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( vote)1. Sintesi della questione deferita all’Adunanza Plenaria
Le questioni deferite dall’Ordinanza del Consiglio di Stato n. 4578/2022 traggono origine da due contenziosi promossi da una Società:
– dapprima contro l’informazione antimafia interdittiva emessa nei suoi confronti dalla Prefettura competente, e le successive determinazioni confermative assunte dal medesimo Ufficio territoriale di governo, conseguenti alla sottoposizione della società e del suo amministratore ad un procedimento penale della direzione distrettuale antimafia per fatti concernenti un contratto di appalto per la raccolta e lo smaltimento rifiuti urbani in un comune ubicato nella medesima provincia, nell’ambito delle quali era stata disposta la custodia cautelare dell’amministratore e il sequestro giudiziario della società;
– quindi, contro i provvedimenti con cui la stessa Prefettura ha disposto la gestione straordinaria e temporanea di alcuni contratti di appalto che la Società aveva in corso di esecuzione in varie località del Sud Italia, con la nomina di tre commissari incaricati della relativa gestione.
Sin dal primo grado, davanti al Tribunale amministrativo regionale per le Marche, la società aveva chiesto la sospensione ai sensi dei sopra citati artt. 79, comma 1, cod. proc. amm. e dell’art. 295 cod. proc. civ. di entrambi i giudizi, in ragione del fatto di avere chiesto al competente tribunale della prevenzione penale di essere ammessa al controllo giudiziario, con richiesta infine accolta, con ordinanza dalla Corte d’appello adita. La medesima società ha quindi devoluto la questione della sospensione del giudizio a mezzo di due appelli, con i quali tra l’altro censurato le sentenze di primo grado dell’adito Tribunale amministrativo, che invece hanno pronunciato nel merito di entrambe le impugnazioni, rigettandole.
Con Ordinanza n. 4578 del 2022, la III Sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto di dover indagare ed accertare il rapporto tra impugnazione dell’informazione antimafia, controllo giudiziario ai sensi dell’art. 34-bis, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011 e, appunto, le eventuali misure adottate dal Prefetto, come è avvenuto nel caso in esame, ai sensi dell’art. 32, comma 10, del d.l. n. 90 del 2014, conv. con mod. in l. n. 114 del 2014.
Di conseguenza ha sottoposto all’Adunanza plenaria la questione del rapporto tra l’impugnazione dell’informazione antimafia e il giudizio per l’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario c.d. volontario al fine di chiarire quali siano, una volta richiesta e – come nel caso di specie – ottenuta dal giudice della prevenzione la misura del controllo giudiziario, sia la sorte del giudizio amministrativo, proposto contro l’informazione antimafia, sia la sorte delle misure adottate dal Prefetto ai sensi del citato art. 32, comma 10, del d.l. n. 90 del 2014, conv. con mod. in l. n. 114 del 2014.
In ciò si sostanzia(va), infatti, il thema decidendum, formulato dalla Società la quale ha insistito per l’annullamento con rinvio ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a., sul punto, della sentenza di primo grado gravata, che aveva invece ritenuto di non dover sospendere il giudizio amministrativo, nonostante la proposizione del ricorso per il controllo giudiziario di cui all’art. 34-bis, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011, riferendosi, in particolare, «alla cospicua documentazione relativa al procedimento per l’applicazione della misura di prevenzione, il cui esito – così si legge nella sentenza impugnata – non è nemmeno pregiudiziale alla presente sentenza, di talché va anche respinta l’istanza di sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c., avanzata da parte ricorrente nel corso della discussione orale».
Il tutto sul presupposto che la mancata sospensione del giudizio amministrativo da parte del Tribunale, nonostante l’ammissione da parte della Corte di Appello al controllo giudiziario per la durata di due anni, non consentirebbe alla Società di poter fruire della misura di prevenzione patrimoniale, introdotta dalla l. n. 161 del 2017 nel codice antimafia proprio per consentire il recupero dell’impresa, colpita da informativa antimafia, nelle ipotesi, meno gravi e “occasionali”, di infiltrazione mafiosa.
