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( votes)- Inquadramento generale. Definizioni e finalità
La questione della quantificazione dei costi della manodopera nelle gare d’appalto è stata oggetto negli ultimi anni di grande attenzione da parte della giurisprudenza, nazionale ed europea.
La problematica va inquadrata sotto un duplice profilo: da un lato, la quantificazione dei costi della manodopera stimati dalla stazione appaltante per l’esecuzione dell’appalto, da effettuarsi in fase di progettazione della gara e, dall’altro, la quantificazione e l’indicazione in offerta dei propri costi della manodopera da parte del concorrente.
Questi due differenti momenti in cui i costi della manodopera vengono in rilievo vanno tenuti distinti, in primo luogo, in quanto perseguono finalità differenti e, secondariamente, perché ad essi si ricollegano obblighi e conseguenze parzialmente diversi.
Se si procede in ordine logico-cronologico, il primo momento in cui tali costi vengono in rilievo è, come detto, in fase di progettazione della procedura d’appalto. In questa fase infatti la stazione appaltante deve quantificare la base d’asta e lo fa in funzione di una serie di fattori, quali l’oggetto dell’appalto, eventuali condizioni di mercato specifiche, i costi dei prodotti da impiegare sulla base di eventuali listini e così via. Tra gli elementi che deve tenere necessariamente in considerazione vi è anche il costo della manodopera che si stima dover essere impiegata nell’appalto che si sta progettando.
L’art. 23, comma 16 del D. Lgs. n. 50/2016 prevede infatti che <<nei contratti di lavori e servizi la stazione appaltante, al fine di determinare l’importo posto a base di gara, individua nei documenti posti a base di gara i costi della manodopera sulla base di quanto previsto nel presente comma>>, il quale, a sua volta, stabilisce che il costo del lavoro sia determinato annualmente, in apposite tabelle, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sulla base dei valori economici definiti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile al settore di riferimento, se esistente.
La finalità perseguita è dunque chiaramente indicata dalla norma: la stazione appaltante deve tener conto del costo della manodopera stimato per la giusta ed attendibile costruzione della base d’asta, tale da consentire ai futuri concorrenti di presentare un’offerta che garantisca loro un’equa remunerazione del personale e un giusto utile di impresa. Di tale quantificazione la stazione appaltante deve poi dare evidenza nei documenti di gara, anche nell’ottica di una trasparente ricostruzione dell’iter logico seguito.
Il costo della manodopera stimato in tale fase è un costo medio, elaborato su base statistica ed applicabile, in quanto parametro di riferimento, ad un’organizzazione aziendale “tipo” e non ad una concreta e specifica, non potendo la stazione appaltante, come è ovvio in questa fase, immaginare quali modalità organizzative particolari saranno adottate dai futuri concorrenti.
Differente per momento, soggetto e finalità è la seconda quantificazione, ovvero quella compiuta dal concorrente in fase di presentazione dell’offerta, che lo stesso deve individuare con precisione ed indicare separatamente dal prezzo offerto. Questa previsione è contenuta nell’art. 95, comma 10 del Codice, che stabilisce che <<nell’offerta economica l’operatore deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ad esclusione delle forniture senza posa in opera, dei servizi di natura intellettuale e degli affidamenti ai sensi dell’articolo 36, comma 2, lettera a) (…)>>. In questo secondo caso, l’operatore economico non deve fare riferimento ad un costo medio del lavoro ma ai propri costi effettivi, cioè a quello che lui ritiene di dover sostenere in caso di aggiudicazione della commessa, tenuto conto del numero di ore di lavoro da impiegarsi nell’appalto, delle eventuali condizioni di esecuzione migliorative proposte, delle figure professionali che intende impiegare in esso e del loro costo orario, quantificato in base ai profili, all’anzianità, alle assenze medie ecc..
