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( votes)Premesse e punti di osservazione
Nella determinazione del valore complessivo della commessa pubblica, la fase preliminare di progettazione è come noto, passaggio ineludibile e fondamentale, in particolare la determinazione corretta del costo del lavoro assume rilievo preponderante, sia in termini quantitativi (secondo un’analisi puramente economico – contabile), sia in termini di garanzie (secondo un’analisi prospettica di tipo giuslavoristico)[1], sia in termini procedurali nella dinamica della gara di appalto[2] (secondo un’analisi pubblicistica e di contrattualistica pubblica).
Questi tre punti di osservazione, non sono scindibili e possono costituire la chiave di lettura da utilizzare qualora ci si ritrovi ad esaminare le molteplici pronunce che a diversi livelli affrontano l’argomento.
Analizzando la fattispecie dal versante delle tutele e della compatibilità dei contratti collettivi con l’oggetto dell’appalto, si richiama un interessante Tar Basilicata, Sez. I, 1 agosto 2022, n. 577, il quale ribadisce che: “Tra “l’ambito di applicazione del CCNL e l’attività oggetto dell’appalto deve sussistere un vincolo di stretta connessione. La violazione di detto precetto è conducente all’esclusione dell’operatore (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 11/1/2022, n. 199, poiché la corretta applicazione dei contratti collettivi secondo i propri naturali ambiti di applicazione è condizione indefettibile per il corretto funzionamento del mercato del lavoro e per il dispiegarsi di una leale concorrenza tra imprese (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 4/5/2020, n. 2829), in quanto finalizzata a garantire sia che il personale impiegato venga adeguatamente tutelato per la parte giuridica e percepisca una retribuzione proporzionata all’attività in concreto svolta, sia che le prestazioni oggetto della commessa siano correttamente eseguite attraverso una vincolante connessione funzionale delle stesse con i profili professionali più appropriati (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 25/2/2020, n. 1406)”.
- Indagine in ambito di anomalia dell’offerta
Estendendo l’indagine al momento della valutazione di anomalia dell’offerta, si impongono invece riflessioni sulle modalità pratiche di determinazione del costo del lavoro e sulle ripercussioni in tema di valutazione di anomalia dell’offerta. In tal senso è intervenuto recentemente il Tar Veneto, Sez. II, 11 agosto 2022, n. 1292, il quale rammenta e premette che con riferimento alle tabelle ministeriali, esse a fini della determinazione del costo medio orario, includono voci obbligatorie e indisponibili e voci convenzionali, la cui incidenza può diversamente configurarsi a seconda delle condizioni individuali del lavoratore e dell’organizzazione del lavoro. Queste ultime non hanno carattere cogente ed inderogabile, essendo invece consentiti motivati scostamenti (Cons. Stato, Sez. III, 13 luglio 2021, n. 5286). Il riferimento alle tabelle ministeriali relative ai costi del lavoro, ove non sia in questione il rispetto dei minimi salariali stabiliti dalla contrattazione collettiva, deve intendersi infatti come meramente indicativo, con conseguente possibilità per l’operatore economico di giustificare eventuali scostamenti dai valori di riferimento.
Il riferimento alle tabelle ministeriali relative ai costi del lavoro, ove non sia in questione il rispetto dei minimi salariali stabiliti dalla contrattazione collettiva, deve intendersi infatti come meramente indicativo, con conseguente possibilità per l’operatore economico di giustificare eventuali scostamenti dai valori di riferimento.
Inoltre perché possa dubitarsi della congruità della offerta in presenza di scostamenti delle voci di costo, è necessario che la discordanza sia considerevole e palesemente ingiustificata alla luce di una valutazione globale e sintetica (T.A.R. Umbria, Sez. I, 30 aprile 2021, n. 302).
