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  1. Natura delle spese di rappresentanza ed alcuni esempi di spese da qualificarsi o meno di rappresentanza, al fine della relativa legittimità (omaggi, spese per manifesti, spese per necrologi, biglietti da visita)

La giurisprudenza della Corte dei Conti ha affermato più volte negli anni che le spese di rappresentanza si sostanziano in quelle spese le quali si pongono in stretta correlazione con le finalità istituzionali dell’ente, soddisfano l’obiettivo di mantenere ed accrescere il prestigio del medesimo nel contesto sociale in cui si colloca (carattere dell’inerenza); nonché nell’interesse di ambienti e soggetti qualificati all’essere apprezzati nella propria attività rivolta al perseguimento del pubblico interesse (carattere dell’ufficialità). La violazione di tali criteri comporta l’illegittimità della spesa sostenuta dall’ente per finalità diverse dalla rappresentanza.

Le spese di rappresentanza devono assolvere al preciso scopo di consentire all’ente di intrattenere rapporti istituzionali e di manifestarsi all’esterno in modo confacente ai propri fini pubblici: l’attività di rappresentanza ricorre in ogni manifestazione ufficiale nella quale gli organi interessati siano muniti, per legge o per statuto, del potere di rappresentare la pubblica amministrazione di riferimento.

E’ esclusa la qualificazione della spesa come di rappresentanza se pur riguardando rapporti intrattenuti con soggetti estranei all’amministrazione, si riferisca a rapporti istituzionali di servizio, rientrando nell’ambito quindi dei rapporti e delle relazioni istituzionali che negli enti si verificano costantemente, quali rapporti di collaborazione tra gli organi. Le spese di rappresentanza hanno quindi per l’Amministrazione lo scopo di far perseguire, nell’ambito dei propri fini istituzionali, un’adeguata proiezione all’esterno della propria immagine, di mantenere ed accrescere il proprio prestigio, di valorizzare il ruolo di rappresentanza, per fare conoscere, apprezzare e seguire la propria attività istituzionale. Non possono essere quindi sostenute, come spese di rappresentanza, le spese estranee alle esigenze inerenti alla carica rivestita e comunque non attinenti alle funzioni istituzionali dell’Ente e non volte, contestualmente, alla valorizzazione esterna del medesimo.

Si evidenzia, come la giurisprudenza, peraltro della Cassazione (ud. 23/02/2017) 03-04-2017, n. 16529, ha affermato che sono legittimamente e propriamente qualificabili come “spese di rappresentanza” solo quelle che soddisfino un duplice ordine di requisiti, uno strutturale, l’altro funzionale, rappresentati, da un lato, dal fatto di corrispondere esse ad un fine istituzionale proprio dell’Ente che le sostiene e, dall’altro, di essere perciò funzionali all’immagine esterna e pubblica dell’Ente stesso in termini di maggiore prestigio, di maggiore immagine e di maggiore diffusione delle relative attività istituzionali nell’ambito territoriale di operatività.

Le spese di rappresentanza hanno quindi per l’Amministrazione lo scopo di far perseguire, nell’ambito dei propri fini istituzionali, un’adeguata proiezione all’esterno della propria immagine, di mantenere ed accrescere il proprio prestigio, di valorizzare il ruolo di rappresentanza, per fare conoscere, apprezzare e seguire la propria attività istituzionale.

Sotto il profilo gestionale, l’economicità e l’efficienza dell’azione della pubblica amministrazione impongono il carattere della sobrietà e della congruità della spesa di rappresentanza sia rispetto al singolo evento finanziato, sia rispetto alle dimensioni e ai vincoli di bilancio dell’ente che le sostiene. A tal fine ciascun ente deve inserire, nell’ambito della programmazione di bilancio, un apposito capitolo in cui vengono individuate le risorse destinate all’attività di rappresentanza, anche nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica fissati dal legislatore. Tale capitolo di bilancio deve essere reso autonomo rispetto ad altri al fine di evitare commistioni contabili.

