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I fatti oggetto del giudizio

Con l’ordinanza del 9 aprile 2020, n. 2332 della V Sezione del Consiglio di Stato ha deferito, ai sensi e per gli effetti dell’art. 99, comma 1, cod. proc. amm., all’Adunanza plenaria la questione relativa «alla portata, alla consistenza, alla perimetrazione ed agli effetti degli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici in sede di partecipazione alla procedura evidenziale, con particolare riguardo ai presupposti per l’imputazione della falsità dichiarativa, ai sensi di cui alle lettere c) e f-bis del comma 5 dell’art. 80 del d. lgs. n. 50/2016».

Le questioni deferite riguardavano, in particolare, l’esclusione disposta nei confronti dell’originaria aggiudicataria di un appalto di lavori, per falsità dichiarativa ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. f-bis), del codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (d’ora in poi “Codice”) in relazione alla propria cifra d’affari, per la quale aveva fatto ricorso all’avvalimento di un consorzio stabile. Secondo il provvedimento impugnato tale dichiarazione era inficiata da falsità nella parte in cui era stato cumulato il fatturato di una consorziata in precedenza sospesa dai benefici consortili con apposita deliberazione dell’ausiliario Consorzio stabile. Tale impostazione era stata confermata dal giudice di prime cure (T.a.r  Lecce, sez. I, sent. n. 846 del 2019). La falsità, in particolare, si sostanziava nell’impossibilità di imputare all’ausiliario Consorzio la cifra di affari in lavori realizzati dall’impresa consorziata sospesa dal Consorzio di appartenenza a causa dell’intervenuta scadenza dell’attestazione SOA. Secondo il primo giudice tale sospensione avrebbe impedito di cumulare il corrispondente fatturato in capo al Consorzio, sicché l’erronea imputazione dello stesso nella cifra d’affari complessiva dichiarata dal Consorzio in gara avrebbe imposto l’automatica esclusione dell’originaria aggiudicataria, sebbene la parte erroneamente imputata non fosse determinante per il superamento del fatturato richiesto nel bando, avendo l’aggiudicataria comunque superato la cifra d’affari richiesta anche senza computare la cifra in lavori del consorziato sospeso.

In relazione a tale ipotesi di mendacio, la rimettente, dubitando dell’applicabilità della disposizione di cui all’art. 80, comma 5, lett. f-bis) del Codice, ha ipotizzato la riconducibilità alla diversa ipotesi dell’omissione dichiarativa di cui alla lettera c) [ora c-bis)]dell’art. 80, comma 5, del Codice, ratione temporis applicabile, fattispecie per la quale non si applica l’automatismo espulsivo proprio della medesima lett. f-bis), con conseguente obbligo per la stazione appaltante di svolgere la valutazione di incidenza sull’integrità ed affidabilità del concorrente.

L’ordinanza di rimessione e il contrasto giurisprudenziale.

Nel merito la questione sottoposta all’Adunanza plenaria concerne in estrema sintesi i rapporti tra le lettere c) [ora c bis)] ed f-bis dell’art. 80, comma 5 del Codice.

La versione dell’art. 80, comma 5, del Codice applicabile alla fattispecie controversa è quella antecedente alle modifiche introdotte dal decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione; convertito dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12). In base alla versione applicabile, costituisce causa di esclusione dalle procedure di affidamento di contratti pubblici l’ipotesi, prevista dalla lettera c), in cui la stazione appaltante «dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità», tra cui «il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione». Per la successiva lettera f-bis), del medesimo art. 80, comma 5, del Codice, pure introdotta in epoca successiva alla pubblicazione del bando di gara – ma in relazione alla quale circostanza non è stata formulata alcuna censura – è invece causa di esclusione quella dell’operatore economico«che presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere».