Tutto ciò implica che secondo un orientamento giurisprudenziale assolutamente consolidato, la valutazione di congruità dell’offerta ha carattere tecnico-discrezionale e, conseguentemente, il sindacato sul relativo giudizio espresso dalla stazione appaltante è limitato ai casi di manifesta illogicità, irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti, non potendo trasformarsi in una valutazione sostitutiva di quella svolta dall’amministrazione. La valutazione sull’attendibilità dell’offerta ha inoltre natura necessariamente globale e sintetica, non potendo risolversi in una parcellizzazione delle singole voci di costo. (Cons. Stato, Sez. III, 13 luglio 2021, n. 5283). Né la valutazione di congruità e sostenibilità complessiva dell’offerta richiede una particolare motivazione rafforzata (Cons. Stato, Sez. V, 18 novembre 2021, n.7717; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 8 luglio 2021, n. 8097). Inoltre, nell’ipotesi di giudizio positivo dell’offerta sospettata di anomalia, incombe a chi lo contesta l’onere di dimostrarne l’irragionevolezza o l’erroneità, non essendo sufficiente allegare considerazioni parcellizzate sulla incongruenza o insufficienza (solo) di talune voci di costo (ex multis: Cons. Stato, Sezione IV, 18 giugno 2021, n. 4712 e Sezione V, 19 aprile 2021, n. 3169)” (T.R.G.A. Trentino-Alto Adige, Bolzano, Sez. I, 4 novembre 2021, n. 309).
È indubbio che un ragionamento di questo genere, sconfinando nel campo delle garanzie previste per i lavoratori, ha imposto ai Giudici l’esigenza di allargare l’indagine, andando altresì a precisare in riferimento al mantenimento delle garanzie retributive dei lavoratori che l’obbligo di riassorbimento non comporta alcun automatismo, in quanto deve essere interpretato conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza e non può essere tale da comprimere le esigenze organizzative dell’impresa subentrante; va escluso inoltre che la clausola sociale possa implicare la necessaria conservazione dell’inquadramento e dell’anzianità del lavoratore. Conseguentemente la clausola sociale non comporta alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato e in forma automatica e generalizzata, nonché alle medesime condizioni, il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria, ma solo che l’imprenditore subentrante salvaguardi i livelli retributivi dei lavoratori riassorbiti in modo adeguato e congruo; di guisa che l’obbligo di garantire ai lavoratori già impiegati le medesime condizioni contrattuali ed economiche non è assoluto né automatico (Cons. Stato, n. 6148 del 2019, cit.; 16 gennaio 2020, n. 389, in cui si precisa, sotto altro concorrente profilo, che sull’aggiudicatario non grava l’obbligo di applicare ai lavoratori esattamente le stesse mansioni e qualifiche che avevano alle dipendenze del precedente datore di lavoro; si veda anche 13 luglio 2020, n. 4515, in ordine al CCNL prescelto). Per tali ragioni va escluso che la clausola sociale possa implicare la necessaria conservazione dell’inquadramento e dell’anzianità del lavoratore assorbito dall’impresa aggiudicataria. (Cons. Stato, Sez. V, 3 giugno 2022, n. 4539).
Tra l’altro in tema di clausola di riassorbimento e di interpretazione euro orientata si richiama al Consiglio di Stato, sez. V, 03.06.2022 n. 4539, il quale ha posto in risalto che il regime della clausola sociale “richiede un bilanciamento fra più valori, tutti di rango costituzionale, ed anche europeo. Ci si riferisce da un lato al rispetto della libertà di iniziativa economica privata, garantita dall’art. 41 Cost, ma anche dall’art. 16 della Carta di Nizza, che riconosce ‘la libertà di impresa’, conformemente alle legislazioni nazionali. Dall’altro lato, in primo luogo al diritto al lavoro, la cui protezione è imposta dall’art. 35 Cost., e dall’art. 15 della Carta di Nizza, di analogo contenuto” (Cons. Stato, Comm. spec., parere 21 novembre 2018, n. 2703).
