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( votes)Facciamo una ricerca. Googliamo “donne cantiere”. Restringiamo l’indagine alle sole immagini. Il risultato rispecchia fedelmente l’immaginario collettivo. Donne e cantiere non sono parole che condividono gli stessi spazi. Sulla pagina appaiono foto di cantieri e uomini. Solo uomini. Le sporadiche donne che si incontrano nelle righe più sotto sono in veste di tecnici: ingegneri, architetti, responsabili della sicurezza.
La nostra curiosità prende le mosse dai propositi del nuovo codice degli appalti pubblici. “E’ previsto l’inserimento nei bandi di gara di clausole sociali e ambientali come requisiti necessari o premiali dell’offerta al fine di promuovere la stabilità occupazionale, l’applicazione dei contratti collettivi, le pari opportunità generazionali e di genere”, si legge nel comunicato del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili. In più passaggi, nel disegno di legge di riforma degli appalti approvato il 30 giugno dal governo, si proclama il nobile intento di promuovere la parità di genere. Una sfida ardua che dovrà superare millenni di preconcetti.
Nell’ambito degli appalti pubblici gran parte dei lavori sono connessi ad attività che si svolgono nell’edilizia. La costruzione di edifici pubblici, la realizzazione e manutenzione di strade, ponti, viadotti, tunnel. Lavori che evocano polvere e sudore. Che associamo di riflesso a un volto maschile.
Siamo appena all’inizio della storia delle pari opportunità. Ed è una storia che stenta a decollare. Stiamo cercando di scriverla con le leggi, aggiungendo un pizzico di quote rosa all’organizzazione delle pubbliche amministrazioni e nelle cariche politiche. Premiando le aziende private che assumono donne.
È un inizio. Ma non saranno le leggi a portarci lontano. È altrove che si deve agire con maggiore insistenza. È nelle fondamenta della cultura generale che si deve intervenire. Nello smantellare i pregiudizi e nel riorganizzare la struttura sociale.
L’edilizia? Lavoro da uomini. Servono muscoli forti per certi lavori. È vero, anatomicamente uomini e donne hanno corporature differenti. “Sebbene importanti fattori socioculturali possano essere almeno in parte considerati responsabili della diversa capacità fisica tra uomo e donna, è tuttavia ormai ben dimostrato che la capacità di lavoro muscolare della donna è approssimativamente minore del 20% rispetto a quella dell’uomo”, si legge su Treccani.
Assodata l’esistenza scientifica di differenze osteomuscolari tra uomini e donne, che nei secoli hanno scavato un profondo divario tra i due sessi nel ruolo che avrebbero svolto nella società, c’è da chiedersi se le distanze sedimentate con il passare del tempo non possano essere rimosse grazie alla tecnologia. Oggi esistono attrezzi che permettono a chiunque di svolgere agevolmente lavori che fino a poco tempo fa erano ritenuti estremi, alla portata solo di un “fisico bestiale”. Le forbici elettriche che utilizza mio padre per potare gli ulivi non richiedono mani possenti per eseguire il taglio. Basta pigiare leggermente sul grilletto. Elettronica e ingranaggi fanno il resto. Ci riuscirebbe anche un bambino.
La tecnologia è dalla parte delle pari opportunità. Il mondo del lavoro? Ci sono esempi di inserimento di donne in attività che consideriamo “prettamente maschili”. Casi isolati, situazioni quasi inedite. Il solo fatto che facciano notizie ne testimonia l’eccezionalità. Un’impresa assume trenta elettriciste, narra l’edizione di Massa Carrara de La Nazione. L’imprenditore ispirato dal “modello svedese” decide di aprire i propri cantieri alle donne.
Dalle testimonianze delle poche donne che, come operaie o come tecnici, lavorano in cantiere, emerge un fattore che incide in maniera determinante sulla loro possibilità di candidarsi serenamente per un lavoro in questo settore: il pregiudizio. Tutte raccontano che prima di essere accettate hanno dovuto dimostrare di essere all’altezza dei colleghi uomini. Sono pioniere. Devono aprire la strada alle future generazioni. Ce la faranno. Ma dovranno sudare e lottare.
Dalle donne al lavoro alle donne imprenditrici. Le imprese guidate da donne sono in crescita. Secondo i dati di Unioncamere, riferiti al 2020, sono un milione e 340mila. Tuttavia, nella classifica dei settori nei quali investono, l’edilizia resta sul fondo.
Per arrivare ad una società in cui ci sia pari dignità tra uomini e donne, un altro punto dovrà essere affrontato con determinazione: il welfare. Nel già citato modello svedese “un fondamento importante nella promozione delle pari opportunità è rappresentato dalla politica della famiglia”. Lo si legge su uno studio del sindacato scandinavo TCO. Nello stesso documento si esalta “l’apertura di asili nido per tutti i bambini a partire da un anno di età e scuole per l’infanzia” e l’equa distribuzione di congedi parentali tra i genitori.
L’Italia, anche se meno generosamente di altri stati europei, ha una sua politica di congedi parentali. Ne possono usufruire entrambi i genitori. Secondo un’analisi dell’Osservatorio Conti Pubblici dell’Università Cattolica del Sacro Cuore tra il 2015 e il 2019 sarebbero 320mila i dipendenti del settore privato e agricolo che avrebbero usufruito del congedo. Di questi, l’82% erano donne. Un dato che manifesta come all’interno delle famiglie italiane sia solida la netta distinzione tra chi dovrebbe lavorare e chi dovrebbe starsene a casa. Bambini faccende domestiche sono a carico delle donne. Se non si supera questa discriminante, non saranno i buoni propositi normativi a cambiare la società. Ma sorge un altro dubbio: ci sono altri fattori ad influenzare la scelta di chi deve prendersi cura dei bambini? Il lavoratore in congedo in Italia percepisce appena il 30% della sua busta paga. La decisione sullo stipendio al quale rinunciare potrebbe essere calcolata sull’opportunità di lasciare intatta la fonte di reddito più elevata. Come scatole cinesi, in un problema ne troviamo un altro. In Italia, mediamente, gli stipendi delle donne sono, inspiegabilmente, più bassi del 10% rispetto a quelli dei colleghi uomini. Questo potrebbe giustificare quell’82%.
Sono molteplici le varianti sulle quali intervenire per garantire le pari opportunità. Bisogna lavorare sin dalle radici della nostra architettura sociale, in parte dovuta a secoli di storia e cultura e in parte sostenuta, nonostante i proclami, dagli attuali meccanismi politico amministrativi.
La strada che porta ad una società dei pari è tutta ancora da cantierizzare.