La finalità di tale indicazione che, come vedremo oltre, è obbligatoria, pena l’esclusione del concorrente dalla procedura, va ricercata nella necessità che siano garantite la sostenibilità e la remuneratività dell’offerta, che verrebbero meno laddove il prezzo offerto non fosse sufficientemente capiente a contenere sia i costi della manodopera che gli altri costi necessari (spese generali, consumi, prodotti, ecc.) nonché un seppur minimo margine di utile di impresa. Non solo: l’obbligatoria indicazione dei costi della manodopera in offerta risponde alla fondamentale necessità di tutelare i lavoratori impiegati nella commessa, per i quali occorre accertarsi che sia quantomeno garantito il rispetto dei minimi salariali stabiliti dal CCNL, pena il rischio di sfruttamento della manodopera o di ricorso al lavoro nero.
BOX: Nelle procedure d’appalto di lavori e servizi, la quantificazione dei costi della manodopera rileva sotto due distinti profili: da un lato, la stazione appaltante fa una stima dei costi medi in fase di progettazione della gara per costruire la base d’asta, dall’altro, il concorrente deve indicare i propri costi di manodopera in offerta, distintamente dal prezzo.
Tale obbligo di indicazione non sussiste per alcuni casi eccezionali, per cui, evidentemente, i costi della manodopera sono trascurabili, quali: gli appalti di forniture senza posa in opera, i servizi di natura intellettuale e gli affidamenti diretti ai sensi dell’articolo 36, comma 2, lettera a) del Codice.
Il costo della manodopera quantificato dal concorrente può certamente discostarsi da quello stimato dalla Stazione appaltante sulla base dei costi medi tratti dalle tabelle ministeriali, in quanto i reali valori aziendali possono ben risultare inferiori a causa di agevolazioni, sgravi fiscali o contributivi, detrazioni varie, nonché a causa di tassi di assenteismo del personale inferiori alla media. Esso tuttavia non potrà in nessun caso essere inferiore ai minimi salariali stabiliti dai contratti collettivi di riferimento, costituenti un costo per così dire “originario”: in tal caso l’esclusione dell’offerta dalla gara sarebbe automatica in quanto trattasi di minimi inderogabili la cui violazione non è in alcun modo giustificabile. A riprova di ciò vi è l’espresso dettato del Codice, che, all’art. 97, comma 6, dispone che <<non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge>>.
- Le conseguenze dell’omessa quantificazione dei costi della manodopera
Come detto sopra, l’omessa quantificazione dei costi della manodopera porta a conseguenze differenti a seconda di chi si renda responsabile di tale inadempienza.
Se si tratta dei costi della manodopera che la stazione appaltante ha l’onere di stimare ed indicare nei documenti di gara e non lo fa, la giurisprudenza non è univoca nel ritenere tale omissione sanzionabile con l’annullabilità del bando. A fronte, infatti, di alcune pronunce più rigorose[1] che interpretano la mancata quantificazione di tali costi in fase di progettazione della gara come obbligo cogente per la stazione appaltante tanto che la mancata indicazione degli stessi nella documentazione di gara ne comporta l’illegittimità, ve ne sono altre più recenti[2] per cui <<l’omessa indicazione, in violazione dell’art. 23 del D. Lgs n. 50/2016, dell’analisi dei costi della manodopera, non merita positivo apprezzamento. Al riguardo, infatti, a prescindere dalla natura dell’appalto in oggetto (di forniture, o misto di forniture e servizi), sia sufficiente considerare che la mancata riproduzione dell’obbligo di indicare il costo della manodopera nel bando e nel capitolato della gara non ne determina l’illegittimità, in quanto da tale lacuna non deriva l’inoperatività degli obblighi dichiarativi anzidetti, nel senso che gli operatori sono comunque tenuti ad indicare i costi della manodopera in sede di offerta>>. Come a dire che la stazione appaltante ha l’onere, sì, di indicare il costo medio stimato della manodopera, ma tale indicazione è distinta ed indipendente dai costi di manodopera propri del concorrente da indicare in offerta, per i quali esiste un obbligo dichiarativo previsto da norma di carattere imperativo, come vedremo più avanti; l’eventuale omissione della stazione appaltante non inficia la gara in quanto l’obbligo in capo ai concorrenti resta intatto. Peraltro, trattandosi di una stima media presunta, finalizzata alla costruzione della base d’asta e non a tutelare direttamente i lavoratori del concorrente, quale è invece il fine dell’indicazione dei costi della manodopera in offerta, è pacificamente possibile che i costi indicati dal concorrente in offerta si discostino da quelli stimati dalla Stazione appaltante. Tale ultima considerazione andrebbe proprio a vantaggio della sostenibilità della tesi della non imperatività della norma contenuta nel citato art. 23, comma 16.