Per tali ragioni detta clausola va formulata e intesa “in maniera elastica e non rigida, rimettendo all’operatore economico concorrente finanche la valutazione in merito all’assorbimento dei lavoratori impiegati dal precedente aggiudicatario”, anche perché solo in questi termini “la clausola sociale è conforme alle indicazioni della giurisprudenza amministrativa secondo la quale l’obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto va contemperato con la libertà d’impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell’appalto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 giugno 2019, n. 3885; III, 30 gennaio 2019, n. 750; III, 29 gennaio 2019, n. 726; 7 gennaio 2019, n. 142; III, 18 settembre 2018, n. 5444; V, 5 febbraio 2018, n. 731; V, 17 gennaio 2018 n. 272; III 5 maggio 2017, n. 2078; V 7 giugno 2016, n. 2433; III, 30 marzo 2016, n. 1255)” (Cons. Stato, V, 12 settembre 2019, n. 6148; anche Cons. Stato, VI, 21 luglio 2020, n. 4665; 24 luglio 2019, n. 5243; V, 12 febbraio 2020, n. 1066).
Il tema delle modalità di attuazione della clausola sociale è stato affrontato dal Consiglio di Stato anche in sede consultiva, con il parere reso sulle Linee guida Anac n. 13 (delibera n. 114 del 13 febbraio 2019) relative all’applicazione dell’art. 50 del Codice contratti pubblici.
Al riguardo, è stata posta in risalto l’opportunità di prevedere un “vero e proprio ‘piano di compatibilità’ o ‘progetto di assorbimento’, nel senso che l’offerta debba illustrare in qual modo concretamente l’offerente, ove aggiudicatario, intenda rispettare la clausola sociale”; il che confluirebbe nella formulazione di “una vera e propria proposta contrattuale … che contenga gli elementi essenziali del nuovo rapporto in termini di trattamento economico e inquadramento, unitamente all’indicazione di un termine per l’accettazione”, con conseguente possibilità per il lavoratore di “previa individuazione degli elementi essenziali del contratto di lavoro” (Cons. Stato, parere n. 2703 del 2018).
Allo stesso modo, la stazione appaltante potrebbe valutare se “inserire tra i criteri di valutazione dell’offerta quello relativo alla valutazione del piano di compatibilità, assegnando tendenzialmente un punteggio maggiore, per tale profilo, all’offerta che maggiormente realizzi i fini cui la clausola tende”.
Da ciò si ricava chiara conferma che è rimessa al concorrente la scelta sulle concrete modalità di attuazione della clausola, incluso l’inquadramento da attribuire al lavoratore, spettando allo stesso operatore formulare eventuale ‘proposta contrattuale’ al riguardo, anche attraverso il cd. “progetto di assorbimento”, introdotto dall’art. 3, ultimo comma, delle predette Linee guida (in proposito, Cons. Stato, V, 1 settembre 2020, n. 5338); il che conferma che dalla clausola sociale non può trarsi sic et simpliciter un obbligo in capo al concorrente di inquadrare il lavoratore con lo stesso livello di anzianità già posseduto.
È stato recentemente sottolineato anche come la clausola non comporti “alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato e in forma automatica e generalizzata, nonché alle medesime condizioni, il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria, ma solo che l’imprenditore subentrante salvaguardi i livelli retributivi dei lavoratori riassorbiti in modo adeguato e congruo”; di guisa che “l’obbligo di garantire ai lavoratori già impiegati le medesime condizioni contrattuali ed economiche non è assoluto né automatico” (Cons. Stato, n. 6148 del 2019, cit.; 16 gennaio 2020, n. 389, in cui si precisa, sotto altro concorrente profilo, che sull’aggiudicatario non grava “l’obbligo di applicare ai lavoratori esattamente le stesse mansioni e qualifiche che avevano alle dipendenze del precedente datore di lavoro”; si veda anche 13 luglio 2020, n. 4515, in ordine al CCNL prescelto).
Per tali ragioni va escluso che la clausola sociale possa implicare la necessaria conservazione dell’inquadramento e dell’anzianità del lavoratore assorbito dall’impresa aggiudicataria.
