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( votes)1. La questione giuridica
Il Consiglio di Stato, Sez. III, con sentenza 3 ottobre 2019, n. 6655 ha affrontato una complessa vicenda in cui è stata contestata la gara indetta da S.C.R. Piemonte, con la quale è stata aperta la competizione tra due aziende titolari delle autorizzazioni alla messa in commercio di vaccini anti-pneumococcici: il Prevenar ed il Synflorix. La contestazione in sintesi ruota intorno all’assunto che l’Amministrazione non avrebbe potuto mettere in concorrenza, in unico lotto, due vaccini diversi per efficacia terapeutica e classificazione ATC, in virtù della più ampia copertura di Prevenar o PCV13 (che contrasterebbe 13 ceppi batterici) rispetto a quella di Synflorix o PCV10 (che ne contrasterebbe 10). Militerebbe in tale ottica il Piano nazionale di prevenzione vaccinale 2017-2019 (di seguito “PNPV”), il quale conterrebbe un’indicazione di preferenza in favore del vaccino tredici-valente (in luogo del decavalente), nella parte in cui: i) raccomanda “il raggiungimento della massima protezione possibile in relazione al profilo epidemiologico prevalente e alla diffusione dei ceppi”; ii) stabilisce che “l’offerta di una dose di PCV contenente un numero di valenze maggiore è fortemente raccomandata a bambini mai vaccinati o che abbiano in precedenza completato il ciclo di vaccinazione con PCV7”; iii) conclusivamente fissa come proprio obiettivo “quello di garantire che i livelli di copertura raggiunti vengano mantenuti nel futuro in tutto il territorio del Paese senza alcuna discriminazione”.
Sempre nell’ottica impugnatoria, il PNPV assumerebbe a proprio riferimento il contesto epidemiologico nazionale e perseguirebbe l’obiettivo di garantire il mantenimento dei livelli di copertura raggiunti in tutto il territorio del Paese, senza alcuna discriminazione per aree geografiche.
Il PNPV e il principio di precauzione renderebbero, secondo tale impostazione, inaccettabile l’attuazione di un “esperimento” di riduzione della copertura che, in virtù di motivazioni di carattere puramente economico, finirebbe per aumentare il rischio sanitario per i pazienti. Di tal ché la diversificazione su base regionale della proposta vaccinale, disattenderebbe gli obiettivi fissati dal Piano nazionale di prevenzione vaccinale, in quanto alimenterebbe una mobilità dei soggetti interessati verso l’offerta di maggiore gradimento ed in tale modo determinerebbe una possibile compromissione dei livelli omogenei di immunizzazione di gregge sin qui raggiunti sull’intero territorio nazionale.
2. Il principio di precauzione
Per comprendere appieno i termini della questione occorre chiedersi cos’è il concetto di precauzione. Affrontare il tema del principio di precauzione è una sfida di non poco conto. Si pensi già solo al fatto che a livello semantico sussiste una ambiguità tra il termine prescelto – “precauzione” – e l’estrinsecazione del principio stesso.
Fin dalla introduzione di siffatto principio viene riassunto con il brocardo “better safe than sorry”.
Sennonché, addentrandosi nella definizione compiuta del fenomeno, la suggestività del motto si fa via via evanescente, fino a lasciare il dubbio di non aver esattamente compreso di cosi si tratti.
Partiamo pertanto dal dire cosa non è. Il principio di precauzione non si traduce in una strategia di prudenza. La strategia di prudenza è iscritta nella politica di valutazione dei rischi e fa parte del parere scientifico espresso da coloro che valutano il rischio. Solitamente, i soggetti a cui è demandata una valutazione del rischio prendono in considerazione i fattori d’incertezza scientifica utilizzando elementi di prudenza quali ad esempio:
– basarsi su modelli animali per stabilire gli effetti potenziali sull’uomo;
– utilizzare scale di peso corporale per i confronti tra le specie;
– adottare un fattore di sicurezza nella valutazione di una dose giornaliera ammissibile per tenere conto della variabilità intra e interspecifica; il valore di questo fattore varia in funzione del grado d’incertezza dei dati disponibili;
– non determinare dosi giornaliere ammissibili per le sostanze di cui sono noti gli effetti genotossici cancerogeni;
– prendere quale riferimento il livello « ALARA » (as low as reasonably achievable) per alcuni agenti tossici.
