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( votes)Tra le significative novità recate dal decreto semplificazioni (n.76, del 16 luglio 2020, convertito con legge n.120 del successivo 11 settembre) va senz’altro annoverata la rivisitazione dell’istituto del Collegio Consultivo Tecnico, strumento peraltro già noto al sistema della contrattualistica pubblica, al quale la disciplina più recente riserva, nel campo dei lavori, nuove e più ampie funzioni, sul cui utilizzo è intervenuto, nel dicembre scorso, il Consiglio Superiore dei Lavori pubblici, con un documento non ancora definitivo volto ad introdurre apposite linee guida per assicurarne una omogenea applicazione; nello stesso periodo anche la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, tramite il proprio organo tecnico in materia di contratti pubblici, ha reso indicazioni in merito.
Oltre che per richiamarne i principali contenuti, le due pressoché contemporanee prese di posizione testimoniano dell’attenzione che il sistema, anche se con un certo ritardo, intende riservare verso quest’istituto, offrendo altresì l’occasione per alcune più ampie considerazioni sull’applicazione del decreto 76.
Il Collegio Consultivo Tecnico nel decreto semplificazioni: una logica coerente
Non può, infatti, non rilevarsi come il decreto semplificazioni abbia fin qui in generale trovato accoglienza assai controversa tra gli operatori. Il giudizio, che si riferisce soprattutto ai contenuti degli articoli 1-9, in specie all’articolo 6 riguardante l’istituto di cui qui ci si occupa, fino ad ora sostanzialmente inapplicato, si estende anche alle previsioni di cui agli articoli 21 e 23, recanti modifiche riferite rispettivamente alla disciplina della responsabilità per danno erariale ed a quella penale per il caso di abuso d’ufficio.
Eppure l’intervento legislativo, soprattutto attraverso la rivisitazione del regime delle responsabilità di chi agisce per conto della pubblica amministrazione, mirava a risolvere il sempre più evidente problema noto come blocco della firma o amministrazione difensiva che, in modo particolare sul fronte degli investimenti, ha negativamente inciso sull’attivazione efficace dei processi di spesa, indispensabili a garantire lo sviluppo del Paese anche sul fronte dell’innovazione, e a sostenere un PIL nazionale quanto mai asfittico già prima dell’avvento della pandemia.
In tal senso, non potendosi ricreare dall’oggi al domani un quadro legislativo di riferimento per la gestione dei contratti pubblici entro il quale muoversi senza soverchi dubbi ed incertezze, agire sul fronte delle responsabilità di chi opera in buona fede è parsa l’unica soluzione efficace perseguibile in tempi brevi, e le nuove funzioni assegnate ai Collegi Consultivi Tecnici appropriatamente si collocano in siffatto contesto.
Il Collegio Consultivo Tecnico supporta l’attività dei RUP e ne sgrava sotto un doppio profilo le responsabilità
Ad essi, infatti, la legge attribuisce i compiti indicati all’articolo 5 del decreto semplificazioni che oltre al più tradizionale obiettivo di prevenire e/o risolvere le controversie relative all’esecuzione dei contratti, peraltro con modalità a questo punto indicate come rapide, considera anche quello di sbloccare i cantieri fermi, ovvero prevenire la relativa sospensione, altresì assicurando la continuità dell’esecuzione e fornendo, in quest’ottica, assistenza alle stazioni appaltanti, segnatamente ai RUP chiamati ad assumere le relative decisioni; il tutto offrendo ad essi supporto tempestivo e sicuro, sgravandone sotto un doppio profilo il regime di responsabilità, salva ovviamente l’ipotesi di mala fede. In tal senso vale considerare che, per un verso l’inosservanza delle determinazioni del Collegio Consultivo Tecnico viene valutata ai fini della responsabilità del soggetto agente per danno erariale, ciò che a contrario implica copertura nel caso in cui se ne seguano le indicazioni; d’altro canto, che ai sensi dell’articolo 21 la responsabilità per colpa grave permane in termini generali per i casi di comportamenti dell’interessato inerti od omissivi, ciò che a contrario implica ulteriore copertura laddove si operi applicando le relative indicazioni.
