri di autotutela e pertanto, dopo l’annullamento giurisdizionale della aggiudicazione, può valutare se sia opportuno o meno mantenere l’efficacia del contratto o svincolarsene.

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Avv. Riccardo Gai
Esperto in materia di appalti pubblici
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.