Prima di esaminare funditus la complessa questione deve, anzitutto, evidenziarsi che gli obblighi dichiarativi posti a carico degli operatori economici partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici hanno carattere strumentale rispetto alla valutazione di competenza della stazione appaltante sull’integrità ed affidabilità degli stessi ed in ragione di ciò essi si estendono ad «ogni dato o informazione comunque rilevante» rispetto alla valutazione stessa. Pertanto, la violazione degli obblighi dichiarativi ha «attitudine a concretare, in sé, una forma di grave illecito professionale», a dispetto del loro carattere strumentale.

Più nello specifico giova evidenziare che le irregolarità di carattere dichiarativo sono normativamente definite nel quadro delle “situazioni” concretanti “gravi illeciti professionali”, idonei, come tali, a “rendere dubbia” l’”integrità” e l’”affidabilità” del concorrente. Tale obbligo (manifestazione del “principio di correttezza”: cfr. art. 30, comma 1 del Codice) è vieppiù qualificato dalla professionalità che si impone agli operatori economici che intendano accedere, in guisa concorrenziale, al mercato delle commesse pubbliche: la quale vale a conferire speciale ed autonomo rilievo, presidiato dalla sanzione espulsiva, alla omissione delle “informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”, di cui fa espressa parola la lettera c-bis del comma 5, ad finem, sintetizzandone la complessiva ratio.

Si tratta, quindi, di obbligo essenzialmente servente, finalizzato a porre la stazione appaltante in condizione di conoscere tutte le circostanze rilevanti per l’apprezzamento dei requisiti di moralità e meritevolezza soggettiva.

Nondimeno, la sua (distinta) previsione come (specifico, legittimo ed autonomo) motivo di esclusione testimonia la sua attitudine a concretare, in sé, una forma di grave illecito professionale: nel qual caso, il necessario nesso di strumentalità rispetto alle valutazioni rimesse alla stazione appaltante finisce per dislocarsi dal piano del concreto apprezzamento delle circostanze di fatto, rimesso alla mediazione valutativa della stazione appaltante, al piano astratto di una illiceità meramente formale e presunta, operante de jure.

Ne discende, quindi, secondo la Sezione remittente la necessità di una puntuale delimitazione della portata e dei limiti degli obblighi informativi.

Il problema si pone, in modo particolare, per le omissioni dichiarative (ossia per le dichiarazioni reticenti): per le quali occorre distinguere il mero (e non rilevante) nihil dicere (che, al più, legittima la stazione appaltante a dimostrare, con mezzi adeguati, “che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali”, diversi dalla carenza dichiarativa, idonei “a rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”) dal non dicere quod debetur (che, postulando la violazione di un dovere giuridico di parlare, giustifica di per sé – cioè in quanto illecito professionale in sé considerato – l’operatività, in chiave sanzionatoria, della misura espulsiva).

Ciò posto, la V sezione ha anzitutto dato atto della sussistenza di un non sopito contrasto giurisprudenziale.

Come è noto, la giurisprudenza ha ritenuto che l’individuazione tipologica dei gravi illeciti professionali ha carattere meramente esemplificativo, potendo, per tal via, la stazione appaltante desumere il compimento di gravi illeciti professionali da ogni vicenda pregressa, anche non tipizzata, dell’attività professionale dell’operatore economico di cui fosse accertata la contrarietà a un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa (cfr. ex multis, Cons. Stato, V, 24 gennaio 2019), se stimata idonea a metterne in dubbio l’integrità e l’affidabilità.

Tale conclusione è rimasta anche dopo la modifica dell’art. 80, comma 5, realizzata con il già citato art. 5 d.l. n. 135 del 2018, che ha sdoppiato nelle successive lettere c-bis) e c-ter) la preesistente elencazione, mantenendo peraltro nella lett. c), ma espungendo il richiamato inciso, la richiamata previsione di portata generale (cfr. Cons. Stato, V, 22 luglio 2019, n. 5171).

Siffatta opzione esegetica ruota attorno alla dimensione di lealtà, affidabilità e credibilità dell’operatore economico: cui si assume plausibilmente imposto, a pena di esclusione automatica, un dovere generale di clare loqui, al fine di mettere la stazione appaltante in condizione di elaborare – nella prospettiva del “corretto svolgimento della procedura di selezione” – le proprie “decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione” (cfr. ancora la lettera c).