Il tutto, come peraltro evidenzia il Consiglio Superiore, a fronte di un onere per la parte fissa dei costi del Collegio di gran lunga inferiore di quello di una commissione di collaudo tecnico-amministrativo in corso d’opera, ciò che consentirà, tra l’altro, di limitare il ricorso alle altre procedure di risoluzione delle controversie sicuramente più onerose per le parti, riducendo gli oneri per consulenze di natura tecnica e legale.
Il tema della mancata attuazione
Eppure, la risposta da parte degli operatori è stata fredda, al limite dell’inverosimile: nonostante la norma prevedesse per i contratti di lavori d’importo superiore alla soglia di rilevanza comunitaria in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del decreto l’obbligo di dare vita ai collegi nei successivi 30 giorni, quindi entro il 16 agosto, e nonostante, come detto, il nuovo regime di responsabilità per danno erariale mantenesse la precedente disciplina in caso di comportamenti omissivi, quale potrebbe intendersi anche la non costituzione dei collegi, quasi nessuno di essi risultava esser stato costituito.
La mancata attivazione dei Collegi Consultivi Tecnici è un’inerzia incomprensibile e dannosa che spinge il Ministero ad intervenire
Tale situazione di stallo ha determinato il Ministero delle Infrastrutture ad un duplice intervento: in un primo tempo con la circolare 18 novembre 2020, n. 45113 che richiamava la necessità che le stazioni appaltanti applicassero il decreto semplificazioni in tutte le potenzialità; successivamente con l’iniziativa delle linee guida qui in esame.
Il tema delle Linee Guida
Ciò detto, sotto altro profilo non può sfuggire il recupero dello strumento delle linee guida messo in discussione, per lo meno in parte, dal decreto “Sbloccacantieri” 2019, la cui utilità, ad avviso di chi scrive, è viceversa evidente ed attuale.
In questo senso, infatti, soprattutto a fronte di un quadro legislativo primario che dovrebbe tornare ad essere caratterizzato da contenuti generali ed astratti, come peraltro vorrebbero i principi cardine del nostro diritto costituzionale in linea con il modo di operare del legislatore comunitario che da sempre ne favorisce l’utilizzo a valle delle Direttive, lo strumento delle linee guida costituisce senz’altro il necessario complemento di un’attività amministrativa ordinata, efficace e predittibile, per lo meno nelle situazioni ordinarie.
E’ di tutta evidenza, infatti, come linee guida non obbligatorie possano efficacemente supportare l’azione dell’amministrazione conferendo ad essa la presunzione di legittimità, senza con ciò precludere la possibilità per l’operatore di assumere, motivandole, scelte diverse, che non per il solo fatto di discostarsene siano fonte di responsabilità.
Le Linee Guida del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici rappresentano, quindi, un’importante sollecitazione verso le stazioni appaltanti per la, fin qui mancata, attivazione dei Collegi Consultivi Tecnici, strumenti voluti dalla legge per fluidificare la realizzazione dei contratti pubblici di lavori, specie se di rilevante importo.
In questo senso l’intervento ministeriale mira altresì a completare l’assetto normativo tracciato dal decreto semplificazioni, andando ad integrarne alcuni profili, quali, ad esempio l’esigenza di una contabilità centralizzata degli incarichi attribuiti per la partecipazione ai Collegi, ovvero l’ulteriore dettaglio dei requisiti di qualificazione necessari per l’assunzione degli incarichi.
Al di là della meritevolezza dell’iniziativa, c’è peraltro da chiedersi, relativamente alla natura del provvedimento da assumere, che come detto nella titolazione parla di omogenea applicazione, da parte delle stazioni appaltanti, delle funzioni del Collegio Consultivo, se una linea guida di fonte ministeriale sia effettivamente in grado di conseguire gli obiettivi dichiarati.
