Questo articolo è valutato
( vote)Premesse
Il tema del subappalto nei contratti pubblici, in particolare il profilo della compatibilità dell’attuale disciplina vincolistica fissata dall’articolo 105 del decreto legislativo n. 50 del 2016 con la normativa di matrice comunitaria, viene riproposto all’attualità per mano del Tribunale Amministrativo del Lazio, dimostrando l’insufficienza della soluzione fin qui individuata dal decreto sbloccacantieri del 2019 ed inserendo la questione, a pieno titolo, nel dibattito sul se e come nuovamente intervenire in sede legislativa per assicurare, anzitutto, la realizzazione degli investimenti finanziati dal Recovery Fund entro il 2026.
La sentenza dell’8 febbraio 2021, n.1575
La questione riguarda una recente decisione, la n. 1575 dell’8 febbraio 2021, che appare significativamente innovativa rispetto al precedente indirizzo seguito dai magistrati amministrativi romani, finora distintisi per aver ritenuto superate le ragioni di incompatibilità a più riprese espresse dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea[1], mediante la soluzione tampone, introdotta fino al 31 dicembre 2020, dall’articolo 1, comma 18, del decreto n. 32 del 2019, detto anche sbloccacantieri, convertito con legge n. 55, del successivo 14 giugno, termine da ultimo prorogato al 30 giugno 2021 dall’articolo 13, comma 1, lettera c), del decreto n. 183 del 2020, convertito con legge 26 febbraio 2021, n. 21.
Ciò, nel presupposto che l’aver innalzato la soglia massima dell’importo complessivo del contratto subappaltatile dal 30 al 40% potesse considerarsi risolutivo del conflitto con il diritto comunitario, in specie con quanto previsto dall’articolo 71 della Direttiva 2014/24 e, conseguentemente, dell’obbligo di automatica disapplicazione della normativa nazionale che dall’accertato contrasto necessariamente deriva.
Anche il limite di subappalto delle categorie superspecialistiche
(c.d. SIOS) confligge con la disciplina comunitaria
In realtà, il più recente intervento del Tar Lazio riguarda non tanto il profilo generale dell’importo complessivo massimo subappaltabile, di cui al comma 2 dell’articolo 105, bensì il diverso limite del 30%, di cui al successivo comma 5, previsto dalla stessa legge come autonomo e fin qui interpretato come aggiuntivo rispetto a quello generale[2] in quanto espressamente riferito alle opere per le quali sono necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, quali strutture, impianti e opere speciali, le cosiddette SIOS. Tale “secondo limite” non è stato peraltro oggetto di aggiustamento ad opera dello sbloccacantieri 2019.
In questo senso l’Anac[3], ad esempio, aveva posto in dubbio che le censure contenute nelle sentenze rese dalla Corte di giustizia potessero ritenersi estensibili anche alle opere superspecialistiche, soggette a un regime normativo speciale. Ciò in base della considerazione che, se ritenuta contraria al diritto comunitario la previsione di un limite generale all’utilizzo dell’istituto che prescinde dal settore economico interessato, dalla natura delle prestazioni e dall’identità dei subappaltatori, l’affermazione di tale principio non esclude che in casi specifici, come quello riguardante le opere superspecialistiche, non possa risultare viceversa giustificato un limite percentuale all’esperibilità del subappalto per la natura particolare delle prestazioni da svolgere; a sostegno della posizione così espressa veniva invocato l’articolo 63, paragrafo 2, della direttiva UE n. 2014/24 che stabilisce, infatti, che (anche) nel caso di appalti di lavori le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere che alcuni compiti essenziali siano direttamente svolti dall’offerente[4].
In senso contrario chi scrive si era peraltro già espresso[5], da un lato osservando che nelle premesse della sentenza sul caso Vitali (C 63/18) la Corte aveva considerato anche la previsione del comma 5 dell’articolo 105 tra quelle rilevanti nell’ambito della decisione che aveva portato ad affermare la contrarietà della disciplina nazionale in materia di subappalto, ancorché ratione temporis relativa al testo previgente a quello attualmente in essere; dall’altro valorizzando ulteriori profili sostanziali.
Al riguardo, posto che per il diritto comunitario non è in discussione il fatto in sé di poter limitare il ricorso al subappalto, laddove beninteso questo sia il frutto di specifiche scelte adottate dalla stazione appaltante in ragione del caso di specie, bensì la previsione legislativa generale ed astratta che aprioristicamente introduca limiti predeterminati, non essendo lo sbloccacantieri intervenuto sul comma 5, ma solo sulla previsione generale del comma 2, l’eventuale effetto correttivo legato all’introduzione delle norme del 2019 per rendere la normativa nazionale conforme ai parametri comunitari riguarderebbe solo la disciplina generale, non quella delle SIOS.
