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( vote)1. Introduzione
La Corte Costituzionale, con la sentenza del 26 luglio 2022 n. 198, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 93, comma 6, in combinato disposto con l’art. 216, comma 1, del Codice dei Contratti Pubblici d i cui al d.lgs. n. 50/2016 deferite dalla V Sez. del Consiglio di Stato con l’ordinanza 26 aprile 2021, n. 3299[1].
Prima di esporre le ragioni alla base della decisione della Consulta è necessaria una breve ricostruzione della questione in fatto ed in diritto.
1.1 Sui fatti che hanno originato la questione
A seguito dell’esclusione di un concorrente da una procedura di gara bandita nel vigore del d.lgs. n. 163/2016 in ragione di una serie di irregolarità fiscale accertate, la stazione appaltante provvedeva all’escussione della cauzione provvisoria prestata non solo per l’unico lotto nel quale detto operatore economico era risultato primo in graduatoria e quindi aggiudicatario, ma anche – in un secondo tempo – per tutti i lotti per i quali lo stesso aveva presentato un’offerta, malgrado il fatto che lo stesso non fosse risultato in relazione a questi ultimi né aggiudicatario e neanche secondo graduato. E ciò in applicazione dell’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, ratione temporis applicabile alla gara in questione.
L’operatore economico escluso ed escusso, avverso il provvedimento che disponeva l’escussione della cauzione provvisoria per i lotti nei quali non era risultato aggiudicatario, aveva proposto ricorso al TAR e, a seguito del suo rigetto, si era appellato al Consiglio di Stato, sollevando altresì questione di legittimità costituzionale dell’art. 93, comma 6, nel disposto combinato con l’art. 216 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, per contrasto con gli artt. 3 e 117 comma primo della Costituzione.
1.2 Sul quadro normativo
Come noto, l’art. 93, comma 6 del d.lgs. n. 163 del 2006, la cd. “garanzia provvisoria” prestata dagli operatori economici che partecipino ad una gara copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all’affidatario o all’adozione di informazione antimafia interdittiva emessa ai sensi degli articoli 84 e 91 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. La predetta garanzia viene obbligatoriamente posta a corredo dell’offerta e svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto. La norma è dunque chiara nel circoscrivere la possibilità, per la stazione appaltante, di escutere detta garanzia nei soli confronti dell’aggiudicatario (recte, “affidatario”), nei casi specifici ivi contemplati.
Ai sensi dell’art. 216, recante “Disposizioni transitorie e di coordinamento”, del medesimo d.lgs. n. 50 del 2016, peraltro, le disposizioni contemplate nel vigente “Codice dei contratti pubblici” si applicano “alle procedure e ai contratti per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data della sua entrata in vigore nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, alle procedure e ai contratti in relazione ai quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte”.
Nel vigente Codice dei contratti pubblici non esiste una disposizione espressa che, in particolare, estenda l’applicazione della disciplina di cui al comma sesto dell’art. 93 cit. anche alle procedure di gara i cui bandi o avvisi siano stati sì pubblicati in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016, ma relativamente alle quali l’amministrazione si sia determinata ad escutere la cauzione prestata da uno dei partecipanti alla gara non aggiudicatario in un momento successivo all’entrata in vigore dello stesso.
Ebbene nel caso di specie, la gara era soggetta alla disciplina di cui al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e ai sensi del previgente codice dei contratti pubblici, l’art. 48 d.lgs. n. 163 del 2006, che si riferisce all’ipotesi di un controllo a campione che abbia sortito esito negativo circa il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico organizzativa (ossia dei c.d. “requisiti speciali”) dichiarati dal concorrente all’atto dell’offerta, le stazioni appaltanti procedono all’esclusione del concorrente dalla gara, all’escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all’Autorità, a prescindere dalla posizione occupata in graduatoria dal concorrente.