Al riguardo, non può sfuggire come l’articolo 6 del decreto semplificazioni non preveda alcuna disposizione attuativa di natura regolamentare, tanto meno linee guida od altri strumenti di regolazione flessibile che sono viceversa alla base, ad esempio, degli interventi dell’Anac già riferiti ai requisiti di professionalità dei RUP, all’integrazione della disciplina dell’affidamento dei contratti sottosoglia comunitaria, ai partenariati pubblico privati ecc.
Spetta all’ANAC assicurare l’omogeneità dei procedimenti amministrativi adottando linee guida ed altri strumenti di regolazione flessibile
Proprio attingendo dall’esperienza degli interventi Ministeriali, in tal caso del MEF, in materia di partenariato pubblico privato, rileva l’avviso a suo tempo espresso dal Consiglio di Stato, con l’Adunanza del 22 aprile 2020, n. 823, che, nell’ambito del parere richiesto sullo schema del contratto standard per l’affidamento della progettazione, costruzione e gestione di opere pubbliche a diretto utilizzo della pubblica amministrazione da realizzare in partenariato pubblico-privato, ha affermato che se, da un lato, è vero che rientra nella competenza generale delle pubbliche amministrazioni, nei limiti dei relativi fini istituzionali stabiliti per legge, il potere di elaborare e pubblicare schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni, allo scopo di orientare e dare uniformità alla prassi applicativa degli uffici, è altresì vero che, nella specifica materia dei contratti pubblici preordinati alla realizzazione di opere pubbliche, in base al codice di settore, esiste una disciplina normativa di rango primario che regola in modo puntuale, tra i tanti profili, anche quello dell’adozione di linee guida e contratti tipo; detta disciplina demanda tale compito all’ANAC posto che l’articolo 213, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, dispone che L’ANAC, attraverso linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati, garantisce la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche.
Detto in modo più chiaro – evidenzia ancora il Consiglio di Stato – se l’intenzione … è quella di dar vita ad un contratto-tipo, ex art. 213, comma 2, Codice dei contratti pubblici, con le relative implicazioni sotto un profilo giuridico, sarà necessario che lo schema di contratto … venga adottato dall’ANAC nel rispetto delle regole applicabili a tale Autorità e non può essere oggetto di solitaria approvazione da parte del Ministero richiedente. Solo l’ANAC, infatti, in questo contesto ordinamentale ha attribuito dalla legge il compito di assicurare la “omogeneità dei procedimenti amministrativi” e di favorire “lo sviluppo delle migliori pratiche” (art. 213, comma 2, Codice); se tali compiti fossero demandati alle singole amministrazioni, infatti, verrebbe in radice frustrata la possibilità di assicurare l’omogeneità dei procedimenti.
Se mancherà l’adozione da parte dell’ANAC – conclude il parere del Consiglio di Stato – l’atto in questione potrà rimanere un utile ausilio per le pubbliche amministrazioni che, tuttavia, non saranno obbligate a considerarlo quale contratto-tipo anche sotto il profilo delle relative conseguenze giuridiche; in tal senso, valuterà l’amministrazione se trasformare tale atto in una circolare con la quale suggerire le più corrette modalità di azione al precipuo scopo di disciplinare i predetti aspetti di carattere contabile-finanziario.
I singoli temi
Dati, quindi, legittimi dubbi circa l’effettiva capacità dell’intervento del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici di vincolare in modo univoco i comportamenti di tutte le stazioni appaltanti e venendo al merito delle singole previsioni comunque assai importanti sul piano dell’indirizzo interpretativo, ancorché non sempre coincidenti rispetto alla parallela lettura della Conferenza Stato Regioni, non può non evidenziarsi quello che appare essere come il più significativo portato dell’intervento ministeriale, ovvero la costituzione di una sorta di banca dati centralizzata per la verifica dell’osservanza dei limiti numerici di incarico, fissati dalla legge per l’assunzione del ruolo di presidente ovvero di componente del Collegio.