Le spese di rappresentanza, secondo ormai consolidata giurisprudenza:

– sono strettamente finalizzate a mantenere o accrescere il prestigio dell’ente verso l’esterno nel rispetto della diretta inerenza ai propri fini istituzionali;
– non devono porsi in contrasto con i principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all’art. 97 della Costituzione.

Non costituiscono pertanto spese di rappresentanza:

  • gli atti di mera liberalità;
  • le spese di ospitalità effettuate in occasione di visite di soggetti in veste informale o non ufficiale;
  • l’acquisto di generi di conforto in occasione di riunioni della Giunta o del Consiglio Comunale;
  • omaggi, pranzi o rinfreschi offerti ad Amministratori o dipendenti;
  • ospitalità e/o pasti a favore di fornitori dell’ente o di soggetti legati all’ente da rapporti di tipo professionale o commerciale (affidatari di incarichi, consulenze, collaborazioni, ecc.);
  • spese connesse con l’attività politica volte a promuovere l’immagine degli amministratori e non l’attività o i servizi offerti alla cittadinanza (cfr. deliberazione n. 166/2021, la Corte dei Conti Sez. Piemonte).

La giurisprudenza contabile afferma che non esistono nel mondo giuridico ‘spese di rappresentanza’, per così dire, ‘per definizione’, derivate dalla sola mera appartenenza ad una qualifica rappresentativa (come espresso dalla Corte dei conti Emilia Romagna già nell’anno 2011, a seguito dell’esame delle spese di rappresentanza sostenute dagli enti locali dell’Emilia Romagna).

L’orientamento costante della giurisprudenza contabile presuppone la dimostrazione probatoria in capo all’autore della spesa pubblica. Le cosiddette ‘spese di rappresentanza’ possono essere ritenute lecite solo se siano rigorosamente giustificate e documentate con l’esposizione, caso per caso, dell’interesse istituzionale perseguito e della dimostrazione del rapporto tra l’attività dell’ente e la spesa stessa, tenuto conto della qualificazione del soggetto destinatario e dell’occasione della spesa stessa. Esse inoltre devono essere rendicontate in modo analitico, con dimostrazione delle circostanze che le hanno originate (Cfr., Corte dei Conti, Prima Sezione Centrale di Appello, sentenza n. 341 del 14 settembre 2018 la I^ Sezione centrale d’appello, n. 183 del 2016 e la II^ sezione centrale d’appello, n. 64 del 20 marzo 2007, a conferma di orientamento consolidato). L’orientamento costante della giurisprudenza contabile presuppone la dimostrazione probatoria in capo all’autore della spesa pubblica.

La giurisprudenza contabile afferma che non esistono nel mondo giuridico ‘spese di rappresentanza’, per così dire, ‘per definizione’, derivate dalla sola mera appartenenza ad una qualifica rappresentativa (come espresso dalla Corte dei conti Emilia Romagna già nell’anno 2011, a seguito dell’esame delle spese di rappresentanza sostenute dagli enti locali dell’Emilia Romagna).

Sono riconducibili, pertanto, alla funzione di rappresentanza le attività:

  • in occasione di incontri ufficiali con personalità o rappresentanti di altre istituzioni o enti di rilevo sociale ed economico;
  • in concomitanza di eventi la cui importanza sia tale da far emergere l’esigenza di valorizzare le qualità e specificità del territorio, ovvero l’immagine pubblica dell’ente e il suo ruolo, così da accrescerne il prestigio;
  • che garantiscono una proiezione esterna dell’amministrazione verso la collettività amministrata e sono finalizzate ad apportare i vantaggi che l’ente trae dall’essere conosciuto.

Affinché, ad esempio, omaggi possano essere legittimamente considerati spese di rappresentanza, normalmente, è necessario che i destinatari siano soggetti esterni particolarmente qualificati e rappresentativi del relativo ente/autorità (in caso contrario, si configurano quali mere liberalità ed integrano un danno all’erario).