Ai sensi dell’articolo 48 (comma primo), infatti, “Le stazioni appaltanti prima di procedere all’apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al 10 per cento delle offerte presentate, arrotondato all’unità superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Le stazioni appaltanti, in sede di controllo, verificano il possesso del requisito di qualificazione per eseguire lavori attraverso il casellario informatico di cui all’articolo 7, comma 10, ovvero attraverso il sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per i contratti affidati a contraente generale; per i fornitori e per i prestatori di servizi la verifica del possesso del requisito di cui all’articolo 42, comma 1, lettera a), del presente codice è effettuata tramite la Banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all’articolo 6-bis del presente Codice. Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell’offerta, le stazioni appaltanti procedono all’esclusione del concorrente dalla gara, all’escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all’Autorità per i provvedimenti di cui all’articolo 6 comma 11. L’Autorità dispone altresì la sospensione da uno a dodici mesi dalla partecipazione alle procedure di affidamento”.
A sua volta l’art. 75 del d.lgs. n. 163 del 2006, che concerne invece il caso del contratto che non venga sottoscritto per fatto dell’aggiudicatario, al comma primo prevede che “L’offerta è corredata da una garanzia, pari al due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell’invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell’offerente […]”, di seguito precisando, al comma 6, che “La garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, ed è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo”.
Secondo un consolidato orientamento giurisdizionale in ordine alla normativa di cui al previgente Codice (cfr. TAR del Lazio, Sez. II, 13 ottobre 2020, n. 10413) è vi è, in linea generale, un automatismo tra esclusione per carenza dei requisiti di partecipazione ed escussione della cauzione provvisoria prestata a garanzia della serietà dell’offerta, quale conseguenza diretta della violazione del patto di integrità e delle regole di gara cui è soggetto il partecipante (v. Cons. St,. V, 16.5.2018, n. 2896; Cons. Stato, Sez. V, 2.2.2018, n. 691). L’escussione della cauzione, costituisce, infatti, conseguenza diretta ed automatica del provvedimento di esclusione dalla procedura di gara per carenza dei requisiti di partecipazione ed è una misura autonoma e ulteriore rispetto all’esclusione dalla gara, che si riferisce, mediante l’anticipata liquidazione dei danni subiti dall’Amministrazione, ad un distinto per quanto connesso rapporto giuridico fra quest’ultima e l’imprenditore.
In altri termini, la escussione altro non è che una conseguenza vincolata e diretta del provvedimento di esclusione, e ciò anche in quei casi in cui l’effetto espulsivo della procedura sia l’esito di un giudizio di discrezionalità tecnica dell’amministrazione, la quale sussume la fattispecie concreta nella fattispecie astratta disegnata dal legislatore in guisa di concetto giuridico indeterminato. Conseguenza diretta ed automatica che prescinde dall’elemento soggettivo, atteggiandosi a misura patrimoniale e ad evenienza che i concorrenti accettano partecipando alla selezione e al relativo patto di integrità.
2. L’incidente di costituzionalità
In tale contesto, la V Sezione del Consiglio di Stato con l’Ordinanza Collegiale n. 3299/2021, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 93, comma 6, del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50, che disciplina la cauzione provvisoria prestata dagli operatori economici che partecipino ad una gara, nel combinato disposto con l’art. 216 del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50, per contrasto con gli artt. 3 e 117, comma primo (quest’ultimo in relazione all’art. 49, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) della Costituzione.
Secondo il Collegio remittente il regime di escussione della garanzia provvisoria previsto a suo tempo dall’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 integrava una forma di sanzione di carattere punitivo a carico dell’operatore economico che fornisce dichiarazioni rimaste poi senza riscontro, sanzione poi abbandonata dalla normativa sopravvenuta. Dalla natura punitiva e particolarmente afflittiva della misura sanzionatoria amministrativa prevista dall’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 discendevano pertanto le garanzie che la Costituzione ed il diritto internazionale assicurano alla materia, ivi compresa la garanzia della retroattività della lex mitior.