È evidente che, in siffatta prospettiva, gli obblighi informativi, transitano dalla logica della mera strumentalità, diventando obblighi finali, dotati di autonoma rilevanza: di talché l’omissione, la reticenza, l’incompletezza divengono – insieme alle più gravi decettività e falsità – forme in certo senso sintomatiche di grave illecito professionale in sé e per sé.

In senso parzialmente diverso si registrano pronunce, espressione di un orientamento minoritario, che tendono  a limitare la portata generalizzata degli obblighi dichiarativi a carico degli operatori economici, anche dal punto di vista temporale (si richiamano le sentenze della V Sezione del 3 settembre 2018, n. 5142; 22 luglio 2019, n. 5171; 5 marzo 2020, n. 1605), in cui si è posta in risalto l’esigenza di distinguere tra falsità ed omissione, con automatismo espulsivo limitato alla prima ipotesi (Cons. Stato, V, 3 settembre 2018, n. 5142; 12 aprile 2019, n. 2407). Si è, infatti, osservato che siffatto generalizzato obbligo dichiarativo, senza la individuazione di un generale limite di operatività, “potrebbe rilevarsi eccessivamente oneroso per gli operatori economici, imponendo loro di ripercorrere a beneficio della stazione appaltante vicende professionali ampiamente datate o, comunque, del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa” (Cons. Stato, V, 22 luglio 2019, n. 5171; Id., V, 3 settembre 2018, n. 5142). Per tal via, la più recente giurisprudenza si è orientata alla individuazione “di un limite temporale” all’obbligo dichiarativo, ancorato alla postulata irrilevanza di illeciti commessi dopo il triennio anteriore alla adozione degli atti indittivi (Cons. Stato, V, 5 marzo 2020, n. 1605).

In termini più significativi, è maturata una prospettiva diversa, che muove dalla distinzione tipologica, risultante dalla previsione normativa, di due fattispecie distinte:

a) l’omissione delle informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, che comprende anche la reticenza, cioè l’incompletezza, con conseguente facoltà della stazione appaltante di valutare la stessa ai fini dell’attendibilità e dell’integrità dell’operatore economico (cfr. Cons. Stato, V, 3 settembre 2018, n. 5142);

b) la falsità delle dichiarazioni, ovvero la presentazione nella procedura di gara in corso di dichiarazioni non veritiere, rappresentative di una circostanza in fatto diversa dal vero, cui conseguirebbe, per contro, l’automatica esclusione dalla procedura di gara, deponendo in maniera inequivocabile nel senso dell’inaffidabilità e della non integrità dell’operatore economico (laddove, per l’appunto, ogni altra condotta, omissiva o reticente che sia, comporterebbe l’esclusione dalla procedura solo per via di un apprezzamento da parte della stazione appaltante che sia prognosi sfavorevole sull’affidabilità dello stesso) (cfr. Cons. Stato, V, 12 aprile 2019, n. 2407).

Il quadro normativo fa variamente riferimento:

a) alla falsità di “informazioni” fornite (lettera c-bis), di “dichiarazioni” rese e di “documentazione” presentata (lettere f-bisf- ter e g, nonché il comma 12), talora, peraltro, dando rilevanza alla mera (ed obiettiva) “non veridicità”, talaltra ai profili di concreta “rilevanza o gravità” ovvero ai profili soggettivi di imputabilità (evocati dal riferimento alla negligenza, alla colpa, anche grave, o addirittura al dolo);

b) alla attitudine “fuorviante” delle informazioni (intesa quale suscettibilità di influenzare il processo decisionale in ordine all’esito della fase di ammissione);

c) alla mera “omissione” (di informazioni dovute).

In altri termini, è un dato positivo la distinzione tra dichiarazioni omesse (rilevanti “in quanto abbiano inciso, in concreto, sulla correttezza del procedimento decisionale”), “fuorvianti” (rilevanti nella loro attitudine decettiva, di “influenza indebita”) e propriamente false (rilevanti, per contro, in quanto tali).