Della stessa opinione anche le Amministrazioni resistenti, le quali convenendo sulla sospensione del giudizio, hanno richiamato a conforto di tale assunto la consolidata– per quanto, come meglio ora si dirà, non univoca – giurisprudenza della III Sezione che ha ritenuto che la sospensione degli effetti dell’informativa antimafia, in conseguenza dell’ammissione al controllo giudiziario dell’impresa dalla stessa colpita, comporti in via diretta ed automatica anche la sospensione del giudizio avente ad oggetto la legittimità (o meno) della misura prefettizia «in quanto l’eventuale conferma di tale provvedimento, da parte del giudice amministrativo, renderebbe definitivi gli effetti di detto provvedimento e, quindi, vanificherebbe la previsione del medesimo art. 34-bis, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011, che contempla una pur temporanea sospensione di tali effetti, e la ratio stessa del controllo giudiziario, volto a consentire alle imprese colpite da informazione antimafia, che l’abbiano impugnata, di potere nelle more del giudizio amministrativo proseguire nella propria attività, a determinate condizioni, sotto il controllo del Tribunale della prevenzione, che nomina un amministratore a tal fine» (Cons. St., sez. III, ord., 5 luglio 2021, n. 5134).
Il Collegio remittente, nella propria Ordinanza, ha richiamato la giurisprudenza formatasi in seno alla medesima Sezione, secondo cui, in altri termini, «considerato che, una volta disposto il controllo giudiziario, la sospensione degli effetti interdittivi conseguenti all’informazione antimafia deve operare indefettibilmente per tutto il tempo della misura del controllo giudiziario adottata dal Tribunale in sede di prevenzione, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011, anche il giudizio amministrativo relativo all’informazione antimafia debba essere sospeso o, comunque, ne deve essere rinviata la trattazione del merito, salva ulteriore prosecuzione all’esito della misura, sino a quando la sospensione degli effetti interdittivi non abbia esaurito il proprio corso (Cons. St., sez. III, ord., 23 febbraio 2021, n. 1557)» (così ancora, testualmente, Cons. St., sez. III, ord., 5 luglio 2021, n. 5134 nonché, ex plurimis, Cons. St., sez. III, ord., 20 ottobre 2021, n. 7039, Cons. St., sez. III, ord., 23 febbraio 2021, n. 1557, Cons. St., sez. III, ord., 10 luglio 2019, n. 4873, Cons. St., sez. III, ord., 31 luglio 2018, n. 4719).
Si tratta(va), tuttavia, di una conclusione non condivisa da tutta la giurisprudenza amministrativa, soprattutto in primo grado e, come si è accennato, non condivisa dalla sentenza impugnata che ha escluso laconicamente che nel caso di specie sussistesse il nesso di pregiudizialità-dipendenza, richiesto dall’art. 295 c.p.c. per la sospensione necessaria del giudizio (v., per la definizione di questo nesso, ad esempio Cons. St., sez. VI, 12 novembre 2019, n. 7773), e ha così definito la controversia nel merito, respingendo il ricorso avverso gli atti impugnati.
A fronte di un’accurata e capillare disamina della ratio degli istituti di riferimento, la III Sezione ha posto all’Adunanza plenaria i seguenti quesiti:
a) se la proposizione della domanda per controllo giudiziario c.d. volontario e la successiva ammissione dell’operatore economico a tale misura di prevenzione patrimoniale, prevista dall’art. 34-bis, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011, determinino o meno, oltre alla sospensione degli effetti interdittivi dell’informazione antimafia prevista espressamente dal comma 7 dell’art. 34-bis, anche la sospensione necessaria, ai sensi dell’art. 79, comma 1, c.p.a. e dell’art. 295 c.p.c., del giudizio amministrativo, avente ad oggetto l’impugnazione dell’informazione antimafia stessa, per la necessità di attendere che, all’esito della misura concessa dal giudice della prevenzione sulla base di una prognosi favorevole, il Prefetto rivaluti, in sede di aggiornamento ai sensi dell’art. 91, comma 5, del d. lgs. n. 159 del 2011, la situazione dell’operatore economico ai fini antimafia per adottare, se del caso, un’informativa liberatoria, che determinerebbe nel giudizio amministrativo la cessazione della materia del contendere, quantomeno ai fini impugnatori;
b) se la proposizione della domanda per controllo giudiziario c.d. volontario e la successiva ammissione dell’operatore economico a tale misura di prevenzione patrimoniale, prevista dall’art. 34-bis, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011, determinino o meno, ai sensi dell’art. 79, comma 1, c.p.a. e dell’art. 295 c.p.c., la sospensione necessaria del giudizio amministrativo, avente ad oggetto l’impugnazione delle misure adottate dal Prefetto ai sensi dell’art. 32, comma 10, del d.l. n. 90 del 2014, conv. con mod. in l. n. 114 del 2014, oltre che per le ragioni di cui al punto a), laddove si contesti la legittimità dell’informativa antimafia presupposta, anche per la necessità di garantire, comunque, la prevalenza del controllo giudiziario rispetto a tali misure amministrative, cedevoli rispetto alla vigilanza prescrittiva disposta dal giudice della prevenzione;
c) se la mancata sospensione del giudizio amministrativo da parte del giudice di primo grado nelle ipotesi di cui sub a) e sub b), una volta dedotta in appello contro la sentenza che abbia pronunciato nel merito, costituisca un error in procedendo tale da imporre la rimessione della causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a., o invece determini solo la necessità, per lo stesso giudice d’appello, di sospendere direttamente il giudizio ai sensi dell’art. 79, comma 1, c.p.a. e dell’art. 295 c.p.c..