Va escluso che la clausola sociale possa implicare la necessaria conservazione dell’inquadramento e dell’anzianità del lavoratore assorbito dall’impresa aggiudicataria
Del resto, è stato anche rilevato, sotto altro profilo, che l’aspetto inerente al “modo con cui l’imprenditore subentrante dia seguito all’impegno assunto con la stazione appaltante di riassorbire i lavoratori impiegati dal precedente aggiudicatario (id est. come abbia rispettato la clausola sociale) attiene … alla fase di esecuzione del contratto, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro” (Cons. Stato, n. 6148 del 2019, cit.; Linee guida Anac n. 13, che all’art. 5 prevedono: “L’inadempimento degli obblighi derivanti dalla clausola sociale comporta l’applicazione dei rimedi previsti dalla legge ovvero dal contratto. Nello schema di contratto le stazioni appaltanti inseriscono clausole risolutive espresse ovvero penali commisurate alla gravità della violazione. Ove ne ricorrano i presupposti, applicano l’articolo 108, comma 3, del Codice dei contratti pubblici”).
Interessantissime anche le indicazioni del Tar Calabria-Catanzaro, Sez. I, 22 luglio 2022, n. 1373, il quale evidenzia che la verifica demandata alla Stazione appaltante in forza del combinato disposto degli artt. 95, comma 10, e 97, comma 5, lett. d), d.lgs. n. 50/2016 non ha riguardo alla congruità complessiva del costo del personale e, quindi, non dà luogo ad un subprocedimento di verifica di anomalia dell’offerta, ma attiene esclusivamente al rispetto dei minimi salariali retributivi, così come indicati nelle apposite tabelle ministeriali di cui all’ art. 23, comma 16, del Codice degli appalti, le quali, seppure espongono dati non inderogabili, assolvono, tuttavia, ad una funzione di parametro di riferimento, dal quale è possibile discostarsi, in sede di verifica, solo sulla scorta di una dimostrazione puntuale e rigorosa in ordine alle ragioni che giustificano lo scostamento” (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 6.12.2021, n. 12588; v. anche T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 22.4.2021 n. 706; T.A.R. Lombardia, Sez. I, 13.5.2019 n. 1067; Cons. St., sez. V, 26.4.2018 n. 2540; id., 30.3.2017 n. 1465; id., 28.6.2011 n. 3865.).
In tema di verifica della congruità del costo della manodopera in sé considerata è stato affermato che risulta illegittimo e va annullato il provvedimento con cui il dirigente della centrale di committenza abbia disposto l’aggiudicazione dell’appalto approvando la proposta della commissione giudicatrice senza aver previamente verificato, come previsto dall’art. 95 comma 10, d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50, il costo della manodopera dell’aggiudicataria e, in particolare, il rispetto dei minimi retributivi di cui alle tabelle ministeriali dell’art. 23, comma 16, d. lg. n. 50 cit., e il ricorrente abbia comprovato in giudizio l’effettiva insufficienza di tali costi, applicandosi altrimenti l’art. 21-octies, l. 7 agosto 1990 n. 241” (T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 23.7.2020, n. 287).
In termini più specifici è stato rilevato che mentre l’aggiudicazione di un appalto si palesa illegittima ove l’aggiudicatario non abbia, nella sua offerta, indicato i costi della manodopera, ovvero ove tali costi siano inferiori ai minimi salariali stabiliti, l’eventuale mera mancata verifica di tali costi, riportati nell’offerta dell’aggiudicatario e non contestati, va ascritta al novero delle mere irregolarità procedimentali non invalidanti di per sé. Si vuol dire che, per censurare l’aggiudicazione per il profilo dei costi di manodopera indicati dall’operatore aggiudicatario, parte ricorrente dovrebbe contestarne la sufficienza, eventualmente supportando tale contestazione con la prova della loro omessa verifica da parte della Commissione di gara. Di contro, non è sufficiente la mera mancata formalizzazione di tale controllo, in assenza di qualsiasi deduzione (supportata da elementi di prova) sul fatto che tale errore abbia prodotto conseguenze sostanziali. (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 1.7.2020, n. 2793).
Da quanto ora esposto consegue che, come già osservato da questa Sezione (sentenza n. 899 del 26.5.2022), il soggetto che contesta la mancata verifica dei costi di manodopera è comunque onerato a fornire elementi di prova in ordine all’irragionevolezza dell’esito positivo, non essendo sufficiente la contestazione della mancata formalizzazione di tale controllo in sé considerata.