Il giudice rimettente sottolineava, infatti, che, per pacifica giurisprudenza amministrativa, l’istituto dell’escussione della garanzia provvisoria disciplinato dal previgente codice dei contratti pubblici, oltre ad avere la funzione di indennizzare «la stazione appaltante dall’eventuale mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario (funzione indennitaria), può svolgere altresì una funzione sanzionatoria verso altri possibili inadempimenti contrattuali dei concorrenti».
Tale istituto, infatti, «non può essere considerato una misura meramente ripristinatoria dello status quo ante, né ha natura risarcitoria (o anche solo indennitaria), né mira semplicemente alla prevenzione di nuove irregolarità da parte dell’operatore economico». Si tratterebbe, invece, di «una sanzione amministrativa, seppur non in senso proprio», dotata di «elevata carica afflittiva (nel caso di specie, all’incirca 2k), che in assenza di una specifica finalità indennitaria (propria della sola ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario) o risarcitoria, si spiega soltanto in chiave di punizione dell’autore dell’illecito». Ad essa, pertanto, avrebbe dovuto applicarsi il principio di retroattività della lex mitior che, secondo la più recente giurisprudenza costituzionale, si estende alle «sanzioni di carattere amministrativo che abbiano natura “punitiva”», quale sarebbe l’escussione della garanzia provvisoria come disciplinata dall’art. 48 del previgente codice dei contratti pubblici.
A tale riguardo, nell’Ordinanza in esame si legge “che il regime di escussione della garanzia provvisoria previsto a suo tempo dall’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 possa integrare, alla luce del richiamato consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa, una forma di sanzione di carattere punitivo a carico dell’operatore economico che abbia fornito dichiarazioni rimaste poi senza riscontro, sanzione peraltro abbandonata dalla normativa sopravvenuta. Non sembra revocabile in dubbio che la misura sanzionatoria amministrativa prevista dall’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 abbia natura punitiva e soggiaccia pertanto alle garanzie che la Costituzione ed il diritto internazionale assicurano alla materia, ivi compresa la garanzia della retroattività della lex mitior. L’escussione della garanzia in parola, infatti, non può essere considerata una misura meramente ripristinatoria dello status quo ante, né ha natura risarcitoria (o anche solo indennitaria), né mira semplicemente alla prevenzione di nuove irregolarità da parte dell’operatore economico. Si tratta, piuttosto, di una sanzione dall’elevata carica afflittiva [in taluni casi anche di diversi milioni di euro, come nel caso al vaglio del Consiglio di Stato, n.d.r.], che in assenza di una specifica finalità indennitaria (propria della sola ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario) o risarcitoria, “si spiega soltanto in chiave di punizione dell’autore dell’illecito in questione, in funzione di una finalità di deterrenza, o prevenzione generale negativa, che è certamente comune anche alle pene in senso stretto” (Corte cost., n. 63 del 2019)”.
La ricordata conclusione, del resto, consegue ad un (puntuale) inquadramento dell’ambito di operatività del principio della retroattività della lex mitior, che si fonda su un’analitica disamina della giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Cost. 21 marzo 2019, n. 63; n. 394/2006; n. 236/2011 e 393/2006), nonché dei principi CEDU (art. 7 nella lettura offertane dalla giurisprudenza di Strasburgo) e di altre norme del diritto internazionale dei diritti umani vincolanti per l’Italia che enunciano il medesimo principio (tra cui gli artt. 15, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e 49, paragrafo 1, CDFUE, quest’ultimo rilevante nel nostro ordinamento anche ai sensi dell’art. 11 Cost.).
Di conseguenza, ad avviso del giudice a quo, l’art. 216, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016, impedendo l’applicazione della più favorevole disciplina sanzionatoria dettata dall’art. 93, comma 6, del medesimo decreto – che limita «l’escussione della cauzione provvisoria solo a valle dell’aggiudicazione (definitiva) e, dunque, solo nei confronti dell’aggiudicatario» – si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 117 Cost.