BOX: Le conseguenze della mancata evidenziazione dei costi di manodopera sono differenti a seconda dei casi: la loro omessa indicazione in offerta da parte del concorrente è senza dubbio causa di esclusione dalla gara, fatta salva la possibilità di soccorso istruttorio, a certe limitate condizioni; sulle conseguenze della mancata indicazione degli stessi nella documentazione di gara da parte della stazione appaltante, invece, la giurisprudenza non ha assunto una posizione univoca.
Discorso differente va fatto per quanto concerne l’obbligo, posto dall’art. 95, comma 10 in capo al concorrente, di indicare nell’offerta economica – distintamente dal prezzo – i propri costi della manodopera.
In merito, posto che il Codice non prevede espressamente che tale obbligo sia da intendersi a pena di esclusione, la giurisprudenza degli ultimi anni ha oscillato per molto tempo tra le due opposte posizioni: da un lato, la tesi volta a riconoscere un più ampio margine di discrezionalità alla stazione appaltante, per cui, in forza del principio secondo cui ubi lex voluit dixit, ubi noluit taquit, a tale norma, in assenza di una espressa previsione in tal senso, non deve essere attribuito carattere di norma imperativa con effetto escludente. Pertanto, in assenza di una specifica previsione di esclusione nei documenti di gara, l’omessa indicazione in offerta dei costi della manodopera non comporterebbe l’esclusione del concorrente[3].
Dall’alto lato vi è la tesi, poi divenuta predominante in forza della sentenza in tal senso prima della Corte di Giustizia europea[4], chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto europeo di tale previsione di legge, e poi del Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria[5], secondo cui la mancata indicazione separata dei costi della manodopera comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto. Ciò in quanto il carattere imperativo e di etero integrazione della norma appare sufficientemente chiaro dal suo dettato letterale. Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, la necessaria applicazione dei principi di trasparenza e di proporzionalità comporta che si debba offrire la possibilità ai concorrenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dal Codice entro un termine stabilito, mediante il sub-procedimento del soccorso istruttorio[6].
BOX: La verifica della congruità dei costi della manodopera attiene esclusivamente a quelli indicati dal concorrente in offerta. Si tratta di un controllo obbligatorio, da compiersi sempre prima dell’aggiudicazione e a prescindere dal fatto che l’offerta sottoposta a verifica sia anomala o meno.
- La verifica di congruità dei costi della manodopera
La questione della verifica della congruità dei costi della manodopera attiene esclusivamente a quelli indicati dal concorrente in offerta e trova fondamento nella previsione di cui all’art. 95, comma 10 del Codice, secondo cui <<le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell’aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto all’articolo 97, comma 5, lettera d)>>.
Sulla natura di tale verifica occorre innanzitutto precisare che essa va tenuta distinta dalla verifica da compiere in caso di anomalia delle offerte. Infatti, questo tipo di controllo va fatto in ogni caso, a prescindere quindi dal fatto che l’offerta sia considerata anomala o meno, e costituisce una verifica propedeutica e necessaria all’aggiudicazione.
Essa riguarda solo ed esclusivamente i costi della manodopera, per i quali soltanto vi è la specifica previsione in legge, e non anche, come ha avuto modo di ribadire anche recente giurisprudenza[7], gli oneri di sicurezza aziendali, sebbene questi vadano spesso di pari passo con i costi di manodopera nelle varie disposizioni codicistiche.
Il senso dell’obbligatorietà di tale verifica va ricercato nella finalità della stessa necessaria indicazione in offerta di tali costi, ovvero la tutela dei lavoratori dipendenti impiegati nella commessa, ai quali deve essere garantita un’equa retribuzione.