2. La pronuncia della Plenaria
Sulle prime due questioni deferite alla sede nomofilattica, prioritarie rispetto alla terza, e concernenti i rapporti tra il giudizio di impugnazione dell’informazione antimafia interdittiva da una parte e il controllo giudiziario e il commissariamento dell’impresa appaltatrice dell’altra parte, l’ordinanza di rimessione ha aderito alla tesi della sospensione necessaria del giudizio amministrativo in pendenza del procedimento del controllo giudiziario.
La tesi del Giudice remittente muoveva dalla sospensione di carattere sostanziale prevista dal sopra citato art. 34-bis, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, che prevede che il provvedimento che dispone il controllo giudiziario determina tra l’altro la sospensione degli effetti di incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione derivanti dall’informazione antimafia a carattere interdittivo. In questa prospettiva, l’ordinanza sosteneva che il carattere provvisorio della sospensione postula che il giudizio di impugnazione dell’informazione antimafia non venga definito. In caso contrario, ed in particolare di rigetto definitivo dell’impugnazione, l’interdittiva si consoliderebbe e con essa l’incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione, in conseguenza della quale sarebbe travolto l’effetto sospensivo derivante dall’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario.
Al riguardo, la stessa Ordinanza di rimessione riconosceva che tra il procedimento di controllo giudiziario, di competenza del giudice della prevenzione penale, e il giudizio di impugnazione dell’interdittiva antimafia, devoluto invece alla cognizione del giudice amministrativo, non è ravvisabile alcun rapporto di pregiudizialità. Ciò nonostante, ivi si sottolineava che – in conformità all’obiettivo di risanamento delle imprese soggette ad infiltrazioni della criminalità organizzata cui il procedimento di controllo giudiziario è informato, secondo una concezione della prevenzione antimafia non più incentrata sull’espulsione dal mercato degli operatori economici attraverso cui le organizzazioni malavitose agiscono nel tessuto economico – si dovrebbe comunque assicurare la definizione della procedura ex art. 34-bis del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, destinata a tradursi in caso positivo con il rilascio di un’informazione liberatoria, e dunque con il pieno ritorno dell’impresa alla libera concorrenza.
Sulla base della ricostruzione dei rapporti tra i due istituti affermatasi presso la giurisprudenza della Cassazione penale, per l’Ordinanza di rimessione il vincolo genetico della procedura di controllo giudiziario, consistente ai sensi del sopra richiamato art. 34-bis, comma 6, nella pendenza del ricorso contro l’interdittiva antimafia, assumerebbe quindi le caratteristiche di una condizione di procedibilità della procedura, che intanto può essere definita in quanto non sia definitivamente accertata la legittimità dell’atto prefettizio, e dunque il ricorso contro di essa sia respinto. In conformità agli obiettivi legislativi alla base del controllo giudiziario, l’interesse alla definizione del giudizio di impugnazione nei confronti dell’interdittiva dovrebbe pertanto recedere e la sospensione necessaria del processo sarebbe lo strumento attraverso cui regolare i rapporti tra i due istituti secondo le rispettive finalità.