E se si considera che la reticenza corrisponde, in definitiva, alla c.d. mezza verità (la cui attitudine decettiva opera, quindi, in negativo, in relazione a ciò che viene taciuto, costituendo, quindi, una forma di omissione parziale), le informazioni fuorvianti son quelle che manifestano attitudine decettiva in positivo, per il contenuto manipolatorio di dati reali: una sorta di mezza falsità.

La distinzione comporta diverse conseguenze:

  • mentre le prime tre ipotesi (dichiarazioni omesse, reticenti e fuorvianti) hanno rilievo solo in quanto si manifestino nel corso della procedura,
  • la falsità è più gravemente sanzionata dall’obbligo di segnalazione all’ANAC gravante sulla stazione appaltante in forza del comma 12 e della possibile iscrizione – in presenza di comportamento doloso o gravemente colposo e subordinatamente ad un apprezzamento di rilevanza-  destinata ad operare anche nelle successive procedure, nei limiti del biennio (lettere f-ter e g, quest’ultima riferita, peraltro, alla falsità commessa ai fini del rilascio dell’attestazione di qualificazione).

Pertanto la falsità (informativa, dichiarativa ovvero documentale) ha attitudine espulsiva automatica oltreché ultrattiva; laddove le informazioni semplicemente fuorvianti giustificano solo – trattandosi di modalità atta ad influenzare indebitamente il concreto processo decisionale in atto – l’estromissione dalla procedura nella quale si collocano.

Appare evidente che l’omissione (e la reticenza) dichiarativa si appalesano per definizione insuscettibili (a differenza della falsità e della manipolazione fuorviante, di per sé dimostrative di pregiudiziale inaffidabilità) di legittimare l’automatica esclusione dalla gara: dovendo sempre e comunque rimettersi all’apprezzamento di rilevanza della stazione appaltante, a fini della formulazione di prognosi in concreto sfavorevole sull’affidabilità del concorrente.

l’art. 80, comma 5, lett. c), distingue «tra dichiarazioni omesse (rilevanti in quanto abbiano inciso, in concreto, sulla correttezza del procedimento decisionale), fuorvianti (rilevanti nella loro attitudine decettiva, di “influenza indebita”) e propriamente false (rilevanti, per contro, in quanto tali)»; – solo la falsità dichiarativa, oltre a dare luogo alla segnalazione all’ANAC ai sensi del comma 12 della medesima disposizione del codice dei contratti pubblici «ha attitudine espulsiva automatica» e potenzialmente ultrattiva, secondo quanto previsto dalla lettera f-bis); – la falsità «costituisce frutto del mero apprezzamento di un dato di realtà, cioè di una situazione fattuale per la quale possa alternativamente porsi l’alternativa logica vero/falso, accertabile automaticamente»; – per contro «la dichiarazione mancante non potrebbe essere apprezzata in quanto tale» ma solo con valutazione nel caso concreto, in relazione alle «circostanze taciute, nella prospettiva della loro idoneità a dimostrare l’inaffidabilità del concorrente».

L’Adunanza plenaria

La complessità delle questioni trattate hanno imposto sia alla Sezione remittente che all’Adunanza plenaria una analisi capillare e puntuale delle norme.

L’Adunanza Plenaria ha anzitutto chiarito che la dichiarazione oggetto del giudizio, vertente sulla cifra d’affari dell’ausiliario, non può essere considerata falsa, non essendo contestato che la consorziata del Consorzio Stabile ausiliario abbia conseguito la cifra d’affari esposta: ciò che viene in rilievo è invece la questione se tale cifra d’affari possa cumularsi a quella delle altre sette consorziate indicate nella medesima dichiarazione e sulla base del quale il Consorzio, ausiliario dell’originaria aggiudicataria, si è qualificato nella procedura di gara in contestazione nel giudizio.

