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I denti famelici dell’escavatore affondano nel terreno. Tornano su. Il collo sauropode si contorce e deposita terra, fango, frantumi di pietre. Qualcuno osserva con visibile apprensione ogni operazione. Si affaccia sul vuoto che avanza sotto il cingolato. Rovista con lo sguardo tra i detriti che vanno accumulandosi nel cassone di un ribaltabile. Siamo in un’area ricca di reperti archeologici. Nel sottosuolo, anche a pochi centimetri dalla superficie potrebbero essere custoditi pagine di storia che nessuno ha ancora raccontato.

Imbattersi in un reperto archeologico nelle fasi di esecuzione di uno scavo, in Italia, non è un evento insolito. Quando accade, partita la segnalazione alla Sovraintendenza, il rischio è che l’opera resti bloccata anche per periodi indefiniti. Qui si scontrano le ragioni di chi è preposto ad eseguire tutti gli accertamenti e rilievi necessari per recuperare e tutelare i reperti archeologici con quelle dell’impresa appaltatrice cui il fermo dei lavori potrebbe essere causa di un danno economico.

La “sorpresa archeologica”, non sempre e non per tutti, è ed è stata una bella sorpresa. Ma i tempi cambiano. L’esperienza è stata nutrice di iniziative che muovono verso una pacifica convivenza tra lavori e archeologia.

L’archeologia fa alla storia ciò che lo psicoterapeuta fa all’uomo che soffre di amnesia. Il terapeuta scava in un passato custodito all’interno di una barriera che la memoria ha elevato attorno a un evento. L’archeologo sottopone a un’indagine minuziosa le stratificazioni di terra nel tentativo di riportare al presente porzioni di un passato perduto. La terra, proprio come la mente umana, non cancella nulla. Mette da parte. Conserva. La mente può non avere più accesso a un determinato ricordo. Ma ciò non significa che il ricordo sia svanito. La terra seppellisce un antico insediamento ma ciò non significa che non sia mai esistito.

Il territorio italiano è uno scrigno colmo di tesori storici. Non è possibile ignorarlo. Si deve essere preparati all’eventualità che un’opera pubblica possa essere l’inconsapevole giovane che cade in una grotta sul colle Oppio e si ritrova con i piedi nella scomparsa e dimenticata Domus Aurea di Nerone.

Di recente, proprio a Roma, in occasione dei lavori sulla stazione di Porta Metronia, lungo la Linea C della nuova metro, gli operai si sono imbattuti nella più grande scoperta archeologica degli ultimi tempi: un’intera caserma romana e la domus del comandante. In questa occasione, come ha detto il Ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti Matteo Salvini si è registrato “un caso eccellente di pubblico che aiuta il pubblico”. Dopo il blocco iniziale, la soluzione che ha permesso ai lavori di riprendere senza intaccare l’importante scoperta archeologica. Quando sarà inaugurata, nell’ottobre del 2024, la stazione sarà anche un museo. L’area archeologica è stata preservata e sarà visitabile, accedendovi proprio attraverso gli ambienti della stazione.

Come dimostrato con l’esperienza di Porta Metronia, la sorpresa archeologica non è più l’imprevisto che blocca i lavori. È una risorsa. Questo nuovo approccio è reso possibile dall’introduzioni di professionalità e metodi di lavoro innovativi: l’archeologo di cantiere che segue i lavori direttamente sul campo supervisionato dalla stazione appaltante; l’archeologia preventiva che prevede indagini e carotaggi sulle aree che saranno attraversate da un cantiere. Un modus operandi che permette di conoscere in anticipo se nel corso dei lavori sarà necessario eseguire scavi archeologici, munendosi già delle necessarie autorizzazioni della Soprintendenza, arruolando già la squadra di esperti che dovrà intervenire per l’esecuzione degli scavi e degli eventuali recuperi di reperti. Tale pianificazione va a favore della scoperta archeologica e della tempestività dei lavori che non subiranno gli stessi ritardi che si accumulerebbero se ogni procedura dovesse essere attivata nel momento in cui si dovesse rinvenire un sito di interesse archeologico in prossimità di un cantiere.

Tra le organizzazioni che hanno compreso e adottato meglio queste iniziative figurano Ferrovie dello Stato e Anas.  La pagina che ANAS dedica, sul proprio sito istituzionale, alle operazioni di smontaggio e messa in sicurezza di un acquedotto romano scoperto in occasione della realizzazione di una galleria autostradale in provincia di Brescia, è un racconto intriso di passione e orgoglio che misura come è oggi cambiato l’approccio nei confronti dell’archeologia.

Una postura esplicitata da Andrea Nardinocchi, ad e direttore generale di Italferr, in un’intervista rilasciata a Forbes.it. Nardinocchi afferma che “l’azienda si pone il duplice obiettivo di realizzare opere fondamentali per lo sviluppo del Paese, e di salvaguardare e valorizzare l’immenso patrimonio storico-archeologico dell’Italia”.

Nel corso degli anni, a partire dai ’90 del secolo scorso, l’archeologia ha assunto i connotati di una risorsa. Un approccio maturato nel grembo di una nuova visione culturale, inspessito dal supporto della norma. Nel Codice degli Appalti del 2016, l’articolo 25 è dedicato alla “Verifica preventiva dell’interesse archeologico”. Qualcosa di innovativo che ha incanalato sulla stessa direttrice l’interesse per la salvaguardia dei beni storici con la necessità di eseguire opere pubbliche. Dopo sette anni, con il codice in vigore dal 1 aprile prossimo, di questo articolo, denunciano gli archeologi, non c’è traccia. Archeoimprese afferma che l’assenza dell’istituto della “verifica preventiva” conduce alla perdita della possibilità “di integrare, già in fase progettuale, eventuali scavi archeologici ed evitare costosi fermo cantiere e contenziosi con le imprese appaltatrici”.

Il 23 gennaio scorso l’Associazione Nazionale Archeologi è stata audita alla Camera dei Deputati. In tale occasione il Presidente Alessandro Garrisi ha dichiarato che si riconosce “legittimità ad un’impostazione che tenti di dare speditezza alle operazioni, che semplifichi le operazioni e che garantisca che l’orizzonte di rinnovamento del paese non sia l’eternità, ma il futuro prossimo. Per far questo, tuttavia, occorre operare con intelligenza […]  bisogna sapere dove mettere le mani per garantire tutti gli interessi (costituzionali) che il Paese chiede che siano garantiti”.

Ogni opera pubblica che prevede operazioni di scavo è una potenziale campagna archeologica. Se non supportata dall’ ”ex” articolo 25 del d.lgs. 2016 rischia di agire contro l’obiettivo dichiarato del nuovo codice: snellire le procedure; sveltire i tempi di lavorazione delle commesse. Qualcosa per recuperarne i contenuti dovrà attivarsi perché l’archeologia preventiva non diventi archeologia normativa. Evitiamo che un giorno, in un futuro qualsiasi, come oggi ci stupiamo di quanto fossero evoluti gli antichi, qualcuno, recuperando quel testo, si meravigli di quanto fosse all’avanguardia una norma che un giorno, come per la Domus Aurea di Nerone, si decise di cancellare.

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Dott. Enzo de Gennaro
Direttore Responsabile
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.