3. La decisione del Giudice delle Leggi
L’esame delle questioni di legittimità costituzionale imponeva, quindi, di verificare la correttezza del presupposto interpretativo da cui muoveva l’ordinanza di rimessione: l’escussione della garanzia provvisoria, nell’ipotesi di esito negativo del controllo a campione sul possesso dei requisiti speciali a carico dei partecipanti alla procedura di gara diversi dall’aggiudicatario (art. 48, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006), ha natura di sanzione “punitiva” agli effetti della CDFUE e della CEDU e, quindi, soggiace alle garanzie dalle stesse previste, tra cui il principio di retroattività della lex mitior?
BOX: La Corte Costituzionale dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 93, comma 6, e 216, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e all’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e rese esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Consiglio di Stato, sezione quinta, con l’ordinanza in epigrafe indicata.
La Corte Costituzionale, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate nella più volte richiamata Ordinanza n. 3299/2021 del Consiglio di Stato, ha osservato, anzitutto, come la ricostruzione dell’ordinanza di rimessione in ordine alla natura di sanzione “punitiva” dell’escussione della garanzia provvisoria, in caso di esito negativo del controllo a campione di cui all’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, non rifletta il quadro giurisprudenziale costituzionale e amministrativo, che è sempre stato prevalentemente orientato in senso opposto.
La medesima Corte, infatti, aveva già avuto modo di chiarire che la garanzia provvisoria prevista dal citato art. 48 rispondeva «alla funzione di garantire serietà ed affidabilità dell’offerta», tutelando la correttezza del procedimento di gara, in modo da assicurarne il «regolare e rapido espletamento» (ordinanza n. 211 del 2011).
La funzione della garanzia provvisoria di responsabilizzare i partecipanti in ordine alle dichiarazioni rese e al dovere di correttezza, «allo scopo di garantire la serietà e l’affidabilità dell’offerta e prevenire l’inutile e non proficuo svolgimento di complesse attività selettive», è stata di recente ribadita dalla stessa Corte, con la sentenza n. 23 del 2022, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 17 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 aprile 2020, n. 3, laddove sospendeva l’obbligo di corredare l’offerta con una garanzia provvisoria «per tutte le procedure di gara, di qualsiasi tipo e per qualunque importo», per violazione dei limiti statutari in relazione appunto all’art. 93 del d.lgs. n. 50 del 2016.
In tale occasione la Corte ha infatti osservato che la cauzione provvisoria è strettamente funzionale alla tutela della concorrenza e serve ad assicurare la serietà e la correttezza delle offerte presentate. La sua funzione è, dunque, quella di «responsabilizzare i partecipanti in ordine alle dichiarazioni rese e al dovere di diligenza, allo scopo di garantire la serietà e l’affidabilità dell’offerta e prevenire l’inutile e non proficuo svolgimento di complesse attività selettive (Adunanza Plenaria n. 5/2016)» (così Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 22 luglio 2021, n. 5517, che si riferisce alla disciplina del nuovo codice; si vedano, altresì, Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 22 aprile 2021, n. 3255; sezione quinta, sentenze 6 aprile 2020, n. 2264 e 15 maggio 2019, n. 3151). Del resto, se è vero che «il principio cardine delle gare pubbliche è quello del favor partecipationis», questo attiene, nondimeno, solo alla partecipazione di «operatori economici “qualificati”», che possono «garantire, da un lato, che l’Amministrazione individui, tra i tanti, il “miglior contraente”, dall’altro, l’esplicazione di una piena ed effettiva concorrenza tra le imprese in un mercato libero» (Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 19 febbraio 2021, n. 1483).