Ebbene, secondo il Collegio, si tratta di valutazioni riferite ad elementi di carattere giuridico, irriducibili all’antitesi vero/falso, e relativi alla persistente validità del rapporto consortile in presenza di una delibera di sospensione; e alla possibilità di cumulare la cifra d’affari comunque realizzata nel triennio in considerazione dalla consorziata, ancorché priva di un’attestazione SOA.

Su tale premessa sono stati ritenuti condivisibili i rilievi secondo cui la falsità di una dichiarazione è invece predicabile rispetto ad un «dato di realtà», ovvero ad una «situazione fattuale per la quale possa alternativamente porsi l’alternativa logica vero/falso», rispetto alla quale valutare la dichiarazione resa dall’operatore economico.

Di conseguenza le questioni relative al possesso dei requisiti del Consorzio stabile indicato dalla originaria aggiudicataria come proprio ausiliario ai fini della qualificazione economico-finanziaria nella procedura di gara non hanno il loro sostrato nella realtà materiale ma vertono sull’interpretazione – opinabile – di norme giuridiche.

Se pertanto la dichiarazione dell’ausiliario Consorzio stabile non può essere considerata falsa – e in quanto obiettivamente tale rientrante nell’ipotesi prevista dalla lett. f-bis) -, un’ulteriore ragione per escludere l’applicazione di quest’ultima disposizione si trae dall’esame dei suoi rapporti con la lettera c).

Come testé evidenziato, quest’ultima prevede tre fattispecie di «gravi illeciti professionali» [oggi invece collocate nella lettera c-bis), introdotta dal citato decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135] una delle quali concernente un’ipotesi di falso così espressa: «il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione»; in contrapposizione, desumibile dalla disgiuntiva «ovvero», all’ulteriore fattispecie consistente nel «l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione».

Rispetto all’ipotesi prevista dalla falsità dichiarativa (o documentale) di cui alla lettera f-bis) quella relativa alle «informazioni false o fuorvianti» ha un elemento specializzante, dato dalla loro idoneità a «influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione» della stazione appaltante.

Ai fini dell’esclusione non è dunque sufficiente che l’informazione sia falsa ma anche che la stessa sia diretta ed in grado di sviare l’amministrazione nell’adozione dei provvedimenti concernenti la procedura di gara. Coerentemente, la fattispecie equipara inoltre all’informazione falsa quella fuorviante, ovvero rilevante nella sua «attitudine decettiva, di “influenza indebita”» sulle decisioni della stazione appaltante, e che rispetto all’ipotesi della falsità può essere distinta per il maggior grado di aderenza al vero.

Le informazioni sono strumentali rispetto ai provvedimenti di competenza dell’amministrazione relativamente alla procedura di gara, i quali sono a loro volta emessi non solo sulla base dell’accertamento di presupposti di fatto ma anche di valutazioni di carattere giuridico, opinabili tanto per quest’ultima quanto per l’operatore economico che le abbia fornite.

Ne discende che, in presenza di un margine di apprezzamento discrezionale, la demarcazione tra informazione contraria al vero e informazione ad essa non rispondente ma comunque in grado di sviare la valutazione della stazione appaltante diviene da un lato difficile, con rischi di aggravio della procedura di gara e di proliferazione del contenzioso ad essa relativo, e dall’altro lato irrilevante rispetto al disvalore della fattispecie, consistente nella comune attitudine di entrambe le informazioni a sviare l’operato della medesima amministrazione.

Sennonché in tanto una ricostruzione a posteriori degli obblighi dichiarativi può essere ammessa, in quanto si tratti di casi evidentemente incidenti sulla moralità ed affidabilità dell’operatore economico, di cui quest’ultimo doveva ritenersi consapevole e rispetto al quale non sono configurabili esclusioni “a sorpresa” a carico dello stesso.

In ogni caso, l’elemento comune alle fattispecie dell’omissione dichiarativa con quella relativa alle informazioni false o fuorvianti suscettibili di incidere sulle decisioni dell’amministrazione concernenti l’ammissione, la selezione o l’aggiudicazione, è dato dal fatto che in nessuna di queste fattispecie si ha l’automatismo espulsivo proprio del falso dichiarativo di cui alla lettera f-bis).

