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Tra le foto che conserveremo di questa estate ci saranno gli occhi di Angelo. In quegli occhi il terrore. Le scene delle fiamme che lo accerchiavano e lo ustionavano. Angelo è uno degli oltre 20milioni di animali che hanno perso la vita nei roghi che hanno martoriato l’Italia, depredandola di 158mila ettari di verde.

Il verde che ci proponiamo di tutelare, difendere, rinvigorire, valorizzare è andato in fumo. Colpa dei cambiamenti climatici? Un alibi. Le temperature infernali che hanno surriscaldato l’Italia tra luglio e agosto, la siccità, hanno contribuito a diffondere devastazione, ma l’innesco è responsabilità dell’uomo. Il fenomeno incendi ha origine naturale solo per una percentuale minima. Come ha illustrato il Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, gli incendi sono dolosi per il 57,4% mentre il 13,7% dei roghi non è intenzionale. Oltre il 70% dei roghi è responsabilità dell’uomo.

“In cima alla scala delle criticità – afferma lo scrittore Antonio Scurati sul Corriere della Sera – vi sono i fenomeni meteorologici parossistici dovuti al cambiamento climatico. Non appena, però, scendiamo di qualche gradino su quella scala incontriamo la nostra responsabilità diretta, il nostro raggio d’azione immediato, incontriamo noi stessi”.

Dietro gli incendi innescati casualmente, secondo gli esperti, c’è la mancanza di cultura e di informazione. Manca la consapevolezza delle conseguenze che possono scatenarsi a seguito di un comportamento negligente. Difficile capacitarsene. Ci sarebbero individui che non sarebbero consapevoli del fatto che se si lascia cadere un mozzicone di sigaretta sul ciglio di una strada, questo, rotolando verso l’erba secca, oltre l’asfalto, possa generare l’inferno? Non si tratta di mancanza di cultura e informazione. C’è altro: la noncuranza. Qualcosa che racchiude la mancanza di rispetto nei confronti di tutti e di tutto. Chi butta un mozzicone per terra sa bene cosa potrebbe accadere. Semplicemente se ne infischia.

Altro capitolo, gli incendi dolosi. Mossi dalla mano dell’interesse economico, sono la percentuale più elevata. Senza questa variante non staremmo a parlare di emergenza incendi. Perché appiccare volontariamente un incendio? Secondo il Forum Terzo Settore, le mafie utilizzano gli incendi per motivi diversificati: “appalti per manutenzione e rimboschimenti, assunzioni clientelari del personale forestale (addetto agli spegnimenti e alla manutenzione), guardianie imposte, estensione delle superfici destinati al pascolo, e ancora per ritorsione nei confronti di chiunque gli sbarra la strada o come mero strumento di ricatto politico”.

In passato la speculazione edilizia era l’obiettivo primario dei piromani. Oggi sarebbe quella dell’aggiudicazione degli appalti per il rimboschimento. L’allarme echeggia sin dagli anni ’80. Tra le prime ipotesi in questo senso, quelle esposte in riferimento all’incendio dell’Argentario. Fu allora che si cominciò a parlare di racket dei rimboschimenti. Dagli anni ’80 arriva anche la storia di Rosario Livatino, assassinato dalla mafia nel 1990, beatificato il 9 maggio 2021. Livatino fu un magistrato siciliano particolarmente attento ai delitti contro l’ambiente. Avvenire del 27 aprile 2016 raccoglie la testimonianza dell’allora Commissario del Corpo Forestale regionale Domenico Bruno. È lo spunto che ci può aiutare a capire cosa può accadere se le operazioni di rimboschimento finiscono nelle mani sbagliate. Bruno ricorda che conobbe Livatino quando mandò in Tribunale una segnalazione relativa ad un incendio doloso su un terreno rimboscato a Licata. “Invece di mettere le piante – racconta Bruno – avevano messo dei semplici ramoscelli, ma prima della verifica del lavoro tutto era stato bruciato per far sparire le prove”.

Rimboscare significa ripristinare il territorio. In un momento storico in cui tutti abbiamo la nostra fetta di responsabilità per tutelare l’ambiente, si comprende che l’assegnazione di appalti in questo ambito diventa particolarmente delicata. Gli interventi devono essere fatti ad arte e nei tempi giusti. La Legge 353 del 2000 blocca per quindici anni la destinazione d’uso dei terreni percorsi dal fuoco, vieta le edificazioni per dieci anni e le operazioni di rimboschimento per cinque. Eccezione a quest’ultimo divieto è la necessità di rimboscare le aree particolarmente esposte al dissesto idrogeologico. “C’è da programmare con urgenza un intervento straordinario per evitare che montagne e colline rimaste scoperte dalla protezione vegetale possano trasformarsi in fiumi di fango già alle prime piogge”, afferma il sindaco metropolitano di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà.

Interventi immediati solo dove le caratteristiche dei territori chiedono operazioni di messa in sicurezza. Incrociando la mappa degli incendi con quella delle zone a rischio idrogeologico si scopre che in molti casi c’è coincidenza. Forse il racket dei rimboschimenti è molto più informato di quanto possiamo pensare. Conosce i territori, sa che ad oggi i comuni stentano ad utilizzare il catasto degli incendi per censire i terreni bruciati e gestirne l’utilizzo secondo le prescrizioni della legge del 2000, sa che i piani antincendio dei boschi sono in ritardo.

STD, questa sigla è stata vergata da beato Rosario Livatino su tutte le sue agende. E’ l’invocazione che ha ispirato tutta la sua carriera di magistrato. Chiunque operi per proteggere il creato, nell’intera filiera degli appalti, da chi li progetta a chi li esegue, è investito di un compito a servizio dell’umanità; dovrebbe anch’egli chiedere al Cielo di operare come Livatino, “sub tutela Dei”.

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Dott. Enzo de Gennaro
Direttore Responsabile
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.