Secondo la Corte, inoltre, ancorché la pronuncia richiamata riguardi la disciplina dettata dal nuovo codice dei contratti pubblici, deve rimarcarsi che essa non circoscrive la funzione della cauzione provvisoria, in termini di garanzia della serietà delle offerte e dell’efficienza dell’azione amministrativa, ai soli comportamenti contrari al dovere di correttezza dell’aggiudicatario, predicandola, per contro, per tutti i partecipanti alla procedura di gara.
L’evidenziata esigenza di assicurare l’affidabilità delle offerte e di evitare un’inutile attività procedimentale dell’amministrazione vale, dunque, a sottolineare una sostanziale omogeneità di funzioni tra le differenti ipotesi di incameramento della garanzia provvisoria (quella di cui al previgente art. 48 e quella di cui al nuovo art. 93, reiterativo del precedente art. 76).
Nel ritenere il citato art. 48 del d.lgs. n. 163/2006 «strumentale rispetto all’esigenza di garantire imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa», la Corte ha sottolineato come l’incameramento della cauzione provvisoria, in caso di esito negativo del controllo a campione, sia «preordinato ad assicurare il regolare e rapido espletamento della procedura e la tempestiva liquidazione dei danni prodotti dalla alterazione della stessa a causa della mancanza dei requisiti da parte dell’offerente» (ordinanza n. 211 del 2011), tenuto conto peraltro che «l’operatore economico, con la domanda di partecipazione, sottoscrive e si impegna ad osservare le regole della relativa procedura, delle quali ha, dunque, contezza» (ancora, ordinanza n. 211 del 2011).
La Corte Costituzionale non ha mancato di rilevare, come in termini analoghi si sia espressa la prevalente giurisprudenza amministrativa, secondo la quale l’escussione della cauzione provvisoria, in entrambe le ipotesi contemplate dal d.lgs. n. 163 del 2006 (artt. 48, comma 1, e 75, comma 6), «si profila come garanzia del rispetto dell’ampio patto di integrità cui si vincola chi partecipa ad una gara pubblica. La sua finalità è quella di responsabilizzare i partecipanti in ordine alle dichiarazioni rese, di garantire la serietà e l’affidabilità dell’offerta, nonché di escludere da subito i soggetti privi delle richieste qualità volute dal bando» (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 10 dicembre 2014, n. 34; in senso conforme, ex multis, Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 22 aprile 2021, n. 3255 e sezione quinta, sentenze 10 aprile 2018, n. 2181, 19 aprile 2017, n. 1818, e 22 dicembre 2014, n. 6302). Questo perché la presenza di dichiarazioni non corrispondenti al vero «altera di per sé la gara quantomeno per un aggravio di lavoro della stazione appaltante, chiamata a vagliare anche concorrenti inidonei o offerte prive di tutte le qualità promesse» (ancora, Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza n. 34 del 2014).
Pertanto, si tratta, insomma, di «una misura di indole patrimoniale, priva di carattere sanzionatorio amministrativo nel senso proprio», che costituisce l’automatica conseguenza della violazione del dovere di correttezza gravante sull’offerente e realizza un’anticipata liquidazione dei danni subiti dalla stazione appaltante (ancora, Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza n. 34 del 2014; in senso analogo, Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza 4 febbraio 2009, n. 2634, che ne ha sottolineato l’affinità con la caparra confirmatoria).
La Corte Costituzionale non ha però mancato di “bacchettare” il giudice remittente, il quale secondo la stessa “innanzi a così solide conclusioni, supportate da pronunce di questa Corte […] non si è confrontato”.
La Corte ha, altresì, liquidato le argomentazioni delle Parti tratte dalla recente pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 26 aprile 2022, n. 7 della quale questa Rivista ha trattato nello scorso Numero 6. Secondo la Corte, infatti, non apporta alcun argomento in senso contrario il riferimento alla funzione “punitiva” propria dell’incameramento della cauzione provvisoria. Né, infine, sono in grado di apportare validi argomenti critici al riferito orientamento giurisprudenziale le generiche considerazioni del rimettente, che qualifica l’istituto in esame come «una sanzione amministrativa, seppur non in senso proprio», potendo assolvere, oltre alla «funzione di indennizzare la stazione appaltante dall’eventuale mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario», «altresì una funzione sanzionatoria verso altri possibili inadempimenti contrattuali dei concorrenti».
