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( votes)Un nome è un dono. Ci viene consegnato prima della nascita e ce lo portiamo insieme per sempre. Il nome ci identifica. Ci rende unici. E’ un diritto inviolabile della persona, riconosciuto dall’articolo 22 della Costituzione italiana. Come ci sentiremmo se un giorno nessuno dovesse ricordarsi il nostro nome? Smarriti, confusi, privati della nostra identità.
Ogni persona ha un nome. Ogni città. Ogni fiume ha un nome. Ogni lago, mare, oceano. Ogni strada ha un nome. Ogni piazza, fontana, teatro, stadio. Tutte le opere pubbliche ne hanno uno.
Esistono specifiche regole per assegnare un nome ad un’opera pubblica. Esistono uffici e commissioni in seno al Ministero dell’Interno e alle Amministrazioni Comunali che devono attivarsi per darne uno o per sostituirlo.
Via Falcone e Borsellino, Auditorium Manzoni, Università degli Studi Aldo Moro. Intitolare un’opera significa affidare a quell’opera il ricordo di qualcuno che ha dato alla comunità un contributo indelebile. E’ come se nel battezzare un luogo con quel nome sia possibile tramandare il valore che quel nome finisce per rappresentare. Falcone e Borsellino, ad esempio; non è forse racchiuso in questi nomi il sinonimo di integrità morale, sacrificio? Un esempio di vita che non va disperso. L’intitolazione di un’opera è un segnalibro. Ci riporta ad una pagina di storia che è patrimonio comune. E’ dar forza ad un ricordo. E i ricordi fanno questo: ci lasciano una finestra aperta sul passato per poterci affacciare sul futuro.
Quando ad un’opera pubblica viene assegnato il nome di una personalità che ha operato nello stesso campo in cui essa è destinata, possiamo parlare di qualcosa di più di una semplice intitolazione. Se dovessimo chiamare un teatro con il nome di un grande attore o uno stadio con quello di un fuoriclasse del calcio, allora, parleremmo di una dedica. E’ qualcosa di più personale una dedica. C’è qualcosa di intimo nel dedicare qualcosa a qualcuno. “La dedica di un libro è un gesto magico. La si potrebbe anche definire il modo più gradevole e sensibile di pronunciare un nome”, scriveva il poeta Jorge Luis Borges.
L’intitolazione o la dedica sono probabilmente la parte più poetica di un’opera pubblica. Una strada “a denominarsi” porta con sé il triste vuoto dell’anonimato. Ho sempre pensato che dietro a tante strade senza nome ci sia la pigrizia di chi si deve occupare di toponomastica. Possibile che non ci siano persone che meritino di essere ricordate intitolandone una strada? Un esercizio che tutti dovremmo fare è andare alla scoperta del nome della strada o piazza o viale in cui viviamo. Chi era costui o costei? Dov’è questo posto? Cosa accadde qual giorno? A seconda che nel nostro indirizzo ci sia il nome e cognome di qualcuno, il nome di un luogo, una data.
Nell’ultimo mese se ne sono andati due grandi nomi dell’intrattenimento. Prima Gigi Proietti, poi Diego Armando Maradona. Quando queste notizie raggiungono i “palazzi”, dalle scrivanie di sindaci, assessori, presidenti, ministri, arriva di slancio l’idea di attivarsi per un’intitolazione.
Per Proietti sono pronti auditorium, teatri, arene strade e piazze. Per Maradona, era inevitabile, si pensa allo stadio. L’assessore ai lavori pubblici del Comune di Napoli Alessandra Clemente ha pubblicato un post su facebook con il quale annunciava “Stadio Diego Armando Maradona. Lo faremo. E poi un museo per dare lavoro a tanti ragazzi”.
Sia per Proietti sia per Maradona, le eventuali intitolazioni dovranno seguire una procedura straordinaria che permette di poter avviare un inter che supera il limite del raggiungimento del decimo anniversario della morte. La Legge n. 1188 del 1927 stabilisce che “è in facoltà del Ministero per l’Interno di consentire la deroga alle suindicate disposizioni in casi eccezionali, quando si tratti di persone che abbiano benemeritato della nazione”.
Gigi Proietti ha il merito di aver allietato intere famiglie e intere generazioni con la sua dirompente e garbata comicità. Saper far ridere è un dono inestimabile. Saper diffondere risate è una letizia che merita di essere applaudita, qualcosa di cui rendere grazie. Entrare in un posto che porta il suo nome significa ricordare e sorridere, ripassando nella mente un vecchio sketch in bianco e nero ripreso dalle teche della nostra memoria. Qualcosa che merita la benemerenza della nazione.
Il dibattito è sull’integrità morale di un personaggio come Maradona. L’argentino è stato il più grande calciatore mai esistito, è un simbolo per Napoli, un esempio per chi dal fango dei campetti della periferia di Buenos Aires annunciava, ancora ragazzino, di sognare la nazionale. Con quella nazionale avrebbe vinto il mondiale del 1986. E’ il simbolo della caparbietà. L’esempio che un sogno può esaudirsi e a volte superare le aspettative. Sconfinare in una realtà che quel ragazzino non poteva immaginare. Che da adulto lo avrebbe portato a commettere qualche errore di troppo. Come riporta un articolo pubblicato sul quotidiano argentino Clarín, tradotto da Federico Ferrone per Internazionale, “nessuno ha spiegato a Diego le regole del gioco. Nessuno ha dato a chi lo circondava (un concetto tanto naturale quanto astratto e mutevole nel corso della sua vita) un manuale d’istruzioni”.
Ma il solo modo per ricordare Maradona è la sua genialità con il pallone. E con quel pallone ha meravigliato un po’ tutti. La meraviglia, altra esperienza che, come la risata, dovremmo imparare a trattare come un bene prezioso. Non dovremmo mai privarcene.
Chi è in grado di suscitare emozioni, di far emergere sentimenti, ha il diritto di essere ricordato con l’intitolazione o la dedica di un’opera pubblica. Un giorno un bambino ci chiederà perché questo posto si chiama così? Chi era Gigi Proietti? Chi era Diego Armando Maradona? In quel momento quell’opera pubblica starà facendo qualcosa di straordinario: starà raccontando a quel bambino la fantastica storia di due fuoriclasse.