Vi sono situazioni, però, in cui i dati scientifici sono talmente insufficienti che non è possibile concretamente applicare gli elementi di prudenza testé descritti. Infatti la mancanza di modellizzazione dei parametri non consente alcuna estrapolazione dei dati e i rapporti causa/effetto sono ipotizzati ma non dimostrati. In queste situazioni le autorità politiche sono poste dinanzi al dilemma di agire o di non agire. Ed è proprio in tali precipue situazioni che si fa ricorso al principio di precauzione.
L’incertezza scientifica viene affrontata sul piano della gestione del rischio ed involge una prima decisione di natura prettamente politica: agire o non agire.
Nel caso che si decida di agire viene preso in considerazione il come agire. E ciò in base al principio di precauzione. Tale principio attiene, quindi, alla sfera di gestione del rischio, quando l’incertezza scientifica non consente una valutazione completa del rischio e si ritenga che il livello prescelto di protezione (in questo caso) della salute umana posa essere minacciato.
Nel caso in cui si ritenga necessario agire, le misure basate sul principio di precauzione devono essere, tra l’altro:
- proporzionali rispetto al livello prescelto di protezione,
- non discriminatorie nella loro applicazione,
- coerenti con misure analoghe già adottate,
- basate su un esame dei potenziali vantaggi e oneri dell’azione o dell’inazione (compresa, ove ciò sia possibile e adeguato, un’analisi economica costi/benefici),
- soggette a revisione, alla luce dei nuovi dati scientifici, e
- in grado di attribuire la responsabilità per la produzione delle prove scientifiche necessarie per una più completa valutazione del rischio.
In tal senso la Comunicazione della Commissione della Unione Europea COM/2000/00001 ha evidenziato che:
proporzionalità significa configurare le misure secondo il livello di protezione prescelto. Il rischio può essere raramente ridotto a zero, ma una valutazione incompleta del rischio può ridurre notevolmente l’ambito delle opzioni possibili per coloro che debbono gestirlo. Non sempre un divieto totale può essere una risposta proporzionale al rischio potenziale. Tuttavia, in alcuni casi, è la sola risposta possibile;
– non discriminazione significa che situazioni comparabili non devono essere trattate in modo diverso e che situazioni diverse non debbono essere trattate nello stesso modo, a meno che non vi siano motivi oggettivi;
– coerenza significa che le misure debbono essere di portata e natura comparabili a quelle già adottate in aree equivalenti, nelle quali tutti i dati scientifici sono disponibili;
– l’esame dei vantaggi e degli oneri comporta un confronto fra i costi generali della Comunità dell’azione e dell’inazione, nel breve e nel lungo periodo. Non si tratta semplicemente di un’analisi economica costi/benefici: la sua portata è molto più ampia e comprende considerazioni non economiche, quali l’efficacia delle possibili azioni e la loro accettabilità da parte del pubblico. Nell’effettuare tale analisi, si dovrà tenere conto del principio generale per cui la protezione della salute ha la precedenza sulle considerazioni economiche;
– soggette a revisione alla luce dei nuovi dati scientifici significa che le misure basate sul principio precauzionale dovrebbero essere mantenute finché le informazioni scientifiche sono incomplete o non concludenti e il rischio è considerato ancora troppo elevato da essere imposto alla società, tenuto conto del livello di protezione prescelto. Le misure dovrebbero essere riviste periodicamente alla luce dei progressi scientifici e, se necessario, modificate;
– attribuire la responsabilità per la produzione di prove scientifiche costituisce una conseguenza di tali misure. I paesi che impongono il requisito della previa approvazione (autorizzazione all’immissione sul mercato) sui prodotti considerati a priori pericolosi prevedono l’inversione dell’onere della prova, trattando tali prodotti come pericolosi a meno che e sino a quando gli operatori economici non compiano le ricerche necessarie per dimostrare che tali prodotti sono sicuri. Se non vi sono procedure di previa autorizzazione, la responsabilità di dimostrare la natura di un pericolo e il livello di rischio di un prodotto o di un processo può spettare agli utilizzatori o alle pubbliche autorità. In questi casi, potrebbe essere adottata una specifica misura precauzionale consistente nell’imporre l’onere della prova sul produttore o sull’importatore, ma ciò non può costituire una regola generale.