La Corte ha quindi verificato l’eventuale natura di sanzione “punitiva” dell’incameramento della cauzione provvisoria disposto ai sensi dell’art. 48, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006.
Nel fare ciò ha, dapprima, richiamato la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ricordando che «l’esistenza o meno di una “accusa in materia penale” deve essere valutata sulla base di tre criteri, indicati comunemente con il nome di “criteri Engel” (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82, serie A n. 22, A e B c. Norvegia [GC], nn. 24130/11 e 29758/11, § 107, 15 novembre 2016, e Ramos Nunes de Carvalho e Sá c. Portogallo [GC], nn. 55391/13 e altri 2, § 122, 6 novembre 2018):
- il primo è la qualificazione giuridica del reato nel diritto interno, il secondo è la natura stessa del reato e il terzo è il grado di severità della sanzione in cui incorre l’interessato;
- il secondo e il terzo criterio possono essere alternativi e non necessariamente cumulativi» (Corte europea dei diritti dell’uomo, grande camera, 8 luglio 2019, Mihalache contro Romania), anche se «ciò non impedisce di adottare un approccio cumulativo se l’analisi separata di ciascun criterio non permette di giungere a una conclusione chiara circa l’esistenza di una accusa in materia penale» (Corte europea dei diritti dell’uomo, sezione seconda, 4 marzo 2014, Grande Stevens contro Italia).
Nella specie, l’escussione della garanzia provvisoria – che deve essere presentata a corredo dell’offerta, ai sensi del previgente art. 75, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006 e del vigente art. 93, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016 – non è formalmente qualificata dall’ordinamento nazionale come sanzione penale.
Il suo eventuale carattere sanzionatorio “punitivo” va allora apprezzato sulla base dei due criteri sostanziali di cui si è detto: da un lato, la natura della violazione, desunta dal suo ambito applicativo, in quanto, per essere “penale”, essa deve essere rivolta alla «generalità dei consociati» e non agli appartenenti ad un ordinamento particolare, e, soprattutto, dallo scopo perseguito, che deve essere «non meramente risarcitorio, ma repressivo e preventivo»; dall’altro, la natura e la gravità della sanzione cui l’interessato si trova esposto, che deve presentare «una connotazione afflittiva, potendo raggiungere un rilevante grado di severità» (sentenza n. 43 del 2017).
Con riferimento al primo di questi criteri, la Corte ha dunque sottolineato che l’escussione della garanzia provvisoria ha un ambito applicativo limitato agli operatori economici che partecipano alle procedure di gara per l’affidamento di contratti pubblici e non è rivolta alla generalità dei consociati. Detta escussione mira, infatti, a garantire l’ordinato svolgersi di una specifica procedura amministrativa, al punto che il relativo importo non viene assicurato al bilancio pubblico in generale, ma incamerato dalla stazione appaltante.
Lo scopo da essa perseguito, inoltre, non è repressivo e punitivo, essendo volta, da un lato, a «garantire serietà ed affidabilità dell’offerta», dall’altro, a consentire «l’anticipata liquidazione dei danni subiti dalla stazione appaltante» in caso di omessa dimostrazione dei requisiti speciali di partecipazione dichiarati dal concorrente in sede di presentazione dell’offerta (ordinanza n. 211 del 2011). La stessa Corte, nell’ordinanza n. 211 del 2011 più volte citata, nel delineare la differenza e l’incomparabilità tra l’escussione della cauzione provvisoria e le ulteriori sanzioni applicate dall’AVCP (oggi, ANAC), nell’ipotesi di cui al menzionato art. 48, comma 1, ha rilevato che i provvedimenti della menzionata Autorità, «previsti dalla norma censurata, mirano a garantire che nel settore operino soggetti rispettosi delle regole che lo disciplinano e, quindi, sono diretti a sanzionare la condotta dell’offerente per finalità ulteriori e diverse rispetto a quelle cui è preordinato l’incameramento della cauzione provvisoria, caratterizzato da una funzione differente da quella che connota detti provvedimenti», una funzione appunto di tipo riparatorio. Anche se talvolta, in letteratura e in giurisprudenza, viene adottata la assai generica espressione “sanzione”, trattasi comunque di un rimedio non “punitivo”.