In discussione è l’impianto
messo in campo dallo sbloccacantieri 2019
Le previsioni del comma 5, quindi, lungi dall’essere ancora in vigore sarebbero viceversa le prime ad essere in contrasto con la disciplina comunitaria, e per conseguenza a cadere sotto la scure della automatica disapplicazione in base ai consolidati principi interpretativi, come nei fatti molte amministrazioni hanno in questi mesi operato.
Questa è la tesi seguita, da ultimo, anche dal Tar del Lazio che, pur con l’ulteriore distinguo legato alla differente operatività del contrasto comunitario nel caso di appalti di importo inferiore alla soglia di applicazione delle Direttive comunitarie, incidente sulla soluzione del caso portato alla sua attenzione, sul piano della portata generale della norma introduce senz’altro un elemento fortemente evolutivo nell’interpretazione che della più recente disciplina dell’istituto avevano fin qui dato gli stessi giudici romani.
La ritenuta compatibilità comunitaria della soluzione dello “sbloccacantieri”
Questi ultimi, infatti, erano finora da considerare tra i più accreditati sostenitori della tesi favorevole al superamento ad opera dello sbloccacantieri delle obiezioni comunitarie legate non solo alle evocate decisioni ma anche alla procedura di infrazione n.2273/2018, avviata con nota del 24 gennaio 2019.
In questo senso, è la sentenza della prima sezione del TAR Lazio, in data 24 aprile 2020, n. 4183, che muovendo, peraltro, dalla (sola) decisione della Corte di Giustizia sul caso Vitali, evidenzia che pur avendo la Corte censurato il limite al subappalto previsto dal diritto interno nella soglia del 30% dei lavori, ciò non esclude la compatibilità con il diritto dell’Unione di limiti superiori, da cui la conseguenza che in contrasto con le direttive comunitarie in materia è il limite fissato senza con ciò escludere che il legislatore nazionale possa individuare comunque, al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari, un limite al subappalto proporzionato rispetto a tale obiettivo, giungendo alla conclusione che non può ritenersi contrastante con il diritto comunitario l’attuale limite pari al 40% delle opere, previsto dall’art. 1, comma 18, della legge n. 55/2019.
Tale decisione, che peraltro poteva fors’anche spendere l’argomento basato sull’inserimento nel testo di legge, ad opera dello sbloccacantieri, dell’obbligo di prevedere il subappalto nel bando di gara, da leggersi quale precondizione per il ricorso ad esso nella misura da fissare, a valle dell’esercizio dell’opzione, da parte della singola stazione appaltante, risulta peraltro pedissequamente confermata da quella resa dalla terza sezione quater dello stesso TAR Lazio il successivo 3 novembre, con il numero 11304.
Gli effetti dei più recenti orientamenti del Tar Lazio
Ciò posto, la decisione che qui si commenta potrebbe anche leggersi, in prima battuta, come coerente rispetto ai citati precedenti; ciò nella misura in cui il comma 2, dell’articolo 105, ritoccato al rialzo dallo sbloccacantieri, per questa ragione sarebbe in linea con le indicazioni comunitarie; il comma 5, proprio perché non interessato da tale modifica, no.
Già questa più limitata lettura presenterebbe caratteri di novità degni di nota, nell’ambito delle interpretazioni di rilievo riguardanti l’attuale disciplina del subappalto.
Ma l’effetto della sentenza 1575/21 sembra andare ben oltre, nel senso di travolgere non solo l’immutata disciplina del comma 5, ma anche la soluzione tampone riferita al comma 2.
In tal senso valga considerare come la decisione affermi che dal riferito quadro giurisprudenziale deve inferirsi l’illegittimità, per contrasto con l’art. 71 della direttiva 2014/24, delle sopra riportate disposizioni dell’art. 105 del d.lgs. 50/2016 e, in generale, delle ulteriori norme nazionali che prevedano dei limiti generalizzati al subappalto delle prestazioni contrattuali, fermo restando il potere della stazione appaltante di valutare e adeguatamente motivare, in relazione alla specificità del caso, la previsione di eventuali limiti proporzionati allo specifico obiettivo da raggiungere.