L’Adunanza Plenaria ha ritenuto di non poter seguire la tesi dell’Ordinanza di rimessione testé sintetizzata. In particolare non ha condiviso il postulato su cui essa si fonda, secondo cui il giudizio di impugnazione contro l’interdittiva antimafia deve essere ancora pendente non solo quando l’impresa domanda al tribunale della prevenzione penale di essere sottoposta al controllo giudiziario, come prevede testualmente il più volte citato art. 34-bis, comma 6, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, ma per tutta la durata di quest’ultimo.
Secondo, la Plenaria dall’esame della giurisprudenza della Cassazione, non emerge una ricostruzione del rapporto tra l’interdittiva e il controllo giudiziario volontario in termini di pregiudizialità-dipendenza di intensità maggiore rispetto alla connessione genetica ricavabile dal richiamato art. 34-bis, comma 6, del codice delle leggi antimafia e delle misure di sicurezza.
La connessione tra i due istituti è stata espressa nel senso che, a differenza dell’autonomia che contraddistingue l’accertamento del tribunale penale nel controllo giudiziario ai sensi dell’art. 34-bis, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in ordine al «pericolo concreto di infiltrazioni mafiose» idonee a condizionare l’attività delle imprese, nel caso di controllo c.d. volontario di cui al comma 6 della medesima disposizione lo stesso organo giurisdizionale «deve tener conto dell’accertamento di quello stesso prerequisito effettuato dall’organo amministrativo con l’informazione antimafia interdittiva, che rappresenta, pertanto, il substrato della decisione del giudice ordinario» (così Cass. pen., VI, 16 luglio 2021, n. 27704).
Come ulteriormente precisato dalle Sezioni unite penali nella sentenza 19 novembre 2019, n. 46898, la connessione tra i due istituti si manifesta in relazione al «grado di assoggettamento dell’attività economica alle descritte condizioni di intimidazione mafiosa e la attitudine di esse alla agevolazione di persone pericolose pure indicate nelle fattispecie». Ciò nel senso che – a differenza di quanto avviene ai fini dell’informazione antimafia, ai sensi dell’art. 34-bis del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 – l’agevolazione mafiosa deve essere «occasionale», per cui in difetto di questo requisito l’impresa non dovrebbe essere ammessa al controllo giudiziario.
Nella prospettiva ora delineata la stessa Cassazione afferma quindi che, «se l’impresa è fortemente condizionata da ingerenze mafiose, non può trovare accoglimento l’istanza, che presuppone una occasionalità del contatto mafioso» (così Cass. pen., VI, 16 luglio 2021, n. 27704, poc’anzi richiamata). Sennonché, nell’ottica di risanamento in cui si pone il controllo giudiziario, con particolare riguardo al controllo c.d. volontario di cui al comma 6 del medesimo art. 34-bis, la stessa Corte di Cassazione afferma che peculiarità dell’accertamento del giudice penale, necessariamente successivo all’intervento prefettizio, «sta però nel fatto che il fuoco della attenzione e quindi del risultato di analisi deve essere posto non solo su tale pre-requisito, quanto piuttosto, valorizzando le caratteristiche strutturali del presupposto verificato, sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata».
Nella medesima direzione si è ulteriormente precisato che la valutazione sull’esistenza di «un’infiltrazione connotata da occasionalità non sia finalizzata all’acquisizione di un dato statico – consistente nella cristallizzazione della realtà preesistente: una mera fotografia del passato – bensì alla argomentata formulazione di un giudizio prognostico circa l’emendabilità della situazione rilevata, connotata da condizionamento e/o agevolazione di soggetti o associazioni criminali, mediante l’intera gamma degli strumenti previsti dall’art. 34-bis» (Cass. pen., VI, 14 gennaio 2021, n. 1590, resa nel giudizio promosso dall’odierna appellante per l’ammissione al controllo giudiziario).