Infatti, tanto «il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione», quanto «l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione» sono considerati dalla lettera c) quali «gravi illeciti professionali» in grado di incidere sull’«integrità o affidabilità» dell’operatore economico. E’ pertanto indispensabile una valutazione in concreto della stazione appaltante, come per tutte le altre ipotesi previste dalla medesima lettera c) [ed ora articolate nelle lettere c-bis), c-ter) e c-quater), per effetto delle modifiche da ultimo introdotte dalla legge decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 convertito dalla legge 14 giugno 2019, n. 55].

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 28/8/2020, n.16 si è pronunciata sugli obblighi dichiarativi e sulle false dichiarazioni, affermando che la falsità di informazioni rese dall’operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l’ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione, è riconducibile all’ipotesi prevista dalla lett. c) [ora c-bis)] dell’art. 80, comma 5, del Codice; in conseguenza di ciò la stazione appaltante è tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo; alle conseguenze ora esposte conduce anche l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, nell’ambito della quale rilevano, oltre ai casi oggetto di obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara, solo quelle evidentemente incidenti sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico; la lett. f-bis) dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti pubblici ha carattere residuale e si applica in tutte le ipotesi di falso non rientranti in quelle previste dalla lett. c) [ora c-bis)] della medesima disposizione.

Da ciò se ne ritrae che la dichiarazione sulla cifra d’affari del Consorzio ausiliario è da riqualificarsi come fuorviante «nella misura in cui è stata taciuta la sospensione dal rapporto consortile» dell’impresa interessata. Sicché la stazione appaltante avrebbe dovuto conseguentemente verificare se la stessa avesse attitudine a sviare le proprie decisioni sull’ammissione alla gara dell’impresa concorrente e sull’aggiudicazione già disposta a favore di quest’ultima, valorizzando, per esempio, il raggiungimento del requisito di capacità economico-finanziaria previsto dal bando di gara a prescindere dal fatturato della consorziata “sospesa”.

Conclusioni

La sentenza è di notevole importanza nella misura in cui delinea il perimetro applicativo e gli effetti sanzionatori delle disposizioni in questione, imponendo all’amministrazione una nuova valutazione sulla base di inediti principi di diritto testé evidenziati.

Volendo sintetizzare la complessa ed articolata analisi di cui si è cercato di dare conto, l’Adunanza Plenaria ha quindi stabilito ed enunciato i seguenti principi di diritto:

– la falsità di informazioni rese dall’operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l’ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione, è riconducibile all’ipotesi prevista dalla lettera c) [ora c-bis)] dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50;

– in conseguenza di ciò la stazione appaltante è tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo;

– alle conseguenze ora esposte conduce anche l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, nell’ambito della quale rilevano, oltre ai casi oggetto di obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara, solo quelle evidentemente incidenti sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico;

– la lettera f-bis) dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti pubblici ha carattere residuale e si applica in tutte le ipotesi di falso non rientranti in quelle previste dalla lettera c) [ora c-bis)] della medesima disposizione.

Pertanto, non può che essere rimesso alla Amministrazione lo stabilire se l’informazione è effettivamente falsa o fuorviante; se inoltre la stessa era in grado di sviare le proprie valutazioni; ed infine se il comportamento tenuto dall’operatore economico incida in senso negativo sulla sua integrità o affidabilità. Del pari dovrà stabilire se quest’ultimo ha omesso di fornire informazioni rilevanti, sia perché previste dalla legge o dalla normativa di gara, sia perché evidentemente in grado di incidere sul giudizio di integrità ed affidabilità.