La distinzione tra la verifica – obbligatoria – di congruità dei costi di manodopera e la verifica – eventuale – di congruità di un’offerta anomala è stata ben chiarita dalla giurisprudenza. Sia il Consiglio di Stato che i giudici di merito[8] hanno in più occasioni chiarito che <<l’obbligo di controllo di cui all’art. 95, comma 10 citato non deve essere confuso con l’eventuale verifica di anomalia dell’offerta di cui all’art. 97, essendo il primo controllo obbligatorio in ogni caso, anche in mancanza di una vera e propria verifica di anomalia>> e che si tratta <<di una verifica necessaria a prescindere dall’emersione di situazioni di anomalia dell’offerta (…). La demarcazione fra verifica della manodopera, obbligatoria in ogni procedura di appalto, e verifica di anomalia, è piuttosto netta, anche se la verifica dei costi di manodopera può ragionevolmente confluire in quella di anomalia, qualora, per obbligo di legge (cd. anomalia tecnica, ex art. 97, co.3 in caso di utilizzo del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa), o per scelta discrezionale della stazione appaltante (rif. art. 97, co.6, secondo periodo), la stazione appaltante attivi il relativo subprocedimento>>.
La verifica di congruità dei costi della manodopera deve essenzialmente controllare che siano rispettati i minimi salariali inderogabili stabiliti dai contratti collettivi maggiormente rappresentativi a livello nazionale per il settore di riferimento. Ciò comporta che il parametro di riferimento insuperabile non sarà il costo medio determinato dalle tabelle ministeriali e preso in considerazione dalla stazione appaltante in sede di quantificazione del costo della manodopera stimato durante la progettazione della gara ma le tabelle dei minimi salariali.
Sarà quindi ben possibile che il costo specifico indicato dal concorrente – discendente da specifiche condizioni organizzative dello stesso, dalla possibilità di accedere in concreto a sgravi, detrazioni, ecc. – si discosti dalla quantificazione effettuata dalla stazione appaltante, la quale ha carattere indicativo. In tal senso si è pronunciata anche recente giurisprudenza[9], che, in linea con quanto già espresso da un consolidato orientamento[10], ha ribadito che <<occorre infatti distinguere il concetto di “minimi salariali”, indicati nelle apposite tabelle ministeriali (cd. trattamento retributivo minimo), da quello di “costo orario medio del lavoro” risultante dalle tabelle ministeriali. Soltanto per il primo, in caso di sua violazione, vale la sanzione dell’esclusione dell’offerta stabilita dall’art. 97, comma 5, del d.lgs. n. 50/2016, in quanto l’offerta che non rispetti i suddetti minimi salariali è considerata ex lege anormalmente bassa. E la diversità dei due concetti si coglie nel fatto che quello di trattamento retributivo minimo ha carattere “originario”, in quanto viene desunto direttamente dal pertinente contratto collettivo nazionale e non abbisogna, per la sua enucleazione, di alcuna operazione di carattere statistico-elaborativo, mentre il concetto di “costo medio orario del lavoro” è il frutto dell’attività di elaborazione del Ministero, che lo desume dall’analisi e dall’aggregazione di dati molteplici e inerenti a molteplici istituti contrattuali>>. Le tabelle ministeriali, frutto di una elaborazione statistica, esprimono un costo del lavoro medio che non rappresenta un limite inderogabile per gli operatori economici partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici <<ma solo un parametro di valutazione della congruità dell’offerta, con la conseguenza che lo scostamento da esse, specie se di lieve entità, non legittima di per sé un giudizio di anomalia>>.
Recente giurisprudenza ha anche chiarito che la verifica di congruità debba sempre e comunque concludersi con un provvedimento “esplicito”[11]: <<quanto, poi, alla configurabilità di un provvedimento “implicito” di valutazione del costo della manodopera, preme ricordare che l’amministrazione deve – di regola – adottare provvedimenti espressi di conclusione del procedimento (cfr. l’art. 2 comma 1 della legge n. 241/1990) e che un provvedimento amministrativo implicito si configura soltanto allorché l’amministrazione «ne determina univocamente i contenuti sostanziali attraverso un comportamento conseguente ovvero determinandosi in una direzione, a cui non può essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del provvedimento formale» (…); fermo restando che (…) un’attività amministrativa “implicita” non appare pienamente compatibile con la citata previsione della legge n. 241/1990 ed in genere con i principi della medesima, sicché le ipotesi di provvedimenti impliciti devono reputarsi residuali e circoscritte>>.