A fronte di quanto sopra sono considerate illegittime le spese, anche se d’importo modesto, operate a beneficio dei dipendenti o degli amministratori dell’ente (es. spesa per libri). In alcuni casi, tra le spese di rappresentanza, gli enti inseriscono le spese relative a biglietti da visita ordinati in favore di sindaco e assessori (non trattandosi di spese di funzionamento).

BOX: Le attività di rappresentanza garantiscono una proiezione esterna dell’amministrazione verso la collettività amministrata e sono finalizzate ad apportare vantaggi che l’ente trae dall’essere conosciuto. Gli omaggi, ad esempio, possono essere legittimamente considerati spese di rappresentanza, se i soggetti esterni sono particolarmente qualificati in “rappresentanza” del relativo ente/autorità.

La pubblicazione di opuscoli finalizzati a far conoscere le nuove modalità di erogazione delle prestazioni offerte dal soggetto pubblico, possono essere considerate legittime se tali pubblicazioni non siano finalizzate a propagandare l’immagine dei vertici politici o l’attività ordinaria dell’ente (in quanto in tali casi non costituiscono legittime spese di rappresentanza integrando il danno all’erario).

Come emerge dalla relazione della Corte dei Conti Sezione Regionale di Controllo per l’Emilia-Romagna – Esame delle spese di rappresentanza sostenute dagli enti locali dell’Emilia Romagna nell’anno 2011, alcuni enti inseriscono impropriamente nei prospetti inviati alla Sezione di Controllo, le spese inerenti manifesti per la convocazione del consiglio comunale, nonché alle spese concernenti la stampa di manifesti pubblicizzanti la devoluzione 5 per mille al comune.

Le spese per telegrammi e necrologi, spese gestite generalmente dall’economo dell’ente, non possono essere legittimamente considerate di rappresentanza nei casi in cui siano effettuate in favore di dipendenti, ex dipendenti, o ex amministratori dell’ente locale, o delle loro famiglie, in quanto quest’ultima circostanza impedisce di considerarle come finalizzate a promuovere l’immagine dell’ente (su tale tema la giurisprudenza contabile si è più volte espressa). Sorgono diversi dubbi inoltre in merito alla possibilità di ricondurle legittimamente alla categoria in argomento anche nel caso in cui siano eseguite a vantaggio di soggetti di vertice di altri enti.

Secondo l’indirizzo del giudice contabile le spese inerenti i seguenti oggetti devono essere pertanto considerate illegittime:

– i telegrammi di condoglianze per decessi di parenti di amministratori e dipendenti;

– i manifesti di lutto per ex dipendenti o amministratori;

– i manifesti funebri per “lutto ex sindaco”.

Le spese per telegrammi e necrologi non possono essere legittimamente considerate di rappresentanza nei casi in cui siano effettuate in favore di dipendenti, ex dipendenti, o ex amministratori dell’ente locale, o delle loro famiglie, in quanto quest’ultima circostanza impedisce di considerarle come finalizzate a promuovere l’immagine dell’ente.

Ai sensi dell’art. 1, comma 173 della legge n. 266/2005, i provvedimenti aventi la finalità di accrescimento del prestigio istituzionale dell’Ente unitamente agli eventuali separati atti di spesa, che superino i 5.000 euro (al netto dell’iva) e siano relativi a spese di rappresentanza, devono essere trasmessi alla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti di riferimento ai fini del controllo successivo sulla gestione.