Il doppio riferimento contenuto nell’evidenziato passaggio, riguardante tanto il “quadro giurisprudenziale”, del quale fanno parte le decisioni della quinta Sezione del Consiglio di Stato 16 gennaio 2020, n. 389 e 17 dicembre 2020, n. 810, nonché quella del Tar Toscana, 9 luglio 2020, n. 898, piuttosto che i precedenti dello stesso Tar Lazio come viceversa era accaduto in precedenza, quanto, e soprattutto, il richiamo alle “ulteriori norme nazionali che prevedano dei limiti generalizzati”, sembrano decisivi in questa direzione.
Nello stesso senso milita, poi, il fatto che la gara oggetto di contestazione ricade senza alcun dubbio nell’arco temporale di vigenza della disciplina innovata dal decreto sbloccacantieri, risultando il relativo bando pubblicato in data 20 ottobre 2020.
La conclusione cui si giunge è che non solo la disciplina del subappalto riferita ai limiti quantitativi per il ricorso ad esso, ante sbloccacantieri, contrasta con l’articolo 71 della Direttiva 2014/24, ma anche quella successiva a tale intervento, introdotta per superare le relative obiezioni, soffre dei medesimi limiti, per lo meno in ambito comunitario, con la conseguenza che vale anche in questo caso la regola per cui le norme nazionali contrastanti con le disposizioni europee devono essere disapplicate, in virtù del principio di primazia del diritto comunitario[6].
Questione ancora aperta per gli appalti
di rilevanza solo nazionale?
Resta peraltro in piedi l’ulteriore aspetto che rende rilevante il più recente pronunciamento del TAR Lazio, ovverosia il riferimento al solo sopra soglia.
In questo senso l’argomento è che le norme della direttiva 2014/24 – rispetto alle quali la Corte UE ha affermato il contrasto dell’art. 105 d.lgs. 50/2016 – trovano applicazione, come stabilito dall’art. 4 della stessa, esclusivamente agli appalti che abbiano un importo, al netto dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), pari o superiore alle soglie dallo stesso individuate.
Per quelli di importo inferiore, quale era il caso di specie, gli articoli 49 e 56 del TFUE ed i principi di parità di trattamento e di non discriminazione nonché l’obbligo di trasparenza che la giurisprudenza ne fa derivare, sarebbero applicabili purché l’appalto di cui trattasi presenti un interesse transfrontaliero certo.
Poiché nel caso di specie, secondo quanto riporta la decisione in nota la stazione appaltante non solo ha espressamente disposto la diretta applicazione della direttiva 2014/24, in luogo della norma nazionale, ad una procedura di gara sotto soglia ma neppure ha speso alcuna motivazione a sostegno della sussistenza, con riferimento all’appalto bandito, di un interesse transfrontaliero … sotto tale dirimente profilo deve essere ritenuta fondata la censura di violazione dell’art. 105 comma 5 d.lgs. 50/2016, per esser stata nella specie prevista la subappaltabilità per intero della categoria OS4.
In altri termini se non si dimostra l’interesse transfrontaliero dell’affidamento, negli appalti sotto soglia comunitaria il divieto di subappaltare le SIOS oltre il 30% permane intatto.
L’inadeguatezza della “soluzione tampone”
Sull’inadeguatezza della soluzione legislativa attualmente vigente convergono in molti. Lo stesso atteggiamento del Governo del resto svela la presenza al suo interno di più di un dubbio. L’articolo 13, comma 1, lettera c), del decreto sulla proroga dei termini già evocato in apertura, mentre porta a fine 2021 il regime di sospensione dell’obbligo di indicare in sede di offerta la terna dei possibili affidatari del subappalto, secondo quanto previsto a regime dal comma 6 dell’articolo 105, per quel che riguarda il limite del 40%, come detto traguarda la continuazione del regime tampone al solo mese di giugno del 2021. Anche ANAC da ultimo per bocca del suo Presidente, nell’ambito dell’audizione in videoconferenza svolta nelle scorse settimane presso l’Aula della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati esprime inadeguatezza rispetto al regime oggi vigente e nello stesso senso, sul punto, si esprime anche l’AGCM.
Il tema del contrasto dell’articolo 105 con il diritto comunitario, specie per quel che riguarda i limiti quantitativi ma non solo[7], rappresenta, del resto, il punto più delicato che il processo di verifica degli ulteriori aggiustamenti alla disciplina in corso presso il Ministero delle Infrastrutture si trova oggi a dover gestire.
Subappalto e normativa “in deroga” nel decreto semplificazioni
Ciò anche per il fatto che il rispetto delle “disposizioni in materia di subappalto” costituisce uno dei limiti alla facoltà delle amministrazioni di operare in deroga alla disciplina del codice dei contratti, prevista dal comma 4 dell’articolo 2 del decreto 16 luglio 2020, n.76, cosiddetto semplificazioni.