BOX: La verifica di congruità dei costi della manodopera ha ad oggetto il rispetto dei minimi salariali inderogabili stabiliti dai contratti collettivi a livello nazionale per il settore di riferimento. Tali valori minimi saranno quindi il parametro di riferimento insuperabile e potranno anche essere inferiori al costo medio del lavoro determinato dalle tabelle ministeriali, che rappresenta solo una stima indicativa.
- Gli ultimi arresti giurisprudenziali sul perimetro della verifica di congruità dei costi della manodopera
In merito alle modalità di svolgimento della verifica di congruità dei costi della manodopera e, in particolare, al perimetro entro il quale tale verifica debba essere svolta, appare interessante richiamare alcune recenti pronunce dei Giudici di merito.
In primo luogo, la giurisprudenza ha avuto modo di affrontare il problema dell’individuazione del contratto collettivo da applicare per la verifica di congruità nel caso di rinnovo contrattuale in itinere.
Appurato che, per espressa previsione di legge[12], i salari di riferimento sono quelli fissati dalla contrattazione collettiva nazionale tra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentativi e che, in mancanza di contratto collettivo applicabile, occorrerà riferirsi al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione, nel caso in cui vi sia stato un rinnovo contrattuale in fase di svolgimento della gara, la giurisprudenza ha chiarito che si debba prendere in considerazione il contratto vigente al momento in cui si effettua la verifica di congruità.
Tale scelta è motivata dal fatto che sarà comunque quel contratto, e non il precedente eventualmente preso in esame in sede di quantificazione dei costi di manodopera, a dover essere applicato nella fase di esecuzione dell’appalto[13]. Secondo la giurisprudenza, infatti, per la quantificazione del costo del lavoro deve essere preso a riferimento il CCNL in vigore al momento della presentazione dell’offerta[14]. Il Supremo Collegio[15], in particolare, ha evidenziato che <<le tabelle introdotte dal sopravvenuto contratto collettivo (…) potevano essere considerate nel sub-procedimento di valutazione dell’offerta per stimarne l’affidabilità. Bene strano sarebbe stato il contrario, (…) in ragione del fatto che è il nuovo contratto collettivo a trovare applicazione in sede di esecuzione del contratto>>.
Un altro aspetto esaminato di recente in sede giurisprudenziale è quello della tipologia di lavoratori da contemplare nella quantificazione del costo della manodopera da sottoporre a verifica di congruità.
Degne di nota sono infatti alcune recenti pronunce che hanno indagato proprio in merito al tipo di lavoratore che deve o meno essere preso in considerazione quando si verifica la sostenibilità del costo della manodopera indicato in offerta dal concorrente.
La prima, del TAR Veneto[16], ha affrontato il caso di un aggiudicatario, il quale, in sede di presentazione dell’offerta economica, ha quantificato il costo del solo personale dipendente e non anche quello relativo al personale impiegato dalla ditta subappaltatrice. Il Giudice di merito ha in questo caso accolto il ricorso della seconda classificata sostenendo che l’obbligo di indicazione separata dei costi della manodopera debba intendersi come riferito anche ai costi legati al personale impiegato dall’eventuale azienda subappaltatrice <<poiché una diversa soluzione finirebbe con il consentire un’agevole elusione della norma in considerazione, e della ratio di tutela che la ispira>>. In senso conforme, del resto, precedente giurisprudenza[17] che ha, sul punto, osservato che <<in quanto finalizzata a consentire la verifica del rispetto dei minimi salariali la previsione dell’art. 95, comma 10, non può che essere estesa a tutti i costi che l’offerente, direttamente o indirettamente, sostiene per adempiere alle obbligazioni contrattualmente assunte. La norma, invero, si presterebbe a facili elusioni, se si consentisse di scorporare dal costo totale della manodopera il costo sostenuto dai subappaltatori>> e ancora che <<il concorrente che intenda avvalersi del subappalto ha l’onere di rendere puntualmente edotta l’amministrazione dell’effettivo costo del personale fornitogli dal subappaltatore, al fine di consentirle un effettivo controllo della sostenibilità economica dell’offerta>>.