L’escussione della cauzione provvisoria, anche se può avere un effetto indirettamente punitivo del concorrente che ha partecipato alla procedura di gara, dichiarando il possesso di requisiti che non ha poi confermato, risponde infatti all’esigenza di garantire il rispetto delle regole procedurali e, quindi, l’affidabilità di tutti i concorrenti e dell’offerta da essi presentata, nonché la speditezza della procedura medesima. In questa stessa ottica, l’incameramento della garanzia provvisoria “sanziona” «la violazione dell’obbligo di diligenza gravante sull’offerente» (ordinanza n. 211 del 2011), nel senso che costituisce il rimedio apprestato dall’ordinamento a tutela dell’interesse della stazione appaltante alla serietà e affidabilità dell’offerente stesso e al rispetto, da parte sua, delle regole di gara.
L’attività contrattuale dell’amministrazione, «sebbene svolta con i moduli autoritativi e impersonali dell’evidenza pubblica», è infatti inquadrabile «nello schema delle trattative prenegoziali», da cui deriva «l’assoggettamento al generale dovere di comportarsi secondo buona fede enunciato dall’art. 1337 cod. civ.» (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 29 novembre 2021, n. 21). Quest’obbligo grava, ovviamente, su entrambe le parti “della trattativa” e, quindi, non solamente sulla stazione appaltante, ma anche sui partecipanti alla procedura di gara e la sua violazione dà vita a responsabilità precontrattuale, che è posta appunto «a presidio dell’interesse di ordine economico a che sia assicurata la serietà dei contraenti nelle attività preparatorie e prodromiche al perfezionamento del vincolo contrattuale» (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza n. 21 del 2021). L’escussione della garanzia provvisoria risponde, quindi, alla funzione tipica dei rimedi apprestati dall’ordinamento a fronte di condotte contrarie a buona fede fondanti la responsabilità precontrattuale, che, anche quando “sanzionano” comportamenti scorretti imputabili alla parte, non sono “punitivi” perché sono tesi a salvaguardare posizioni giuridiche soggettive contro la violazione ingiustificata del dovere di correttezza. Peraltro, il carattere sanzionatorio che assumono, in taluni casi, i rimedi civilistici non implica che essi siano conseguentemente qualificabili come sanzioni “punitive” agli effetti della CEDU e della CDFUE, in ragione della ormai riconosciuta natura polifunzionale della responsabilità civile.
L’incameramento della cauzione provvisoria è, insomma, un rimedio atto a sanzionare il mancato rispetto del dovere di buona fede e correttezza nella fase precontrattuale da parte di coloro che, partecipando alla procedura di gara, si impegnano a osservarne le regole.
Come accade in altri istituti previsti dal nostro ordinamento, inoltre, alla funzione di tutela dell’interesse dell’amministrazione ad evitare l’inutile e non proficuo svolgimento di complesse attività selettive, si aggiunge quella di liquidare, preventivamente e forfettariamente, il danno da essa eventualmente subito. Da qui la funzione complessa della garanzia provvisoria e della sua escussione, volte a rafforzare complessivamente la posizione giuridica dell’amministrazione a tutela dell’interesse pubblico alla concorrenza, trasparenza e legalità delle procedure di affidamento dei contratti pubblici di cui essa è portatrice. «La stessa mancanza di discrezionalità in capo all’autorità amministrativa» (sentenza n. 276 del 2016) chiamata ad escutere la cauzione provvisoria, la quale consegue automaticamente all’esclusione dalla procedura di gara per assenza o mancata dimostrazione del requisito speciale dichiarato in sede di offerta, costituisce un indice ulteriore del fatto che l’incameramento di questa cauzione non abbia carattere “punitivo”, ma sia essenzialmente diretto a garantire il rispetto delle regole di gara, restaurando l’interesse pubblico leso, che è quello di evitare la partecipazione alla gara stessa di concorrenti inidonei o di offerte prive dei requisiti richiesti.