3. La decisione del Consiglio di Stato
Ciò posto, tornando al caso in esame, il nodo della questione attiene alla considerazione che il passaggio dal vaccino PCV13 al PCV10 realizzerebbe una sorta di “esperimento”, potenzialmente pregiudizievole per la sicurezza dei giovani pazienti, dettato solo da esigenze di tipo economico e contrastante con la regola cautelativa che impone che la valutazione della circolazione sierotipica venga condotta considerando non solo il contesto epidemiologico attuale, ma anche la sua possibile evoluzione alla luce dell’abbandono del vaccino maggiormente protettivo (il PCV13). Di tal ché il principio di precauzione comporterebbe la necessità di una scelta maggiormente cautelativa in grado “di garantire alla popolazione la massima protezione immunitaria nei confronti delle malattie pneumococciche”, seguendo l’indicazione in tal senso espressa dal PNPV 2017-2019. Una scelta, dunque, a rischio zero.
Rinviandosi alla lettura integrale della sentenza per gli aspetti prettamente tecnici e posta la differenza concettuale, già tracciata, che intercorre tra precauzione (limitazione di rischi ipotetici o basati su indizi) e prevenzione (limitazione di rischi oggettivi e provati), è necessario evidenziare che il principio di precauzione – dettato in primis dall’art. 191 del TFUE ed a seguire recepito da ulteriori fonti comunitarie e dai singoli ordinamenti nazionali – fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di scongiurare i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l’effettiva esistenza e la gravità di tali rischi e prima che subentrino più avanzate e risolutive tecniche di contrasto.
L’attuazione del principio di precauzione comporta dunque che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 11 novembre 2014, n. 5525 e sez. V, 18 maggio 2015, n. 2495).
Ed infatti la giurisprudenza nazionale non ha mancato di osservare che il cd. “principio di precauzione” fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, ponendo una tutela anticipata rispetto alla fase dell’applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di prevenzione (T.A.R. Lazio Roma, Sez. II bis, 20-01-2012, n. 665). L’applicazione del principio di precauzione comporta infatti che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali (T.A.R. Lazio Roma, Sez. II bis, 20-01-2012, n. 663).
Del resto come anticipato, la Comunicazione della Commissione Europea del 2 febbraio 2000 fornisce indicazioni di indirizzo in merito alle condizioni di applicazione del principio di precauzione, individuandole nelle due seguenti: (i) la sussistenza di indicazioni ricavate da una valutazione scientifica oggettiva che consentano di dedurre ragionevolmente l’esistenza di un rischio per l’ambiente o la salute umana; (ii) una situazione di incertezza scientifica oggettiva che riguardi l’entità o la gestione del rischio, tale per cui non possano determinarsene con esattezza la portata e gli effetti.