In altri termini, posto che la ratio della norma in esame è quella di tutelare i lavoratori dipendenti impiegati nell’appalto, che, per la loro condizione, si trovano in una posizione di debolezza rispetto al proprio datore di lavoro, tale discorso vale sia che essi siano dipendenti dell’appaltatore sia che siano alle dipendenze del subappaltatore coinvolto in quello stesso appalto.
BOX: La giurisprudenza ha chiarito che, ai fini della verifica di congruità, occorre prendere in considerazione il contratto vigente al momento in cui la si effettua; ciò in quanto sarà comunque quel contratto, e non il precedente eventualmente preso in considerazione in sede di quantificazione dei costi di manodopera, a dover essere applicato nella fase di esecuzione dell’appalto.
Proprio alla luce di tale esigenza di tutela del lavoratore dipendente inteso come soggetto “debole”, recentissima giurisprudenza è approdata a conclusioni opposte in caso di lavoratori autonomi coinvolti nell’appalto.
Infatti, Il TAR Puglia[18] prima e, subito dopo, il TAR Sicilia[19] si sono pronunciati su due controversie in cui il contestato costo della manodopera indicato dal primo classificato non contemplava il costo dei lavoratori autonomi che si era previsto partecipassero all’esecuzione della commessa. In entrambi i casi i Giudici di merito sono giunti a concludere che il costo dei lavoratori autonomi non vada preso in considerazione nella quantificazione dei costi di manodopera del concorrente.
Si legge infatti nella sentenza dei giudici pugliesi: <<la restrizione del campo di applicazione dell’art. 95, comma 10 del D. Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm. al solo lavoro subordinato ex art. 2094 c.c. si spiega, peraltro, alla luce della “ratio” della disciplina in parola, che è quella di assicurare non solo la serietà ed affidabilità dell’offerta (che è messa in discussione dall’indicazione di costi anomali) ma anche la tutela della posizione del prestatore di lavoro che, nell’ipotesi di subordinazione, è di debolezza economica e giuridica. Analoghe esigenze non si pongono, al contrario, per il lavoro autonomo, il quale si caratterizza ex art. 2222 c.c. per l’“assenza di un vincolo di subordinazione” e che, per tale ragione, è storicamente rimasto estraneo al fitto reticolo di leggi speciali in materia lavoristica, rimanendo assoggettato alla sola disciplina codicistica>>. D’altro canto, prosegue il TAR, <<è appena il caso di ribadire che la scelta dell’operatore economico di impiegare, nell’esecuzione del contratto oggetto di affidamento, anche lavoratori autonomi in luogo di lavoratori subordinati, costituendo espressione della libertà di iniziativa economica ex art. 41 Costituzione riconosciuta a ciascun imprenditore nella definizione del proprio modello produttivo, non è, in assenza di specifici divieti di legge o di macroscopiche incongruenze, suscettibile di essere sindacata dalla Stazione Appaltante e dal Giudice Amministrativo>>.
Seppure il ragionamento svolto dal Giudice di merito appaia sul punto coerente con il dettato normativo letterale e con la finalità perseguita dal legislatore, resta da chiedersi se tale conclusione non presti il fianco a possibili disparità di trattamento laddove i lavoratori autonomi impiegati nella commessa non siano professionisti liberi e realmente svincolati dalle direttive dell’appaltatore ma siano invece lavoratori c.d. parasubordinati, in concreto assoggettati in tutto e per tutto alle decisioni e all’organizzazione dell’appaltatore e che finiscano per rivestire quel ruolo di parte debole nel rapporto di lavoro al pari dei lavoratori dipendenti, non godendo tuttavia delle tutele a questi ultimi riservate perché aventi un inquadramento formalmente differente.
BOX: Recente giurisprudenza ha stabilito che, nei costi della manodopera indicati dal concorrente in offerta, vadano necessariamente computati anche i costi relativi al personale dipendente del subappaltatore. Al contrario, in tale quantificazione non devono rientrare gli eventuali costi relativi a lavoratori autonomi da impiegare nella commessa.