Confermata la posizione anche da parte del Consiglio di Stato, sez. V, 16.08.2022 n. 7141, il quale statuisce che sebbene non si tratti di errore materiale riconoscibile ed emendabile, la attendibilità del costo della manodopera previsto nell’offerta deve essere, in ogni caso, accertata nella sede propria del procedimento di verifica della congruità dell’offerta.
L’art. 95, comma 10, del Codice dei contratti pubblici, non prevede, infatti, per l’ipotesi di errata o incongrua indicazione del costo della manodopera, l’immediata esclusione dell’offerta (prevedendo tale grave conseguenza unicamente per il caso della omessa indicazione: in termini Cons. Stato, V, 30 giugno 2020, n. 4140), ma impone la verifica della congruità ai sensi dell’art. 97, comma 5, lettera d); e solo se la verifica risultasse negativa l’offerta potrebbe essere esclusa.
Anche analizzando il versante operatore economico, non è irrilevante la modalità di predisposizione e compunto del costo del lavoro. In tal senso il TAR Lazio – Roma, sez. II, 28 luglio 2022 n. 10764 che statuisce come obbligatoria l’indicazione dei costi della manodopera in offerta relativamente ai soli dipendenti impiegati stabilmente nella commessa, in quanto voce di costo che può essere variamente articolata nella formulazione dell’offerta per la specifica commessa; non è così, invece, per le figure professionali impiegate in via indiretta, che operano solo occasionalmente, ovvero lo fanno in maniera trasversale a vari contratti, il cui costo non si presta ad essere rimodulato in relazione all’offerta da presentare per il singolo appalto.
[1] L’art. 23 comma 16 del d.lgs. 50/2016 descrive esattamente il percorso e le fonti a cui attingere per la determinazione esatta del costo del lavoro: “Per i contratti relativi a lavori, servizi e forniture, il costo del lavoro è determinato annualmente, in apposite tabelle, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sulla base dei valori economici definiti dalla contrattazione collettiva nazionale tra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali. In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione. Per i contratti relativi a lavori il costo dei prodotti, delle attrezzature e delle lavorazioni è determinato sulla base dei prezzari regionali aggiornati annualmente. Tali prezzari cessano di avere validità il 31 dicembre di ogni anno e possono essere transitoriamente utilizzati fino al 30 giugno dell’anno successivo, per i progetti a base di gara la cui approvazione sia intervenuta entro tale data. In caso di inadempienza da parte delle Regioni, i prezzari sono aggiornati, entro i successivi trenta giorni, dalle competenti articolazioni territoriali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sentite le Regioni interessate. Fino all’adozione delle tabelle di cui al presente comma, si applica l’articolo 216, comma 4. Nei contratti di lavori e servizi la stazione appaltante, al fine di determinare l’importo posto a base di gara, individua nei documenti posti a base di gara i costi della manodopera sulla base di quanto previsto nel presente comma. I costi della sicurezza sono scorporati dal costo dell’importo assoggettato al ribasso.”
[2] Art. 95 co. 10 del d.lgs. 50/2016 – Nell’offerta economica l’operatore deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ad esclusione delle forniture senza posa in opera, dei servizi di natura intellettuale e degli affidamenti ai sensi dell’articolo 36, comma 2, lettera a). Le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell’aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto all’articolo 97, comma 5, lettera d).
Art. 97 co. 5 lett. d) d.lgs. 50/2016 – La stazione appaltante richiede per iscritto, assegnando al concorrente un termine non inferiore a quindici giorni, la presentazione, per iscritto, delle spiegazioni. Essa esclude l’offerta solo se la prova fornita non giustifica sufficientemente il basso livello di prezzi o di costi proposti, tenendo conto degli elementi di cui al comma 4 o se ha accertato, con le modalità di cui al primo periodo, che l’offerta è anormalmente bassa in quanto:
a) (omissis);
b) (omissis);
c) (omissis);
d) il costo del personale è inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle di cui all’articolo 23, comma 16.