Nella prospettiva europea, l’azione precauzionale è pertanto giustificata solo quando vi sia stata l’identificazione degli effetti potenzialmente negativi (rischio) sulla base di dati scientifici, seri, oggettivi e disponibili, nonché di un “ragionamento rigorosamente logico” e, tuttavia, permanga un’ampia incertezza scientifica sulla “portata” del suddetto rischio. |
Nel conseguente bilanciamento delle più opportune iniziative di contenimento del rischio, la scelta del c.d. “rischio zero” entra in potenziale tensione con il principio di proporzionalità, il quale impone misure “congrue rispetto al livello prescelto di protezione” ed una conseguente analisi dei vantaggi e degli oneri dalle stesse derivanti. Di conseguenza non è sempre vero che un divieto totale od un intervento di contrasto radicale costituiscano “una risposta proporzionale al rischio potenziale“, potendosi configurare situazioni e contesti specifici che rendono una tale strategia inopportuna, inutilmente dispendiosa, se non sostanzialmente improduttiva.
In siffatte ipotesi, per coniugare in modo bilanciato esigenze di precauzione e di proporzionalità, il Consiglio di Stato ha ricordato come la Commissione suggerisca di modulare l’azione cautelativa in relazione alla evoluzione dei suoi risultati, sottoponendo le misure adottate ad un’opera di controllo e di “revisione, alla luce dei nuovi dati scientifici“.
Condividendo questa linea di pensiero, anche la costante giurisprudenza ha ritenuto che il principio di precauzione, i cui tratti giuridici si individuano lungo il segnalato percorso esegetico fondato sul binomio analisi dei rischi — carattere necessario delle misure adottate, presuppone l’esistenza di un rischio specifico all’esito di una valutazione quanto più possibile completa, condotta alla luce dei dati disponibili che risultino maggiormente affidabili e che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura (ex multis, Cons. Stato, sez. V, n. 6250/2013; Cons. Giust. Amm. Sicilia Sez. Giurisd., n. 581/2015; Cons. Stato, sez. IV, n. 1240/2018).
Nella vicenda in esame, il Collegio ha ritenuto carente la seconda delle due condizioni alle quali è subordinata l’adozione di misure precauzionali di maggiore impatto. Nel quadro empirico nel quale l’autorità pubblica è stata chiamata a determinarsi, non è stata verificata, infatti, una condizione di rischio indeterminato e non controllabile tale da suggerire l’impiego alla massima intensità di tutti gli strumenti di contenimento del rischio.
Ad escludere l’ipotesi limite del cd. “rischio zero” concorre il fatto che:
i) l’evoluzione della situazione epidemiologica – oggetto di indagine svolte con metodo scientifico rigoroso – appare suscettibile di continuo monitoraggio;
ii) il rischio potenziale di un innalzamento delle patologie da seriotipi attualmente silenti sarebbe fronteggiabile, nell’ipotesi in cui dovesse effettivamente concretizzarsi, con l’impiego di adeguati dispositivi di cura;
iii) la strategia di profilassi attualmente in essere si presta, ove necessario, ad essere modificata, in modo tempestivo, con interventi correttivi in grado di innalzarne l’intensità.
La possibilità che le strategie vaccinali subiscano modifiche nel corso del tempo, adattandosi all’evoluzione dei contesti epidemiologici e della ricerca medica, costituisce, si badi, prospettiva del tutto coerente con l’opzione di una azione amministrativa “prudenziale”, la quale ammette una variegata gamma di modalità esplicative, ivi incluse quelle attuate attraverso interventi progressivi e incrementali conseguenti alla evoluzione peggiorativa del quadro di osservazione.
Al contempo, una strategia di sorveglianza effettuata in modo tale da consentire di attuare in tempi rapidi un incremento della profilassi, rappresenta soluzione ampiamente contemplata dalle autorità competenti nello specifico settore della prevenzione vaccinale ed adeguatamente supportata dal sistema sanitario della Regione Piemonte, secondo quanto riconosciuto nella relazione ISS, ove si legge che: “in regione Piemonte, la sorveglianza dei casi da malattia invasiva da pneumococco è sensibile e ben strutturata, con una percentuale media di sierotipizzazione dei casi di circa l’80% nell’ultimo triennio, a fronte del 60% circa a livello nazionale. Essa sembra in grado di garantire una tempestiva disponibilità di dati. Infatti, la sorveglianza, sia a livello regionale che nazionale, deve essere in grado di innescare in tempi rapidi una valutazione dell’opportunità di effettuare un cambio di vaccino”.