L’Adunanza, pertanto, ha affermato che se dunque dalla giurisprudenza di legittimità non è possibile trarre una presa di posizione specifica ed espressa sulla necessità che il giudizio di impugnazione, pendente quando il controllo giudiziario viene chiesto, non venga definito prima che quest’ultimo non sia concluso, la tesi della sospensione necessaria del primo:
– non ha base testuale innanzitutto. La disposizione da ultimo richiamata si limita a prevedere che – quando chiede di essere sottoposta al controllo giudiziario – l’impresa interessata abbia impugnato l’interdittiva, ma non anche che il giudizio di impugnazione penda per tutta la durata del controllo (in questo senso si è espresso il Consiglio di Stato, III, con sentenza 19 maggio 2022, n. 3973);
– non è nemmeno imposta da ragioni di ordine sistematico, dal momento che, come ha ben rilevato l’ordinanza di rimessione, l’interdittiva svolge la sua funzione preventiva rispetto alla penetrazione nell’economia delle organizzazioni di stampo mafioso di tipo “statico”, e cioè sulla base di accertamenti di competenza dell’autorità prefettizia rivolti al passato;
– a quest’ultimo riguardo, nel condividere la funzione preventiva del sistema di informazione antimafia del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, il controllo giudiziario persegue anche finalità di carattere “dinamico” di risanamento dell’impresa interessata dal fenomeno mafioso e quindi, secondo l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità sopra richiamato, oltre al presupposto dell’occasionalità dell’agevolazione mafiosa previsto dall’art. 34-bis, comma 6, del medesimo codice, richiede una prognosi favorevole del Tribunale della prevenzione penale sul superamento della situazione che ha in origine dato luogo all’interdittiva.
Nondimeno, quand’anche quest’ultima non sia annullata all’esito del giudizio di impugnazione devoluto al giudice amministrativo, e dunque si accerti in chiave retrospettiva l’esistenza di infiltrazioni mafiose nell’impresa, non per questo può ritenersi venuta meno l’esigenza di risanare la stessa.
Al contrario, questa esigenza si pone in massimo grado una volta accertata in via definitiva che l’impresa è permeabile al fenomeno mafioso.
Conferma di quanto ora considerato si trae proprio dall’art. 34-bis, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.
In primis, rileva la regola della sospensione degli effetti della incapacità a contrattare, derivanti dall’interdittiva antimafia.
Essa è strumentale al buon fine del controllo giudiziario, nel senso di consentire all’impresa ad esso (volontariamente) sottoposta di continuare ad operare, nella prospettiva finale del superamento della situazione sulla cui base è stata emessa l’interdittiva.
Nella medesima direzione si pone la sospensione del termine fissato dall’art. 92, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, per gli adempimenti prodromici al rilascio dell’informazione antimafia.
L’effetto in questione si giustifica per il venir meno dell’esigenza facente capo all’autorità prefettizia di verificare l’esistenza di tentativi di infiltrazione fintantoché pende il controllo giudiziario, a tale finalità preventiva ugualmente preposto.
Nessuno degli effetti previsti dall’art. 34-bis, comma 7, presuppone tuttavia che il giudizio sull’interdittiva non sia definito, o altrimenti detto rimanga pendente.
Tali effetti sono del tutto compatibili con la conseguita inoppugnabilità di quest’ultima all’esito del rigetto della relativa impugnazione.
Una volta accertata l’esistenza di infiltrazioni mafiose, quand’anche in via definitiva, si permette nondimeno all’impresa di risanarsi, sotto il controllo dell’autorità giudiziaria penale.
Il controllo giudiziario sopravviene ad una situazione di condizionamento mafioso in funzione del suo superamento ed al fine di evitare la definitiva espulsione dal mercato dell’impresa permeata dalle organizzazioni malavitose.
A questo specifico riguardo, da un lato il rapporto di successione tra i due istituti si coglie con immediatezza laddove il condizionamento mafioso non possa ritenersi definitivamente accertato, pendente la contestazione mossa in sede giurisdizionale contro la ricostruzione dell’autorità prefettizia; dall’altro lato la medesima vicenda successoria di istituti non è comunque impedita quando il condizionamento possa invece ritenersi accertato con effetto di giudicato, con il rigetto dell’impugnazione contro l’interdittiva.
Depone in questo senso – oltre al dato testale della legge, già di per sé decisivo – proprio la funzione risanatrice del controllo giudiziario, la quale muove dal presupposto accertato dal Prefetto in sede di informazione antimafia, ma si basa su un’autonoma valutazione prognostica del Tribunale della prevenzione penale che si propone di pervenire al suo superamento, quando il grado di condizionamento mafioso non sia considerato a ciò impeditivo, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata.
Sul piano del diritto positivo, secondo la Plenaria, la tesi opposta è invece contraddetta dalla sospensione degli effetti tipici dell’interdittiva dal sopra richiamato art. 34-bis, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, oltre che dal fatto che il precedente comma 6 non richiede che il giudizio di impugnazione contro l’interdittiva, pendente il quale può essere chiesto il controllo giudiziario, tale rimanga per tutta la durata di quest’ultimo: sotto tale profilo rileva il principio di legalità.