Al riguardo non è chiaro se il legislatore, nell’operare tale eccezione intendesse riferirsi alle disposizioni recate dal Codice dei contratti oppure a quelle di cui alla Direttiva 2014/24. La lettura maggiormente in linea con la ratio legis sembrerebbe essere la prima, ma è pur vero che, se così fosse, sarebbe stato più chiaro richiamare l’articolo 105 del Codice dei contratti, come in realtà è stato fatto nel caso degli articoli 30, 34 e 42 del decreto legislativo n. 50/2016, che vengono espressamente indicati; non averlo fatto lascia comunque aperto il dubbio che andrebbe senz’altro chiarito.
Ciò anche in considerazione del fatto che le riferite previsioni del comma 4 che consentono, per un’ampia tipologia di interventi, di operare in deroga, sembrano risolutive di molte delle questioni che in questi giorni agitano il dibattito politico istituzionale ipotizzando, o rigettando da parte di chi vi si oppone, l’idea di sospendere, anche solo in via temporanea, l’applicazione del Codice.
Prospettive legate a possibili ulteriori interventi “in deroga”
In quest’ottica, infatti, escluse in quanto non condivisibili le interpretazioni abrogative rese in ordine alle riferite previsioni del decreto semplificazioni, si è viceversa dell’avviso che l’applicazione delle disposizioni ivi dettate, a cominciare da quelle di cui al comma 4 dell’articolo 2, siano ben in grado di risolvere tutte le esigenze acceleratorie, anche in ottica 2026, perseguite.
Basti pensare ai contenuti degli articoli 21 e 23 per rilevare che la responsabilità per danno erariale è ora circoscritta ai soli casi di dolo accertato o di inattività del funzionario pubblico, mentre il reato di abuso d’ufficio risulta riformulato e ricondotto ad ambiti di comportamento certi e predittibili. Nello stesso senso le norme che introducono precise tempistiche per l’aggiudicazione dei contratti, 6 mesi nel massimo, da rispettare, qui si a pena di responsabilità erariale, l’obbligo di procedere comunque con il contratto ed i lavori in caso di mancata concessione della sospensiva del provvedimento di aggiudicazione in ipotesi impugnato, la generalizzazione dell’avvio dei lavori anche in pendenza della stipula del contratto, i collegi consultivi tecnici per evitarne la sospensione o operarne lo sblocco.
Trattasi di strumenti, indispensabili per dare attuazione agli investimenti finanziati a mezzo del Recovery Fund; la domanda che a questo punto è lecito porsi è che senso ha parlare di sospensione del Codice dei contratti; semmai è la questione è come mai questi elementi restano ignorati o peggio espressamente disattesi nelle attività in corso ed assenti dal dibattito di questi giorni su come intervenire.
[1] Sentenze 26 settembre 2019, causa C-63/18 (caso Vitali) e 27 novembre 2019 nella causa C -402/18 (caso Tedeschi), alla quale è da aggiungersi anche la sentenza 30 gennaio 2020, causa C-395/18 (caso TIM) riferita, peraltro, quest’ultima al tema dell’esclusione del concorrente per carenza dei requisiti del subappaltatore indicato in sede di offerta.
[2] DM 10 novembre 2016 n. 248, in G.U. 4 gennaio 2017, n.3.
[3] Così Delibera Anac n.704, del 4 agosto 2020.
[4] Così anche TAR Toscana, sez. II, 9 luglio 2020, n. 898, in ordine alla sentenza della Corte di Giustizia del 26 settembre 2019
[5] In questa rivista anno IX, n.8, pag.10; n.9, pag.42.
[6] In questo senso poteva già leggersi la decisione del Consiglio di Stato n.4832, del 29 luglio 2020, con la quale veniva dato seguito a livello nazionale alle indicazioni rese dalla Corte di Giustizia con la decisione C-402/18 (caso Tedeschi), peraltro relativa a fattispecie disciplinata da normativa previgente rispetto alle modifiche del decreto “sbloccacantieri” 2019.
[7] Oltre alla previsione di tetti prefissati in termini generali ed astratti rispetto all’entità di prestazioni affidabili in subappalto, rilevano in sede comunitaria: il divieto di subappalto cosiddetto “a cascata”; l’obbligo di indicazione di una terna di possibili subappaltatori; il tetto massimo di scostamento tra i prezzi contrattuali e quelli praticati al subappaltatore divieto assoluto per l’offerente di divenire subappaltatore di altro offerente della medesima gara. Così procedura di Infrazione n. 2018/2273 avverso lo Stato Italiano.