Una contabilizzazione centralizzata degli incarichi nei Collegi?
In questo senso il Ministero prevede che copia del verbale della relativa avvenuta costituzione venga inviata alla presidenza del Consiglio superiore dei lavori pubblici che curerà il monitoraggio anche ai fini del rispetto dei limiti al cumulo degli incarichi di cui all’articolo 6, comma 8, del DL 76. Al di là della strumentazione giuridica necessaria a renderla operativa, l’esigenza di un punto di raccolta unico di tali dati appare un’opzione condivisibile.
L’ambito applicativo
Passando a considerare l’ambito applicativo dell’istituto, di rilievo è l’affermazione contenuta nelle linee guida ministeriali secondo la quale sono destinatarie della norma tutte le stazioni appaltanti, incluse quelle operanti nei settori speciali e nell’ambito delle concessioni, indicazione da intendersi nel senso che l’obbligo, ovvero la facoltà nel sotto soglia ed in fase pre gara, di attivare il Collegio riguarda anche gli appalti banditi dai concessionari; non già, peraltro, le concessioni nel rapporto tra concessionario e concedente.
Altra precisazione importante riguarda l’indicazione secondo la quale nel caso di contratti misti, la costituzione del Collegio è disposta ogni qualvolta la parte dei lavori supera la soglia comunitaria, ciò che sembrerebbe voler dire che lo strumento vale anche laddove l’appalto sia di servizi ed abbia al suo interno una componente lavori che, ancorché minoritaria nell’economia complessiva del contratto, superi in assoluto il valore di 5 milioni e 350.000 euro.
Ambito applicativo esteso nella lettura del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici
Da registrare, sul punto, una differenza importante rispetto al documento della Conferenza delle Regioni, che esclude l’applicabilità dell’istituto nel caso in cui l’appalto abbia ad oggetto contratti di manutenzione.
Sempre in tema di ambito applicativo della norma, si legge ancora, nel documento ministeriale, che il Collegio Consultivo Tecnico dovrà essere obbligatoriamente costituito anche nel caso in cui l’importo dei lavori superi la soglia comunitaria a seguito di varianti durante la fase di esecuzione del contratto. In questo caso, la linea guida ne raccomanda la costituzione addirittura prima dell’approvazione della variante, al fine di poter disporre dei relativi pareri già nella fase preparatoria dell’atto aggiuntivo al contratto, altresì precisando che in ogni caso, il Collegio Consultivo Tecnico deve essere costituito prima dell’esecuzione dei lavori in variante.
Circa l’oggetto dell’attività di supporto e assistenza alle parti nel corso dell’esecuzione dei lavori, per quanto riguarda i contratti già in corso alla data di entrata in vigore del decreto semplificazioni il Collegio Consultivo Tecnico può essere, come è noto, chiamato ad assumere determinazioni e pareri in merito a questioni già oggetto di riserva, per i quali, precisa l’intervento ministeriale, non siano state avviate procedure di accordo bonario o sulle quali non sia stato raggiunto il predetto accordo, che esplichino effetti sulla regolare esecuzione dei lavori. Tale precisazione, che implica la possibilità che, laddove vi sia necessità di sbloccare la realizzazione di opere ferme per l’esistenza di un contenzioso legato alla presenza di riserve, sussistano due diverse sedi di composizione delle relative istanze, rischia di vanificare la ragion d’essere del nuovo strumento, volto a superare tempestivamente ed in modo univoco le cause di blocco, per il riavvio dei lavori; più efficace, in questo senso, sarebbe stato prevedere il subentro del Collegio nella trattazione dell’intera vicenda, con fissazione ad opera dello stesso delle condizioni di ripresa che, laddove non applicate, come è noto, configurano in capo all’impresa, salvo prova contraria, grave inadempimento degli obblighi contrattuali.