La medesima tesi non è praticabile sul piano logico-sistematico, in cui la funzione di risanamento tipica del controllo giudiziario è venuta oggi ad arricchire quella di generale ordine preventivo cui era informata il sistema informativo antimafia, e che dunque è destinata ad operare non solo in presenza di ipotesi di condizionamento mafioso, ma anche e con maggior impellenza quando quest’ultimo non sia più in contestazione.
Di conseguenza, il correttivo suggerito dall’ordinanza di rimessione di disporre la sospensione del giudizio di impugnazione contro l’interdittiva prefettizia giungerebbe inoltre a snaturare la funzione tipica del processo, da ‘strumento di tutela’ delle situazioni giuridiche soggettive ed attuazione della legge, a mero ‘strumento per l’attivazione di ulteriori mezzi di tutela’.
Nessun rapporto di pregiudizialità-dipendenza è invece ravvisabile tra il giudizio di impugnazione dell’interdittiva antimafia e il controllo giudiziario, al di là di quello individuabile in sede di verifica dei presupposti di quest’ultimo. |
Inoltre, sempre secondo la Corte, verrebbe alterata la funzione della sospensione del processo. Da strumento preventivo rispetto al rischio di contrasto di giudicati, secondo una logica interna all’ordinamento processuale basata sulla sua unitarietà e sul principio di non contraddizione, la sospensione del giudizio di impugnazione dell’interdittiva antimafia per tutta la durata del controllo giudiziario porrebbe impropriamente a carico del processo, contraddistinto dall’autonomia dell’azione rispetto alla situazione sostanziale che con essa si vuole tutelare, la realizzazione di obiettivi di politica legislativa, esorbitanti dai compiti del giudice, nella sua soggezione alla legge (art. 101, secondo comma, Cost.).
Si determinerebbe così un’applicazione dell’istituto eccedente il presupposto della pregiudizialità-dipendenza previsto dall’art. 295 del cod. proc. civ., da considerarsi tassativo nella misura in cui la sospensione si determina una potenziale lesione del principio di ordine costituzionale della ragionevole durata del processo (oggi sancito per il processo amministrativo dall’art. 2, comma 2, del cod. proc. amm.), tale per cui essa viene disposta in ogni caso e solo quando il giudice davanti cui è stata proposta una domanda o un altro giudice «deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa».
Nessun rapporto di pregiudizialità-dipendenza è invece ravvisabile tra il giudizio di impugnazione dell’interdittiva antimafia e il controllo giudiziario, al di là di quello individuabile in sede di verifica dei presupposti di quest’ultimo. Ad esso segue tuttavia un’attività di carattere prescrittivo e gestorio orientata al risanamento dell’impresa che risulta indifferente all’esito del giudizio sulla legittimità dell’interdittiva in ragione degli effetti sospensivi previsti dal parimenti più volte richiamato art. 34-bis, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.
Secondo l’Adunanza, la condivisione della tesi della sospensione necessaria comporterebbe inoltre un’aporia sul piano logico, nella misura in cui essa si basa sull’esigenza non già di impedire decisioni contrastanti, ma una decisione di carattere eventualmente sfavorevole sull’impugnazione contro l’interdittiva, che si suppone – in assenza di un presupposto normativo – possa vanificare obiettivi di risanamento dell’impresa infiltrata dal fenomeno mafioso.
La sospensione viene dunque argomenta secundum eventum litis, posto che una decisione di accoglimento del ricorso contro l’interdittiva avrebbe in sé l’effetto di riportare l’impresa alla piena e libera concorrenza, sulla base dell’accertamento che essa non è stata mai interessata da fenomeni di inquinamento mafioso.
Nella descritta prospettiva la sospensione del processo finisce dunque per essere intesa come rimedio rispetto a potenziali decisioni sfavorevoli.
Non sussistono, dunque, i presupposti previsti dell’art. 295 del cod. proc. civ., più volte richiamato.
L’esigenza di correlare la durata del giudizio di impugnazione contro l’interdittiva alla durata del controllo giudiziario non assurge a presupposto dell’istituto previsto dalla disposizione da ultimo menzionata. Tuttavia, tutte le circostanze del caso potranno essere valutate dal giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 73, comma 1-bis, del cod. proc. amm.