Ai fini del controllo successivo della Sezione di controllo, occorre inviare il provvedimento di spesa da cui si desuma:

  1. pertinenza tra attività istituzionale e spesa sostenuta;
  2. oggetto della spesa (bene e/o servizio), specificato nel dettaglio;
  3. evento e/o circostanza in occasione della quale si è manifestata la spesa, specificata in dettaglio;
  4. specifica esigenza che ha reso necessaria la spesa;
  5. identità del fornitore del bene e/o servizio oggetto della spesa e modalità di acquisizione del bene e/o servizio in esame;
  6. eventuali destinatari del bene e/o servizio acquistato, indicando in dettaglio: identità/veste/funzione del destinatario, nonché congruità della spesa in relazione al ruolo rivestito dal destinatario ed alla specifica esigenza che ha dato origine alla spesa;
  7. per spese di ospitalità e di tipo conviviale andrà specificata identità, veste e funzioni dei partecipanti, nonché congruità della spesa in relazione a ruolo rivestito dagli stessi e alla specifica esigenza perseguita dalla spesa;
  8. congruità della spesa in relazione alle dimensioni e caratteristiche dell’ente, all’importo complessivo delle risorse destinate a tali finalità e ai vincoli di bilancio dell’ente;
  9. conformità spesa sostenuta in relazione ai prezzi di mercato;
  10. ogni altra documentazione utile per la verifica della legittimità e regolarità della spesa.

Quanto sopra è utile per identificare correttamente la spesa di rappresentanza, avendo la medesima particolari requisiti, presupposti, finalità e destinatari (diversi sono invece gli elementi e contenuti che compongono la spesa di funzionamento).

  • Il particolare caso delle spese di ristoro a beneficio dei consiglieri

Il criterio di base per individuare se la spesa per un pranzo o, in alcuni casi, per il servizio bar possa essere correttamente ricondotta ad una spesa di rappresentanza, è quello di individuare i destinatari, allo scopo di rilevare se siano soggetti esterni particolarmente qualificati in quanto istituzionalmente rappresentativi dell’ente al quale appartengono. Pertanto, non possono essere considerate spese di rappresentanza, i pranzi tra autorità che s’incontrano per adempiere alla loro attività istituzionale.

Con riferimento alle spese per l’acquisto di acqua, caffè finalizzati al ristoro dei consiglieri, un importante principio è stato in passato reso dalla Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna con sentenza 5 giugno 1997, n. 326 – poi confermato – secondo la quale: “le spese per l’acquisto di generi alimentari o di bar per il ristoro dei consiglieri comunali durante le sedute consiliari non possono essere considerate spese di rappresentanza, ma semmai spese di funzionamento che trovano una loro eccezionale ammissibilità unicamente nell’ordine di importi molto modesti e per esigenze assolutamente essenziali connesse al dibattito in corso”. (C. Conti Emilia Romagna, contr. N. 5/2107 e n. 62/2015).

Il criterio di base per individuare se la spesa per il servizio bar possa essere correttamente ricondotta ad una spesa di rappresentanza, è quello di individuare i destinatari, allo scopo di rilevare se siano soggetti esterni particolarmente qualificati, in quanto istituzionalmente rappresentativi dell’ente al quale appartengono.

Non possono essere considerate spese di rappresentanza, i pranzi tra autorità che s’incontrano per adempiere, come detto, alla loro attività istituzionale (un incontro tra il Sindaco del Comune e gli assessori regionali, ad esempio). Qualora il servizio di ristoro sia destinato invece ad autorità esterne all’ente, istituzionalmente rappresentative degli enti ai quali appartengono, la spesa è legittima: l’eventuale partecipazione anche di soggetti interni però non preclude la possibilità di considerare legittima la spesa. A tal fine la Corte dei Conti della Liguria (sent. n. 167/2021, Liguria) ha considerato irregolare il rimborso delle spese sostenute per cene, pranzi e colazioni di lavoro svoltesi tra docenti universitari interni e docenti esterni invitati per lezioni di dottorato, nonché di quelle per buffet e coffee break relativi in occasione di riunioni interne tra professori.

  • Le spese di funzionamento negli enti pubblici

Le spese di funzionamento sono sostenute dall’ente, su base continuativa, nell’esercizio delle proprie finalità istituzionali, esse costituiscono quindi le spese adottate durante l’esecuzione della propria attività principale (rappresentando le spese sostenute dall’amministrazione per il funzionamento e l’erogazione di servizi). Le spese di funzionamento rappresentano le spese assolutamente essenziali all’esercizio e conseguimento delle finalità dell’ente: le medesime corrispondono a quanto l’amministrazione ha programmato essere il proprio fabbisogno necessario.