Modalità di individuazione dei componenti dei Collegi
In merito alle modalità di individuazione dei componenti dei collegi, sia le linee guida ministeriali che la Conferenza delle Regioni concordano sul fatto che l’attività da svolgere è comparabile con quella dei servizi d’arbitrato e di conciliazione; pertanto la scelta per parte pubblica, laddove si ricorra a soggetti esterni alla stazione appaltante, esula dall’applicazione del Codice dei contratti, salvo l’espresso richiamo, da parte della Conferenza, all’osservanza dell’articolo 4 del Codice, a mente del quale le attribuzioni di incarichi devono comunque avvenire “nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità (tutela dell’ambiente ed efficienza energetica)”; in tale ottica, per la selezione dei componenti dei collegi la Conferenza suggerisce di procedere alla formazione di elenchi di professionisti, previa pubblicazione di avvisi di manifestazione di interesse, da articolare in quattro sottosezioni basate su distinti profili rispettivamente attinenti al settore dell’ingegneria, dell’architettura (settori che il MIT tratta viceversa insieme) al settore giuridico ed a quello economico, dai quali attingere. L’elenco, di natura aperta e da aggiornare periodicamente (ogni sei mesi) andrebbe pubblicato, secondo le indicazioni della Conferenza, nella sezione amministrazione trasparente insieme al relativo avviso di manifestazione di interesse.
La costituzione di elenchi per parte pubblica è compatibile con le finalità ed i tempi di operatività delle norme?
Peraltro ci si chiede come tali articolate previsioni siano conciliabili con una norma “a tempo” (scadenza 31 dicembre 2021), ispirata dall’urgenza di intervenire, con attivazione dei collegi che, per i lavori in corso, doveva avere corso entro lo scorso 16 agosto.
Ma nelle griglie proposte mancano riferimenti alla conoscenza di metodi e strumenti elettronici quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture (BIM)
Specifica attenzione risulta poi posta sul dettaglio dei requisiti soggettivi e di qualificazione professionale individuati per i potenziali affidatari degli incarichi, peraltro non coincidenti nei diversi documenti. In tale contesto deve peraltro rilevarsi, con sorpresa, come quanto dalla stessa legge espressamente richiesto, circa il necessario possesso di specifica conoscenza di metodi e strumenti elettronici quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture (BIM), nelle griglie puntualmente proposte tanto dal Ministero che dalla Conferenza non venga in alcun modo ripreso, né tantomeno declinato.
I costi
Divergenti anche le indicazioni rese per il calcolo del compenso spettante ai componenti il Collegio, cosa che, secondo quanto già anticipato in premessa in termini di vantaggi, anche economici, conseguenti al ricorso al Collegio Consultivo Tecnico, ha valore soprattutto quando la relativa costituzione è facoltativa. La prima differenza tra i due documenti sta nel modo di considerare la parte fissa dell’onorario e quella variabile: per il Consiglio Superiore a ciascun componente spetta una parte di compenso fissa, proporzionata al valore dell’opera, a cui va ad aggiungersi una parte variabile che dipende dal numero e dalla qualità delle determinazioni e pareri resi. In assenza di pareri e determinazioni, a ciascun membro spetta un gettone unico onnicomprensivo, in pratica si calcola la sola componente fissa del compenso. Al contrario secondo la Conferenza, l’attribuzione della parte variabile esclude quella fissa, il che significa che, nel caso in cui il Collegio sia chiamato a esprimere pareri e ad assumere determinazioni, i componenti non hanno diritto al gettone, bensì solo alla parte variabile.
Conclusioni
Entrambi i riferiti interventi testimoniano, dunque, del rilievo dello strumento messo in campo dal legislatore, rispetto al quale l’auspicio è che la relativa attuazione anche da parte delle singole stazioni appaltanti, possa intervenire in modo efficace, recuperando in qualche modo il tempo perduto nel rispetto delle indicazioni della legge.