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Ci vogliono muscoli reattivi e un fisico agile per arrivare in testa al gran premio della montagna. Siamo appassionati di ciclismo da quando ci incollavamo alle immagini raccontate da Carlo De Zan, aspettando lo scatto dello scalatore. La nostra generazione è cresciuta con le imprese di Bortolotto, Chiappucci, Pantani. Prima di loro nomi mastodontici come Binda, Bartali, Coppi. In tutti loro ritroviamo qualcosa che va oltre la prestazione fisica. Non si vincono con i muscoli lo Zoncolan, lo Stelvio, la Marmolada. Non solo. Per arrivare davanti a tutti, a volte anche solo per transitare sotto quel traguardo, ci vuole un’ostinata forza di volontà, una capacità di sopportazione del dolore, una particolare inclinazione al proiettarsi verso il futuro, verso l’impagabile gioia di scollinare. Ce la può fare chi sa padroneggiare la visione del futuro per dominare il presente, per non arrendersi alle fatali pendenze che la vita ci sottopone.

Questa visione del futuro è auspicata da Confindustria perché il paese possa affrontare, vincendo, la sfida della ripresa economica. “Da troppi anni – afferma il Presidente degli industriali Carlo Bonomi –  in Italia manca una visione. Una visione di fondo capace di unire ciò che il nostro Paese sa fare con l’impatto della modernità, l’evoluzione formidabile delle tecnologie, gli effetti che tutto ciò può produrre in una società italiana che, in 25 anni, ha perso reddito e ha aumentato il tasso di diseguaglianza”.

Il contesto nel quale sviluppare una visione rinnovata del paese è il Recovery Fund, un’opportunità dalla quale dipende il futuro di tutti. Fallire, secondo il Presidente degli industriali sarebbe un danno irreparabile per ogni singolo italiano. Al Governo il compito di stabilire obiettivi che soddisfino le richieste dell’Europa, il dovere di progettare il futuro con coraggio, creatività, lungimiranza.

Bisognerebbe saper immaginare un futuro che sappia innovare e rinnovare il paese, facendo perno sulle proprie risorse tradizionali. Negli anni che vengono potremmo essere protagonisti di un processo evoluzionistico del nostro sistema. Dovremo essere coraggiosi perché cambiare non è mai semplice. Dovremo superare le paure del nuovo. “La legge dell’evoluzione ha un atteggiamento oppressivo e severo che fa paura a coloro che hanno una mente limitata e timorosa”, diceva il poeta e filosofo libanese Gibran Kahlil Gibran. Non è un caso se la relazione di Bonomi all’Assemblea 2020 di Confindustria era intitolata “Il coraggio del futuro”.

Per scrivere oggi il nostro futuro ci vuole uno sforzo mentale e sentimentale, intelligente ed empatico, che sappia coniugare la follia del precursore con il pragmatismo del matematico. Il primo indicherà la meta, il secondo calcolerà il percorso per raggiungerla. Servirà empatia perché la strada che verrà tracciata sia capace di essere percorsa da tutti con entusiasmo e vigore, con un’irrefrenabile desiderio di arrivare fino in fondo, alzandosi sui pedali, spingendo forte con una rugosa smorfia di fatica sul volto ed una virile caparbietà nei muscoli e ancor prima nella propria testa. Ma la testa è nulla senza il cuore. Quanto amiamo questo paese? Quanto amiamo noi stessi? L’impegno che ci metteremo è proporzionale al nostro sapersi innamorare di una società esasperante che ci mette l’uno contro l’altro. Sapremo vedere oltre? Sapremo unirci per un fine comune?

Se non c’è unità non risolveremo alcunché. Dovrà mutare il paradigma dello stare insieme, del rapportarsi con gli altri, anche con il nostro diretto concorrente. Alla competizione dovremmo sostituire la condivisione. Sostituire il contro con il con. Una squadra che gioca con un’altra squadra, si diverte, si impegna per fare la propria gara, per vincere, ma mette sempre al centro “il giocare con”. Una squadra che gioca “contro” un’altra è una squadra che scende in campo per affrontare, battagliare. Non esiterebbe a commettere qualche scorrettezza per primeggiare: una simulazione in piena area di rigore, un gomito un po’ troppo alto in un corpo a corpo con l’avversario. Se non dovessimo passare dal contro al con, ad ogni livello, i risultati che raggiungeremo saranno deludenti, effimeri. Potrebbe essere arrivato il momento che politici di diversi schieramenti, amministratori di differenti aree geografiche, imprenditori dello stesso settore, siano solidali. Ci facciano rivivere l’indimenticabile scena del passaggio della borraccia tra Bartali e Coppi.

Il Recovery Fund ci chiede questo. E, forse è proprio quello che ci fa più paura. Sapremo dimostrare unitarietà. La vera sfida è qui, perché sul piano dei progetti non è molto oneroso soddisfare le richieste dell’Europa. Perché, in fondo, non abbiamo grandi cose da inventarci, basterebbe seguire le linee guida dettate dall’Europa che punta su progetti relativi alla sostenibilità ambientale, alla produttività, all’equità e alla stabilità macroeconomiche, alla transizione digitale.

Sulla sostenibilità ambientale si gioca gran parte della credibilità del piano che il Governo dovrà presentare all’Europa per guadagnarsi i finanziamenti del Recovery Fund. La Commissione Europea chiede che almeno il 37% degli investimenti vada in questa direzione.

Un tema sul quale abbiamo molto su cui lavorare. I dati mostrati da Legambiente con il report “Mal aria” edizione speciale non sono positivi. Lo smog soffoca l’85% delle città attenzionate dai tecnici dell’associazione ambientalista. L’Italia, con la Germania, detiene il primato europeo delle nazioni con le città più spossate dallo smog. “Servono interventi infrastrutturali da mettere in campo per aumentare la quantità dell’aria, puntando sempre più su una mobilità sostenibile e dando un’alternativa al trasporto privato”, sostiene il Direttore Generale di Legambiente Giorgio Zampetti.

Tra le strategie che si dovrebbero mettere in campo, gli incentivi alla diffusione delle auto elettriche. Alle Pubbliche Amministrazioni, invece, l’opportunità di investire nel rinnovo dei trasporti pubblici per arrivare a disporre di flotte interamente elettriche, e l’occasione di appaltare la realizzazione di piste ciclabili per agevolare gli spostamenti green.

I nostri campioni hanno scritto pagine di gesta leggendarie sulle loro biciclette. Noi, con le nostre, proveremo a salvare le città dall’inquinamento e la nostra economia dalla crisi. Le tecnologie avanzano. E’ curioso come per raggiungere questi obiettivi, ci affideremo ad uno strumento inventato nel 1791 in Francia. Ma del resto, come diceva lo scrittore statunitense William Saroyan “la bicicletta è la più nobile invenzione dell’umanità”.

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Dott. Enzo de Gennaro
Direttore Responsabile
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.