Dott.ssa Alessandra Verde
(Referendaria consiliare presso il Consiglio regionale della Sardegna)
[1] Si veda TAR Campania, Napoli, sez. I, 01.03.2018, n. 1334, secondo cui il contestato mancato inserimento di clausole sociali nella documentazione di gara è da leggersi come assenza, a livello istruttorio, di qualsivoglia verifica dei presupposti per tale inserimento e, segnatamente, di mancata valutazione sulla natura non intellettuale del servizio e sulla prevalenza della manodopera in termini di valore economico ed <<è altresì determinativa della violazione della disposizione di cui all’art. 23, comma 16, ultimo periodo del d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50>>, considerato cogente per la stazione appaltante e quindi causa di annullabilità del bando.
[2] TAR Puglia, 17.07.2019, n. 1038.
[3] In tal senso, TAR Emilia Romagna, sez. II, 01.03.2018, n. 193, Cons. Stato, sez. III, 02.03.2020, n. 1484.
[4] Sentenza del 02.05.2019, causa C-309-18 che ha sancito che: <<I principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice>>.
[5] Cons. Stato, Adunanza plenaria, sentenza n. 8 del 02.04.2020.
[6] Da ultimo, in tal senso anche Cons. Stato, 11.05.2021, n. 3699, che ha precisato che se il sistema telematico di e-procurement non dà la possibilità di inserire i costi della manodopera distinti dal prezzo, questa condizione renderebbe potenzialmente applicabile il soccorso istruttorio. Nel caso concreto esaminato dal Supremo Collegio, tuttavia, la stazione appaltante aveva apprestato un modello di offerta economica che conteneva un apposito spazio per la distinta indicazione dei costi della manodopera. Da ciò è disceso il diniego dell’ammissibilità del soccorso istruttorio.
[7] Cons. Stato, sez. V, 13.03.2020, n. 1818; TAR Campania, sez. I, 28.09.2021, n. 6071.
[8] Tar Lombardia, Milano, 1.6.2020, n.978; TAR Lombardia, Milano, sez. I, n. 1067/2019; TAR Campania, Salerno, sez. II, n. 1994/2020; Cons. Stato, 30.9.2020, n.5735; TAR Lombardia, sez. IV, n. 2634 22.12.2020.
[9] Da ultimo, TAR Piemonte, sez. I, 23.11.2020, n. 754.
[10] Consiglio di Stato, sez. V, 06.02.2017, n. 501; altresì, sez. III, 13.03.2018, n. 1609; sez. III, 21.07.2017 n. 3623; 25.11.2016, n. 4989; Cons. Stato, Sez. III, 21.09.2018, n. 5492; T.A.R. Venezia, (Veneto) sez. I, 04.12.2018, n. 1115), T.A.R. Calabria-Catanzaro, sez. I, 12.09.2020, n. 1448.
[11] Si veda la già citata TAR Lombardia n. 2634/2020, nella quale il Giudice di merito confuta la pretesa dell’amministrazione resistente a vedersi riconosciuta come legittima la propria condotta omissiva di qualunque verifica sulla congruità dei costi della manodopera, sostenendo che potesse essere interpretata come un provvedimento “implicito” di valutazione della congruità.
[12] Art. 23, comma 16, D. Lgs. n. 50/2016.
[13] In tal senso, TAR Piemonte n. 754/2020.
[14] Cons. Stato, sez. III, 22.11.2018, n. 6611; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 24.04.2019, n. 930 che fa riferimento alla data di scadenza del termine di presentazione delle offerte.
[15] Cons. Stato, 24.03.2020, n. 2056.
[16] TAR Veneto, Venezia, sez. II, 13.10.2021, n. 1216.
[17] TAR Lombardia, Milano, 06.11.2018 n. 2515; Cons. St., Sez. V, 08.03.2018, n. 1500; Tar Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 07.10.2020, n. 348.
[18] TAR Puglia, Lecce, sez. III, 02.11.2021, n. 1584.
[19] TAR Sicilia, Palermo, 13.12.2021, n. 3457.