Secondo la Plenaria, dunque, elementi contrari alla tesi della sospensione necessaria del processo possono essere tratti dal fatto che il sistema delle misure preventive di competenza prefettizia si sia di recente arricchito di strumenti di risanamento dell’impresa interessata dal fenomeno mafioso analoghi al controllo giudiziario, in particolare con le «misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione occasionale» di cui all’art. 94-bis del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione. L’analogia del presupposto delle misure in questione con quello del controllo giudiziario, così descritto dal comma 1 della disposizione da ultimo richiamata «quando (…) i tentativi di infiltrazione mafiosa sono riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale», denota l’identità di funzione rispetto all’istituto previsto dall’art. 34-bis del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. Su questa base si giustifica la prevalenza legislativamente attribuita a quest’ultimo, espressa dal comma 3 del medesimo art. 94-bis con la cessazione delle misure amministrative nel caso in cui sia disposto il controllo giudiziario.
Dirimente è quindi che nessuna disposizione è stata invece prevista per regolare i rapporti tra l’interdittiva antimafia e il controllo giudiziario.
Al medesimo riguardo, nel sistema amministrativo di prevenzione penale, ora informato al principio di gradualità, l’occasionalità dell’agevolazione mafiosa originaria può in ipotesi costituire ragione di illegittimità dell’informativa a carattere interdittivo, in ragione dell’alternativa costituita dalle misure meno invasive introdotte con il medesimo art. 94-bis, e dunque giustificare l’interesse dell’impresa alla definizione del giudizio di impugnazione contro l’interdittiva.
Secondo la Adunanza, considerazioni analoghe vanne estese al rapporto tra il controllo giudiziario e il commissariamento dell’impresa appaltatrice previsto dall’art. 32, comma 10, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90.
L’assenza di disposizioni di coordinamento tra i due istituti, e la non ultrattività «di una gestione separata “ad contractum”» – ipotizzata dall’ordinanza di rimessione in caso di sopravvenienza del controllo giudiziario – non costituisce ragione sufficiente per sospendere il giudizio di impugnazione delle misure previste dalla disposizione da ultimo richiamata, non solo – ed ovviamente – in caso di accoglimento del ricorso, ma anche di rigetto, per il quale l’ordinanza stessa suppone la prevalenza della misura, più favorevole per l’impresa, prevista dall’art. 34-bis del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione.
La pendenza del controllo giudiziario a domanda ex art. 34-bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non è causa di sospensione del giudizio di impugnazione contro l’informazione antimafia interdittiva |
3. Conclusioni
Alla luce delle sintetizzate argomentazioni, la Plenaria, con le sentenze del 13 febbraio 2023, nn. 6, 7 e 8, ha affermato il seguente principio di diritto sui primi due quesiti dell’ordinanza di rimessione: “la pendenza del controllo giudiziario a domanda ex art. 34-bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non è causa di sospensione né del giudizio di impugnazione contro l’informazione antimafia interdittiva, né delle misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese previste dall’art. 32, comma 10, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, per il completamento dell’esecuzione dei contratti stipulati con la pubblica amministrazione dall’impresa destinataria un’informazione antimafia interdittiva”. L’Adunanza ha espresso identico principio di diritto anche con le sentenze del 13 febbraio 2023, nn. 6 e 8.
Come si è testé esposto, l’Adunanza Plenaria ha spostato la ratio della autonomia dei procedimenti. Il Collegio, con una capillare e diffusa motivazione, non ha condiviso l’argomentazione della pregiudizialità processuale, secondo cui il giudizio di impugnazione contro l’interdittiva antimafia dovrebbe essere ancora pendente non solo quando l’impresa domanda al Tribunale della prevenzione penale di essere sottoposta al controllo giudiziario, come prevede testualmente l’art. 34-bis, comma 6, del codice, ma per tutta la durata di quest’ultimo. Né la tesi secondo cui, con la richiesta di ammissione a controllo giudiziario, l’impresa perderebbe interesse alla definizione del giudizio avverso l’interdittiva che diventerebbe, quindi, improcedibile. Infatti, sulla scorta della autonomia degli accertamenti di competenza dell’autorità prefettizia in sede di rilascio delle informazioni antimafia e di quelli rimessi al Tribunale della prevenzione ai fini dell’ammissione a controllo giudiziario volontario, l’Adunanza Plenaria ha escluso tout court la tesi dell’acquiescenza.