La Corte, pertanto, una volta escluso che la misura persegue le finalità afflittive proprie della pena, poste nell’interesse generale dell’ordinamento, anziché in quello settoriale della pubblica amministrazione coinvolta nella gara, ha aggiunto che neppure il suo grado di severità conforta le premesse ermeneutiche del rimettente. Nella specie sottolineando che “l’entità della garanzia provvisoria, ai sensi dell’art. 75 del previgente codice dei contratti pubblici, era pari al «due per cento del prezzo base indicato nel bando o nell’invito» e, quindi, ad una percentuale non particolarmente elevata di esso”.
Peraltro, sempre secondo la Corte, il comma 7 del medesimo art. 75 del d.lgs. n. 163 del 2006, prevedeva una serie di ipotesi, cumulabili tra loro, in cui l’importo di questa garanzia era ridotto da un minimo del quindici a un massimo del cinquanta per cento, giustificate dal possesso, da parte degli operatori economici, di determinate certificazioni. Dall’importo della garanzia provvisoria, dalla previsione di forme alternative di costituzione (la cauzione o la fideiussione) e dal regime delle riduzioni previste dal legislatore, dunque, può ben desumersi l’assenza di quel connotato di speciale gravità, necessario affinché la misura pregiudizievole possa essere assimilata a una sanzione sostanzialmente penale.
4. Conclusioni
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte Costituzionale ha ritenuto non condivisibile il presupposto interpretativo dal quale muove l’ordinanza di rimessione, che si basa sulla natura di sanzione “punitiva” dell’incameramento della garanzia provvisoria in caso di esito negativo del controllo a campione ai sensi dell’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006.
La pronuncia della Corte Costituzionale si impone sul solco di una tradizione giurisprudenziale che probabilmente meritava di essere maggiormente affrontata dal giudice remittente, come peraltro osservato dalla stessa Consulta, proprio facendo leva sulla ratio della nuova normativa introdotta dall’art. 93 comma 6 del Codice dei Contratti Pubblici e sui criteri CEDU testé richiamati. Sicuramente, la consistenza della indagine è dipesa dalla vicenda nell’ambito della quale è stata adottata l’ordinanza n. 3299/2021, dato che nel caso di specie si disquisiva di una esclusione/escussione disposta a seguito di una causa automatica di esclusione (l’accertata irregolarità fiscale dell’operatore economico); mentre sarebbe stato interessante includere nel giudizio di legittimità le escussioni disposte in ragione della discrezionalità amministrativa della S.A., stante la natura non paritaria del rapporto tra stazione appaltante e operatore economico partecipante alla procedura di gara. Anche se, dato il rigoroso e consolidato orientamento interpretativo riaffermato dalla Consulta, nulla probabilmente sarebbe cambiato.
[1] Il tema è stato trattato negli scritti di A. Presti, Al vaglio della Consulta la questione dell’applicabilità retroattiva della lex mitior sulla escussione della garanzia provvisoria prevista dal nuovo Codice Appalti, in questa Rivista Anno: XI, Numero: 3 e L’Adunanza Plenaria individua nel solo aggiudicatario, e non nell’o.e. “proposto quale aggiudicatario”, il soggetto al quale può essere escussa la garanzia provvisoria ex art. 93, comma 6, del Codice dei Contratti Pubblici, in questa Rivista Anno: XII, Numero 6.