La spesa di funzionamento è riconducibile alle esigenze funzionali di ciascuna Amministrazione in relazione alle scelte organizzative e gestionali poste in essere dall’Amministrazione stessa in funzione del relativo contesto anche sociale (le spese di funzionamento sono infatti connesse alle dimensioni ed alla tipologia dell’ente che può ad esempio avere natura locale, territoriale, essere una autorità indipendente).

Diversamente dalle spese di rappresentanza, le spese di funzionamento rispondono all’ordinaria gestione dell’ente di fornire servizi alla collettività ed a differenza delle spese di rappresentanza, non hanno natura facoltativa e sono necessarie. Tale qualificazione di spesa (come spesa di funzionamento) comporta di includere le attività tipiche delle competenze dell’ente, espressione, infatti, di estrinsecazione dell’attività amministrativa in un determinato settore in conformità agli obiettivi programmati.

Individuare correttamente le spese di funzionamento, rispetto a spese aventi natura diversa, è importante per una corretta qualificazione e quindi per la conseguente legittimità della spesa. Nella fase istruttoria è quindi necessario inquadrare adeguatamente la spesa, in quanto affermare che una spesa è di funzionamento, non essendola, ha come effetto quello sottoporre la medesima ad una gestione amministrava-contabile non corretta (in corrispondenza alla possibilità o meno di sostenerla, ai relativi limiti di spesa, agli adempimenti di comunicazione alla Corte dei Conti e di regolamentazione).

Alla spesa di funzionamento corrispondono certamente dei limiti connessi alla razionale gestione della spesa pubblica, sempre soggetta ad accertamento (ed ogni anno di legiferazione al fine del contenimento) tuttavia soprattutto per la propria finalità (che è di per sé generale) la spese di funzionamento non è sottoposta ai limiti tipici della spesa di rappresentanza (la spesa di funzionamento è necessaria, la spese di rappresentanza non ha il carattere della necessarietà/essenzialità). Pertanto, è sempre opportuno che sia verificato che anche la spesa di funzionamento sia realmente da qualificarsi come tale al fine di non permettere, in realtà, una spesa di rappresentanza che non sarebbe possibile adottare.

Alla spesa di funzionamento corrispondono certamente dei limiti connessi alla razionale gestione della spesa pubblica, sempre soggetta ad accertamento (ed ogni anno di legiferazione al fine del contenimento) tuttavia soprattutto per la propria finalità (che è di per sé generale) la spese di funzionamento non è sottoposta ai limiti tipici della spesa di rappresentanza (la spesa di funzionamento è necessaria, la spese di rappresentanza non ha il carattere della necessarietà/essenzialità).

Nelle spese di funzionamento sono comprese le spese per acquisti di servizi atti a garantire quindi l’ordinaria attività dell’ente (ad esempio, spese per utenze e canoni, manutenzione ordinaria e riparazioni, per pulizia, assicurazioni, informatizzazione, postali, global service) e le attività di supporto ai compiti assegnati istituzionalmente all’ente (ad esempio, spese per incarichi professionali, lavoro interinale, collaborazioni coordinate e continuative, formazione del personale).

Nelle spese di funzionamento sono comprese le spese per acquisti di servizi atti a garantire l’attività dell’ente. Diversamente dalle spese di rappresentanza, le spese di funzionamento rispondono all’ordinaria gestione dell’ente e corrispondono a servizi da fornire alla collettività. A differenza delle spese di rappresentanza, non hanno natura facoltativa e non necessaria.

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Questo articolo è stato scritto da...

Beatrice Corradi
Dott.ssa Beatrice Corradi
Dirigente del Servizio Provveditorato, Affari generali e Gruppi Consiliari del Consiglio regionale della Liguria
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