Ebbene, la Plenaria si spinge fino a formulare considerazioni di carattere processuale che hanno certo rilievo, affermando che si tratta di valutazione di competenza esclusiva della stazione appaltante. Qualora sia mancata, una simile valutazione non può essere rimessa al giudice amministrativo in considerazione del principio di separazione dei poteri, che in sede processuale trova emersione nel divieto sancito dall’art. 34, comma 2, del codice del processo amministrativo (secondo cui il giudice non può pronunciare «con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati»). Laddove invece una valutazione vi è, operano per essa i consolidati limiti del sindacato di legittimità rispetto a valutazioni di carattere discrezionale in cui l’amministrazione sola è chiamata a fissare «il punto di rottura dell’affidamento nel pregresso e/o futuro contraente» [Cassazione, sezioni unite civili, nella sentenza del 17 febbraio 2012, n. 2312]; limiti che non escludono in radice, ovviamente, il sindacato della discrezionalità amministrativa, ma che impongono al giudice una valutazione della correttezza dell’esercizio del potere informato ai princìpi di ragionevolezza e proporzionalità e all’attendibilità della scelta effettuata dall’amministrazione.

Il sistema così descritto, secondo il Collegio, ha carattere completo e coerente con la causa di esclusione “facoltativa” prevista a livello sovranazionale ai sensi dell’art. 57, par. 4, lett. c), della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014, poi attuata con il Codice dei contratti pubblici attualmente vigente.

Nondimeno, su di esso è intervenuto il sopra menzionato “correttivo”, di cui al decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56, con l’aggiunta all’art. 80, comma 5, del codice della lettera f-bis), e dunque della causa di esclusione relativa all’operatore economicoche presenti nella procedura di gara (o negli affidamenti di subappalti; ipotesi che qui non rileva) «documentazione o dichiarazioni non veritiere». Non «informazioni» dunque, come invece previsto dalla lettera c), ma documenti o dichiarazioni.

Al riguardo, però, è stato chiarito che è innanzitutto da escludere che i diversi termini impiegati rivestano una rilevanza pratica, poiché documenti e dichiarazioni sono comunque veicolo di informazioni che l’operatore economico è tenuto a dare alla stazione appaltante e che quest’ultima a sua volta deve discrezionalmente valutare per assumere le proprie determinazioni nella procedura di gara. Affermata dunque un’identità di oggetto tra le lettere c) e f-bis) in esame, dall’esame dei rispettivi elementi strutturali si ricava anche una parziale sovrapposizione di ambiti di applicazione, derivante dal fatto che entrambe fanno riferimento a ipotesi di falso.

Per dirimere il conflitto di norme potenzialmente concorrenti si deve fare necessariamente ricorso al criterio di specialità (art. 15 delle preleggi), in applicazione del quale deve attribuirsi prevalenza alla lettera c), sulla base dell’elemento specializzante consistente nel fatto che le informazioni false, al pari di quelle fuorvianti, sono finalizzate all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante «sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione» e concretamente idonee ad influenzarle.

Per l’effetto, diversamente da quanto finora affermato dalla prevalente giurisprudenza, l’ambito di applicazione della lettera f-bis) viene giocoforza a restringersi alle ipotesi – di non agevole verificazione – in cui le dichiarazioni rese o la documentazione presentata in sede di gara siano obiettivamente false, senza alcun margine di opinabilità, e non siano finalizzate all’adozione dei provvedimenti di competenza dell’amministrazione relativi all’ammissione, la valutazione delle offerte o l’aggiudicazione dei partecipanti alla gara o comunque relativa al corretto svolgimento di quest’ultima, secondo quanto previsto dalla lettera c).

La plenaria 16/2020 è quindi sicuramente apprezzabile poiché chiarisce i confini di quelle situazioni in cui la non corretta dichiarazione e/o l’omissione dichiarativa non siano connotate da dolo, ma piuttosto costituiscano il frutto di una errata valutazione giuridica su questioni obiettivamente opinabili.

Tuttavia non risulta sempre agevole stabilire ciò che può essere ritenuto obiettivamente connotato da falsità.

Non può sottacersi che si è poi persa l’occasione, fortemente auspicata dalla sezione remittente, di chiarire la portata, la consistenza, la perimetrazione e gli effetti degli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici in sede di partecipazione alla procedura evidenziale, la cui delimitazione continua ad essere affidata all’attività interpretativa.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Adriana Presti
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
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