L’efficacia del sistema di sorveglianza dei sierotipi circolanti trova conferma nella relazione tecnica del 27 luglio 2017 del Servizio Regionale di Epidemiologia e si pone tra gli elementi che hanno indotto la Regione ad una valutazione di sostanziale equivalenza tra i due vaccini (“Sulla base delle considerazioni espresse dal Ministero della Salute e sulla base di quanto dettagliato dalla relazione allegata, considerato che in Piemonte esiste un adeguato sistema di sorveglianza dei sierotipi circolanti, non si rilevano elementi sufficienti per differenziare l’uso dei due vaccini“).
Il giudizio dell’ISS avvalora il punto di ragionevole composizione illustrato, in quanto l’impiego del PCV10 viene ritenuto compatibile con l’attuale situazione epidemiologica e questa valutazione conclusiva è accompagnata, ma non inficiata nella sua sostanza, dall’avvertimento circa la necessità di maturare un più ampio tempo di osservazione del fenomeno. L’eventualità di una futura scelta correttiva, d’altra parte, è rinviata alla sopravvenienze di evidenze scientifiche “sulla franca superiorità nell’efficacia in pratica di uno dei due prodotti” che, tuttavia, l’ISS ribadisce essere “al momento non .. ancora disponibili”.
Il Consiglio di Stato ha dunque concluso che, anche se esaminate nell’ottica di una corretta applicazione del principio di precauzione, non si evidenziano nelle scelte sottese agli atti impugnati gli elementi sintomatici di un esercizio irragionevole del potere. D’altra parte, il sindacato sulla motivazione delle scelte discrezionali, anche se pervaso da significative componenti tecniche, deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto acquisiti; e, nel caso di specie, se è indiscussa l’attendibilità delle acquisizioni tecnico-scientifiche poste a base di tale valutazione, altrettanto deve dirsi della plausibile ragionevolezza delle determinazioni che l’amministrazione ha inteso trarne, all’esito della ponderazione dei diversi interessi affidati alle sue cure.
Ne discende che il vaccino decavalente e il vaccino tredici-valente, secondo il Consiglio di Stato, possono essere messi in competizione al prezzo più basso, in ragione del fatto che il principio di precauzione non ha valore assoluto, ma va applicato con proporzionalità.
4. Talune considerazioni
Il Consiglio di Stato ha apertamente aderito alla teoria che rifiuta di concepire il principio di precauzione come strumento utile alla attuazione della strategia c.d. rischio zero.
Il principio di precauzione persegue l’ambizioso obiettivo di regolamentare le azioni delle autorità pubbliche che si trovano a dover gestire rischi collettivi. È uno strumento che ha la funzione di bilanciare la minimizzazione dei rischi e la massimizzazione dei vantaggi. Il tutto tramite l’individuazione di una soglia-limite entro la quale il rischio è accettabile, ma altresì necessario anche al fine di promuovere il progresso tecnologico e la scienza medica. Progresso altrimenti reso impossibile dall’adozione sempre e comunque di logiche di abbattimento, ad ogni costo (anche economico), di qualunque fattore di rischio.
Il principio di precauzione non comportando quindi sempre e necessariamente l’adozione di scelte a “rischio zero” di fatto si sostanzia nella predilezione di soluzioni intermedie che si prefiggono lo scopo di contemperare la minimizzazione dei rischi e la massimizzazione dei vantaggi. |
Tracciando una linea può dunque concludersi che allo stato il principio di precauzione si sostanzia in un processo a formazione progressiva della gestione del rischio, che va progressivamente adattato e modellato, per il tramite di interventi incrementali conseguenti alla evoluzione peggiorativa del quadro di osservazione.